lunedì 20 luglio 2009

Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – Cap IV § 3: La metodologia di Hilberg.








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Rinvii:
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO IV
La deposizione di Hilberg al processo Zündel del 1985

3.
La metodologia di Hilberg


Nel resoconto esposto sopra, Faurisson riferisce circa le concessioni fatte da Hilberg riguardo alla scarsa attendibilità di vari elementi delle testimonianze di Gerstein e di Höss. Riprendo qui e approfondisco la questione da un altro punto di vista, quello del modo in cui Hilberg ha trattato queste testimonianze in particolare e tutte in generale.
Su Gerstein, pressato da Christie, Hilberg dichiarò:
«Va bene. Sono molto, molto cauto nell’uso di certe dichiarazioni, così considererei la dichiarazione di Gerstein come una di quelle sulle quali bisogna essere molto cauti. Alcune parti sono confermate; altre sono una pura assurdità (pure nonsense).
Christie - Voi prendete parti che sono, a vostro avviso, credibili.
Hilberg - Sì.
Christie - E omettete le parti che, a vostro avviso, non sono credibili.
Hilberg - Questo è un buon giudizio, sì».
Indi Christie interrogò Hilberg sulla ben nota affermazione di Gerstein dell’affollamento di 700-800 persone in una camera a gas di 25 metri quadrati, da cui risulta una densità di 28-32 persone per metro quadrato. Hilberg rispose:
«Bene, su questo dato particolare sarei molto cauto, perché Gerstein, apparentemente, era una persona molto eccitabile. Era capace di ogni tipo di dichiarazioni, che, infatti, fece non solo nell’affidavit ma nel suo contesto.
Christie - Non era del tutto sano [di mente].
Hilberg - Non sono un giudice della sanità [di mente], ma sarei molto cauto su ciò che disse» (576).

Successivamente Hilberg aggiunse:
«È molto difficile caratterizzare l’uomo, perché, nel suo eccitamento, era capace di aggiungere l’immaginazione alla realtà».

Quanto all’affermazione di Gerstein sulle 700-800 persone in una camera a gas di 25 metri quadrati, Hilberg si giustificò asserendo:
«Egli può averlo detto tre volte, per quanto ne so, ma io non ho usato quella dichiarazione» (577).

Egli dichiarò che Gerstein era un testimone importante dell’esistenza, soprattutto, del campo di sterminio di Bełżec, e aggiunse:
«Al di là di ciò, naturalmente, compresi chiaramente che razza di persona fosse dal contesto del linguaggio che usò e non feci affidamento su dichiarazioni che mi sembrassero o immaginarie o esagerate. Non le usai.
Christie - Infatti nel vostro libro, nel vostro uso di questa dichiarazione, voi avete eliminato tutte queste parti ridicole.
Hilberg - Bene, ho eliminato tutto ciò che mi sembrava non plausibile o non credibile, certo» (578).

Hilberg precisò poi ulteriormente questa sua singolare metodologia:
«Sì, ma io ho citato soltanto quelle parti della sua dichiarazione che sembrano credibili e non ho fatto uso di quelle che non lo sono. [...]
Se una dichiarazione contiene dieci punti, siano numerati o no, ed io decido che due o tre di essi sono credibili, sono corretti, sono plausibili, li userò. Se decido che altri non lo sono, non ne farò uso. [...]» (579).

Infine egli fece poi una sorta di disquisizione sul suo metodo dell’estrapolazione:
«Vi ho spiegato che cosa intendo per “fuori contesto”. Fuori contesto significa l’uso di parole di un autore in modo tale da rendere il significato che egli intendeva in modo differente da come lo intendeva. Ciò, per me, significa fuori contesto. Significa tralasciare le qualificazioni. Significa tralasciare i se, i ma, i tuttavia; ma se una persona fa una dichiarazione che può essere facilmente suddivisa in dieci differenti asserzioni o dodici differenti asserzioni o venti differenti asserzioni e trovo che dieci sono credibili e dieci non sono credibili, o che cinque sono credibili e quindici non sono credibili, se mi capita di scegliere quelle che trovo essere confermate da altre, che trovo essere plausibili alla luce degli eventi che conosco, allora non pongo queste dichiarazioni fuori del contesto di ciò che egli [la persona dell’ipotesi] dice» (580).

