lunedì 13 luglio 2009

Apartheid: 72. John Dugard, un avvocato sudafricano che sa riconoscere e denunciare l’apartheid israeliano.

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L’occasione di questa scheda mi è dato dall’avvocato sionista Alan Dershowitz, che pensa di essere l’unico leguleio del mondo, o almeno il primo degli Azzegarbugli. Egli attacca aspramente Jimmy Carter per il suo libro, dove denuncia l’esistenza di di un regime di apartheid in Israele. Si avvale di formalismi per dire che Israele è cosa diversa dal Sud Africa. Certamente! Ma è anche qualcosa di peggio di ciò che era l’apartheid sudafricano. Non è solo Carter ad aver individuato il fenomeno, ma sono in molti e sempre più numerosi. Fra questi anche John Dugard, un avvocato sudafricano, che si colloca proprio sul terreno professionale di Dershowitz, per sostenere ciò che questi pensa di aver confutato nella recente traduzione italiana del suo libro dal titolo significativo: “Processo ai nemici di Israele”. Pare certo che un processo per crimini di guerra e lesa umanità debba invece essere fatta ad Israele ed alla quasi totalità dei suoi eroi e padri della patria che dal 1948 in poi si sono avvicendati al potere e alle cariche di governo. Per uno scheda su Dugard incominciamo ad attingere dall’archivio sionista di «Informazione Corretta», dove si distilla tanto di quell’odio di cui parlano ma che appartiene non ai loro “nemici” ma a loro stessi ed al loro sistema etico e morale. Se non avessero tanto odiato non avrebbero ucciso in 7 anni 815 bambini palestinesi al ritmo di uno alla settimana.

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Sommario: 1. La pulizia etnica di Sharon. – 2. Per i sionisti di Israele e nostrani la vita di tutti i palestinesi messi insieme vale meno di un vaso rotto di Sderot. – 3. Senza vergogna. –

1. La pulizia etnica di Sharon. – Sarebbe patetica se non fosse grottesca e criminale l’insistenza con cui i sionisti ripetono la frottola della “barriera difensiva” contro il “terrorismo”. Credono questi signori di poter impunemente stravolgere il comune vocabolario linguistico, etico, morale. Addirittura, il francese Alain Menargues ha individuato motivazione religiose – separazione dagli impuri – nella costruzione del Mur de Sharon, edito nel 2004 e costato all’autore il solito trattamento della Lobby. Andando al link si trova un’intervista di Michele Giorgio a John Dugard. La estraiamo dall’archivio di IC, segnalando per la consueta infamia il “commento sionista”. È tipica la distorsione morale di questa gente la motivazione secondo la quale grazie al muro sarebbero diminuiti gli attentati suicidi e dunque il muro è stato efficace. Per questa via possono pure arrivare a sostenere che basta rinchiudere in una gabbia, appunto in un Lager come quello di Gaza, tutti i potenziali sospetti attentatori per risolvere il problema, ovvero – come in effetti fanno – precederli con “omicidi mirati”. Insomma, confessano nuove e più gravi colpe, mentre pretendono di giustificarsi delle loro scelleratezze.
Il Manifesto,
28 settembre 2005, p. 9

Michele Giorgio

L’Onu: “Basta pulizia etnica di Sharon”

