venerdì 17 luglio 2009

Free Gaza Movement: 74. Jeff Halper, un altro ebreo che “odia se stesso”.

Homepage

Tutti gli ebrei che contrastano la politica di Israele sono rubricati dalla propaganda sionista come “ebrei che odiano se stessi” per non dover ammettere che lo stesso sionismo è un fenomeno all’interno dell’ebraismo. Con ciò non credo che si possa negare che moltissimi ebrei, forse anche la stragrande maggioranza di essi, sono confluiti nel sionismo. Resta tuttava di un’importanza essenziale la non identificazione ed equivalenza fra ebraismo e sionismo. A questa identificazione sta puntando il B’naï B’rith e deve considerarsi un risultato di questa politica il discorso presidenziale che ha equiparato antisionismo e antisemitismo. Di riflesso e per per proprietà transitiva si arriva se l’antisemitismo è qualcosa che colpisce gli ebrei in quanto tali e se l’antisemitismo la stessa cosa che l’antisionismo, allora vuol dire che ebreo = sionista. Ecco dunque che sono di grande importanza per rompere questo schema mentale la posizione di tanti ebrei come Jeff Halper, a cui nessuno può togliere l’attributo di ebreo. Sarò perciò istruttivo seguire la sua vicenda umana ad incominciare dalla sua partecipazione al Free Gaza Movement.

Vers. 1.0 - status: 17.7.09
Precedente - Successivo
Sommario: 1. Come Israele manipola gli USA. – 2. Attivista del “Free Gaza Movement”. –

1. Come Israele manipola gli USA. – Il link non immette questa volta all’archivio di «Informazione Corretta», testata sionista utile per le sue forti contrapposizioni di amico-nemico. Il link invece accede all’archivio di Peace Reporter, accessibile, al quale attingeremo per il suo grande valore informativo e analitico. Ne riportiamo il testo per intero. Risale al 2003 ed è importante soffermarsi sulla data.
Come Israele manipola gli USA
un testo del 12 dicembre 2003
Fonte: Archivio di Peace Reporter

Diffondiamo parte di un’intervista di Jon Elmer a Jeff Halper*

Questo lo spunto iniziale: “Chomsky ha detto che Israele è una base americana off-shore, soprattutto per le vendite di armi. Che ruolo svolge Israele nell’Impero americano?”

Non sono completamente d’accordo con Noam Chomsky. Penso che sottovaluti l’attivismo di Israele, e il modo in cui Israele manipola gli Stati Uniti. Per gli Stati Uniti, l’appoggio ad Israele è di fatto controproducente. Sta sconvolgendo l’intero mondo musulmano, del petrolio, e ora c’è l’occupazione dell’Iraq e l’ovvio paragone con l’occupazione israeliana della Palestina. L’alleanza fra l’America e Israele aveva senso durante la Guerra Fredda – all’epoca c’era una barzelletta in voga in Israele che diceva che eravamo la più grande portaerei degli Stati Uniti. Forse allora aveva un significato. Ma adesso?

Israele è situata proprio al centro dell’industria armiera del mondo. La sofisticata industria militare israeliana ha dato un forte contributo allo sviluppo di quella americana. Ma c’è di più: Israele è diventata il maggior piazzista delle armi americane. Nel 2002, Israele ha firmato un contratto, nel quale si impegnava ad addestrare ed equipaggiare l’Esercito cinese. Ha sottoscritto poi un analogo accordo multimiliardario per armare ed equipaggiare l’Esercito indiano. Con che cosa li sta equipaggiando? Con armi americane.

Fucile Israele è molto importante perché dispone di tecnologie raffinate, perché ha sviluppato armamenti e li vende. Ma anche perché non ha restrizioni etiche o morali: non ha un Congresso, non deve rispondere di violazioni di diritti umani, non ha leggi anti-corruzione; il governo israeliano può fare quello che vuole. Abbiamo quindi uno Stato canaglia – non uno come la Libia, ma uno dotato di esperienza tecnologica e militare – che si sta rivelando terribilmente utile sia per l’Europa che per gli Stati Uniti.

