L’articolo qui ripreso dal Fatto Quotidiano usciva il 24 dicembre 2014. Riguarda un tema come il Regolamento del M5s e il regime delle espulsioni. Veniva disposto la costituzione di un Comitato d'appello, la cui legittimità verrà contestata da tre attivisti che espulsi faranno poi causa, venendo reintegrati e dando impulso ad altre azioni civili in Tribunale, contro il Capo Politico del M5s, cioè lo stesso Beppe Grillo. Le note con asterico sono redazionali di CL, mentre le note numerate fra parentesi rinviano a link contenuti nel testo di Becchi.
AC
Oggi il Movimento 5 Stelle vota un suo regolamento, il quale prevede, tra le altre cose, la costituzione di un Comitato d’appello (1) destinato a giudicare i ricorsi avverso i provvedimenti di espulsione. Viene anzitutto da chiedersi da dove venga l’urgenza di questo regolamento e perché sia stato previsto che la votazione online degli iscritti non abbia ad oggetto il regolamento stesso, ma soltanto la nomina di “due dei tre componenti di questo comitato all’interno di una rosa proposta di cinque persone“ (2). C’è chi ha parlato di “rivoluzione copernicana“(3)*. Affermazione non soltanto di per sé politicamente inopportuna (perché finisce per riconoscere implicitamente che, sino ad oggi, esisteva un sistema sbagliato e puramente arbitrario per decidere le espulsioni), ma anche in contrasto con quanto, da oggi, si prevede.
* È Luigi Di Maio.
Avevo già avuto modo, in occasione dell’espulsione dei deputati Artini e Pinna, di sottolineare le difficoltà e le incongruenze del Movimento e della sua disciplina delle espulsioni. Mentre, infatti, l’espulsione dal gruppo parlamentare è disciplinata dai regolamenti dei gruppi di Camera e Senato del Movimento, nulla – sino ad oggi – era previsto in merito all’espulsione dall’associazione (ossia dal Movimento, con la perdita della qualità di “iscritto”).
Si aveva, in tal modo, un doppio sistema:
a) per l’espulsione dal gruppo parlamentare, veniva (e viene tuttora) previsto che «i parlamentari del M5S riuniti, senza distinzione tra Camera e Senato, potranno per palesi violazioni del Codice di Comportamento, proporre l’espulsione di un parlamentare del M5S a maggioranza. L’espulsione dovrà essere ratificata da una votazione online sul portale del M5S tra tutti gli iscritti, anch’essa a maggioranza». Dunque, causa di espulsione è la «violazione degli obblighi assunti con la sottoscrizione del “codice di comportamento del MoVimento 5 Stelle in Parlamento”», mentre il procedimento per l’espulsione è interno al gruppo parlamentare (salvo la «ratifica» in rete da parte degli iscritti).
b) per l’espulsione dall’associazione, nessuna indicazione veniva, invece, data dallo Statuto del MoVimento (che all’art. 5 disciplina unicamente il diritto di recesso dell’associato), con la conseguenza che trovava applicazione l’art. 24 c.c., per il quale «l’esclusione d’un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi; l’associato può ricorrere all’autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione». Ciò implicava che, per l’espulsione di un associato, era necessaria la delibera dell’Assemblea del MoVimento.
Con il nuovo regolamento, le cose cambiano radicalmente.
Anzitutto, all’art. 4, vengono indicate specificatamente le tre cause di espulsione. 1. venire meno dei requisiti di iscrizione stabiliti dal “non statuto”; 2. violazione dei doveri previsti dall’articolo 1 del presente regolamento; 3. se eletti ad una carica elettiva, violazione degli obblighi assunti all’atto di accettazione della candidatura), laddove, prima, l’espulsione avrebbe potuto essere disposta unicamente per «gravi motivi».
Viene, poi, introdotta una procedura per l’espulsione. A disporre la sospensione dell’iscritto e la contestazione della violazione è, oggi, direttamente il «capo politico» del Movimento (Beppe Grillo). Avverso il provvedimento di espulsione – sempre disposto dal capo politico – , l’iscritto ha la possibilità, entro dieci giorni, di ricorrere al Comitato d’Appello, costituito con il regolamento.
Il comitato d’appello è composto di tre membri:
– 2 nominati dall’assemblea mediante votazione in rete tra una rosa di cinque nominativi proposti dal Consiglio Direttivo;
– 1 nominato direttamente dal consiglio direttivo.
Il Consiglio Direttivo è stato previsto fin dallo statuto del Movimento (artt. 11 e 13), e, con l’atto costitutivo dell’associazione Movimento 5 Stelle del 14 dicembre 2012, per i primi tre anni è stato stabilito che componenti del Consiglio Direttivo siano Beppe Grillo, in qualità di Presidente, Enrico Grillo, Vicepresidente, ed Enrico Maria Nadasi, Segretario (art. 7).