E’ perentoria la denuncia dell’avvocato sudafricano John Dugard, relatore speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani nei Territori occupati. Il recente ritiro dalla Striscia di Gaza ha consentito a Israele di distogliere l’attenzione internazionale dalla sua ulteriore espansione a Gerusalemme est e negli altri territori palestinesi.
«Questo focalizzarsi dell’attenzione su Gaza ha permesso a Israele di proseguire con la costruzione del muro»,
ha spiegato Dugard in un rapporto di 19 pagine diffuso due giorni fa,
«con l’espansione degli insediamenti e con la de-palestinizzazione di Gerusalemme, in pratica senza alcuna critica».
Itzhak Levanon, ambasciatore israeliano presso l’Onu a Ginevra, ha condannato il rapporto come «distorto nella sua presentazione, eccessivo nelle conclusioni politiche; è un ripetuto tentativo di colpire Israele». Quelle di Dugard però sono accuse particolareggiate. Israele, ha scritto, è impegnato a ridurre il numero dei palestinesi che oggi vivono a Gerusalemme est e, allo stesso tempo, ad aumentare la percentuale degli ebrei in quella stessa parte della città (occupata militarmente dallo Stato ebraico nel 1967), impedendo di fatto che i palestinesi possano in futuro proclamare la loro capitale nella zona araba. Gli insediamenti colonici pertanto crescono senza sosta a Gerusalemme est, anche nella Città vecchia e le aree palestinesi vengono divise da demolizioni di case e dalla creazioni di parchi. La comunità internazionale non apre bocca di fronte a tutto ciò, soddisfatta dell’avvenuto ritiro di soldati e coloni israeliani dalla Striscia di Gaza, appena 360 kmq di terra [= circa un quarto del territorio comunale di Roma]. I disegni stategici veri, cerca di far capire Dugard, riguardano la Cisgiordania e Gerusalemme, non l’insignificante lembo di terra di Gaza. L’avvocato sudafricano ha preso di nuovo in esame l’impatto sulla vita della popolazione civile palestinese, del muro di separazione che Israele sta costruendo all’interno della Cisgiordania. Con particolare attenzione al futuro di Gerusalemme. Giustificato con la necessità di proteggere i cittadini israeliani dai kamikaze palestinesi, il muro in realtà ha finalità politiche - punto sul quale convergono anche gli studi fatti da centri israeliani, tra cui Betselem - poiché «trasferirà» fuori dai confini municipali di Gerusalemme circa 55mila palestinesi e taglierà fuori altri 50 mila palestinesi ufficialmente residenti nella zona araba della città ma che (per mancanza di alloggi e le restrizioni israeliane ai progetti arabi di edilizia popolare) abitano nei sobborghi di Gerusalemme. «Ciò significa che il muro colpirà il 40% dei 230 mila palestinesi che vivono a Gerulemme est», ha scritto. Già nel 2004 Dugard accusò Israele di costruire il muro per confiscare terre e fissare i suoi confini futuri senza negoziarli con i palestinesi. Lo scorso anno il relatore dell’Onu non esitò a parlare di «apartheid» per la condizione dei palestinesi nei Territori occupati, «peggiore di quella una volta esistente in Sudafrica». Dugard si richiamò nel suo precedente studio ad un altro rapporto, scritto nel 2003 da Jean Ziegler, esperto dell’Onu per il diritto all’alimentazione, che sottolineava che sebbene «le ragioni di sicurezza di Israele» siano indiscutibili, la malnutrizione provocata dall’occupazione israeliana è una «punizione collettiva vietata dalle Convenzioni di Ginevra».
Nel testo si sottolineava che il 22% dei bambini sotto i cinque anni è malnutrito, che il 60% circa dei palestinesi vive in estrema povertà (il 75% a Gaza, il 50% in Cisgiordania), che più del 50% dei palestinesi è stato costretto a indebitarsi per nutrirsi e che molti altri, disperati, vendono tutto ciò che hanno. Inoltre, più del 50% dei palestine sopravvive grazie agli aiuti umanitari.

In seguito al rapporto Dugard del 2004 una commissione di esperti del ministero della giustizia israeliano consigliò (invano) al governo Sharon di considerare la possibilità di applicare la Convenzione di Ginevra, che disciplina il trattamento della popolazione civile in un territorio occupato.
Su quali dati i «Corretti Informatori» pensano di smentire Ziegler è un mistero, o meglio si può suppore che siano fonti israeliane assunte come verità legali dagli Eletti Mentitori. Nel momento in cui scriviamo è cosa risaputa che i famigerati tunnel servono per far passare viveri e mezzi di primi necessità che i carcerieri del Lager non lasciano passare dai Valichi. Si noti ciò che tassativamente afferma l’avvocato sudafricano John Dugard: non solo si può parlare fondatamente di apartheid, ma si tratta di una apartheid peggiore di quella che esisteva in Sud Africa. Si legga questa affermazione proveniente da un sudafricano, avvocato per giunta, e le si confronti con le farneticazioni del leguleio Alan Dershowitz, che pretende di dimostrarci che il disco del sole è quadrato.

