domenica 19 luglio 2009

Alan Dershowitz al microscopio: 21. Credibilità zero. Dove il “pagliaccio” rivela per intero se stesso.


21. Credibilità zero. Dove il “pagliaccio” rivela per intero se stesso. – Il numero programmato dei paragrafi di questa serie di post è in 100 articoli ciascuno di estensione illimitata. Complessivamente il mio testo di un libro Anti-Dershowitz supererà le pagine a stampa (circa 300) del fascicolo processuale (“Processo ai nemici di Israele”, edizioni Eurilink) reso disponibile in italiano e consegnato ai componenti italiani della stessa Israel Lobby, che ha il centro di maggior potenza negli USA, dove essi hanno condizionato assai negativamente la politica estera americana, come hanno dimostrato Mearsheimer e Walt e come Dershowitz non ha potuto confutare. Anzi con l’inconsistenza della loro critica hanno reso un omaggio e un servizio al libro dei due politologi, che se mai meriterebbe una critica per la loro moderazione nei toni e per la timidezza con la quale hanno arretrato davanti ai mostri sacri della propaganda sionista.

Per la nostra critica a Dershowitz non ci avvarremo della nostra fantasia o della nostra memoria delle letture fatte, ovvero di un’analisi delle contraddizione interne e delle enormità che risaltano subito dal testo di Dershowitz, ma andremo ad esaminare una vasta letteratura. Ad esempio, ci avvarremo della preziosa edizione italiana – certo non pubblicizzata – dei due grossi volumi che Solgenitsin ha dedicato alla storia degli ebrei russi nel corso di due secoli. Li ho già letti e li ho trovato difficili per la selva di nomi e di situazioni che contiene, affatto ignote alla nostra pubblicistica mediatica, tutta a senso unico. Sarà interessante andare alle tracce non dei mitici “sei milioni”, ma dei probabili dieci-quindici milioni di kulachi sterminati. E metteremo in evidenza ogni contribuzione russo-ebreo alla misteriosa scomparsa dei kulachi russi. Anche degli ebrei finirono nei Gulag? Certo! E Solgenitsen lo dice, ma dice anche che ebbero l‘innata abilità di “imboscarsi” nella direzione dei Gulag ed evitare la triste sorte che invece a tutti gli altri, in buona parte russi.

Come pure andremo ad esaminare una storiografia che non Nolte insegna che il nazismo fu fondamentalmente una reazione al bolscevismo. Corre all’incirca fra il nazismo e il bolscevismo lo stesso rapporto genetico che si trova fra la nascita del sionismo e l’antisemismo, spesso fantasioso o prodotto e suscitato artificiosamente. Ma è poi da scandagliare il rapporto che è esistito e su cui si sorvola fra bolscevismo ed ebrei russi, come è pure da riportare il ruolo degli ebrei come titolari delle bettole nelle quali durante lo zarismo i contadini russi andavano ad alcolizzarsi. Il cardinale Rodriguez, insolentito da Dershowitz nella registrazione, non si inventava le cose, ma richiamava fatti fondati sui quali non si esercita l’erudizione documentaria di un Morris, storico organico del sionismo.

Ed ancora a Dershowitz, forte con i numeri, specialimente quelli composti da sei, che guarda caso fanno pensare al 666 simbolo del diavolo, chiederemo la conta degli ebrei che in Palestina hanno incominciato a sbarcare dal 1882, ben 7 anni prima che Hitler nascesse, e la conta di quelli che invece a incominciare da quello stesso anno dalla Palestina sono partiti. Quindi gli chiederemo il saldo (positivo o negativo) fra le due conte. In particolare, gli chiederemo gli elenchi numerici e nominativi degli ebrei che sotto la guida del Muftì sono stati rastrellati in Palestina o in Medio Oriente e sono partiti per i campi di concentramento nazisti. Gli chiederemo anche conto delle “relazioni pericolose” intercorse fra sionismo e nazismo oltre che con il fascismo, di cui riporteremo l’elogio entusiastico, la grandissima ammirazione che Mussolini aveva per il sionismo in quanto compiuta e irrangiungibile forma di razzismo. Con pazienza, avendo il tempo, faremo tutte queste ricerche che sono per ora riposte nella nostra memoria per letture fatte o conferenze ascoltate. Di ognuna di esse daremo puntigliosamente la referenza bibliografica. Non solo! Riporteremo interi brani. Accanto al libro ed al numero di pagina riporteremo ciò che la pagina o il singolo capitolo contiene, almeno entro i limiti concessi dal diritto di citazione scientifica e senza violare il copyright degli editori che devono pur campare. Intanto però subito un assaggio, fresco di giornata, perché giunto proprio questa mattina. Poiché è sempre più ricorrente l’analogia, la comparazione fra nazismo e sionismo, rinvio a questo link: il nazismo di ieri e il sionismo di oggi, cliccando sul quale si accede ad una collezione di immagini, dove da una parte si vedono foto di epoca nazista, per lo più campi di concentramento, e dall’altra il corrisponde sionista. Filologicamente parlando, resto del parere che ogni cosa deve essere collocata nel suo preciso contesto storico, geografico e temporale, ma qui non si tratta di storia, bensì di polemica e di propaganda di guerra.

