domenica 26 luglio 2009

B. Memoriale dei villaggi palestinesi distrutti: 2. Sabbarin, cartografato con rilevazione aerea e fatto vedere a Ben Gurion

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I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale nominativo dei singoli villaggi distrutti durante la pulizia etnica del 1948.

Dei villaggi palestinesi che furono distrutti e cancellati dalla carta geografica durante l’attuazione della pulizia etnica del 1948 si ha una conoscenza cumulativa. Si dice sempre che erano oltre 400 o 500 ed in pratica la metà di tutti i villaggi palestinesi esistenti, allo stesso modo in cui la cifra di 750.000 palestinesi espulsi dalla loro patria corrispondeva alla metà della popolazione. I conti tornano: metà popolazione espulsa, metà dei villaggi distrutti e cancellati dalla carta geografica. Deve essere una sorta di lapsus freudiano quello che spinge la propaganda isrealiana ad accusare l’Iran di avere l’intenzione di fare ciò che loro stessi hanno già fatto con crudeltà ed efferatezza: la distruzione di metà della Palestina e la sua cancellazione dalla carta geografica. La distruzione è stata così radicale che sarà già tanto se di ogni singola villaggio distrutto riusciremo a rintracciarne il nome. Cosa poi si celi dietro un singolo nome possiamo solo immaginarlo: le famiglie, le loro storie, gli usi e costumi, le pratiche religiose, le feste e i momenti conviviali, la cultura, l’arte, l’umanità quotidiana, il sucedersi delle generazioni. Tutto questi lo possiamo immaginare, opponendo la forza della fantasia e dell’immaginazione, a chi ha voluto cancellare la memoria altrui, loro che nelle loro battaglie propagandistiche si servono di slogan come “assassini della memoria”, loro che vogliono per sè Giornate della Memoria, ossia del Mito e della Progandanda, mente impongono sempre con legge l’Oblio dei loro misfatti e dei loro crimini. Raccoglieremo dunque attraverso tutte le fonti possibili, ma in primis il libro di Pappe, i nomi dei singoli villaggi dustrutti e per ognuno di essi tutte le notizie di ogni genere che troveremo. Ne verrà fuori un’Enciclopedia che è inutile cercare in Wikipedia, dove una pattuglia sionista sembra aver occupato le postazioni di comando. Il bello spirito che su Wikipedia redige la voce Zippori sorvola sul 1948 e vola invece direttamente sugli assiri. Sulla faziosità di Wikipedia, almeno di certo suoi redattori – e sappiamo come funzionano le cose, grazie a Vituzzu –, vi sono osservazione di Ilan Pappe con riguarda alla stesura della voce “pulizia etnica”.

Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
3. Lista di villaggi distrutti. – Andando al link si trova una lista di quasi 400 villaggi palestinesi distrutti dagli israeliani nel 1948. Accanto al nome si trovano indicazioni sulla posizione geografica e sulla popolazione. Possono purtroppo esserci problemi di traslitterazione. Noi adottiamo la traslitterazione che si trova nel libro di Pappe. Se Sabbarin corrisponde al Sabbareen della Lista, allora si trovava a 21,7 miglia a sud di Haifa ed aveva una popolazione di 1.700 abitanti. Fu cancellato nel 1948 ed al suo posto fu costruito l’insediamento ebraico di “Zippori” in 13,845 acri di terreno.

Macerie di Sabbarin nel 1987

1. Sindiyana 2. 3. Barieka

Sabbarin

Sommario: 1. Rilevamenti fotografici. – 2. L’Irgun all’opera. – 3. Un parco per nascondere sei crimini. –

1. Rilevamenti fotografici. – Si legge in Pappe (pp. 31 ss.) come un lavoro preliminare e necessario a quella che sarebbe stata la pulizia etnica del 1948 fosse la mappatura e la cartografia dei villaggi che si intendavano poi distruggere. Il lavoro fu fatto da cartografi professionisti, già durante il mandato britannico, nel contesto del lavoro di confinazione della proprietà che gli ebrei andavano acquistando con metodi spesso fraudolenti. Ecco cosa scrive al riguardo Pappe:
«Lo sforzo principale fu tuttavia quello di fare una mappatura dei villaggi, perciò fu reclutato per l'impresa un topografo dell'università ebraica che lavorava al Dipartimento cartografico mandatario. Egli consigliò di condurre rilevamenti fotografici aerei e mostrò orgogliosamente a Ben Gurion due di queste mappe per i villaggi di Sindiyana e Sabbarin (le mappe, ora negli Archivi di Stato israeliani, sono tutto ciò che rimane di quei villaggi dopo il 1948)».
Ilan Pappe, op. cit., 32.
Quando si dice che le università israeliane hanno avuto ed hanno una parte prepponderante nella guerra coloniale e nell’operazione di pulizia etnica ne troviamo qui una nuova conferma, risalente addirittura al periodo inglese.