Ad esempio, ci sono restrizioni del Congresso americano sulle vendite di armi alla Cina a causa delle violazioni dei diritti umani. Israele le trattiene sul proprio territorio abbastanza a lungo, da far sì che queste alla fine vengano considerate israeliane; così si aggira il Congresso.

Tel Aviv piazza le armi americane in molti paesi del Terzo Mondo. Non c’è regime sanguinario – dalla Colombia al Guatemala, dall’Uruguay all’Argentina, al Cile di Pinochet, da Taiwan allo Zaire, alla Liberia, al Congo, alla Sierra Leone – che non abbia avuto un’importante legame militare con Israele. I produttori di armi israeliani si muovono come mercenari: l’uomo dietro Noriega, ad esempio, era Michael Harari, un israeliano, che poi lasciò precipitosamente Panama. I mercenari israeliani in Sierra Leone aggirano il boicottaggio imposto dalle Nazioni Unite sui cosiddetti “diamanti di sangue”; lo stesso avviene in Angola. Ora Israele sta sviluppando un sistema missilistico assieme alla Gran Bretagna, un nuovo aereo per l’Olanda, e ha appena comprato tre sofisticati sottomarini dall’Olanda. Quindi, Israele sta giocando pesante.

I produttori di armi israeliani si sentono a casa propria in paesi che sono nemici giurati degli Stati Uniti: cioè l’Uzbekistan, il Kazakistan, la Russia, la Cina, l’Indonesia; paesi dove gli americani non possono operare, in parte per questioni di mercato e in parte per le restrizioni del Congresso e della legge.

ISRAELE: LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO

Fucili Ed ecco il pezzo mancante. Se si dà un’occhiata al sito dell’American Israel Public Affairs Committee ( Aipac ), la maggior lobby pro Israele negli Stati Uniti, un testo salta subito agli occhi; s’intitola la “Cooperazione strategica”. Gli Stati Uniti e Israele hanno sottoscritto un Trattato, un’alleanza formale, che consente ad Israele di accedere liberamente a quasi tutta la tecnologia militare americana.

Quando l’Aipac “vende” Israele al Congresso, non va dai singoli membri e chiede loro di appoggiare questo Stato in nome della religione giudaica cristiana, o perché “è l’unica democrazia in Medio Oriente”. L’argomentazione è piuttosto questa: “Sei un membro del Congresso ed è tua responsabilità sostenere Israele perché molte industrie del tuo Stato fanno affari con Israele; molti posti di lavoro nel tuo distretto dipendono dall’industria militare e della Difesa (e dunque da Israele). Quindi se voti contro Israele, voti contro la gallina dalle uova d’oro.

Nella maggior parte dei distretti americani, i membri del Congresso dipendono fortemente dal militare. Più della metà dell’occupazione industriale in California è in un modo o nell’altro legata alla Difesa. E in quest’ambito Israele esercita un potere molto forte.

Quando noi del Comitato israeliano contro le demolizioni delle case ( Icahd ) abbiamo incontrato un membro del Congresso e gli abbiamo parlato di diritti umani, di occupazione, di palestinesi, ci siamo sentiti rispondere: “Lo so, leggo i giornali, non sono uno stupido, ma non è questa la base sulla quale do il mio voto. La base è il bene dei miei elettori”.

Così in termini di attivismo, quando pensiamo ad una campagna internazionale, una parte importante di questa deve essere incentrata sui legami di Israele con l’industria della Difesa, delle armi, sul sostegno israeliano a regimi terribili e alle loro violazioni di diritti umani, su ciò che sta facendo nel mondo.

Se si vuole parlare d’Impero, malgrado questo sia un paese piccolo, ha un ruolo fondamentale. Dal sito dell’Aipac, si capisce che il suo compito è di proteggere gli interessi americani in Medio Oriente. Quanto all’Impero americano, Israele è fiera di farne parte.

A cura di JON ELMER
(copyright www.fromoccupiedpalestine.org)
Prima ancora che Mearheimer e Walt scrivessero il loro libro era Jeff Halper a dire già nel 2003 che «per gli Stati Uniti l’appoggio ad israele è di fatto controproducente».