Sono dunque giunto all’ultima pagina del libro, anzi del fascicolo processuale di Dershowitz contro i nemici di Israele, e dunque contro i suoi nemici, sembrandomi egli più un israeliano che non un americano. Almeno un israeliano d’elezione, se non ha già il tasca il passaporto. Nel libro Dershowiz ci fa sapere (p. 224: «Quando ho visitato Israele nel marzo del 2008, ho incontrato la maggior parte dei politici israeliani e molti dei capi militari») di essere stato in Israele sei mesi prima dell’operazione “piombo fuso”, dove politici e militari sembrano aver fatto tesoro dell’insegnamento pubblico di Dershowitz in merito alla superata distinzione fra combattenti e civili e alla nuova teorica dell’intervento preventivo nonché della responsabilità da addossare alle vittime stesse per la morte loro e dei loro congiunti. Grottesco! Se questo è un professore americano di grido, il campione della serie, come non rimpiango di non aver mai studiato in America, e come sono invece lieto di aver studiato nelle nostre sgangherate scuole e università e di lavorare in una università italiana, dove finora nessuno si è permesso di attentare alla mia libertà di pensiero.

Ma questa è solo una premessa. Il punto che mi aveva indotto a redigere questo paragrafo è un altro. Lo ricostruisco sommariamente. Il libro di Dershowitz è strutturato in capitoli, dedicati ciascuno ad un “nemico” da processare per l’impagabile prosa del professore americano, per giunta honoris causa. Di Ahamadinejad, che egli gratifica di “buffone”, è riferito la nota argomentazione, dove egli dice: se voi europei vi ritenete responsabili per l’«Olocausto» e volete risarcire gli ebrei per le sofferenze e le ingiustizie patite, ebbene fatelo su una porzione d’Europa, o del Canada, magari in Alaska, e simili, ma perché il risarcimento deve essere caricato sulle spalle di un terzo estraneo e del tutto innocente, ossia i palestinesi? Il ragionamento non fa una grinza, per nessuno, eccetto che per Dershowitz. E cosa risponde l’impagabile professor Dershowitz: Come no che sono responsabili dei campi di concentramento! I palestinesi hanno concorso attivamente al rastrellamento e alla messa a morte degli ebrei europei nei campi di concentramento e sterminio tedeschi. Una delle prove addotte? Eccola!

Il mufti, personaggio storico complesso la cui migliore ricostruzione storico-biografica ho potuto finora leggere in Fisk, di cui forse potrò riportare le pagine per diritto di citazione, ma alle quali rinvio, ad un certo punto avrebbe detto – secondo Dershowitz o le fonti di cui presumibilmente si avvale – “undici milioni di ebrei” anziché “diciassette milioni”. Diciassette meno undici fa sei. Dunque il mufti sapeva che erano stati sterminati sei milioni di ebrei, un numero chimerico di cui non erano a conoscenza neppure gli stessi tedeschi ed un numero sul quale gli stessi più sfegatati sterminazionisti sanno essere la parte meno difendibile di tutta la montatura ideologica e propagandistica. Molte pagine del libro, anzi del processo, dell’arringa dell’avvocato Dershowitz sono imbrattate per sostenere che i palestinesi sono responsabili per Auschwitz e quanto altro!

Se il professor Dershowitz si impegna a dimostrare, secondo quanto egli dice espressamente o lascia almeno così intendere, che il mufti è stato in una qualche maniera responsabile del rastrellamento degli ebrei romani il 16 ottobre 1943, cioè a fascismo caduto e non più al potere, mi impegno ad invitarlo nella mia facoltà a tenere un’apposita conferenza e dopo lo proporrò per un’altra honoris causa, che potrà aggiungere alla sua collezione. Neppure il fascismo, presso cui il sionismo chiese udienza, secondo alcune fonti non verificabili, ha mai collaborato con il nazismo in operazioni di rastrellamento o altro. Ma questo ruolo, questa funzione, l’avrebbe svolta il mufti dai territori governati dagli inglesi. Sono chiaramente assurdità storiografiche che uno non si aspetterebbe neppure di sentire al circo equestre da un pagliaccio travestito da storico. Se questo è lo standard delle univerità americane e dei loro professori, ben capisco come il più svantaggiato dei docenti italiani possa rapidamente assurgere ai vertici delle università americane. Ai nostri studenti però possiamo ben dire di non lasciarsi scoraggiare e deprimere per la mancanza di risorse delle nostre università pubbliche, dove l’istruzione superiore è ancora assicurata ad ogni capace e volenteroso, senza che debba necessariamente appartenere ad una famiglia ricca e ricchissima per avere un insegnamento di qualità. Vadano pure in America i figli dei ricchi, se vogliono mettersi a lezione di un Dershowitz! Dio abbia compassione di loro.

