BISMARCK E MATTARELLA
Tra le tante
novità che si leggono (e vedono) in questa fase di transizione, e probabilmente
di “dualismo di poteri”, da qualche settimana si attribuisce a Mattarella l’intenzione
- ed il potere – di non firmare la legge di bilancio. La possibilità è stata
ripetutamente avanzata; si è letto (sulla rete) che “il cerino sarà sempre
nelle mani del presidente Mattarella, alla fine. Sarà lui, infatti, che
deciderà con la sua firma se la Legge di bilancio del governo gialloverde sarà
legge dello Stato o meno. E, a dispetto di quanto si pensi, non è una scelta
scontata, né un mero atto formale”. Qualche costituzionalista è intervenuto,
ricordando all’uopo gli artt. 81 e 97 della Costituzione, nonché gli
immancabili vincoli europei e qualche opinione di uffici. La soluzione appare
dubbia.
Piuttosto che
lottare – normativisticamente - fino all’ultimo cavillo, a mio sommesso avviso
occorre prendere esempio da chi giurista (di professione) non era, ma statista
- ed ai massimi livelli - sicuramente
si, come Otto von Bismarck.
Questi, chiamato a
risolvere il conflitto costituzionale prussiano, ed (anche) all’uopo nominato cancelliere
dal Re di Prussia, dette una propria interpretazione del rapporto tra organi
costituzionali relativamente al bilancio dello Stato. In un discorso al Landtag affermò “su ciò che sia giusto
quando nessun bilancio viene approvato, sono state messe insieme teorie sul cui giudizio non voglio qui
impegolarmi”, ma data la diversità delle opinioni giuridiche, la soluzione
data dal “cancelliere di ferro” era altra: “basta per me la necessità che lo Stato esista e che
neanche nelle più pessimistiche visioni si lasci accadere ciò che succederebbe
se la cassa chiudesse. Solo la necessità
è determinante; di questa necessità abbiamo tenuto conto e Loro stessi non
chiedono che noi avremmo dovuto sospendere il pagamento degli interessi e degli
stipendi ai funzionari” (si rivolgeva all’opposizione liberale). Tale teoria fu
chiamata “teoria del gap”: quando c’è
uma “lacuna” costituzionale non si può abolire lo Stato (salus reipublicae suprema lex) rendendone impossibile l’esercizio
delle funzioni; onde (nella monarchia costituzionale prussiana) spettava al Re
– e al suo governo – continuare a garantire il funzionamento (cioè l’esistenza)
dell’istituzione statale, anche senza bilancio approvato.
Una tale
situazione era in linea con quanto avrebbe sostenuto, decenni dopo, Santi
Romano (e non solo).
Piuttosto occorre
chiedersi a chi spetti di “colmare la lacuna” (il bilancio “non firmato”) in
una Repubblica parlamentare come quella italiana
Non c’è dubbio che
più che gli artt. 81 e 97 della costituzione, vadano applicati gli artt. 1 (la
sovranità appartiene al popolo) e l’art. 67 (il Parlamento – anzi ogni membro
di questo - è rappresentante dalla Nazione); tuttavia anche il Presidente della
Repubblica rappresenta “l’unità nazionale” (art. 87) ed ha quindi carattere di
organo rappresentativo.
A risolvere il
problema di chi debba prevalere nel caso della “lacuna” costituzionale soccorre
(a tacer d’altro) il carattere parlamentare
della Repubblica e la teoria di Hauriou del Pouvoir
déliberant. Scriveva il giurista francese che il potere déliberant di una tipica (la prima –
sosteneva – al mondo) repubblica parlamentare come la III Repubblica francese era
quello del parlamento, non essendo limitato alle funzioni legislative, ma colmo
di ben più importanti funzioni politiche (la fiducia al governo, l’approvazione
del bilancio, la ratifica dei trattati, la deliberazione sullo stato di guerra
e così via), il quale aveva così anche il potere di allargare o stringere i
condoni della borsa. Tradotto ai tempi nostri (e tenuto conto che il giurista
francese riteneva comunque principale potere quello governativo-esecutivo), la
“centralità” del parlamento comporta che in caso di contrasto o di “lacuna” sia
questo a colmarla.
D’altra parte, in
una Repubblica parlamentare il governo, ossia il potere che ha in mano l’organizzazione
dello Stato, dipende dalla fiducia del parlamento; mentre nella monarchia
costituzionale dipende da quella del Re.
Difficilmente
l’esperienza e la prudenza del Presidente lo porranno in una situazione di
“conflitto costituzionale” con l’effetto politico di alimentare la straripante
ondata populista; tuttavia è bene ricordare che oltre all’articolo tale e comma
tal altro, le costituzioni – e i rapporti costituzionali – sono fatte per
rendere possibile l’esistenza e l’azione della comunità, e non per impedirle.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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