Hilberg confermò questa sua metodologia anche nel dibattimento sul testimone Höss:
«Christie - Così voi tralasciate parti di una testimonianza che considerate ridicole e conservate ciò che considerate credibile. Esatto?
Hilberg - Mi dichiaro colpevole.
Christie - Bene, quel processo di assunzione selettiva mirava a convincere i vostri lettori che quest’uomo, Höss, era un testimone credibile. Non è così?
Hilberg - Era credibile sotto alcuni aspetti. Difatti, nella maggior parte degli aspetti, nella maggior parte delle circostanze in cui fece dichiarazioni» (581).

In questo caso c’era anche l’aggravante delle torture notoriamente inflitte a Höss dagli Inglesi, di cui Hilberg non sapeva nulla, come non sapeva nulla di questo fatto a dir poco strano:

«Christie - Siete a conoscenza del fatto che alla sua cattura iniziale fu scritta per lui in inglese, a mano, da una persona diversa da lui, una dichiarazione, ed egli la firmò?
Hilberg - No, questo non lo so» (582).

L’avvocato si riferiva alla dichiarazione riportata in fac-simile da Lord Russell of Liverpool in cui è scritto: «I personally arranged on orders received from Himmler in May 1941 the gassing of two million persons between June/July 1941 and the end of 1943 which time I was commandant of Auschwitz» (583). E non c’è bisogno di essere periti calligrafi per notare la grande differenza tra la calligrafia del testo e quella della firma e del grado di Höss, particolarmente evidente nella parola “Auschwitz” scritta dall’ignota mano inglese e da Höss. Questa dichiarazione retrocede il presunto ordine di Himmler al maggio 1941, fa cominciare il presunto sterminio ad Auschwitz nel giugno-luglio 1941 e menziona due milioni di gasati fino alla fine del 1943: tre affermazioni, tre assurdità.

Nel corso del dibattimento, fu evidenziata un’ altra metodologia più che discutibile di Hilberg, consistente nell’assunzione della ripetizione di un evento nelle testimonianze come criterio di veridicità. Egli infatti dichiarò che accettava come veri certi fatti narrati in una testimonianza «nella misura in cui confermavano altre informazioni o erano confermate da altre informazioni» (584), le «altre informazioni» essendo ovviamente altre testimonianze. Hilberg menzionò anche un paio di esempi di applicazione di tale metodologia. Egli rilevò che «l’episodio di Schillinger è raccontato in un certo numero di rapporti» (585). Alla domanda di Christie se credesse alla storia dei camini fiammeggianti, Hilberg rispose: «Lasciatemi semplicemente dire che ci sono molti racconti di natura sostanzialmente simile del medesimo fenomeno, non solo di superstiti, ma di persone al campo e nelle sue vicinanze» (586).

Hilberg dichiarò apertamente che la sua specializzazione era la gasazione di Ebrei: «my specialization is gassing of Jews» (587). Però non aveva mai ispezionato alcun presunto campo di sterminio. La sua prima e unica visita ad Auschwitz e a Treblinka non era stata infatti dettata dall’interesse storico per i luoghi, ma era avvenuta in occasione di celebrazioni. Egli infatti rimase un giorno a Treblinka e forse mezza giornata ad Auschwitz e mezza a Birkenau (588). Egli si giustificò asserendo che aveva studiato i documenti («I have studied the documents»)(589), ma nell’ edizione definitiva della sua opera non menzionò affatto documenti dell’archivio di Auschwitz. I documenti da lui studiati erano del resto ben povera cosa: «fotografie aeree», «documenti contemporanei sulla tossicità del gas che fu impiegato», «filtri per maschere antigas», cose che, a suo dire, erano «tutte connesse con le camere a gas» (590); inoltre «materiali [documenti] ferroviari», «corrispondenza relativa alla costruzione di camere a gas», affermazione falsa se si parla di camere a gas omicide, e «corrispondenza sulla consegna di gas» (591). Non si può dunque non sottoscrivere la caratterizzazione di Hilberg esposta da Faurisson:
«un uomo perduto nel fumo delle sue idee, una sorta di teologo che si era costruito un universo mentale in cui la materialità dei fatti non aveva alcun posto; era semplicemente un professore di gran lunga troppo dottorale, uno “storico di carta” alla Vidal-Naquet» (592).

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