Torneremo in dettagglio sulle numerose corbellerie di Derhowitz. Abbiamo ancora 80 post a dispozione fra quelli programmati. Ma potranno esserci anche dei fuor d’opera, considerato il personaggio. Abbiamo qui voluto intervenire d’impulso sulla emotività suscitata dalla prima lettura del testo, che abbiamo già tutto trasformato in OCR in modo da poter consegnare al nostro microscopio ogni virgola di testo. Una considerazione generale con la quale chiudiamo è la seguente: ma come è possibile? Comè è possibile che simili baggianate trovino stampa e udienza? Almeno presso il selezionatissimo uditorio della Eurispes e quei quattro o quattromila parlamentari della Lobby? Anni addietro, nella stessa sede parlamentare, vi fu una conferenza dello storico Nolte, non importa da chi introdotto nei Palazzi. Non è difficile: basta conoscere qualcuno, almeno uno, per avere l’uso della sala. Nolte espose le sue note teorie. Ebbene, vi fu in quella circostanza un parlamentare della lobby, lo stesso che ho potuto vedere in manifestazioni sioniste, ad esempio in piazza del Campidoglio all’epoca dell’accoglienza ad Ahmadinejad, di cui ho riferito altrove, costui prese ad insolentire Nolte con un: “Ma lei come si permette di venirci a dire queste cose proprio qui?”.

All’onorevole Innominato, figlio di suo padre che gli ha tramandato la prebenda parlamentare, dico che lui è degno di un Dershowitz, non di un Nolte, la cui dignità accademica e intellettuale subissa quella di un Dershowitz, il pagliaccio venuto dall’America per insolentire proprio a Roma papi e cardinali, cosa che gli onorevoli deputati hanno lasciato fare. Gli stessi onorevoli che accorrono all’Angelus, dove non costa loro nulla sparare contro i docenti della Sapienza, ossia una università italiana, non israeliana né americana. Mah! Povera Italia! Destati e scrollati di dosso (= intifada) questa classe politica che ti affama e ti tradisce.

Ah, dimenticavo una cosa che è bene collocare qui piuttosto che altrove. Saranno certamente in pochi fra il pubblico colto italiano a sapere chi fosse il mufti di Gerusalemme, il cui nome io stesso devo ancora imparare a scrivere. Succederà quindi, come in effetti è successo, che un informato e imbeccato della stessa etnia lobbistica, da USA a Italia, si metta a fare una sfuriata accesissima e indignatissima contro il mufti di Gerusalemme, lasciando certamente disorientati la maggior parte degli ascoltari o lettori italiani, che non sanno neppure lontamente chi fosse costui. Quando si è consapevolmente ignoranti non si puà rispondere nulla a chi affetta di sapere quello che noi non sappiamo. Tocca stare in silenzio, almeno fintantochè non ci si va a documentare. È in effetti successo che verso l’inizio di quest’anno, in piena “operazione piombo fuso”, un losco personaggio di cui non voglio fare il nome ha tirato in ballo il “mufti” mentre faceva apologia di un massacro, di un genocidio, le cui prove vengono fuori in questi giorni per testimonianza degli stessi soldati cui era stata data piena licenza di uccidere senza pietà e senza limiti, anzi con piena benedizione e raccomandazione rabbinica. Da un punto di vista filologico, non ho dubbi da dove siano state attinte le corbellerie sul mufti. La sfuriata contro il mufti, collaboratore di Hitler nei campi di concentramento, è del gennaio di quest’anno, mentre l’edizione inglese del libro di Dershowitz è del 2008, un testo certamente noto alla Lobby di stanza presso di noi. I collegamenti fra le lobbies, di qua e di là dell’Atlantico, come con Israele, certamente esistono e possono essere documentati con gli strumenti della filologia. Chiamino ciò come vogliono: teoria del complotto, gli ebrei che non esistono in quanto collettività ma solo come individui a compartimento stagno, antisemitismo, e simili. A noi interessa solo rilevare con metodo critico-scientifico: concetti, strategie, collegamenti. A noi interessa recuperare la comprensione della nostra quotidianità, una comprensione che ci viene sistematicamente tolta da un ramificato sistema sovrastrutturale composto da, per esempio: giornate della memoria a senso unico, da verità di stato, da carta stampate e principali media televisivi, da leggi liberticide che di fatto vanno sempre più restringendo il contenuto degli articoli 21 e 33 della costituzione. È risaputo che chi detiene il potere, in ogni regime ed ancor più in quelli cosiddetti democratici, – dove il condizionamente è più capillare e subliminale – ha facile gioco nel formare e condizionale la cosiddetta opinione pubblica, normalmente indistinta dall’opinione “pubblicata” sulla carta stampata, dove solo gli “eletti” possono accedere. Dobbiamo quindi studiarci con santa pazienza anche il mufti di Gerusalemme. Al momento la migliore indicazione che posso dare sono le pagina di Robert Fisk in “Cronache mediorientali”. Per chi non ha tempo e voglia di occuparsi del mufti di Gerusalemme e si fida dello scrivente posso dire che si tratta dell’ennesima bufala, dell‘ennesimo espediente che la propaganda sionista getta in pasto ai loro media amici, perchè aumentino la disinformazione, la manipolazione, la confusione. Chi non ha tempo per occuparsi del mufti può tranquillamente rispondere con una scrollata di spalle o un “boh!” al suo acceso “nemico” sionista.

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