Dire che il meccanismo previsto sia, di fatto, interamente controllato da Grillo, appare pertanto un eufemismo. Egli, infatti:
a) nella sua qualità di capo politico, accerta il verificarsi di una causa di espulsione, sospende l’iscritto e provvede successivamente alla sua espulsione;
b) nella sua qualità di Presidente del Consiglio Direttivo, nomina direttamente 1 membro del Comitato d’Appello e stabilisce i nomi dei candidati entro cui scegliere gli altri 2 membri.
Appare paradossale che l’espulso possa ricorrere, contro il provvedimento di Grillo, ad un organo di “garanzia” composto da membri sostanzialmente decisi da Grillo stesso. Non solo: il regolamento prevede che «se il comitato d’appello ritiene insussistente la violazione contestata, esprime il proprio parere motivato al capo politico del MoVimento 5 Stelle, che se rimane in disaccordo rimette la decisione sull’espulsione all’assemblea mediante votazione in rete di tutti gli iscritti, la quale si pronuncia in via definitiva sull’espulsione». Se, pertanto – ma appare un’ipotesi inverosimile – il Comitato fosse in disaccordo con il capo politico, quest’ultimo potrebbe sempre ricorrere alla consultazione diretta sulla rete per ottenere l’espulsione dell’iscritto.
Resta, allora, da chiedersi se – rispetto alle vecchie “lacune” di prima, che venivano comunque integrate dal codice civile – questa nuova disciplina costituisca davvero una «garanzia» in più per gli iscritti, se realizzi davvero una «trasparenza» prima assente.
Certamente sarà sempre possibile, per l’iscritto, ricorrere all’autorità giudiziaria contro il provvedimento di esclusione (in quanto, in questa parte, l’art. 24 c.c. non è derogabile). Il problema, però, è che il controllo effettivo del giudice sarà, in ogni caso, molto limitato. Se, infatti, prima dell’approvazione del regolamento, il Tribunale avrebbe avuto il potere di verificare la legittimità sostanziale dell’espulsione con riferimento ai «gravi motivi». Oggi, in presenza di una specifica descrizione dei motivi ritenuti idonei a provocare l’esclusione dell’associato, la verifica giudiziale sarà destinata ad arrestarsi al mero accertamento della puntuale ricorrenza di quei fatti previsti causa di esclusione.
Il Movimento ha, di fatto, deciso dunque di dotarsi di propri interni meccanismi diretti a disciplinare cause e modalità dell’esclusione degli associati. Ciò non è contestabile, ed anzi – diremo – fisiologico per un’associazione che è un movimento di massa e di natura politica. Resta, però, il fatto che questi meccanismi non rispondono in alcun modo a quella logica di democrazia diretta che ha costituito l’ispirazione ultima ed il senso del Movimento. Somigliano, piuttosto, ai meccanismi tradizionalmente utilizzati dai partiti politici, al loro «centralismo» e alla decisione “presa dall’alto”.
* È Luigi Di Maio.
Avevo già avuto modo, in occasione dell’espulsione dei deputati Artini e Pinna, di sottolineare le difficoltà e le incongruenze del Movimento e della sua disciplina delle espulsioni. Mentre, infatti, l’espulsione dal gruppo parlamentare è disciplinata dai regolamenti dei gruppi di Camera e Senato del Movimento, nulla – sino ad oggi – era previsto in merito all’espulsione dall’associazione (ossia dal Movimento, con la perdita della qualità di “iscritto”).
Si aveva, in tal modo, un doppio sistema:
a) per l’espulsione dal gruppo parlamentare, veniva (e viene tuttora) previsto che «i parlamentari del M5S riuniti, senza distinzione tra Camera e Senato, potranno per palesi violazioni del Codice di Comportamento, proporre l’espulsione di un parlamentare del M5S a maggioranza. L’espulsione dovrà essere ratificata da una votazione online sul portale del M5S tra tutti gli iscritti, anch’essa a maggioranza». Dunque, causa di espulsione è la «violazione degli obblighi assunti con la sottoscrizione del “codice di comportamento del MoVimento 5 Stelle in Parlamento”», mentre il procedimento per l’espulsione è interno al gruppo parlamentare (salvo la «ratifica» in rete da parte degli iscritti).
b) per l’espulsione dall’associazione, nessuna indicazione veniva, invece, data dallo Statuto del MoVimento (che all’art. 5 disciplina unicamente il diritto di recesso dell’associato), con la conseguenza che trovava applicazione l’art. 24 c.c., per il quale «l’esclusione d’un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi; l’associato può ricorrere all’autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione». Ciò implicava che, per l’espulsione di un associato, era necessaria la delibera dell’Assemblea del MoVimento.