2. L’Irgun all’opera. – Pappe descrive i diversi momenti e le diverse tecniche nella fase di distruzione dei villaggi. Ne riporto testualmente il brano che segue, dove il nome di Sabbarin compare insieme a quello di altri villaggi che ebbero eguale sorte:
Anche qui l’Irgun fece la sua parte nel continuare la distruzione della campagna palestinese. Essi completarono l’attacco vendicativo contro i restanti villaggi di Marj Ibn Amir mentre erano ancora presenti le truppe del Mandato britannico: Sabbarin, Sindiyana, Barieka, Khubbeiza e Umm al-Shauf. Alcuni degli abitanti di questi villaggi fuggirono sotto il fuoco pesante dei mortai delle forze attaccanti, mentre altri che sventolavano la bandiera bianca per segnalare la resa erano mandati immediatamente in esilio.
A Sabbarin i terroristi dell’Irgun, furiosi per aver trovato qualche resistenza armata, come punizione tennero le donne, i vecchi e i bambini chiusi entro recinti di filo spinato - del tutto simili alle gabbie in cui i palestinesi oggi vengono trattenuti per ore ai checkpoint nella Cisgiordania quando non riescono a presentare il permesso giusto. Sette giovani palestinesi, sorpresi con le armi, furono uccisi sul posto dai soldati ebrei, che poi espulsero gli altri abitanti del villaggio verso Umm al Fahm, non ancora in mani ebraiche 49.
Ciascuna fase o operazione nelle varie aree geografiche produceva nuovi modelli di comportamento che venivano in seguito adottati dal resto delle truppe. Alcuni giorni dopo l’occupazione del villaggio di Kafrayn e l’espulsione dei suoi abitanti, l’esercito dimostrò la propria destrezza nel villaggio ormai vuoto, cancellandolo dalla faccia della terra 50. Questo tipo di manovre si ripeté più volte, anche negli anni Cinquanta, ben oltre la fine della guerra del 1948.
Pappe, op. cit., 137-38
Note:
49 Benny Morris, The Birth of th Palestinian Refugee Problem, pp. 243-244.
50 Archivi Palmach, Givat Haviva, G/146, 19 aprile 1948.
In effetti, nel 1948 la pulizia etnica iniziò per non fermarsi mai. I 60 anni di Israele, che in Torino hanno voluto onorare alla Fiera del Libro, sono anni ininterroti di pulizia etnica. Sbagliano quanti ritengono che la Nakba sia stato un episodio, un poco sgradevole, ma ormai superato e limitato al solo 1948. Dopo è venuto il regno della democrazia e finalmente la Palestina ha conosciuto la civiltà occidentale russo-ebraica.