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2. Per i sionisti di Israele e nostrani la vita di tutti i palestinesi messi insieme vale meno di un vaso rotto di Sderot. – La titolazione del paragrafo è in polemica con quella della testata sionista «Informazione Corretta» dal cui archivio è tratta l’intervista di De Giovannengeli a Durgart, avvocato sudafricano paladino della lotta contro l’apartheid. Il “vaso rotto” è quello che si vede in un analogo sito sionista francese dove è fatto appello agli ignari francesi a manifestare solidarietà nel progetto genocidario che in Palestina conosce una fase nuova a partire dal 1948, l’anno in cui Israele estorce ad una ONU nelle mani delle superpotenze vincitrici l’agognato riconoscimento. In seguito, la stessa ONU pronuncierà oltre 70 risoluzioni di condanna, ma queste per i sionisti non valgono nulla e irridono alla stessa ONU, di cui Dugard è qui l’inviato speciale per la tutela diritti umani nei Territori palestinesi occupati dagli israeliani. Ma leggiamo l’articolo di Umberto de Giovannageli, tralasciano il solito infame commento:
L’Unità,
17 gennaio 2007
Intervista di U. De Giovannangeli a John Dugard

In Palestina vita più dura con l’apartheid
UNA RICHIESTA che scatenerà polemiche: l’Onu si ritiri dal Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Russia, Ue, Onu) nel caso in cui non vengano presi in maggiore considerazione i diritti umani dei palestinesi. Una richiesta tanto più significativa, e allarmante, perché ad avanzarla è John Dugard, inviato speciale delle Nazioni Unite per la tutela dei diritti umani nei Territori palestinesi. Avvocato sudafricano, docente di Diritto internazionale, paladino della lotta all’apartheid, Dugard visita la Cisgiordania e Gaza da sette anni e redige i suoi dettagliati rapporti sulla situazione. «Dalla mia ultima visita - afferma - ho ricavato una impressione drammatica: nel popolo palestinese è diffuso un sentimento di disperazione causato dalla violazione dei diritti umani. Ogni volta che vado la situazione sembra essere ulteriormente peggiorata». Un peggioramento che investe sia la Cisgiordania che Gaza: «Gaza - sottolinea Dugard - è una prigione isolata dal mondo e Israele sembra averne buttato via le chiavi».

• Professor Dugard, alla fine del mese lei presenterà il suo rapporto alle Nazioni Unite sullo stato dei diritti umani nei Territori. Qual è la situazione?
• «Gravissima, direi disperata. Una percezione netta che ho maturato da una visione diretta della situazione. Ciò che più mi ha colpito è l’assenza di speranza del popolo palestinese. Tutti noi dovremmo interrogarci sulle ragioni di questo degrado».

• Qual è la sua risposta?
• «Non vi è dubbio che questa situazione di sofferenza e disperazione è frutto della violazione dei diritti umani e in particolare delle restrizioni israeliane alla libertà di movimento dei palestinesi».

•Le autorità israeliane ribatterebbero che questa situazione è dovuta alla necessità di contrastare gli attacchi terroristici. I kamikaze palestinesi non sono certo un’invenzione israeliana.
• «Non metto in discussione il diritto di Israele di difendere la sua sicurezza, ma ritengo che il governo israeliano continui a gestire la sua sicurezza con un uso sproporzionato della forza».

• A cosa si riferisce in particolare?
• «Penso ai centinaia di check-point che spezzano in mille frammenti territoriali la Cisgiordania, penso a Gaza, prigione a cielo aperto dove sopravvivono a stento un 1milione e 400 mila palestinesi. Sì, Gaza è una prigione della quale Israele sembra aver buttato via le chiavi».

• Gaza, soprattutto dopo il colpo di mano militare di Hamas, molto si è detto e scritto. Meno della Cisgiordania. Lei l’ha visitata recentemente. Qual è la realtà che ha registrato sul campo?
• «La Cisgiordania è oggi frammentata in quattro settori: il Nord (Jenin, Nablus e Tulkarem), il Centro (Ramallah), il Sud (Hebron) e Gerusalemme est che assomigliano sempre di più ai Bantustan del Sudafrica. Le restrizioni alla circolazione imposte da un rigido sistema di autorizzazioni, rinforzato da circa 520 check point e blocchi stradali, assomigliano al sistema del “lascia-passare” (in vigore nel Sudafrica dell’apartheid) applicato con una severità che va molto al di là…».

