lunedì 27 luglio 2009

E. La critica giudaica al sionismo: 1. Gli ebrei e lo stato di Israele.

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È motivo ricorrente nella propaganda israeliana contro ebrei avversi alla politica del governo l’accusa di “odio verso se stessi”. Non mi sono ancora ben chiari le origini ideologiche da parte di ebrei verso altro ebrei rivolgere ai quali la solita accusa di antisemitismo apparirebbe poco credibile. Se è alla psicologia che ci si intende richiamare, pare ovvio che qui si tratti di pseudoscienza. In realtà, la spiegazione più plausibile di questo genere di argomentazione, o non argomentazione, è il vasto retroterra del giudaismo tradizionale, sempre più emarginato da un sionismo nel quale molti ebrei si riconoscono. Il B’naï B’rith – leggo in Rabkin – sarebbe perfino riuscito a far equiparare antisemitismo e antisionismo come se sionismo e giudaismo fossero termini equivalenti. Una simile dottrina è giunta presso di noi ad incredibile notorietà, trovando addirittura nel presidente della Repubblica autorevole avallo. Può darsi sia stato questa la motivazione – ne occorre sempre una – per il successivo conferimento di una laurea honoris causa in Israele. Ma l’ebreo israeliano Ilan Pappe, che certamente non odia né se stesso né altri, ha potuto rispondere al presidente Napolitano che si è antisemiti se non si è antisionisti. Per cogliere tutta la portata di questa affermazione occorre leggere con la guida di Yakov M. Rabkin la lunga serie di teologi giudaici che al sionismo opponevano ragioni solidamente fondate nella tradizione talmudica e rabbinica. A queste ragioni da parte sionista non viene contrapposto altro che l’accusa di “odio verso se stessi”, la cui consistenza scientifica e dottrinale è quanto mai inconsistente. Ma è anche vero che il sionismo si caratterizza sempre più per il suo contenuto nazionalista e razzista e sempre meno per la sua matrice giudaica. L’esaltazione della forza e della potenza militare è inversamente proporzionale a quei fondamenti di legittimità che il governo israeliano e l’ebraismo dentro e fuori di Palestina che in esso si riconosce: nessun diritto all’esistenza che non può mai essere basato sull’espoprio dell’altrui legittimo possesso e nessuna sicurezza che possa basarsi sullo spontaneo riconoscimento del proprio diritto, delle proprie ragioni, della propria umanità. Avraham Burg, sensibile alla problematica descritta da Rabkin, ha ben visto il vicolo cieco in cui si è cacciato l’ebraismo in larghissima parte egemonizzato e condizionato dal sionismo. In un certo senso, Hitler ha ottenuto una vittoria postuma sull’ebraismo, la cui legittimità ha finito per collassare dal suo interno.

1. Uno stato criminale. – Sto facendo continuo ricorso alla nozione di Stato “criminale” coniata da Karl Jaspers e da lui riferita allo Stato nazista. Ritengo che sia più pertinente se riferita allo stato israeliano. Ma non sono il solo a pensarlo. Molto prima di me questo concetto lo si trova nella critica giudaica al sionismo. È tuttavia preliminare ad un’ulteriore analisi una domanda sui legami esistenti fra le comunità ebraiche, che ormai godono nei diversi paesi non già di un’assoluta eguaglianza di diritti, ma di un vero e proprio regime di privilegio non riconosciuto a nessun altra comunità. Ma i privilegi loro concessi non sembrano aumentare la loro affezione verso lo stato e il paese in cui risiedono. Acutamente l’ebreo Rabkin osserva al riguardo:
«Associare gli ebrei allo Stato di Israele è facile, quasi naturale. Alcuni guardano agli ebrei della diaspora come a stranieri oppure a cittadini israeliani in soggiorno prolungato in Francia o in altri luoghi del mondo. Questa interpretazione è particolarmente cara agli antisemiti, per i quali l’esistenza di un complotto ebraico mondiale rimane un’evidenza. L’associazione automatica degli ebrei allo Stato di Israele non è estranea nemmeno ai sionisti, i quali sin dalle origini del loro movimento politico, più di un secolo fa, si presentano come l’avanguardia dell’intero popolo ebraico. Alcuni arrivano persino a dichiarare che ogni minaccia alla sopravvivenza dello Stato di Israele è una minaccia alla sopravvivenza degli ebrei in ogni parte del mondo. Israele sarebbe così al tempo stesso garante e portabandiera del giudaismo. Ma la realtà si rivela più complessa».
Yakov M. Rabkin,
Una minaccia interna.
Storia dell’opposizione ebraica al sionismo,

Verona, Ombre Corte, 2005, p. 9
In effetti, la realtà è più complessa e ci avvarremo largamente dell’aiuto di Rabkin per tentare di dipanarla. Intanto, possiamo fare un riferimento alla cronaca. Proprio per aver posto in dubbio che gli ebrei fossero cittadini italiani, un noto sindaco ha fatto sospendere dall’insegnamente il docente italiano ed in un secondo ha perfino dato la cittadinanza onoraria ad un soldato israeliano, che in quanto soldato di uno stato “criminale” è difficile immaginare quali benemerenze possa avere e quali onori gli si possano concedere. Queste assurdità non sarebbero concepibili se una ristretta Lobby non fosse penetrata nei gangli istituzionali del potere, condizionandone le decisioni e i comportamenti. Mearheimer e Walt hanno ampiamente dimostrato questo fenomeno per gli USA. Da noi non sembra che vi sia sufficiente consapevolezza di massa. Bisognerà aspettare che maturino le contraddizioni e le divaricazioni perché i nostri politici possano comprendere chi è e dove si trova il popolo italiano, sempre più pericolosamente portato su scenari di guerra che gli sono profondamente estranei. Da noi, per tradizione, ci si sveglia nel pieno di una guerra, di un conflitto, senza sapere come ci si è venuti a trovare.

All’esempio del docente italiano sospeso dall’insegnamento va aggiunto un altro esempio, assollutamente reale, anche se non indichiamo i nomi. Potrebbe essere pericoloso farli e del resto a noi interessa il teorema, non la singola persona. Viene cioè intervistato un rappresentante della comunità ebraica in merito ai suoi rapporti con Israele. Poco ci interessano. Ma è da chiedersi invece quale senso potrebbe avere, se mai ne avesse qualcuno, un’eguale domanda posta ad un qualsiasi altro cittadino, magari il nostro salumiere di fiducia. Nessuno di noi si sognerebbe di chiedergli circa i suoi rapporti con la Cina, il Brasile o il Sud Afriva e di attendere una risposta cui dare senso e dover prestare attenzione. L’estraneità è percepita in entrambi gli esempi fatti. Nel primo caso ha un riscontro negativo e sanzionatorio: il docente è punito per il fatto di ritenere che gli ebrei non siano cittadini italiani per intero, a pieno titolo, ad unica fedeltà. Nel secondo caso è sempre riconosciuta l’estraneità, ma non vi è nessuna sanzione, ma anzi una forma di soggezione, dove ben si comprende che in fondo l’italianità è un valore minore rispetto alla potenziale o effettiva israelianeità. Appunto, dicevamo, la realtà si rivela anquanto complessa, ma anche allarmante.

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