LA PEGGIORE DI TUTTE
È implicito
(sempre) ed esplicito (molto spesso) che, quando le èlite del centrosinistra italiano si lagnano del governo del
cambiamento, sono persuase che il loro modo di governare era il migliore e che
il popolo italiano è stato irriconoscente a dar loro il benservito.
In realtà tale
convinzione desta stupore, dati i risultati economici più che mediocri della
classe dirigente della seconda repubblica, centrodestra compreso (anche se
responsabile minore); e il perché lo spieghiamo.
Devo premettere di
non essere convinto che la struttura economica determini le sovrastrutture (non
sono marxista); e, di conseguenza non ritengo che il progresso o il regresso di
una comunità si misuri (solo) in termini economici piuttosto che politici,
culturali, morali, tecnici. Ritengo il dato economico non determinante ed
esclusivo, ma comunque molto importante, e che abbia quanto meno il vantaggio
di potersi esprimere in numeri, meno soggetti a manipolazioni e valutazioni
soggettive (se i conti sono fatti onestamente).
Fatta questa premessa
possiamo dividere le classi dirigenti, ovvero le èlite, la classe politica, (e anche la formula politica) dall’unità
in poi in quattro “fasi”: la monarchia liberale (1861-1911), il regime fascista
(1922-1943); la “prima repubblica” (1946-1994); la “seconda repubblica”
(1994-2018), e vedere quanto in ciascun
periodo si sia incrementato il PIL individuale, indice privilegiato del
benessere.
Orbene nella
monarchia liberale l’incremento del PIL pro-capite fu dello 0,6% annuo, più modesto
nell’ ‘800, molto più deciso nel periodo giolittiano (1,6% annuo).
Nel periodo
fascista l’incremento continuò; anche se fu abbassato dalla depressione del
29-32 (-7,2%) e dalle guerre, soprattutto quella d’Etiopia (-4,3%) il risultato, fino al 1939 fu di un aumento di
circa il 50% rispetto al 1919. Con la seconda guerra mondiale si ridusse di
quasi la metà.
L’età d’oro del
PIL pro-capite fu quella della “prima repubblica”: l’aumento nel periodo fino
al 1973 si attestò sul 5,3% annuo; dal 1973 al 1994 in un più modesto - ma
rispettabile – 2.5% annuo.
Nella seconda
repubblica la musica purtroppo cambiava: ad un modestissimo aumento dello 0,3%
annuo, faceva riscontro un incremento del prelievo fiscale, anche in brevi
periodi di PIL pro-capite in picchiata, come nella crisi del 2008-2014 in cui
il calo è stato del 12,8%.
Resta il fatto che
durante la “Seconda repubblica” i risultati, in termini di benessere, sono
stati i peggiori di tutti i periodi politici in cui abbiamo suddiviso la storia
dell’Italia unita.
Pertanto, non si
capisce perché l’elettorato italiano non avrebbe dovuto concludere che i
cattivi risultati non dovessero dipendere (se non totalmente, in buona parte)
dalla mediocrità - politica e culturale – della classe dirigente. Semmai desta
stupore la pazienza e la mansuetudine di un popolo che sopporta per un quarto
di secolo l’inconsistenza di élite gàrrule e autoreferenziali.
Certo queste rispondono:
noi siamo stati i più buoni. Abbiamo aiutato banche straniere e italiane,
migranti africani e mediorientali, e soprattutto i tax-consommers, ossia la corte dei miracoli che prospera sul bilancio
pubblico. Bilancio che Giustino Fortunato, oltre un secolo fa, definiva “la lista
civile della borghesia parassitaria”, e che tale è – in larga parte – rimasto.
Buonismo, angelisme, legalitarismo sono le derivazioni odierne che servono ad
occultare i risultati della classe dirigente in via di detronizzazione (il
vertice – in gran parte – già licenziato, l’aiutantato
no), sotto il profilo economico la peggiore, sia nel tempo che nello spazio,
tenuto conto che nello stesso periodo 1994-2018 i risultati economici
dell’Italia sono stati i peggiori sia dell’UE che dell’eurozona.
Onde spiegare ad
un italiano indigente, a un “esodato”, ad un creditore della P.A. (e così via)
che i sacrifici sopportati sono stati disposti per bontà d’animo verso migranti
ecc. ecc., è assai difficile perché non si giudica sul criterio gnoseologico
vero/falso o con quello etico (già più “vicino”) buono/cattivo ed è quindi
irrilevante (o poco rilevante). Perché funzione della politica è proteggere la
comunità e il di essa benessere e così gli interessi (pubblici) di questa e dei
cittadini, come sostenuto da secoli di pensiero politico realista, da
Machiavelli e Hobbes a Meinecke e Schmitt, passando per Richelieu e Federico il
Grande (tra i tanti).
Fare della
politica una litania di buone intenzioni è funzionale soprattutto ad
individuare l’avversario in colui che non manifesta altrettanta devozione; al momento, soprattutto
Salvini, che “devoto” non è ed è soddisfatto di non esserlo: ma, piuttosto,
ricorda ogni giorno di difendere gli interessi degli italiani.
Speriamo che lui e
Di Maio li perseguano con la stessa coerenza ed efficacia di altri governi
europei, non di quelli italiani che li hanno preceduti.
Teodoro
Kltsche de la Grange
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