• La sua è un’accusa molto grave, alla quale più volte in passato Israele ha ribattuto con durezza accusandola di forzature inaccettabili viziate da un evidente pregiudizio.
• «Vede, io non ho alcun pregiudizio anti-israeliano e rigetto con sdegno le accuse strumentali di antisemitismo. I miei rapporti non hanno nulla di ideologico, essi sono basati su fatti circostanziati, su una documentazione ineccepibile. Israele rivendica la sua democrazia ma i principi su cui si fonda non valgono per la popolazione palestinese dei Territori. Con grande amarezza, mi creda, devo affermare che molti aspetti dell’occupazione israeliana superano quelli del regime di apartheid. Si pensi alla distruzione in larga scala da parte israeliana di case palestinesi, lo spianamento di terreni fertili, le incursioni e gli omicidi mirati dei palestinesi, per non parlare del muro eretto per l’80% in territorio palestinese. Il Muro è, attualmente, costruito in Cisgiordania e Gerusalemme est in maniera da inglobare la maggior parte delle colonie nella sua cinta. Inoltre, i tre grandi blocchi di insediamenti di Gush Etzion, Ma’aleh Adumim e Ariel dividono il territorio palestinese in enclave, distruggendo così l’integrità territoriale della Palestina. Tutto ciò, lo ribadisco, produce sofferenze, umiliazioni e, ed è quello che più mi ha colpito nella mia recente visita nei Territori, la perdita di speranza da parte del popolo palestinese. A tutto ciò va aggiunto che, di fatto, il popolo palestinese è sottoposto a sanzioni economiche, e ciò è il primo esempio di un simile trattamento applicato a un popolo occupato. Verso i palestinesi dei Territori, Israele non si comporta come una democrazia ma come una potenza colonizzatrice».

• Dalla Cisgiordania a Gaza e allo scontro interno al campo palestinese. Uno scontro che aggiunge sofferenza a sofferenza. Qual è in proposito la sua valutazione?
• «Se vuole sapere il mio modesto punto di vista, le dirò che a mio avviso la Comunità internazionale sta commettendo un errore gravissimo, che renderà ancor più ostica la ricerca di un accordo di pace con Israele».

• Quale sarebbe questo errore?
• «Aver deciso di appoggiare solo una fazione palestinese, quella del Fatah. Questo ruolo non compete all’Onu».

• A fine mese lei illustrerà il suo rapporto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. A quale conclusione è giunto?
• «Al segretario generale Ban Ki-moon chiederò di ritirare le Nazioni Unite dal quartetto, se il Quartetto dovesse fallire nel tentativo di avere la massima attenzione per la situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi».

• Lei appare alquanto pessimista sulla possibilità di una svolta nella tutela dei diritti umani in Palestina. Perché?
• «Perché sull’inazione del Quartetto in questo campo pesa l’influenza politica degli Stati Uniti. Una influenza negativa».
Secondo i modi di ragionare di Dershowitz anche John Dugard sarà un avvocato di terzo o quarta categoria, docente in una università di quinta o sesta categoria. Neppure come sudafricano – dirà – sa cosa è l’apartheid e sbaglia grossolanamente, quando dice di riscontrare in Israele forme di apartheid addirittura peggiori di quelle esistite in Sud Africa. Alle enormità di cui sono capaciti i sionisti di qua e di là dell’Atlantico non ci si abitua mai e sempre si resta davanti a loro scossi ed indignati. Non si trova eguale nella loro capacità di mentire e di travisare anche i fatti più evidenti, accertati e accertabili, mentre dovremmo loro riconoscere evidenze di eventi storici remoti che nessuno può più ricordare e che agli storici è inibito indagare con pesanti sanzioni penali. In pratica, forte del suo alleato USA e della Israel lobby che ne condiziona la politica estera, Israele vorrebbe disco verde sul completamente di un “processo” di sterminio e di pulizia etnica che dal 1948 è in una fase operativa. Già prima, esisteva nella mente dei padri sionisti, cioè nella testa stessa di Herzl, e nella prassi dei primi coloni del 1882. È vergognoso come la cosiddetta comunità internazionale, che in realtà non esiste, si adatti ancora oggi ad una logica di conquista coloniale e razzista, proprio mentre con sfacciata ipocrisia i governi delle maggiori potenze si fanno paladini dei diritti umani e della democrazia da esportazione, una democrazia che a ben vedere non garantiscono neppure ai loro cittadini, menati per il naso e vessati in ogni modo, governati con l’impiego di vere e proprie menzogne.

