domenica 28 febbraio 2010

Il “mostro” si difende: «Memoria difensiva». - Testo integrale.

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Non era per nulla prevedibile che la procedura amministrativa di addebito si sarebbe conclusa con il mio pieno proscioglimento. Non perché non fosse evidente fin dall’inizio l’infondatezza e l’illegittimità di tutta la macchinazione messa in atto da un’incredibile concertazione. Ma perché non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che un’amministrazione decidesse di assumere atti consapevolmente illegittimi, per ragioni politiche. Le pressioni erano tali che si poteva ben sacrificare un ricercatore accuratamente isolato, screditato, diffamato. Devo alla «Memoria difensiva» che segue se ho potuto porre in tutta la loro evidenza le ragioni della Verità e della Giustizia.

Come era invece prevedibile, la notizia della mia assoluzione non ha avuto nessuna eco sulla stampa e sui media, fatta eccezione per il quotidiano Rinascita che ha dedicato due intere pagine all’esito del procedimento disciplinare. Qualche altro direttore di giornale, mio personale “nemico”, ha rifiutato il “pezzo” al giornalista che l’aveva redatto. Ed è questa una prova ulteriore della macchinazione studiata a tavolino da almeno tre anni: tutti pronti in coro a diffamare e tutti intenzionati a tacere sul proscioglimento.

Nella «Memoria», che pubblico qui nel suo testo integrale, demandando più minute analisi alla pubblicazione separata delle singole controdeduzioni, sono contenute argomentazioni che superano la trattazione strettamente processuale, per la quale bastava aver dimostrato l’inesistenza del fatto addebitato, sufficiente per il proscioglimento e rilevata dal Collegio di Disciplina. Saggiamente il Collegio non si è pronunciato in merito a questioni storiografiche, non di sua competenza. Sarebbe stato ben grave se lo avesse fatto. Avrebbe dato luogo ad un vero e proprio processo medievale alle streghe, concluso magari – per una volta – con una bella assoluzione.

Occorre ora riflettere sui soggetti che hanno tramato e si sono espressi per la criminalizzazione di una mera opinione, non importa quanto travisata e falsificata. Fra questi non potrò mai dimenticare l’allora presidente della Regione Lazio Marrazzo, che avrebbe voluto guardare nei miei occhi lui che in meno di 24 ore con i suoi occhi non poteva reggere la vista del volto riflesso nello specchio. Ho potuto io vedere il Governatore che nascondeva la sua faccia davanti alle telecamere. E che dire del Sindaco Alemanno – proprio lui! – che, come aveva fatto con il prof. Valvo, chiedeva al Rettore una mia sospensione. E di altri ancora che conserveranno un posto nella mia memoria e ai quali chiederò conto, nelle giuste sedi, della loro diffamazione e degli attentati alla mia libertà di pensiero.

Sommario: Premessa. – Partizione. – Abstract. – Parte I - II - III - Controdeduzioni: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18. – Appendici:

MEMORIA DIFENSIVA
del Dott. Antonio Caracciolo
in relazione all’addebito «se abbia tenuto
Lezioni agli studenti sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica»

Premesso che:

– nel mese di ottobre 2009 io non svolgevo lezioni, seminari, esercitazioni o altra attività didattica, come risulta dal Calendario delle Lezioni, affisso nella Bacheca della Facoltà;
– il quotidiano “La Repubblica” del 22 ottobre 2009, con un articolo del giornalista Marco Pasqua – che estrapolava parole e frasi dal loro contesto, estratte, a loro volta, da alcuni Blog personali a cui dedico il mio tempo libero – mi accusava arbitrariamente di “negazionismo”, sbattendomi in prima pagina, come il classico e proverbiale “mostro” da additare al pubblico ludibrio;
– il prof. F. L. veniva nominato dal Rettore quale Relatore, per raccogliere le mie dichiarazioni in merito ad un quesito di addebito, dove mi si chiedeva: «(…) di confermare o smentire quanto riportato dal giornale “La Repubblica” del 22 ottobre, in particolare relativamente all’avere o meno Ella tenuto lezioni agli studenti sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica»;
– ho immediatamente e tempestivamente inviato categorica smentita a “La Repubblica”, e p. c. al Rettore, prima ancora che mi giungesse la Nota di addebito;
– i miei legali hanno già promosso azione civile, contro il direttore de “La Repubblica”, sig. Ezio Mauro, e contro il giornalista sig. Marco Pasqua, che si allega in copia (v. All. n° 3);
– il “caso” in specie è da me considerato altamente diffamatorio, nonché inteso e percepito come emblematico dell’esistenza o meno in Italia della libertà di pensiero, delle garanzie costituzionali, della democrazia;
La presente Memoria è costituita e raccolta in tre Parti:

