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Il saggio di
Calenda è una riflessione sulla globalizzazione e sull’antagonista da esso
generato, ossia il populismo. Al contrario di altri, critica gli eccessi della
globalizzazione, con la conseguenza
che ha indotto. Scrive l’autore che nel ventennio tra il 1989 (caduta del muro
di Berlino) e il 2008 (inizio della crisi) si è avuta una separazione tra
politica e potere “La separazione tra politica e potere deriva da errori interni
alla politica, ma è anche un frutto guasto della prima fase della
globalizzazione e dell’ideologia che l’ha ispirata. La politica deve tornare ad
avere il potere di indirizzare gli eventi a partire dall’oggi… La ricerca della
rappresentanza è stata sostituita dalla retorica della competenza. La tecnica
ha sostituito il pensiero politico e poi la politica stessa”. Si è rotta la
relazione di fiducia tra i cittadini e la classe dirigente “Questa frattura si
è allargata rapidamente, poi nel 2008 la prima fase della globalizzazione si è
chiusa, traumaticamente e i suoi dogmi sono crollati, insieme al progetto
egemonico dell’Occidente iniziato nell’89”.
L’ “ideologia del
potere”, cioè il progresso non è più creduta dalle masse. È la paura del
presente su cui insistono le forze populiste a determinare la loro ascesa “I
populisti prevalgono, pur rimanendo inconsistenti sul piano delle proposte,
perché riconoscono le paure contemporanee, mentre i progressisti hanno venduto
e continuano a vendere le meraviglie di un futuro lontano”.
A differenza di
altri, pregio di questo libro è di fare l’autocritica
(dei favorevoli alla globalizzazione) e di riflettere sulle cause di una
decadenza, specie in Italia assai accelerata dalla vecchia élite e dal sistema
politico da essa costituito.
L’autore ricorda i
dieci fallimenti del “progetto egemonico dell’Occidente” indotto dalla
globalizzazione: il lavoro che è diventato una commodity, l’iniquità della distribuzione del carico fiscale, la
sregolarizzazione della finanza, l’insostenibilità del modello di sviluppo (ed
altri). Ma anche i successi: il progresso economico dei paesi in via di
sviluppo (è il dato più favorevole) la diminuzione dei prezzi nei paesi
sviluppati (sul che ci sarebbe da discutere) le istituzioni di governance internazionale.
Il populismo, di
converso rifiuta l’ipotesi tecnocratica e “ha ridato centralità all’oggi ma
soprattutto alla rappresentanza contro la retorica della competenza”, mentre
“le classi dirigenti liberali hanno pensato di poter sostituire la rappresentanza
con la competenza per un trentennio, in forza del fatto che il pensiero
liberale era l’unica “narrazione globale” sopravvissuta, compito della politica
era esclusivamente applicare tecnicamente i principi di questo pensiero”. Ma
“la democrazia non si fonda sul cv, ma sulla rappresentanza, e le elezioni non
sono un colloquio di lavoro. La rappresentanza non dipende dalla competenza
tecnica ma dalla capacità di essere in contatto con la società”. Peraltro il
tutto, nella migliore delle ipotesi, ha provocato uno iato tra efficienza e
giustizia; ma “la mancanza di etica nel capitalismo contemporaneo è una delle
cause fondamentali della sua crisi di reputazione”. L’ideologia della
globalizzazione ha favorito il dumping
da parte della Cina “L’industria dell’acciaio è stata distrutta dalla
competizione scorretta cinese dovuta a una sovrapproduzione largamente
incentivata dallo Stato in barba a ogni norma del Wto”. L’antagonista
sovran-populista ha soprattutto sfruttato la paura provocata dalla crisi, dalla
migrazione e dalla “revisione” dello Stato sociale; d’altra parte, scrive – a
ragione – Calenda, la sinistra ha perso il contatto con la propria base “Un
caso esemplificativo della mancanza di qualsiasi riflessione sulle ragioni
della sconfitta è quello della manifestazione che il Pd ha deciso di dedicare
“all’Italia che non ha paura”. Vale a dire ai vincenti, gli unici che infatti
continuano a votarlo. Non sono un appassionato di distinzioni tra destra e
sinistra ma una cosa mi è chiara: la sinistra nasce per difendere chi ha paura,
non per allontanarlo. Qualsiasi nuovo progetto politico che abbia l’ambizione
di diventare maggioranza deve partire da qui: dare rappresentanza all’Italia
che ha paura”. Il progetto politico proposto è “aperto”: “Le linee di
demarcazione tra destra e sinistra si sono spostate. La vera discriminante oggi
è tra chi vuole rinnovare la democrazia liberale mantenendone i valori di fondo
e chi invece vuole sostituirla con una democrazia illiberale, infetta e
manipolata”. In altri termini il nascente “partito globalista”.
Questo libro ha
due pregi, che sono anche due difetti: tiene conto che è cambiato il contenuto
dell’opposizione amico/nemico, per cui riproporre la vecchia scriminante del
secolo breve, ossia borghese/proletario è inutile e politicamente debole. Se il
comunismo dal 1991 è stato collocato nell’archivio della Storia, è inutile
combatterci contro. Tuttavia, specie in Italia, la lentezza delle classi
dirigenti, ma quella di centrosinistra ancor più che quella di centrodestra,
nel valutare la nuova situazione, rende problematico recuperare il (troppo)
tempo perduto.
Dall’altra la
seconda componente fondamentale del successo del populismo, già sottolineato
negli anni ’90 del XX secolo, tra gli altri, da Lasch e Paul Piccone, e cioè la
frattura tra popolo ed élite che non condividono più l’ethos delle masse, così che “si sono estraniate totalmente dalla
vita comune” (Lasch), appare altrettanto forse più difficile da superare. Il
rigetto dell’elettorato nei confronti dell’ “ancien régime”, specie in Italia e così esteso e diffuso che anche
una radicale rottamazione potrebbe non bastare.
Anche perché molti
delle “nuove leve” condividono (gran parte degli) errori e degli idola delle vecchie volpi, almeno di
quelle della “seconda Repubblica”. Comunque, malgrado la strada in salita, il
percorso di Calenda è nella direzione giusta. Auguri.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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