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3. Senza vergogna. – Riportiamo di seguito la replica, pubblicata sullo stesso giornale il giorno dopo, dove l’ambasciatore israeliano pro tempore tenta di togliere senso e validità alle cose dette da John Dugard. È talmente evidente la sfacciata menzogna, la totale mancanza di pudore da rendere inutile e malsano il consueto nostro commento intertestuale. Come italiano, mi vergogno a mia volta a veder riconosciuto e ospitato in Italia il rappresentante di un simile stato. Ho già illustrato più volte altrove la distinzione fra legalità e illegittimità: alla legalità del riconoscimento diplomatico si contrappone l’illegittimità sostanziale e conclamata della pratica dell’apartheid, certificata da un rappresentanto ONU, per giunta cittadino di uno stato come il Sud Africa che ha conosciuto per l’appunto l’apartheid, di cui in Israele – egli afferma – esiste una versione ancora più grave. Ma Gideon non lo sa e vorrebbe che neppure noi lo sapessimo.
L’Unità,
18 ottobre 2007

Negazionismo dell’apartheid israeliano

«CIÒ CHE CONTESTO nelle affermazioni del signor Dugard sono le sue tesi politiche precostituite, e una visione unilaterale dei diritti umani. Come se esistessero solo quelli dei palestinesi dimenticando che a migliaia di israeliani, donne, bambini, civili inermi i terroristi hanno tolto il diritto più grande: quello alla vita». Così l’ambasciatore d’Israele Gideon Meir
replica all’intervista all’Unità dell’inviato speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori John Dugard. «Hamas - afferma Meir - plaude alle parole di Dugard. Se avessi ricevuto io un consenso del genere non mi sentirei a mio agio».
• «In Palestina vita più dura che con l’apartheid». Come ribatte alle affermazioni dell’inviato speciale dell’Onu?
• «Ciò che contesto è il fatto che il signor Dugard abbia presentato un’agenda politica, andando ben oltre l’incarico da lui ricoperto. Avrei accettato che si fosse limitato a presentare dei fatti ma cosa c’entra con il suo incarico la richiesta di una uscita dell’Onu dal Quartetto per il Medio Oriente? E come è possibile che su 9 delibere prese nell’ultimo anno dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu, 8 sono contro Israele? Come se non esistessero altri e più gravi problemi relativi ai diritti umani nel mondo, in Iran, in Darfour, in Birmania ... ma è Israele, l’unica democrazia nel Medio Oriente il problema del mondo... questo non è serio, questo è inaccettabile».
• Cos’altro non la convince nelle considerazioni di Dugard?
• «Lui parla esclusivamente dei diritti umani della parte palestinese ma anche gli ebrei, gli israeliani hanno dei diritti umani. E vi è un problema dei diritti umani, della loro salvaguardia fra i palestinesi. Ma il signor Dugard non sfiora neanche lontanamente il comportamento brutale di Hamas nei confronti degli uomini di Fatah: le esecuzioni a freddo, le persone lanciate dai piani alti dei palazzi, le donne e gli uomini torturati... Di tutto ciò Dugard non fa cenno. Se il relatore dell’Onu avesse dato una immagine più completa, più obiettiva della situazione, non avrei avuto alcun problema. E voglio farle un esempio di ciò che intendo per diritti umani nostri...».
• Qual è la storia?
• «Era uno dei periodi più terribili per Israele, con gli attentati suicidi che seminavano la morte tra donne, bambini, civili inermi...Ero in ufficio e ho sentito una esplosione fortissima... Un terrorista si era fatto esplodere tra i tavolini di un caffè, il “Moment Cafè”. La mia segretaria, che allora aveva 29 anni ed era una sostenitrice della pace con i palestinesi, rimase uccisa in quell’attentato. La sua colpa era di essere seduta in quel caffè in quel momento. Questa ragazza è una delle migliaia di israeliani che sono stati uccisi dai terroristi palestinesi. Ma di loro non c’è traccia nel rapporto del signor Dugard».
• Dugard fa riferimento a 520 check point e del «Muro» che spezza la Cisgiordania.
