lunedì 22 giugno 2009

Chi ha distrutto le vestigia dell’antica civiltà mesopotamica? Chi sono i veri «assassini della memoria»?


Mi mancano solo 30 pagine per terminare le circa 1200 pagine in cui consistono le “Cronache mediorientali” di Robert Fisk. Si tratta dell’opera di un giornalista professionista che ha trascorso metà della sua vita negli scenari di cui parla: Afghanistan, Sudan, Algeria, Iraq, Turchia, Libano, Egitto, senza escludere nessuna area geografica di quello che con infelicissimo termine continuiamo a chiamare “Medio Oriente”. Già, medio, ma rispetto a cosa? All’America! Il libro di Fisk non è solo cronaca giornalistica, mera scopiazzatura di agenzie e veline o dispacci forniti dai governi e da gli eserciti. È questo il lavoro ordinario, di un giornalista, di un Pagliara, quanto per intenderci. No! Fisk parte dal momento presente di un evento per ricostruirne la storia nel tempo ed è così che le sue cronache diventano anche un libro di Storia. Inoltre, fatto imprenscindibile per chiunque voglia parlare e scrivere seriamente di Medio Oriente conosce perfettamente l’arabo, e riesce perfino a leggerlo nei suoi documenti antichi, quelli che sono stati distrutti e incendiati nella guerra di “liberazione” dell’Iraq. Vengo quindi al punto di questa breve riflessione, qui consegnata ad un “blog”.

Nelle ultime pagine, che turbano assai come pure tutto il libro, Fisk – essendo lui presente – descrive ciò che successe in Bagdad, quando Bush decise la sua guerra. Mi soffermo qui solo sul “saccheggio” e il successivo “incendio” di quello cher era il patrimonio culturale della “culla della civiltà”, se vogliamo pure occidentale. Infatti, in Europa gli uomini, per così dire, vivevano ancora sugli alberi, mentre i Sumeri inventavano la scrittura. E tante tante altre cose. La memoria di quelle remote epoche è la nostra memoria. Per chi abbia un minimo di cultura storica non è difficile capire di cosa sto parlando e di quanto sia un crimine infinito contro la Memoria – altro che “assassini della memoria” alla Vidal! – l’irruzione nel Museo di Bagdad, la depredazione e distruzione dei reperti antichissimi di migliaia e migliaia di anni, prima ancora che di ebrei si sentisse parlare!

Mi limito a riportare una nota a pie’ di pagina dal libro di Fisk:
«Quindicimila oggetti in totale furono rubati dal Museo di Baghdad e, anche se le autorità occidentali diedero successivamente molto rilievo al recupero di alcuni tesori, nel giugno 2005 ne mancavano all’appello ancora 11.000, tra cui il famoso avorio “Monna Lisa”, la testa di una donna assira, un’opera risalente a 3.500 anni fa. Dei 4.000 recuperati, 1.000 si trovarono negli Stati Uniti, 1.067 in Giordania, 600 in Italia e i rimanenti in paesi confinanti con l’Iraq».
(R. FISK, op. cit., p. 1063)
Per quanto riguarda i 600 rinvenuti in Italia ricordo di aver letto, a suo tempo, di un inchiesta della magistratura italiana, dove emergevano elementi assai poco lusinghieri per il nostro apporto alla “pace”. Non ricordo bene e preferisco stare nel vago, essendo alquanto grave ciò che ricordo di aver letto. Vado avanti per giungere al punto che voglio sottolineare e che Fisk stesso lascia in sospeso, dopo aver posto l’interrogativo.

Le convenzioni internazionali fanno obbligo alle potenze occupanti di evitare saccheggi e distruzioni come quelli che abbiamo sopra accennati. Vi fu colpevole e criminale negligenza da parte di inglesi e americani: rimasero a guardare. A parte questo aspetto, censurabilissimo, sorge poi l’inquietante interrogativo del perché degli incendi all’archivio storico, alle biblioteche, a ciò che restava non di Saddam, ma della memoria storica delle civiltà antiche che ancora il pur barbaro Saddam aveva conservato e tramandato? Finché si tratta di rubare per trarne lucro si può comprendere, pur condannando, così pure il vandalismo, ma l’incendio deliberato e sistematico da parte di gente che sembrava pagata per questo scopo? Chi e perché può aver avuto interesse a ciò? Rileggerò attentamente le pagine di Fisk, fitte di notizie ed eventi, ma non mi sembra sembra che dopo aver posto l’interrogativo egli abbia dato la risposta. Ripeto leggerò attentamente il denso volume, per vedere se vi è stata mia distrazione nella lettura. Intanto, ho i miei sospetti e lascio ad ognuno che qui legge il suo diritto di sospettare.

La civiltà dell’hamburger, della Coca Cola, dei Mac Donald’s ha cancellato e distrutto la civiltà dei Sumeri, inventori della scrittura. Gli unici archivi che interessava conservare e proteggere sono stati quelli del ministero del petrolio, che contenevano notizie preziose sulle maggiori risorse mondiali di petrolio. Questi archivi non hanno subito devastazioni e sono stati consegnati alle compagnie petrolifere americane. Era questo il bottino che aveva determinato la guerra per l’instaurazione di una “democrazia”, di un “governo democraticamente eletto”, il cui compito prestabilito era di firmare i contratti che erano stati preparati. Gli americani si assumevano l’«amministrazione fiduciaria» delle risorse petrolifere del popolo iracheno, o meglio degli iracheni divisi in sunniti, sciiti, curdi e tenuti insieme artificialmente prima da Saddam e poi dai liberatori che non trovano conveniente scompaginare la carta geografica, almeno per il momento. Che il committente di questa guerra sia stato Israele dal libro di Fisk lo si apprende facilmente. La stessa musica che da anni e particolarmente in questi giorni sentiamo a proposito dell’Iran. La strategia, enunciata, è abbastanza chiara: scompaginare tutto il quadro politico mediorientale, producendo governi fantoccio, democratici se possibile e “amici” se non è possibile la scimmiottatura delle forme politiche occidentali, affinché a trarne vantaggio sia Israele, testa di ponte dell’occupazione coloniale americana del Medio Oriente.

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