1. nella Prima, svolgo argomentazioni relative all’addebito di inizio e prosecuzione del Procedimento;

2. nella Seconda, mi concentro sulla Relazione del prof. L., estraneo alla Cattedra di Filosofia del diritto, nonché sugli allegati al Fascicolo;

3. nella Terza parte, allego il testo della Querela penale contro “La Repubblica”, di cui non ho ancora deciso la presentazione, in aggiunta all’azione civile. Ritengo però che il testo di detta Querela penale sia, in ogni caso, ben descrittivo del fatto e possa quindi essere utilmente allegato come parte Terza di questa Memoria.

Top.

– della Risposta al quesito di addebito, dove confermo di non avere tenuto mai Lezioni universitarie sull’olocausto e si pongono questioni procedurali sulla possibilità e sul diritto di difesa; in ottobre 2009 non svolgevo nessun corso;
– delle controdeduzioni nelle quali sostengo che il Relatore avrebbe dovuto mantenersi entro i limiti del mandato ricevuto e non invece introdurre surrettiziamente o suggestivamente suoi personali e soggettivi giudizi, peraltro infondati in fatto e in diritto, senza che siffatte ricostruzioni siano mai state nelle dovute forme notificate e contestate all’interessato, impossibilitato a difendersi. Ciò ha dato luogo ad una specie di processo inquisitorio segreto, contrario al nostro ordinamento giuridico, dove vengono sottolineate e sindacate mere opinioni, estrapolate dal loro contesto e ricostruite in violazione dell’art. 21 della costituzione.
Alterazione filologica e semantica dell’espressione “cosiddetto olocausto”, erroneamente a me attribuita. Disamina di altre espressioni estrapolate e distaccate dal loro contesto. Né l’inizio né la prosecuzione del procedimento disciplinare ha fondamento alcuno, né in fatto né in diritto.
– Querela penale a “La Repubblica” e/o azione civile per creazione e diffusione di notizie false a scopo diffamatorio.
PARTE PRIMA
Risposta al quesito rettorale

1°) A seguito di un articolo apparso su “La Repubblica” del 22 ottobre 2009 ricevevo per email la Nota di addebito rettorale (v. All. n° 1) con la quale mi si chiedeva se io avessi tenuto lezioni sull’olocausto all’Università, negandone o meno la veridicità storica. Mi veniva fissato il termine del 31 ottobre 2009 per rispondere al quesito e veniva nominato il prof. L. come Relatore delle mie dichiarazioni riguardanti l’addebito. In verità, in ottobre, io non svolgevo nessuna attività didattica, essendo il mio corso di filosofia del diritto (vedi il relativo programma allegato agli atti del procedimento: qui All. n° 5) terminato nel mese di maggio 2009, ossia nel semestre precedente. Non ero neppure all’università nei giorni in cui secondo “La Repubblica” vi sarebbe stato uno “shock” come conseguenza di mie inesistenti lezioni. Anche i giornalisti che mi avvicinavano, cogliendomi di sorpresa, potevano farlo solo presso la mia abitazione o al mio telefono privato, non avendo io in quei giorni impegni di nessun genere all’università. Dal Calendario delle Lezioni affisso nella Bacheca della Facoltà risulta in modo inconfutabile che io in ottobre non potevo assolutamente svolgere quelle Lezioni che da “La Repubblica” mi venivano soggettivamente ed arbitrariamente attribuite e che altri organi, suivers, si sono permessi il lusso di ripercuotere sul “mercato”, acriticamente e pedissequamente.

