mercoledì 3 giugno 2009

Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. – Cap II § 4: Le deportazioni nei «centri di sterminio»: La Serbia.

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Introduzione. – Capitolo I. Paragrafo: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9. Capitolo II: § 1. - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 1.4 - 1.5 - 1.6 - 1.7 - 2 - 3 - 3.1 - 3.1.1 - 3.1.2 - 4 - 5 - 6 - 7. Capitolo III: § 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 8.1 - 8.2 - 8.3 - 8.4 - 8.5 - 8.6 - 8.7 - 8.8 - 9 - 10. Capitolo IV: § 1 - 2 - 3. Capitolo V: § 1 - 1.1 - 1.2 - 1.3 - 2 - 2.1 - 2.2 - Conclusione - Appendice - Abbreviazioni - Bibliografia - Note.
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO II
Le deportazioni
4.

La Serbia

Hilberg scrive:
«In Russia, l’esercito tedesco era incalzato dalla resistenza, e lo stesso accadde in Serbia. I Serbi aborrivano il giogo straniero praticamente in tutte le sue forme, e la Serbia occupata fu, per questa ragione, il teatro di un’incessante guerra partigiana. Come in Russia, l’esercito tedesco puniva le manifestazioni di ribellione fucilando gli ostaggi, soprattutto gli ostaggi ebrei. All’inizio, le esecuzioni ebbero dimensioni moderate. [...]. Alla fine dell’estate del 1941, tuttavia, vennero creati due campi, uno a Belgrado e l’altro a Šabac. Nello stesso tempo, su tutto il territorio serbo, si procedette a rastrellamenti sistematici di Ebrei di sesso maschile. Sembrava che i militari cominciassero a prendere in considerazione le esecuzioni di massa» (p. 683).
Egli riferisce poi circa la proposta del plenipotenziario degli Esteri a Belgrado, Benzler, di deportare 1.200 Ebrei del campo di Šabac perché questo si trovava sulla linea del fronte. Ma la proposta era inattuabile.
«Rademacher si consultò allora con Adolf Eichmann. L’esperto dell’RSHA per le questioni ebraiche aveva una soluzione: “Eichmann propose di fucilarli”. L’idea seduceva assai Rademacher; il 13 settembre, scrisse a Luther che non era poi così necessario deportare i 1200 Ebrei del campo di Šabac. L’esecuzione mediante fucilazione di un “gran numero” di ostaggi, avrebbe risolto benissimo il problema. Ma il 28 settembre arrivava in Serbia un altro messaggio. Benzler ora spiegava che il generale Böhme, plenipotenziario e comandante in capo, voleva deportare 8000 Ebrei di sesso maschile della Serbia. Böhme non poteva rinchiudere questi 8000 uomini nei campi; inoltre, il generale aveva sentito dire che in altri paesi, in particolare nel Protettorato, si era proceduto con successo alle deportazioni» (p. 684).
Nella città di Topola, continua Hilberg, un’imboscata partigiana provocò la morte di 22 soldati tedeschi e due giorni dopo il generale Böhme ordinò per rappresaglia la fucilazione di 1.200 Ebrei dei campi di Šabac e Belgrado. Le esecuzioni iniziarono il 9 ottobre 1941 (pp. 684-685).
«All’inizio - afferma Hilberg - ci si chiese se la regola degli ostaggi valesse anche per le donne; la questione fu risolta con una risposta negativa. Sarebbero stati fucilati solo uomini. Ora, l’esercito partecipava pienamente al processo di distruzione».
Successivamente egli scrive:
«Mentre l’esercito tedesco finiva di fucilare da 4000 a 5000 uomini circa, sorgeva un problema: la liquidazione di 15000 donne e bambini. In effetti era “contrario alle idee (Auffassung) del soldato e del funzionario tedesco prendere in ostaggio le donne”, a meno che non si trattasse di mogli o di parenti di partigiani che combattevano in montagna”. Così, le donne e i bambini dovevano essere “evacuati”» (p. 689).
Per Hilberg, come vedremo sotto, una tale “evacuazione” significava ovviamente uccisione.
Ma la questione non è così semplice. L’8 settembre 1941 Felix Benzler inviò da Belgrado al Ministero degli Esteri un telegramma che diceva:
«Alcuni Ebrei, com’è stato dimostrato, sono risultati complici in numerosi atti di sabotaggio e di ribellione. Si prega perciò pressantemente di provvedere ormai con sollecitudine all’arresto e all’allontanamento (Entfernung) almeno di tutti gli Ebrei maschi (mindesten aller männliche Juden). Il numero delle persone interessate dovrebbe aggirarsi intorno a 8.000. Attualmente è in corso di costruzione un campo di concentramento, tuttavia, in considerazione degli sviluppi futuri, è consigliabile portare il più presto possibile fuori del paese, cioè con chiatte vuote, in giù sul Danubio, per trasportarli in territorio rumeno (isole del delta del Danubio). Prego di creare i relativi presupposti necessari per il permesso del governo rumeno» (216).
L’11 settembre Luther rispose:
«Un’espulsione di Ebrei nel territorio di uno Stato straniero non può essere consentita. In tal modo non si raggiunge una soluzione della questione ebraica. Viene lasciato [a Voi] prendere in custodia gli Ebrei in campi di lavoro e impiegarli per lavori pubblici necessari» (217).
Benzler replicò il giorno dopo con un altro telegramma in cui diceva:
«La sistemazione in campi di lavoro, nella situazione interna attuale, non è possibile, perché la sicurezza non è garantita. I campi di lavoro ostacolano e mettono in pericolo perfino le nostre truppe. Perciò è necessario lo sgombero immediato dei 1.200 Ebrei del campo di Sabac, perché Sabac è zona di combattimento e nei dintorni sono state individuate bande di rivoltosi con una forza di parecchie migliaia di uomini».
Egli aggiunse che l’«espulsione anzitutto degli Ebrei maschi è il presupposto necessario per il ripristino dell’ordine», perciò rinnovò la sua proposta; se questa fosse stata di nuovo respinta, non restava altro che l’«espulsione immediata nel Governatorato generale o in Russia (sofortige Abschiebung nach Generalgouvernement oder Rußland)», sebbene ciò potesse comportare difficoltà di trasporto (218). Rademacher si rivolse allora ad Eichmann: gli telefonò il 13 settembre e annotò la discussione in questi termini:
«Secondo informazione dello Sturmbannführer Eichmann RSHA IV D VI l’accoglimento in Russia e nel Governatorato generale è impossibile, non vi possono essere alloggiati neppure gli Ebrei della Germania. Eichmann propone la fucilazione» (219).
Tuttavia Ribbentrop, in un telegramma datato 2 ottobre 1941, decise che bisognava mettersi in contatto con Himmler per chiarire «se poteva prendere in consegna 8.000 Ebrei per portarli nella Polonia orientale o da un’altra parte» (220).