• «Non nego affatto che la situazione dei palestinesi nei Territori sia una situazione difficile. La situazione della popolazione in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr.) e soprattutto nella Striscia di Gaza è una situazione non buona. Chi vuole venire a puntare il dito contro Israele ha lavoro facile, e fa un’operazione politica. È legittimo criticarci ma bisogna vedere cosa e chi ci ha portato a questa situazione. Nel 1993 fu firmato un accordo storico, l’Accordo di Oslo, eravamo in un processo di pace. Nel 2000 il primo ministro Ehud Barak a Camp David offrì ad Arafat il 97% dei Territori e prevedeva lo smantellamento di gran parte delle colonie. Ma la risposta fu l’Intifada dei kamikaze, un’ondata di attacchi terroristici che non ha eguali in nessun altro Paese al mondo. La Barriera è stata costruita in risposta a questi innumerevoli, devastanti, sanguinosi attacchi terroristici. I posti di blocco ci sono per evitare queste azioni terroristiche. Ed è un dato di fatto che la combinazione tra la Barriera, i posti di blocco e l’azione dell’esercito ha fortemente ridotto il numero di attentati. Ma il nostro interesse superiore è migliorare la situazione, soprattutto, economica nei Territori. Questo è nel nostro interesse, perché una condizione economica buona impedisce il terrorismo».
• Dugard rileva che Israele ha realizzato buona parte della Barriera su territori occupati.
• «Non c’è bisogno che il relatore per i diritti umani ci ricordi qual è la situazione della Barriera di sicurezza. C’è la Corte Suprema d’Israele a pensarci, e io sono molto orgoglioso di ciò, come israeliano e come democratico. Questa Corte tutela i diritti umani anche dei palestinesi che non sono cittadini di Israele ma che possono appellarsi alla Corte per ottenere giustizia. E in moltissimi casi la Corte Suprema ha stabilito che il governo dovesse modificare il tracciato della Barriera. Ma di questo il signor Dugard non fa cenno. La Corte cerca di trovare un equilibrio tra la sicurezza dei cittadini israeliani e i diritti umani dei palestinesi. Nei sessant’anni dello Stato d’Israele, nonostante le guerre di aggressione e le ondate di attentati a cui abbiamo dovuto far fronte, Israele è rimasta una democrazia e questo è un miracolo. Siamo uno dei Paesi dove c’è la maggiore libertà d’informazione. Il giorno in cui i palestinesi avranno un quotidiano come Haaretz o uno scrittore come David Grossman, allora saprò che siamo davvero sulla via della pace. La nostra è una democrazia solida, il che non significa che non si debba porre fine all’occupazione. Oggi questo è possibile perché abbiamo finalmente interlocutori, come il presidente Abu Mazen e il primo ministro Fayyad, con cui è possibile raggiungere una intesa. Ed è un impegno a cui non verremo meno».
È risibile la contestazione che l’ambasciatore fa a Dugard di «aver presentato un’agenda politica», di aver superato i limiti del proprio mandato. Di certo il signor ambasciatore ha superato lui i limiti della decenza, negando le risultanze dell’inviato ONU per i diritti umani. E che sarebbero mai le «tesi politiche precostituire» di fronte alla drammatica evidenza del genocidio, dell’apartheid, della pulizia etnica? Farfugliamenti diplomatici con cui il Signor Ambasciatore sfida il giudizio critico di chi lo legge. La «visione unilaterale dei diritti umani» di Gideon farebbe ridere se non vi fosse di che piangere. La solita tiritera: da una parte di diritti sacrosanti dei coloni, con la loro prole, di occupare case e villaggi altrui, di massacrare e squartare; dall’altra gli occupati e sfrattati che non solo sono stati privati di ogni diritto e di ogni umana dignità, ma vengono colpevolizzati e incriminati perché non riescono e non intendono assuefarsi ad ogni violenza consumata su di loro. È sempre la solita logica strumentale della dualità inesistente di un conflitto. Esiste in realtà una sola “unilaterale” aggressione che dura ininterrotta da oltre un secolo. La logica situazionale consiste nell’isolare il singolo episodio di un vaso rotto in Sderot da un patetico sigaro Kassam (ci vorrebbe ben altro per una risposta militare difensiva adeguata all’aggressione e all’invasione coloniale!) da tutto il contesto di una guerra coloniale di conquista, che si avvalle dell’appoggio determinante dell’unica Superpotenza rimasta, cioè gli USA. Neppure Dugard, nell’intervista sopra riportata, riesce a sottrarsi a questa logica truffaldina della situazione.