Con il nuovo regolamento, le cose cambiano radicalmente.
Anzitutto, all’art. 4, vengono indicate specificatamente le tre cause di espulsione. 1. venire meno dei requisiti di iscrizione stabiliti dal “non statuto”; 2. violazione dei doveri previsti dall’articolo 1 del presente regolamento; 3. se eletti ad una carica elettiva, violazione degli obblighi assunti all’atto di accettazione della candidatura), laddove, prima, l’espulsione avrebbe potuto essere disposta unicamente per «gravi motivi».
Viene, poi, introdotta una procedura per l’espulsione. A disporre la sospensione dell’iscritto e la contestazione della violazione è, oggi, direttamente il «capo politico» del Movimento (Beppe Grillo). Avverso il provvedimento di espulsione – sempre disposto dal capo politico – , l’iscritto ha la possibilità, entro dieci giorni, di ricorrere al Comitato d’Appello, costituito con il regolamento.
Il comitato d’appello è composto di tre membri:
– 2 nominati dall’assemblea mediante votazione in rete tra una rosa di cinque nominativi proposti dal Consiglio Direttivo;
– 1 nominato direttamente dal consiglio direttivo.
Il Consiglio Direttivo è stato previsto fin dallo statuto del Movimento (artt. 11 e 13), e, con l’atto costitutivo dell’associazione Movimento 5 Stelle del 14 dicembre 2012, per i primi tre anni è stato stabilito che componenti del Consiglio Direttivo siano Beppe Grillo, in qualità di Presidente, Enrico Grillo, Vicepresidente, ed Enrico Maria Nadasi, Segretario (art. 7).
Dire che il meccanismo previsto sia, di fatto, interamente controllato da Grillo, appare pertanto un eufemismo. Egli, infatti:
a) nella sua qualità di capo politico, accerta il verificarsi di una causa di espulsione, sospende l’iscritto e provvede successivamente alla sua espulsione;
b) nella sua qualità di Presidente del Consiglio Direttivo, nomina direttamente 1 membro del Comitato d’Appello e stabilisce i nomi dei candidati entro cui scegliere gli altri 2 membri.
Appare paradossale che l’espulso possa ricorrere, contro il provvedimento di Grillo, ad un organo di “garanzia” composto da membri sostanzialmente decisi da Grillo stesso. Non solo: il regolamento prevede che «se il comitato d’appello ritiene insussistente la violazione contestata, esprime il proprio parere motivato al capo politico del MoVimento 5 Stelle, che se rimane in disaccordo rimette la decisione sull’espulsione all’assemblea mediante votazione in rete di tutti gli iscritti, la quale si pronuncia in via definitiva sull’espulsione». Se, pertanto – ma appare un’ipotesi inverosimile – il Comitato fosse in disaccordo con il capo politico, quest’ultimo potrebbe sempre ricorrere alla consultazione diretta sulla rete per ottenere l’espulsione dell’iscritto.
Resta, allora, da chiedersi se – rispetto alle vecchie “lacune” di prima, che venivano comunque integrate dal codice civile – questa nuova disciplina costituisca davvero una «garanzia» in più per gli iscritti, se realizzi davvero una «trasparenza» prima assente.
Certamente sarà sempre possibile, per l’iscritto, ricorrere all’autorità giudiziaria contro il provvedimento di esclusione (in quanto, in questa parte, l’art. 24 c.c. non è derogabile). Il problema, però, è che il controllo effettivo del giudice sarà, in ogni caso, molto limitato. Se, infatti, prima dell’approvazione del regolamento, il Tribunale avrebbe avuto il potere di verificare la legittimità sostanziale dell’espulsione con riferimento ai «gravi motivi». Oggi, in presenza di una specifica descrizione dei motivi ritenuti idonei a provocare l’esclusione dell’associato, la verifica giudiziale sarà destinata ad arrestarsi al mero accertamento della puntuale ricorrenza di quei fatti previsti causa di esclusione.
Il Movimento ha, di fatto, deciso dunque di dotarsi di propri interni meccanismi diretti a disciplinare cause e modalità dell’esclusione degli associati. Ciò non è contestabile, ed anzi – diremo – fisiologico per un’associazione che è un movimento di massa e di natura politica. Resta, però, il fatto che questi meccanismi non rispondono in alcun modo a quella logica di democrazia diretta che ha costituito l’ispirazione ultima ed il senso del Movimento. Somigliano, piuttosto, ai meccanismi tradizionalmente utilizzati dai partiti politici, al loro «centralismo» e alla decisione “presa dall’alto”.
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