2. Attivista del “Free Gaza Movement”. – Se si va a leggere il testo di Anton La Guardia, Terra santa guerra profana, che andremo a recensire e che diventerà uno dei nostri testi di studio, ai quali attingeremo anche per il nostro monitoraggio della Israel Lobby (termine rigorosamente alla Mearheimer e Walt che conserviamo benché inadeguato), troviamo altri sbarchi clandestini di navi. Erano i coloni sionisti che forzavano il blocco britannico ed andavano ad invadere una terra abitata, che però loro consideravano come non abitata in quanto i legittimi abitanti, indigeni, non avevano propriamente dignità di esseri umani: una delle navi del Free Gaza Moviment è stata appunto e significativamente battezzata “Dignity”. La storia potrà non insegnare nulla, ma è utile conoscerla, soprattutto se non è scritta da un Benny Morris, intellettuale organico del sionismo, abbondantemente foraggiata per scrivere ponderosi volumi, che leggiamo quanto basta e serve, ma che lasciamo nello scaffale dei libri falsi e inutili. Oggi le navi che tentano di sbarcare a Gaza sono quelle di pacifisti che tentano di portare aiuti umanitari, giocattoli, ad una popolazione espropriata dai sedicenti figli, nipoti e pronipoti dei «sopravvissuti» della grande industria dell’«Olocausto» denunciata da un altro ebreo che «odia se stesso», cioè Norman G. Finkelstein. Che non vi siano nessuna relazione fra gli internati dei campi di concentramento nazisti e ciò che è stato e divenuto Israele è una cosa ovvia che non ha bisogno di grandi dimostrazioni. È solo una finzione diplomatica quella che considera Israele il legittimo rappresentante delle “vittime”. In realtà, la gran parte degli attuali abitanti di Israele proviene dalla Russia, dove con l’aiuto di Aleksandr Solgenitsin è possibile ricostruire due secoli di rapporti degli ebrei con il mondo russo, ossia con l’impero zarista e con lo stato bolcevico. Sullo sfondo vi è uno sterminio di dieci-quindici milioni di contadini russi, per i quali non esistono Giornate della Memoria o Musei dell’Olocausto. Ma ecco la testimonianza di Jeff Halper, ebreo israeliano che ha forzato il blocco del suo governo:

Il Manifesto,
22 agosto 2008
Il blocco infame
*
Testimonianza dell’ebreo israeliano
Jeff Halper


Questa mattina salperò con una delle due barche del Free Gaza Movement da Cipro verso Gaza. L’obiettivo è spezzare l’assedio israeliano - un assedio assolutamente illegale che ha costretto un milione e mezzo di palestinesi in condizioni sciagurate: prigionieri nelle loro stesse case, esposti ad ogni violenza militare, privati delle necessità basilari per vivere, spogliati di ogni fondamentale diritto umano e della dignità. La nostra iniziativa vuole smascherare la falsità delle dichiarazioni israeliane, che sostengono che non c’è alcuna occupazione in atto, o che l’occupazione si è conclusa con il «disimpegno delle forze armate» o che l’assedio non ha nulla a che vedere con la questione «sicurezza». Così come l’occupazione della Cisgiordania e di Gerusalemme est, dove Israele ha posto sotto assedio città, villaggi ed intere regioni, l’assedio di Gaza è politico. Ha l’intento di isolare il governo palestinese democraticamente eletto e spezzare la sua capacità di resistere ai tentativi israeliani di imporre un regime di apartheid nell’intero paese. La nostra missione non parte solo dall’obiettivo di portare aiuti umanitari, sebbene siano previsti aiuti ai bambini. Rifiutiamo il concetto che la popolazione di Gaza sia sofferente a causa «di una crisi umanitaria». In realtà le loro sofferenze derivano da una precisa e deliberata politica di repressione a loro imposta dal mio governo, il governo di Israele.
[Vale la pena di riportare qui l’infame commento dei sionisti di “Informazione Corretta”, la testa di becera propaganda che tenta di influenzare i media italiani con sistematiche campagne di intimidazione:

«Più sotto l’intervento di Jeff Halper “responsabile del Comitato israeliano contro la demolizione delle case” e partecipante all’iniziativa. Halper sostiene

[già, proprio così! E voi sostenete il contrario? A quale titolo? Quello di corretti sionisti torinesi? “Torinesi”che vuol dire?...]

che Israele impone un assedio per colpire la popolazione civile, dimenticando che fornisce a Gaza carburante, cibo, medicinali.