Il 25 ottobre Rademacher riassunse le decisioni che erano state prese:
«Gli Ebrei maschi vengono fucilati entro la fine di questa settimana, con ciò il problema toccato nel rapporto della legazione è risolto».
Quanto «al resto di circa 20.000 Ebrei (donne, bambini e vecchi)», inoltre di 1.500 Zingari, di cui gli uomini dovevano essere fucilati, la decisione era questa:
«Non appena nel quadro della soluzione totale della questione ebraica (Gesamtlösung der Judenfrage) sussisterà la possibilità tecnica, gli Ebrei saranno espulsi per acqua nei campi di raccolta all’Est (werden die Juden auf dem Wasserwege in die Auffangslager im Osten abgeschoben(221).
Tutto ciò non ha nulla a che vedere con una «distruzione» programmata o con una volontà determinata di sterminio degli Ebrei della Serbia in quanto Ebrei. Le fucilazioni riguardarono solo gli Ebrei maschi, per rappresaglia e per ragioni di sicurezza, e questa fu soltanto un’azione di ripiego, perché non esistevano ancora le possibilità di una deportazione fuori del paese. Le donne e i bambini, invece, dovevano essere espulsi all’Est. Poiché costituiva un’alternativa alla fucilazione, questa espulsione era reale e non poteva essere una «leggenda», come pretende Hilberg (p. 743).