Hamas, la cui sistematica diffamazione e demonizzazione è ormai un topos della propaganda israeliana, ha in realtà una legittimità di gran lunga superiore a quella dello stato sionista, ovvero dell’entità sionista di Israele. Il “quartetto” e simili agglomerati di cancelleria è solo una delle tante forme con cui si tenta di fiaccare l’eroica resistenza di un popolo che non si lascia ancora del tutto morire. Per le nostre coscienze pulite quanto sarebbe confortante se le voci delle vittime condotte al macello tacessero per sempre. Ah, questi scostumati che ci disturbano con le loro sofferenze! Come è possibile che 8 delibere su 9 siano di condanna ad Israele? È possibile! La domanda e la logica del Signor Ambasciatore è disarmante, fa cascare le braccia, lasciandoci convinti di trovarci davanti ad un «Muro»! Loro sì che se ne intendono di muri e di ghetti! Il solito argomenti ripetuto all’infinito: non guardate a ciò che noi facciamo con i palestinesi, ma guardate a ciò che succede altrove. Così risponde non solo l’ambasciatore, ma tutti i velinari che ripetono questa argomentazione. Il fatto è che noi vogliamo guardare a ciò che da oltre 100 anni succede in Palestina. Ne abbiamo il pieno diritto ed i sionisti non possono imporci loro dove volgere il nostro sguardo. A nostro avviso, ciò che è stato fatto in Palestina e continua ad essere perpetrato sotto i nostri occhi è più grave di quanto è successo e succede altrove.

La favola di Israele unica democrazia in Medio Oriente ci fa ormai scendere il latte dalle ginocchia. È dunque ora di interrogarsi seriamente su cosa è democrazia. Se quella di Israele dovesse essere una democrazia, anzi il modello per ogni democrazia, allora è finalmente giunta l’ora di rivalutare e rimpiangere i sistemi politici che hanno preceduto la rivoluzione francese. La parola democrazia è usata impunemente da chiunque, e di preferenza da quelli che ne oltraggiano il concetto, proprio perché ormai svuotato di ogni democrazia. Possiamo però raffigurare tutti gli odierni israeliani come invasori o figli di invasori venuti dal mare, soprattutto dalla Russia e dai paesi orientali, scacciando e massacrando gli indigeni. Come autentici criminali possono anche instaurare fra di loro moduli improntati alla classica tripartizione dello stato borghese di diritto uscito dalla rivoluzione francese. È allora? Questo genere di democrazia può esistere presso ogni associazione criminale, perfino fra i mafiosi e i pirati. Salvo poi sperimentare la giustizia resa al nostro Arrigoni o al bambino palestinese ucciso da un colono con un colpo di pistola alla testa. Veramente non se ne può più di questa solfa della democrazia israeliana, quella di un popolo di coloni e di invasori che non cessano di esser tali per il fatto di avere delle elezioni, un parlamento, un apparato giudiziario. E che l’ambasciatore non si è letto la sua Bibbia, dove si parla di Sodoma e Gomorra dove non si salvava nessuno?

I diritti umani degli israeliani? I diritti umani degli aggressori e dei carnefici rispetto ai diritti umani delle loro vittime? Certamente! Ma sono diritti ad un giusto processo dopo che avranno riconosciuto le loro colpe e reso giustizia alle loro vittime, che conservano il loro diritto al ritorno nelle case e nei villaggi da dove sono stati scacciati. E se poi lo vorranno potranno perdonare i loro carnefici pentiti, vivendo tutti non in Due Stati dove quello palestinese sarà alla mercé di quello “ebraico”, ma in uno Stato Unico con eguaglianza di diritti e dignità per tutti. La cattiva coscienza degli israeliani allontana questo Unica possibilità di pace e riconciliazione come se fosse un Incubo. È certamente difficile immaginare che si possa dimenticare un’ingiusta sofferenza durata oltre un secolo e trasmessa da una generazione all’altra, di padre in figlio. Una situazione analoga è stata però sperimentata in Sud Africa e sembra che la riconciliazione sia riuscita, grazie però all’Oblio, non alla Memoria.