[Coloro che mentono sapendo di mentire: gli Eletti Mentitori. Ma “fornire” che vuol dire poi? Come i carcerieri con i carcerati? Ed ha che titolo Israele FORNISCE? È dunque Gaza una prigione, un lager che supera da solo gli orrori di tutti i campi di concentramento nazisti messi insieme. Gli Idioti non si accorgono di ammettere con le loro stesse parole ciò che pensano di negare: non è questione se il “carburante, il cibo, i medicinali” vengano o non vengano “forniti” con il contagoccie e con ritardo, ma il fatto stesso che vengano “forniti” come li si può fornire a prigionieri assediati, a bestie in un serraglio: è l’ammissione stessa di un assedio che tutto il mondo condanna, ma che i governi complici consentono standosene inerti quando non collaborano allo stesso assedio]

Pensa o finge di pensare che se lui ebreo israeliano è stato accolto dagli attivisti palestinesi sulla Free Gaza, allora il conflitto israelo-palestinese è risolvibile pacificamente: ignorando, o fingendo di ignorare il valore propagandistico della sua presenza. Appoggia apertamente il “governo democraticamente eletto di Gaza”, cioè il regime golpista di Hamas, terroristico nei confronti degli stessi palestinesi».

La prosa è a suo modo istruttiva del livello di degradazione morale a cui è giunta una minoranza che atteggiandosi a vittima ha lucrato privilegi immensi. Qui bisogna proprio arrampicarsi sugli specchi per non riconoscere che ormai è stato superato il modello negativo del nazismo come parametro dell’insuperabile e di ciò che “mai più” occorre che accada: ciò che accade, per mano ebraico-sionista, è molto peggio e senza nessuna possibilità di giustificazione politica, morale, etica: lo testimonia perfino un ebreo israeliano, che contesta il suo governo: anche lui un antisemita, un odiatore di se stesso e di Israele? No! È soltanto una debole speranza per l’unica ipotesi realistica benché difficilissima: lo Stato Unico dove tutti abbiano eguaglianza di diritti.]
Questa è il perché io, ebreo israeliano, mi sono sentito obbligato ad unirmi a questa importante tentativo. Come persona che cerca una giusta pace anche con coloro che mi sono sempre stati rappresentati come nemici, data la mia preoccupazione per i diritti all’auto-determinazione dei palestinesi e per il fatto che l’occupazione sta distruggendo il tessuto morale del mio paese, non posso permettermi di stare passivamente da parte. Un atteggiamento del genere significherebbe essere complici di comportamenti israeliani che si pongono all’opposto della vera essenza della religione, della cultura e della morale ebraica. Israele ha, ovviamente, delle legittime preoccupazioni circa la propria sicurezza, e gli attacchi palestinesi contro civili in Sderot ed altre comunità poste al confine con Gaza non possono essere ammessi. Secondo la quarta Convenzione di Ginevra, Israele come «Forza occupante» ha il