A suo dire, invece, donne e bambini furono sterminati nel campo di Semlin. Al riguardo egli fornisce questa descrizione:
«Agli inizi di marzo [1942], arrivò da Berlino un veicolo speciale. Un camion a gas asfissiante. Tutti i giorni, escluso le domeniche e i festivi, gruppi di donne e bambini venivano caricati sul camion e condotti ad alcune centinaia di metri, fino a un ponte costruito sul Save, dove la circolazione era a senso alternato. Andorfer aspettava dentro un’autovettura. Sulla riva di Belgrado, il tubo di scarico veniva collegato con l’interno del camion, e il veicolo attraversava la città con gli Ebrei agonizzanti, fino a un poligono di tiro, dove delle fosse attendevano i cadaveri.
Il campo si vuotava a ritmo accelerato. Nel marzo del 1942 il numero degli internati oscillava tra i 5000 e i 6000; in aprile se ne contavano solo 2974, e il 10 maggio tutta l’operazione era conclusa. Soddisfatto, il dottor Schäfer riferiva che, fatta eccezione per gli Ebrei dei matrimoni misti, in Serbia non esisteva più un problema ebraico (keine Judenfrage mehr). Nello stesso tempo, rispediva a Berlino il camion a gas, che avrebbe ripreso servizio in Bielorussia» (pp. 689-690).
Tale descrizione, per quanto riguarda il presunto sterminio, non è basata su documenti, ma su un libro di C. Browning (Fateful Months: Essays on the Emergence of the Final Solution. New York, Holmes and Meier, 1985), che Hilberg chiama in causa tre volte (note 1119, 1120 e 1123 a p. 909).
Egli non adduce alcun documento che dimostri che questi Ebrei furono assassinati. La diminuzione della forza del campo fino alla sua liquidazione è spiegabile anche con la deportazione dei suoi detenuti all’Est. L’arrivo a Semlin del «camion a gas asfissiante» non è attestato da alcun documento. Browning fa riferimento a una lettera di Harald Turner, capo dell’amministrazione militare in Serbia, a Karl Wolff, in data 11 aprile 1942, di cui cita il seguente stralcio:
«Già alcuni mesi fa ho fatto fucilare tutti gli Ebrei catturabili in questo paese e ho fatto concentrare tutte le donne ebree e i bambini in un campo e nello stesso tempo coll’aiuto del Servizio di Sicurezza sono riuscito ad ottenere un “veicolo di disinfestazione” che ora in un lasso di tempo da 14 giorni a 4 settimane avrà anche attuato definitivamente lo sgombero del campo...». (Schon vor Monaten habe ich alles an Juden im hiesigen Lande greifbare erschiessen und sämtliche Judenfrauen und Kinder in einem Lager konzentrieren lassen und zugleich mit Hilfe des SD einen “Entlausungswage” angeschaft, der nun in etwa 14 Tage bis 4 Wochen auch die Räumung des Lagers endgültig durchgeführt haben wird...) (222).
Tuttavia, come conferma Browning stesso, gli Ebrei serbi maschi furono fucilati in qualità di ostaggi per rappresaglia (223) e fu proprio Turner a creare un «ostacolo» riguardo agli ultimi 1.500 ostaggi predestinati, cercando di ottenere la loro deportazione attraverso Benzler (224).

Mentre però le fucilazioni sono documentate, nessun documento dimostra che la decisione di espellere le donne e i bambini ebrei all’Est fosse stata successivamente cambiata: quando, da chi, perché? Il testo summenzionato parla semplicemente di un «veicolo di disinfestazione» (Entlausungswage). D’altra parte, il telegramma di Schäfer a Pradl invocato da Hilberg nella nota 1125 a p. 909 menziona un «veicolo speciale» (Spezialwagen) che fu spedito per ferrovia da Belgrado a Berlino dopo che i due autisti avevano «eseguito il compito speciale» (den Sonderauftrag durchgefuehrt), senza il minimo accenno a gas o a uccisioni, sicché anche qui tutto è rimesso al presunto «linguaggio in codice». Questo telegramma è stato inserito in un gruppo di scritti che costituiscono il documento PS-501 (225), di cui quello più importante, in base al quale vengono comunemente interpretati, - la lettera dell’SS-Untersturmführer Becker all’SS-Obersturmbannführer Rauff (226), è del resto oltremodo dubbio (227).

NOTE

(216) Testo in: R.M. Kempner, Eichmann und Komplizen. Europa Verlag, Zurigo, Stoccarda, Vienna, 1961,pp. 289-290. Torna al testo.
(217) NG-3354. Testo in: R.M. Kempner,
Eichmann und Komplizen, op. cit., p. 290. Torna al testo.
(218) Idem, p. 291, fac-simile del documento. Torna al testo.
(219) NG-3354. Idem, p. 292. Torna al testo.
(220) Idem. Torna al testo.
(221) Idem, p. 293. Torna al testo.
(222) C. R. Browning,
Evidence for the Implementation of the Final Solution, 2000,
in: http://www.ess.uwe.ac.uk/GENOCIDE/browning1.htm. Torna al testo.
(223) C. R. Browning,
The Final Solution and the German Foreign Office. Holmes & Meier Publishers, New York, Londra, 1978, pp. 56- 67. Torna al testo.
(224) Idem, p. 61. Torna al testo.
(225) IMG, vol. XXVI, p. 109. Torna al testo.
(226) Idem, pp. 103-105. Torna al testo.
(227) I. Weckert, The Gas Vans:
A Critical Assessment of the Evidence, in: Germar Rudolf (Ed.), Dissecting the Holocaust, op. cit., pp. 215-241. Torna al testo.

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