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Sono molto lieto di pubblicare due articoli, già apparsi sulla stampa, che il carissimo amico Aldo Costa mi ha inviato per questo blog. Non ci capita di discutere in privato su tutti i temi disparati della politica estera o interna. Il nostro collaudato sodalizio è tale che niente e nessuno impedisce all’uno di accedere al punto di vista dell’altro, dopo franca ed amichevole discussione. È un modo per crescere insieme su molti argomenti e temi del sapere. Pubblico senz’altro questo primo articolo ed il successivo sul futurismo, rinviando ad un secondo monento la discussione pubblica o privata dei temi trattati. Annuncio che sarà ben lieto di promuove a Collaboratore permanente del Blog l’avv. Aldo Costa, fra i fondatori e iniziatori di Forza Italia in Calabria, e tuttora insieme con me militante del Pdl, dopo aver ricoperti importanti incarichi nel Comune di Catanzaro ed essere stato Direttore del Politeama. Fra le prime cose di cui parleremo sarà la mia “simpatia” (insieme a quella di Silvio) per Geddafi: non sapevo che a lui fosse antipatico, mentre io sono di diverso avviso. In ogni caso, non sarà Geddafi ad incrinare la nostra amicizia che ha ben altre e puù solida fondamenta. A me dispiace di non essere stato alla Sapienza, nella mia università, quando Geddafi è venuto: non me lo avevano detto! Ma viene tanta gente alla Sapienza… La diversità di vedute su Geddafi fra me e l’amico Avv. Aldo Costa è un mirabile esempio di come il Popolo della Libertà sia un partito dove convivono e si confrontano opinioni anche molto diverse, almeno nella base dei suoi militanti e nei suoi quadri intermedi. Dispiace vedere come dei i leaders che più di frequente appaiono in televisioni o personaggi che sono stati messi in lista, secondo dubbi e discutibili criteri, ritengano di poter parlare e dare il tono ad una militanza alquanto differenziata nelle opinioni, che trovano la loro sintesi, dopo libero e democratico confronto.
Antonio Caracciolo
ALDO COSTA
In ginocchio da Gheddafi
In ginocchio da Gheddafi
Finalmente è finita la tanto attesa visita del premier libico Muammar el Gheddafi nella capitale d’Italia, nel centro della Cristianità, in uno dei paesi che fanno parte a pieno titolo di quel mondo occidentale che, piaccia o meno, ha saputo conquistare e difendere valori irrinunciabili quali la libertà e la democrazia.
Ma quanta amarezza, quanta dignità perduta, quanta umiliazione in questi quattro giorni ha dovuto sopportare il popolo italiano da parte del rappresentante di uno stato assolutista, di uno dei più longevi despoti che hanno violato, e continuano a violare, i principi fondamentali del vivere civile.
Bene ha fatto il Sindaco di Roma Alemanno a dichiarare, durante la visita in Campidoglio del dittatore africano, che nessuna lezione di democrazia poteva essere impartita da chi nel suo paese disattende ogni elementare principio di libertà.
Così come il Presidente della Camera Fini, in un sussulto di orgoglio missino, ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta per verificare le condizioni umanitarie dei rifugiati o dei respinti, come si suol dire da qualche mese, nei campi libici.
Peccato che Fini non abbia potuto esprimere questi concetti al cospetto di Gheddafi il quale, come ha costantemente fatto nel corso di questa visita, era abbondantemente in ritardo sull’appuntamento prefissato in un convegno organizzato dalle Fondazioni Italiani europei e Medidea per discutere su importanti problemi internazionali e sui rapporti Italia - Libia.
Ma, è bene sottolineare, che dopo la decisione dello stesso Fini di annullare l’incontro, e il dissenso manifestato per i comportamenti assunti dal leader della Jamahiriya, gli stessi Presidenti delle due Fondazioni D’Alema e Pisanu si siano precipitati a Villa Pamphili presso la tenda dell’ospite, usuale residenza dei nomadi del deserto, per discolparsi e, probabilmente, prendere le distanze dal fermo atteggiamento del Presidente della Camera.
Così come lascia perplessi il fatto che il Presidente del Consiglio, forse preoccupato delle presunte cattive condizioni di salute del colonnello o del prolungarsi della preghiera del venerdì, sia andato di persona a salutarlo prima dell’abbondante libagione consumata con trenta ospiti presso un famoso ristorante di Piazza del Popolo.
E che dire, ancora, dell’incredibile messinscena del giorno prima nell’Aula Magna dell’università degli Studi “La Sapienza”, dove ahimè ho pure io studiato, negata addirittura al Sommo Pontefice e graziosamente concessa all’autocrate libico che ha potuto sciorinare il meglio della sua dottrina di fronte ad un silenzioso rettore che di certo non ha onorato il ruolo che occupa.
Ma, si sa, il passo da Leptis Magna (antica città della Libia diventata potente sotto il dominio dei romani) all’Aula Magna non è tanto breve, soprattutto se ci si trova di fronte a smarriti adulatori pronti ad omaggiare il potente di turno.
E lo stesso, incredibilmente, hanno fatto centinaia di donne accorse a festeggiare il rais libico che nella sua terra lascia ben poco spazio all’altra metà del cielo, impegnata a crescer figli mentre l’amato coltiva le arti della guerra, che non ha potuto però negare di fronte ad una qualificata platea che “nel mondo arabo e nel mondo islamico c’è una situazione orrenda per i diritti delle donne. Per loro la donna è un pezzo da mobilio da cambiare in qualsiasi momento”. E difatti, ha prontamente replicato la Bonino, nel suo Libro Verde le donne sono considerate esseri inferiori.
Tutto ben si comprende in una logica da realpolitik, ma il troppo è troppo, centinaia di commesse e di appalti per le nostre imprese in difficoltà non possono giustificare pesanti offese inflitte alle nazioni democratiche, assurdi paragoni tra Obama e Osama bin Laden, continui attacchi ad un oramai lontano colonialismo che, come ha scritto l’ambasciatore Sergio Romano sul Corriere della Sera, “fu molte cose, non tutte e non sempre necessariamente spregevoli”, inutili rivendicazioni di un passato che si dice di voler dimenticare ma che si ostenta prepotentemente sul bavero di una giacca militare.
D’altronde per troppo tempo abbiamo ascoltato le medesime valutazioni da parte di autorevoli rappresentanti di certa sinistra, che oggi si dice indignata dall’accoglienza riservata al leader libico, ma che di fronte a possibili contratti da cinquanta miliardi di euro, come quasi tutti, altro non fa che scodinzolare di fronte all’inaspettato benefattore, non nuovo ad accordi commerciali con le imprese italiane (dalla Fiat all’allora Banca di Roma), incurante delle critiche che ha provocato in questa sua breve permanenza nel nostro paese.
Aldo Costa
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