diritto di monitorare i movimenti di formazioni armate a Gaza, come questione «urgente necessità militare». Come persona che cerca di far terminare questo infinito conflitto attraverso mezzi non violenti, non ho obiezioni che la Marina israeliana abbordi le nostre imbarcazioni in cerca di armi - anche se so che questa non è il parere di tutti i partecipanti a Free Gaza. Ma questo è il limite invalicabile. Il diritto internazionale non dà ad Israele alcun diritto di imporre un assedio più ampio, in cui la popolazione civile viene colpita. Non ha alcun diritto di ostacolarci, di impedire a persone, che navigano in acque internazionali e palestinesi, di raggiungere Gaza- soprattutto dal momento che Israele ha dichiarato che non c’è più occupazione a Gaza. Una volta che la Marina israeliana si sia convinta che noi non rappresentiamo un pericolo per la sicurezza, noi ci aspettiamo ragionevolmente di poter continuare il nostro pacifico e legale viaggio verso il porto di Gaza. Gente comune ha giocato ruoli chiave nella storia. Noi, e non solo i politici, abbiamo una responsabilità politica e morale verso il nostro prossimo. Se, come ebreo israeliano, posso essere accolto dai palestinesi di Gaza come persona di pace, se essi mi hanno garantito il diritto morale e politico di parlare, è necessario, allora, cambiare la politica che ostruisce la pace, la giustizia e i diritti umani. Voglio anche richiedere, a gran voce, il rilascio di tutti i prigionieri politici detenuti da Israele, inclusi i ministri del governo di Hamas e i parlamentari, e il ritorno a casa del soldato israeliano Gilad Shalit. Questa missione potrebbe drammaticamente trasformare il panorama politico, aprendo le porte a veri negoziati che non possono avviarsi senza una manifestazione di buona volontà che può essere rappresentata proprio dal rilascio dei rispettivi prigionieri. Il mio viaggio a Gaza è una dichiarazione di solidarietà con il popolo palestinese e le loro sofferenze, e una accettazione di responsabilità in nome del mio popolo, Israele. Solo noi, essendo la parte più forte nel conflitto e rappresentando la forza di occupazione, possiamo porre fine ad esso. La mia presenza a Gaza è anche una riaffermazione che ogni risoluzione del conflitto deve includere tutti i popoli della regione, palestinesi come israeliani. Più di ogni altra cosa, la mia presenza nell’azione di Free Gaza afferma una mentalità pacifica che israeliani e palestinesi hanno dimenticato in anni di cruenti conflitti. Noi ci rifiutiamo di essere nemici. Mi unisco ai miei compagni, provenienti da diciassette paesi, all’appello alle genti e ai governi di tutto il mondo perché ci aiutino a porre fine all’assedio di Gaza, anzi all’occupazione. Aiutateci a costruire un pace giusta e duratura in questa torturata terra santa. Aiutateci a rimuovere una delle principali fonti di instabilità politica e conflitto.