2°) Per quanto è stato già esposto nella mia formale risposta al Rettore (vedi All. n° 2) e per quanto qui nuovamente si espone, letti gli artt. 3, 21, 33 e 49 della Costituzione italiana, nonché l’art. 1 dello Statuto dei lavoratori, dichiaro di essere stato oggetto di una gratuita ed arbitraria campagna di discriminazione, persecuzione e diffamazione ispirata da una soggettiva e infondata orchestrazione di stampa, alla quale vari soggetti, in buona o in cattiva fede, si sono associati. Una prima denuncia penale è già stata da me presentata alla Procura della Repubblica e portata a conoscenza del Rettore e già agli Atti (v. Fascicolo Procedimento). I miei legali hanno già avuto da me incarico per tutte le altre azioni penali e/o civili di cui rigorosamente valutino esservene gli estremi. Contestualmente a questo procedimento disciplinare è ora promossa azione civile contro il quotidiano “La Repubblica” (v. All. n° 3). Si allega copia degli atti. Insomma, visto il meschino e disonorevole trattamento che mi è stato fino ad ora riservato, ho l’impressione di vivere tutta un’assurda ed orwelliana faccenda, di cui vado progressivamente ricostruendo la trama. Si fa presente, inoltre, che molte delle seguenti controdeduzioni vertono su fatti non riconducibili alla contestazione degli addebiti e quindi esulanti dal tema del presente procedimento disciplinare. Pertanto, vengono trattati solo per completezza e non perché riguardino il contesto giuridicamente rilevante.

3°) Avendo risposto al semplice quesito rettorale (All. n° 2), cioè di non aver io mai tenuto lezioni all’Università sull’olocausto né in ottobre del corrente anno 2009 – come falsamente attribuitomi da “La Repubblica” – né mai nei passati anni accademici, come può riscontrasi chiamando, come testimonio, la prof. T. S., titolare della cattedra di Filosofia del diritto, ritenevo concluso già al suo inizio il procedimento di addebito. Invece, con mio sommo stupore, trovo una sua prosecuzione con richiesta di mia sospensione dall’ufficio e dallo stipendio sulla base di «elementi» che mai – in nessuna occasione – mi sono stati sottoposti, né specificati né addebitati. Mi trovo, pertanto, nella condizione di non potermi difendere, non sapendo a quali precise imputazioni io debba rispondere.

4°) Ad ogni buon conto, non volendo lasciare nulla di intentato per la mia difesa, intervengo con controdeduzioni su «elementi» – estranei alla Nota di addebito a me pervenuta – che mi sembra di ravvisare tanto nella Relazione del prof. L. quanto nel Fascicolo consegnato dal Rettorato al Consiglio di Disciplina. Pur avendone fatto copia, ed avendolo nel frattempo studiato, non riesco a cogliere la pertinenza e la logica di ogni singolo allegato, se posto in relazione al solo addebito al quale mi è stato chiesto di rispondere e sul quale dovermi difendere, cioè: l’avere io tenuto o meno Lezioni agli studenti sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica. Un quesito consistente in due parti e momenti logici: a) l’esistenza di siffatte lezioni; b) la veridicità storica dell’evento evocato, che mi si sarebbe chiesto eventualmente di dimostrare scientificamente. Non essendosi mai verificato il momento a, logica vuole che non sussista il successivo momento b. A meno che non si intenda entrare nella mia sfera privata e chiedermi di giustificare, in sede disciplinare, mie personali e private opinioni, per giunta da altri travisate e falsificate. Non mi sembra però che un Consiglio di Disciplina sia la sede adatta per dibattere opinioni tutelate dall’art. 21 della Costituzione. Sono tuttavia disposto a rispondere a qualsiasi domanda mi si voglia fare.
5°) Le opinioni politiche e dottrinali a me attribuite, falsamente interpretate e costruite, rientrano in ogni caso nell’ambito degli artt. 21 e 33 della Costituzione italiana, oltre ad essere comprese nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, come pure nell’ambito dell’art. 49, il mio specifico diritto alla “critica politica”. Siffatte opinioni, in ogni caso, non sono mai state oggetto del mio insegnamento universitario. Pur essendo stato sempre autonomo nelle mie ricerche e nei miei studi scientifici, per quanto riguarda la mia posizione in Facoltà, il contenuto delle mie lezioni, oltre che il mio comportamento agli esami e la correttezza nei confronti degli studenti posso chiamare a testimoniare la già citata prof.ssa T. S., titolare dell’insegnamento di filosofia del diritto. Benché abbia incessantemente chiesto spiegazioni sulla natura dell’addebito che mi veniva contestato, non ho mai ottenuto i richiesti chiarimenti. Orbene, delle mere opinioni, quali che siano, non possono in quanto tali ledere la «dignità» e l’«onore» di un professore. Una simile lesione può ascriversi solo ad una concreta e provata condotta. Non mi è stata però mai contestata, e non poteva essere altrimenti, nessuna condotta che potesse ledere il mio stesso «onore» e «dignità» – per giunta che verrebbe autolesionisticamente da me stesso leso – né dentro, né fuori, l’università. Il pensiero è l’espressione più autentica del nostro essere. La nostra coscienza morale ci consente inoltre di sentire quando adottiamo una condotta che concreti un fare disonorevole e non dignitoso. Ma nessun essere pensante considera disonorevole e non dignitoso il suo stesso pensiero. Proprio perché è l’espressione più autentica del nostro essere, la Costituzione tutela il pensiero e la sua libertà, e così facendo tutela l’essere stesso che era già stato richiamato nell’art. 3. Solo un altro che ci sia apertamente “nemico” può considerare disonorevole e non dignitoso il nostro pensiero, cioè noi stessi. Ma questa, è proprio una delle innumerevoli forme subdole di razzismo e/o di discriminazione che si annidano nella nostra società e che sempre riemergono, anche quando si dice di voler combattere e reprimere il razzismo e la discriminazione. Era proprio questo concetto – ossia la denuncia e la condanna di un razzismo immanente nelle società e perfino in noi stessi – che io avevo inteso esprimere in uno dei miei testi studiatamente manipolati dal quotidiano “La Repubblica”.

6°) Per quanto sopra detto, ritengo perciò infondato e immotivato, sia l’inizio della procedura di addebito, sia la sua prosecuzione. In effetti, come si legge in Pascal – nella Prima lettera delle “Provinciali” – non esiste qui né il fatto né il diritto.

PARTE SECONDA
Controdeduzioni alla Relazione del prof. L.
e ai documenti da lui allegati
– Sulle mie presunte “posizioni personali” –

7°) Nella parte “conclusiva” della sua Relazione il prof. L. mi attribuisce la paternità dell’espressione «cosiddetto olocausto», utilizzando impropriamente una mia email del 25 ottobre 2009, a lui inviata al mero scopo di illustrare le falsificazioni de “La Repubblica”. Non certo avrei inviato quella lettera al prof. L. perché mi venisse ritorta contro. Lo stesso testo compare peraltro in un più ampio articolo esplicativo (vedi qui mio allegato n° 8) che allo stesso scopo avevo prodotto presso la Segreteria del Rettore, oltre l’esiguo termine di una settimana concessomi per rispondere al quesito di addebito. Stranamente, il prof. L. non coglie tuttavia l’elemento scriminante del testo pur da lui riportato (“non intendevo negare alcunché”) e privilegia invece di significati oscuri e ambigui la mera espressione “cosiddetto olocausto”, la cui paternità risale ad un fiero avversario di negazionisti, che – per motivate ragioni – scriveva ostinatamente “cosiddetto olocausto”. Ma di ciò più avanti. Se la mia lettera sopra citata, del 25 ottobre, non era assolutamente da allegare, per il senso attribuito, si omette invece, stranamente, qualsiasi menzione ad altra lettera, al ‘Corriere della Sera, da me espressamente allegata nella risposta formale all’addebito, e dove si trova la esatta frase, estratta qui dal contesto di una lettera cautelativa (v. All. n° 2 ):
“Non sono un negazionista”.
Insomma, si preferisce evidenziare, in uno stesso identico contesto, ciò che mi condanna e non ciò che mi assolve: in dubio contra reum? Questa indebita e sorprendente falsa attribuzione (“cosiddetto olocausto”) sembra qui rivestire particolare gravità per la luce che proietta e per ciò che forse vorrebbe lasciar intendere, quasi un segnale di riconoscimento, uno “scibboleth”. Il prof. L. scrive testualmente:
«(…) di quello che da lui viene definito “cosiddetto olocausto”»;
laddove nel mio testo, da lui stesso allegato, si legge invece esattamente:
«Per l’uso dell’espressione “cosiddetto olocausto” posso rinviare allo storico ebreo Sion Segre Amar»,
la cui autorevole posizione (All. n° 4) era stata, tre anni fa, riportata da me per un’analisi teologico-politica in un contesto extra-universitario alquanto ampio. Orbene, secondo il mio modo di intendere e praticare la lingua italiana, in nessun modo si può evincere che l’espressione «cosiddetto olocausto» sia mia e non invece dello stesso storico ebreo Sion Segre Amar, da me citato per commentare il senso della sua, e non mia, espressione linguistica (All. n° 4). Questo sintetico rinvio, formulato anni addietro all’interno di un’aspra polemica che ebbe ricadute in numerose lettere – di cui due mie – pubblicate dal quotidiano “La Stampa”, non è stato – dal prof. L. – a me contestato nei colloqui intercorsi. Se lo avesse fatto, avrei potuto immediatamente chiarirgli quanto qui cerco di fare nel modo più sintetico possibile.