Mah! Non c’è speranza davanti alla cocciutaggine menzognera di questi uomini che hanno relazioni diplomatiche con l’Italia. Il «terrorista suicida»? Noi italiani, anche in anni recenti, abbiamo sperimentato solo l’eroismo – si fa per dire – di gente che con una borsa si recava in un luogo affollato e lasciava in tal modo una bomba. Poi se ne andava, si metteva in salvo, e gli altri morivano. Questo «eroico attentatore» neppure si prendeva la briga di dire: sono stato io ed ho fatto ciò per i seguenti motivi. A distanza di decenni gli italiani non sanno ancora nulla di attentati che sono costati la vita a decine di persone. Vi sono perfino i soliti complottisti che credono sia tutta una cosa di servizi segreti. Ma quando una persona si lascia innanzitutti lui stesso uccidere, morendo lui insieme con tutti i filistei, una comune persona si chiede perché mai tanta disperazione e determinazione. Si scopre facilmente che la vittima ha preferito una simile morte ad una vita resa indegna di essere vissuta dai suoi oppressori. Meditate, gente! Giustamente Durgard ha parlato di riduzione dei palestinesi, di ogni palestinese, garnde e piccino, maschio o femmina, giovane o anziano, alla più nera “disperazione”. Ma è una disperazione che grava sulla nostra coscienza di italiani che non rimandano a casa l’ambasciatore israeliano. Non è in nostro potere fare la guerra per liberare le vittime dai loro aguzzini, ma almeno possiamo evitare di stringere la mano a siffatti aguzzini e di renderli addirittura nostri concittadini onorari. Povera Italia, quanto sei caduta in basso!

Hamas, Fatah, Hezbollah e tutto il resto. Non occorre essere grandi esperti di geopolitica e di politica estera per capire che ciò a cui mira Israele è un vicinato fatto da collaborazionisti, che poi con il tempo avranno pure loro il ben servito. Forse lo ha capito perfino Abu Mazen che non ha voluto ancora neppure incontrarsi con i membri di un nuovo governo isrealiano i cui disegni truculenti, genocidari e razzisti sono chiari anche ai sassi. Perfino per Abu Mazen sembra essere troppo e il gioco non valere il presso della corruzione. Già, la «corruzione» ossia una vera e propria filosofia e prassi di politica estera israeliana. Mi ha fatto riflettere un intervento al Seminario BDS, dove a proposito dell’Egitto si spiegava che poteva partecipare a piani economici con gli USA solo a condizione di avere instaurato partership con Israele. I trucchi e trucchetti diplomatici con cui si può assoggettare e asservire uno stato, un popolo, i suoi governanti hanno conosciuto nella nostra epoca grandi livelli di sofisticazione. Quando si parla di “processo di pace” non vi è da stare per nulla tranquilli. L’inganno è sempre in agguato e si può esser certi che non vi sarà mai nessuna vera pace finché l’invasore con i suoi eserciti si troverà nella tua stessa casa. Gli islamici, che sono meno sviluppati, lo hanno capito! Noi abbiamo rinunciato alla nostra libertà e alla nostra dignità tanto tempo fa. Forse abbiamo, almeno nei nostri governanti, una certa stizza per popoli, meno civilizzati di noi, ma che più noi hanno il senso della libertà e della dignità umana, presupposto necessario per qualsiasi democrazia davvero degna di questo nome.

Quale giustizia si possa avere dall’invasore e dal proprio carnefice è cosa che ognuno può facilmente immaginare. La tecnica della propaganda israeliana è di attenuare la portata di ciò che proprio non si può negare. Si dice: non colpa nostra, ma è colpa della vittima che non ha voluto questo o quest’altro, è colpa del derubato e dell’espropriato, è colpa del morto ammazzato, ammazzato da noi e punito dalla nostra Corte – quando proprio bisogna salvare la faccia davanti agli Alleati – con condanne risibili, come può documentarsi in non pochi casi. Anche qui il BDS può fare una campagna efficace, solo documentando e registrando. In Gaza, durante «Piombo Fuso», gli israeliani invasori e massacratori non hanno voluto testimoni che documentassero le loro atrocità ed i loro crimini, maggiori di quelli per i quali hanno preteso di essere risarciti in quanto eredi di vittime con le quali non avevano nulla a che fare. È quanto un ebreo di nome Norman G. Finkelstein ha denunciato nel suo libro L’industria dell’Olocausto.

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