*
La cronaca di Michele Giorgio

Tutto pronto. Oggi poco prima dell’alba, a meno di imprevisti dell’ultima ora, la Free Gaza e la Liberty, le due imbarcazioni con a bordo 44 pacifisti di tutto il mondo, salperanno da Larnaca con l’intenzione dichiarata di violare il blocco navale israeliano intorno alla Striscia di Gaza e di portare aiuti umanitari e solidarietà politica alla popolazione civile palestinese. Un’impresa preparata con cura, grazie anche ai fondi raccolti nei mesi scorsi, ma rimandata più volte per vari motivi - i pacifisti dovevano lasciare Cipro il 5 agosto - tra cui le cattive condizioni del mare. Adesso le due navi procederanno verso Gaza e i loro passeggeri scruteranno il mare in continuazione in attesa delle mosse della Marina militare israeliana. I giornali dello Stato ebraico in questi ultimi giorni hanno riferito che Israele è sempre più convinto di bloccare in mare le due imbarcazioni perché i 44 pacifisti potrebbero, con la loro azione, di offrire un «esempio» ad altri gruppi e movimenti che si battono contro la morsa che stringe e soffoca la Striscia di Gaza. I pacifisti da parte loro non intendono tornare indietro al primo segnale di avvertimento e tenteranno, senza far uso di violenza, di resistere ad eventuali arresti. A bordo della Free Gaza e della Liberty ci sono anche un docente universitario israeliano
[anche lui un “accademico fallito” secondo la terminologia in uso verso gli oppositori interni da parte del sionismo più ferocizzato?]
e noto attivista della lotta contro la demolizione delle case palestinesi, Jeff Halper (si veda il suo articolo qui a fianco), una sopravvissuta all’Olocausto, Hedy Hepstein (84 anni), un attivista italiano Vittorio Arrigoni, una suora cattolica statunitense, Anne Montgomery (81 anni), la fondatrice dell’International solidarity movement, Huwaida Arraf, e la giornalista britannica Lauren Booth (cognata dell’ex premier Tony Blair, ora inviato del Quartetto per il Medio Oriente). L’iniziativa, che non ha collegamenti con il movimento islamico Hamas ma solo con i comitati popolari di Gaza, è finalizzata a dimostrare che la Striscia rimane sotto occupazione nonostante l’evacuazione di soldati e coloni israeliani avvenuta tre anni fa. E a dimostrarlo, sottolineano gli attivisti del «Free Gaza Movement», è proprio il blocco navale attuato dalla Marina israeliana. Ieri, in anticipo sulla partenza, i 44 pacifisti hanno commemorato in mare i 14 pescatori palestinesi uccisi dalle motovedette israeliane per aver violato i limiti di pesca, e, su richiesta dei familiari, i 34 marinai morti sulla USS Liberty, la nave-radar statunitense che nel 1967 venne bombardata dall’aviazione israeliana per motivi che non sono mai stati chiariti pubblicamente da Washington e Tel Aviv. Oggi, durante la navigazione, dovrebbe esserci un breve incontro in acque internazionali con un’altra piccola imbarcazione (forse due) cariche di pacifisti israeliani provenienti dal porto di Ashdod. Adesso si attendono le mosse di Israele perché le autorità cipriote hanno controllato le imbarcazioni dei pacifisti dichiarandole in regola e idonee a partire per Gaza. Nulla, almeno dal punto di vista legale, potrà impedire alla Free Gaza e alla Liberty di compiere il loro viaggio. Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Arye Mekel, ha detto che ai pacifisti è stato spiegato che i loro aiuti umanitari possono essere portati a Gaza passando per i valichi terrestri e non via mare, ma non ha chiarito quale sarà la risposta di Israele se le due navi tenteranno di superare il blocco navale. «Ci aspettiamo che i militari israeliani salgano sulle nostre imbarcazioni per arrestarci - ha detto l’avvocato Thomas Nelson, 64 anni, di Portland (Usa) - e noi, senza usare violenza, ci opporremo alla loro azione. Sappiamo di non essere un pericolo per nessuno ma Israele ha paura di noi perché la nostra azione esporrà di fronte al mondo intero la condizione della palestinesi di Gaza e che l’occupazione militare non é mai terminata». Nelson ha aggiunto che se Israele arresterà i pacifisti, gli avvocati della associazione statunitense, National Lawyers’ Guild, agiranno prontamente nelle competenti sedi internazionali. Israele da parte sua ritiene di avere il pieno diritto di bloccare le imbarcazioni sulla base degli accordi di Oslo raggiunti nel 1993 con l’Olp che consentono allo Stato ebraico di avere il controllo delle acque territoriali di Gaza.
[Caspita! Ecco dunque un altro motivo per dire che quegli accordi erano una frode e che è giusto tutto il male ce se ne dice. In realtà, quando si parla di “processo di pace” si intende che i palestinesi “sopravvissuti” dovranno venir relegati in un sistema di “riserve indiane”, non dissimile da quelle in cui vivevano i superstiti dell’«Olocausto americano».]
Occhio alle date: siamo nell’agosto del 2008. I piani di “piombo fuso” erano nel cassetto ed aspettavo il momento della loro attuazione che è giunta come regalo di Natale per gli oltre un miliardo di cattolici sparsi per il mondo. La neutralizzazione del cattolicesimo ad opera del Concilio Vaticano II e la politica teologica suicida seguita dalle alte gerarchie consentono l’insulto della profanazione del Santo Natale. Vi è da chiedersi quanto “perfidia” possa essersi stata nello scegliere una data a ridosso del Natale cristiano per scatenare la più infame strage di innocenti.

Torna al Sommario.

Nessun commento: