domenica 14 giugno 2009

Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodogia. – Cap III § 9: Hans Frank e i «centri di sterminio».








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Rinvii:
Testo integrale - Graf -

CAPITOLO III
I «centri di sterminio»
9.
Hans Frank e i «centri di sterminio»

Hilberg scrive:
«Lublino fu evacuata in tutta fretta. Alla fine del 1944, unità avanzate dell’Armata Rossa si impadronirono del campo e, con esso, anche degli enormi magazzini dell’Aktion Reinhardt. La stampa mondiale pubblicò immediatamente la scoperta che avevano fatto i Sovietici a Lublino, con grande costernazione del governatore generale. Spaventato, questi accusò immediatamente Koppe, vecchio alto capo delle SS e della Polizia del Wartheland, che aveva rimpiazzato Krüger nel Governatorato generale. “Ora sappiamo, - disse Frank, - e non veniteci a dire che voi non eravate al corrente”. Koppe rispose che ignorava assolutamente tutto e che evidentemente si trattava di un affare tra Heinrich Himmler e le autorità del campo. “Ma avevo già avuto sentore di questi progetti nel 1941, - dichiarò Frank,- e ne avevo parlato”. In questo caso, replicò l’alto capo delle SS e della Polizia, che se la sbrighi Frank; lui, Koppe, se ne lavava le mani» (p. 1042).

Premetto che i Sovietici liberarono il campo di Lublino-Majdanek il 23 luglio 1944. Nella fonte da lui addotta, la deposizione di Hans Frank a Norimberga (nota 500 a p. 1072), Hilberg dimentica anzitutto di menzionare l’inizio del passo che riassume:
«Quando io allora, dalla stampa straniera, ebbi i primi dettagli su questi avvenimenti, la mia prima domanda fu all’SS-Obergruppenführer Koppe, che era subentrato al posto di Krüger:“Ora lo sappiamo - dissi - Lei non lo contesterà”» (548) (corsivo mio).

Hilberg dimentica anche di menzionare il passo che precede e che spiega il significato di quello da lui riassunto:
«Ho udito il nome Maidanek per la prima volta nel 1944 in relazione alle comunicazioni [di stampa] estere».

Frank sapeva però che presso Lublino nel 1941 doveva sorgere un grande campo di concentramento con laboratori per la produzione di vestiti, scarpe e biancheria per le Waffen-SS. Egli aveva sentito qualcosa sul destino degli Ebrei «alla radio nemica e nei giornali nemici e neutrali», perciò cercò di indagare.
«Alle domande ripetute su che cosa accadesse agli Ebrei che allora venivano deportati, mi fu data incessantemente la risposta che venivano deportati all’Est, per esservi radunati e per lavorarvi. Ma attraverso i muri filtrava la voce, ed io perciò indagai sempre e assiduamente su che cosa fosse accaduto.
Una volta mi fu comunicato che a Bełżec accadeva qualcosa. Il giorno seguente andai a Bełżec. Globocnik mi mostrò un fossato gigantesco, che egli costruiva come vallo difensivo con molte migliaia di lavoratori, evidentemente Ebrei. Parlai con alcuni, da dove venissero, da quanto tempo fossero lì, e Globocnik mi disse:“Ora lavorano qui e quando avranno finito - essi vengono dal Reich o da qualche località della Francia - andranno ulteriormente all’ Est”. Nell’area stessa non feci altre osservazioni. Intanto la voce che gli Ebrei venissero uccisi in questo modo ora noto a tutti, non voleva tacere».

Quando Frank espresse il desiderio di visitare le officine SS presso Lublino, gli fu riferito che era necessario un permesso speciale di Himmler; egli glielo chiese, ma il Reichsführer SS lo pregò di non andare al campo.
«Il 7 febbraio 1944 riuscii ad essere ricevuto da Adolf Hitler in persona - tra parentesi, era la terza volta in tutto in questa guerra. In presenza di Bormann gli chiesi: “Mio Führer, le voci sullo sterminio degli Ebrei non tacciono. Le si sente dappertutto. Non si entra da nessuna parte.
Una volta mi ero avvicinato inaspettatamente ad Auschwitz per vedere il campo. Strada facendo fui poi allontanato con la mia automobile; mi fu fatto presente che al campo imperversava un’epidemia. Io dissi, mio Führer, come stanno le cose?”.
Il Führer rispose: “Lo può immaginare, ci sono esecuzioni, i ribelli. Per il resto non so. Ne parli con Heinrich Himmler”. Allora replicai: “Bene, Himmler ci ha tenuto un discorso a Cracovia nel quale, davanti a tutte le persone che avevo convocato ufficialmente, dichiarò: Queste voci sullo sterminio sistematico sono inesatte; gli Ebrei vengono portati all’Est”. Indi il Führer disse: “Allora dovere crederci”.
Quando io allora, dalla stampa straniera, ebbi i primi dettagli su questi avvenimenti,...» (549).

Poco prima, alla domanda del suo difensore, l’avvocato Alfred Seidl, se avesse mai partecipato in qualche modo allo sterminio di Ebrei, Frank rispose:
«Io dico di sì; e precisamente dico di sì per il fatto che, sotto l’impressione di questi cinque mesi di dibattimento e soprattutto sotto l’impressione delle dichiarazioni del testimone Höss, non potevo scaricarmi la coscienza, farne ricadere la responsabilità soltanto su questi piccoli uomini. Non ho mai costruito un campo di sterminio o incoraggiato la sua esistenza; ma se Adolf Hitler in persona ha caricato il suo popolo di questa tremenda responsabilità, allora essa riguarda anche me; poiché noi abbiamo condotto per anni la lotta contro il giudaismo e ci siamo profusi in dichiarazioni (Äusserungen) - e il mio diario mi è comparso davanti come testimone - che sono terribili. E ora perciò ho il dovere di rispondere con un sì alla Sua domanda. Non passeranno mille anni e questa colpa della Germania non sarà cancellata» (550) (corsivo mio).

Dunque tutte le conoscenze di Frank sui presunti «centri di sterminio» del Governatorato generale derivavano dalla stampa alleata e dal dibattimento processuale! Inoltre il suo diario conteneva semplici «dichiarazioni», che avevano solo un valore verbale.
Del «centro di sterminio» di Majdanek non sapeva nulla neppure Koppe. E ciò vale anche per il segretario di Stato Bühler, che, nel colloquio del 15 settembre 1944 richiamato da Hilberg come fonte supplementare (nota 500 a p. 1072), dichiarò che «su tale questione al governo del Governatorato generale non è noto nulla» (551).
Ma Hilberg, che considera Frank uno dei principali artefici della «distruzione degli Ebrei»(vedi ad es. le pp. 498-501), su questa singolare contraddizione non ha nulla da dire, anzi la tace. Ma non rinuncia a estrapolare due passi dal testo che ho esposto sopra (p. 1030). Li riporto intercalando i miei commenti.
«Frank, governatore generale in Polonia, si mostrava particolarmente impaziente di avere dei dettagli sui centri di sterminio».

Ciò presuppone che egli già sapesse dell’esistenza di tali centri, mentre voleva soltanto accertare se delle voci corrispondessero alla realtà.
«Ricevette, un giorno, un rapporto nel quale si faceva presente che “stava succedendo qualcosa vicino a Bełżec”; l’indomani, si recò sul posto. Globocnik gli mostrò alcuni Ebrei che stavano scavando un enorme pozzo. Quando chiese che cosa si sarebbe fatto degli Ebrei, Frank ricevette la risposta classica: verranno mandati più lontano, all’Est».

Il testo citato parla invece di «molte migliaia» di Ebrei che costruivano «un fossato gigantesco». L’evento si riferisce alla seconda metà del 1940. Nel mese di giugno, infatti, il comando supremo della Wehrmacht varò il «programma Otto», che consisteva nella realizzazione di un fossato anticarro tra i fiumi Bug e San sul confine tedesco-sovietico e in costruzioni stradali. Bełżec era il campo principale del programma, da cui dipendevano dieci campi di lavoro forzato che impiegavano complessivamente circa 15.000 Ebrei. I 4.331 Ebrei che lavoravano a Bełżec furono rilasciati nell’ottobre 1940 (552).
Queste cose Hilberg le conosceva perfettamente. A p. 254 egli scrive:
«Durante l’elaborazione del piano [«Otto»], la linea di Himmler venne sottoposta a modifiche. Il fossato doveva estendersi solo nello spazio vuoto tra il Bug e il San, dove nessuno dei due fiumi costituiva un ostacolo naturale; invece dei milioni di Ebrei ipotizzati in origine, qualche migliaio sarebbe bastato. Si crearono campi a Bełżec, a Płaszów e in qualche altra località. Nell’ottobre del 1940, i lavori erano ormai finiti».

Due pagine dopo, Hilberg aggiunge:

«Nell’ottobre del 1940, il campo di lavoro di Bełżec venne smantellato e si dovette trasferire in un altro luogo diverse decine di migliaia di Ebrei»(p. 256).


Torniamo alla narrazione di Hilberg:

«Frank non si diede per vinto. Espresse a Himmler il suo desiderio di recarsi a Lublino, e Himmler lo dissuase. Alla fine, Frank tentò di fare una visita ad Auschwitz, senza farsi annunciare. La sua auto fu fermata e fatta tornare indietro: un’epidemia stava decimando il campo, gli fu spiegato».

Hilberg racconta questi episodi nel paragrafo sul «Segreto», a testimonianza del fatto che neppure a Frank fu permesso visitare i «centri di sterminio». In realtà ad Auschwitz non c’era nulla di segreto. Almeno 20 ditte civili con centinaia di operai lavoravano nel campo di Birkenau. I congiunti delle SS impiegate ad Auschwitz potevano raggiungerli e trascorre qualche settimana con loro previo ottenimento di un «permesso di soggiorno» (Aufenthaltsgenehmigung). Ad esempio, lo Standortbefehl (Ordine della guarnigione) n. 16/43 del 22 aprile 1943 ne elenca ben 18 (553). Complessivamente, sono documentariamente attestate circa 270 visite.
È noto inoltre che ad Auschwitz, a partire dal luglio 1942, infuriarono gravi epidemie che portarono più volte all’isolamento del campo (Lagersperre). Ciò comportava una vasta serie di limitazioni, tra cui questa:

«Le visite esterne per gli uffici devono essere evitate, o, se urgenti, mandate alla Haus der Waffen-SS [un albergo delle SS] ».

Ciò riguardava i visitatori che si recavano ad Auschwitz per motivi di servizio (554). Se dunque Frank tentò di visitare il campo durante un’epidemia, non per motivi di servizio, anzi, addirittura «inaspettatamente» (überraschend), cioè senza neppure farsi annunciare, non c’è nulla di strano che gli fosse stato impedito l’accesso secondo le direttive summenzionate.

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