8°) Lo storico ebreo Sion Segre Amar, morto anni or sono, a me risulta essere stato un ebreo eminente, assai autorevole ed organico all’interno della comunità ebraica torinese. Proprio lui criticava severamente l’uso del termine «olocausto» per indicare l’evento storico qui in oggetto. Si legga il testo allegato (v. All. n° 4) di un suo articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” il 3 maggio 1994. In quell’articolo, infatti, Sion Segre Amar si lamentava della connotazione religiosa del termine, di cui – essendo ormai invalso l’uso – si peritava di scrivere «cosiddetto olocausto», ogni volta che si fosse trovato a doverne trattare. Mentre mi sono sempre astenuto dal merito della fenomenologia storica dell’evento, non avendo io specifiche competenze disciplinari e fatta salva l’indiscussa pietà per le vittime, rientravano – nella circostanza data e delimitata – invece nelle mie competenze e nei miei interessi intellettuali, gli aspetti di teologia politica connessi all’uso del termine, avendo io tradotto e prefato il volume “Teologia Politica II”, di Carl Schmitt. Un autore del quale – dice il prof. L. – «essere io uno dei maggiori cultori in Italia». Sembra che le osservazioni dello storico ebreo Sion Segre Amar siano state accolte all’interno dello stesso mondo ebraico e si vada progressivamente sostituendo al termine «olocausto» quello di «Shoah», che non è la semplice traduzione del primo. Sul concetto di “Shoah” cito al riguardo fugacemente il libro di Avraham Burg, già ai vertici mondiali della politica e dell’associazionismo ebraico. Egli critica peraltro il rilievo eccessivo dato alla Shoah e ad Auschwitz nella politica e nel sistema educativo dello Stato di Israele. Per non citare, poi, sullo stesso tema le posizioni eterodosse di un Gilad Atzmon o di un Norman G. Finkelstein, entrambi note personalità del mondo ebraico, che non è tutto monolitico in merito al sionismo e alla Shoah, come è ben illustrato da altro studioso ebreo di nome Yakov M. Rabkin ovvero rappresentato dagli haredim di Neturei Karta.

9°) Poco prima, nel suo testo, il prof. L. riferisce circa le mie “curiosità intellettuali”, facendomi pensare – nel leggere la sua relazione – all’accezione che il termine “curiosità” ha nella giurisprudenza penale, dove mi pare che sia spesso sinonimo di “frivolezza” e sia visto negativamente. In filosofia, però, il termine “curiosità”, non è sinonimo di “frivolezza”, almeno nelle intenzioni e nella comune accezione mia e del compianto Antimo Negri, annoverato fra i maggiori filosofi italiani contemporanei. Trattasi pur sempre per il mio testo, quello riportato dal prof. L., di una bozza abbandonata e dimenticata da anni, per la quale non avrei mai e poi mai immaginato sarebbe finita in un processo inquisitorio. Tuttavia, essendo io “filosofo”, e non un giurista penalista, il tema della “curiosità” era oggetto di conversazione nelle passeggiate che facevamo con Antimo Negri, mio compianto amico, morto da qualche anno. Ricercando i fondamenti della filosofia, il suo momento di nascita nell’antica Grecia, convenivamo che esso dovesse individuarsi nella “curiosità intellettuale” che è all’origine di ogni ricerca, di ogni sapere, di ogni filosofia. Dunque, il termine “curiosità” in filosofia non è sinonimo di “frivolezza”, almeno per me e per Antimo Negri. La letteratura sulla “curiosità” in filosofia è sterminata.