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3. Un parco per nascondere sei crimini. – Ho consultato i grandi dizionari del De Mauro e del Battaglia per ricostruire il significato lessicale del termine ‘perfidia’ o del suo aggettivo ‘perfido’. Viene rilevato innanzitutto l’elemento della cattiveria e della malvagità congiunta ad intimo godimento, ma non è sottaciuto l’elemento dell’inganno, della frode, della disonestà intellettuale, che io invece sono portato a mettere in primo piano quando uso questi termini. Anche nella liturgia cattolica si usava fino a non molto tempo fa l’espressione “perfido ebreo”, che è poi stata tolta dopo l’assalto condotto dal B’naï B’rith alla chiesa cattolica, i cui vertici sono oggetto di un trattamento analogo a quello che l’AIPAC usa con successo verso quanti in America aspirano a cnadidarsi ad una qualsiasi pubblica ed a fare carriera politica. Ma perché questo mio esordio? Perché odo spesso la propaganda israeliana rinfacciare ad Ahmadinejad la sua intenzione di voler cancellare Israele dalla carta geografica, cosa che in realtà Ahmadinenjad non avrebbe mai detto, anche perché se l’accusa vuole evocare un olocausto nucleare, ne farebbero le spese proprio quei palestinesi di cui invece Ahmadinejad è indicato come protettore, palestinesi che quindi fungono da scudo umano a vantaggio degli ebrei russi che sono andati ad occupare la Palestina ed a cercarvi quel benessere economico e quella libido dominandi che non trovavano in Russia. Ma diamo subito un brano di Ilan Pappe che meglio illustra il senso della nostre riflessioni:
A sud di Biriyya si estende il parco di Ramat Menashe. Ricopre le rovine di Lajjun, Mansi, Kafrayn, Butaymat, Hubeiza, Daliyat al-Rawha, Sabbarin, Burayka, Sindiyana e Umm al-Zinat. Proprio al centro del parco ci sono i resti del villaggio distrutto di Daliyat al-Rawha, ora ricoperto dal kibbutz Ramat Menashe del movimento socialista Hashomer Ha-Tza’ir, e sono ancora visibili le rovine delle case fatte esplodere2 del villaggio di Kafrayn. Il sito web del JNF illustra la mescolanza di natura e habitat umano nella foresta quando ci dice che al suo interno ci sono “sei villaggi”. Il sito usa la parola ebraica kfar, molto atipica per ‘villaggio’, riferendosi ai kibbutz nel parco e non ai sei villaggi che giacciono sotto il parco - un espediente linguistico che serve a rafforzare il palinsesto metaforico qui in atto: la cancellazione della storia di un popolo allo scopo di scriverei sopra quella di un altro3.
Il sito del JNF dice che la bellezza e il fascino di questo luogo sono “impareggiabili”. Uno dei principali motivi sta nel paesaggio stesso, con i suoi bustans e le sue rovine del “passato”, ma dietro a tutto ciò c’è un progetto generale che fa di tutto per mantenere i contorni di uno scenario naturale. Qui, per di più, la natura ha quel “particolare fascino” a causa dei villaggi palestinesi distrutti che il parco ricopre. Il tour nel parco, virtuale o reale che sia, guida dolcemente il visitatore da un punto all’altro, e tutti hanno nomi arabi: sono i nomi dei villaggi distrutti, ma qui sono presentati come luoghi naturali o geografici che non tradiscono alcuna precedente presenza umana. La ragione per cui ci si sposta così facilmente da un punto all’altro viene attribuita dal JNF a una rete di strade che furono lastricate nel «periodo inglese». Ma perché gli inglesi si preoccuparono di lastricare le strade? Certo per collegare meglio (e quindi controllare) i villaggi esistenti, ma è molto difficile, se non impossibile, ricavare questo dato dal testo. Tuttavia quésto sistema di cancellazioni non può mai essere infallibile. Per esempio, il sito web del JNF offre indicazioni che non si trovano sui cartelli sparsi nei sentieri del parco. Tra le numerose rovine che punteggiano il luogo, la «sorgente del villaggio» (Ein ha-Kfar) è consigliata come «la zona più tranquilla». Spesso una fonte si trova al centro, vicino alla piazza, come qui a Kafrayn, le cui rovine ora non solo offrono «pace alla mente» ma servono anche al bestiame del vicino kibbutz Mishmar HaEmek come luogo di riposo lungo il percorso verso i grandi prati più in basso.
I. Pappe, op. cit., 275-276.
Note:
2. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948, a cura di Walid Khalidi, p. 169.
3. In ebraico israeliano, kfar significa normalmente ‘villaggio palestinese’, cioè, non sono villaggi “ebraici” poiché l'ebraico usa invece yishuvim (‘insediamenti’), (kibbutzim, moshavim ecc.
Dunque, non vi è minimo dubbio che siano stati proprio gli israeliani, ovvero in gran parte gli ebrei russi sionistizzati, che hanno già fatto loro nel 1948 e anni successivi ciò che rimproverano ad Ahmadinjad di voler fare: cancellare qualcuno dalla carta geografica. Hanno raso al suolo oltre 400 villaggi palestinesi, in pratica mezza Palestina, e ne hanno obliterato il nome sulla geografica sostituendolo con nomi ebraici. Loro che insultano gli storici revisionisti come “assassini della memoria” hanno invece fatto di tutto non solo per cancellare la memoria di un popolo, ma con legge in Israele e nei paesi soggetti all’influenza delle Israel lobbies impongono per un verso la “memoria” che essi vogliono e prescrivono penalmente l’oblio della Nakba ovvero dei crimini dove essi stessi sono coinvolti. Questa è perfidia in grado eminente ed ha fatto molto male la chiesa cattolica a togliere dalla sua liturgia un’espressione che era il frutto di una saggezza secolare, anzi millenaria.

(segue)

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