10°) Stupisce, invece, che dal mio testo in questione, pur allegato dal Relatore, non sia stata neppure menzionata quella espressione che era più direttamente attinente e dirimente il tema evocato dal quesito di addebito. Infatti, si può leggere:
«(…) i miei iniziali ed autonomi intendimenti non erano di “negare” alcunché…».
Lo stesso concetto – non essere io un “negazionista” – ricorre poi più volte nel contesto dello stesso ampio articolo, da cui il brano era estratto. Se l’addebito voleva essere quello di “negazionismo” (del resto, non previsto, sotto nessuna forma dal codice penale), non poteva esservi affermazione più scriminante! Il verbo all’imperfetto si riferiva alle delucidazioni fornite nel corso di un’acre polemica, avviata l’anno precedente da una testata militante. Già allora, sotto l’indicazione del mio titolo, di cui non è stato letto altro (solo il titolo… Peraltro contraffacendolo!), era contenuta la piena solidarietà con le vittime, tutte le vittime, con piena condivisione dei valori costituzionali richiamati dall’art. 3 della nostra Costituzione e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo. Il post era una semplice raccolta di links che venivano da me descritti e commentati. Uno di questi, se ben ricordo, si riferiva al caso di un Ministro tedesco della Giustizia: una donna, che veniva subito dimissionata, per aver affermato che George W. Bush, scatenando – lui – una guerra preventiva, non si era comportato diversamente da Hitler. Occasionalmente, osservo che il titolo de “La Repubblica” è un clamoroso ed ingiustificabile falso, non esistendo – in nessuna parte delle migliaia e migliaia di miei testi in rete – la frase: «L’olocausto è una leggenda», dove per leggenda il giornalista Marco Pasqua (“La Repubblica”) intende e lascia intendere che l’evento storico evocato «non esiste». Assolutamente non è così che ho io inteso e non è questo il senso che ho dato al termine “leggenda”, chiarito poi come “mito” e soprattutto collegato ad un tema dibattuto in Germania e posto da un Ministro tedesco circa l’uso di Auschwitz come “mito” fondativo della Repubblica federale tedesca. Questo tema era sottinteso, ma non fu sviluppato. A riprova della scorrettezza e della malafede dell’articolista de “La Repubblica” sarebbe stato sufficiente che quest’ultimo avesse letto poche righe sotto il titolo, da lui fotograficamente riportato, per avere la testuale sconfessione delle sue medesime e gratuite affermazioni. Certo, non potevo immaginare che un’aspra polemica sarebbe stata ripresa tre anni dopo, facendone riferimento a presunte mie lezioni mai avvenute, e posta al centro di una studiata orchestrazione di stampa. È un distinto problema da valutare, se ad un ricercatore – non in quanto tale ma nella sua veste di privato cittadino – sia inibito l’uso privato, all’interno della sua abitazione, delle moderne tecnologie informatiche di comunicazione. Infatti, il mio uso della rete – qui contemplato – è una faccenda del tutto privata che, in nessun modo, rientra o interferisce con la mia attività universitaria. Potrei fare un lungo elenco di docenti italiani e stranieri che dispongono di una loro pagina privata sul web, senza entrare nel merito dei loro contenuti. Lo stesso giornalista Marco Pasqua, quando non scrive su “Repubblica”, ha un suo proprio blog, dove non fa certo mistero delle posizioni politiche che gli sono proprie, e che egli reputa – evidentemente – insindacabili, e tali da non poter essere criticate.

11°) Come già per altri termini da me usati, il Relatore, prof. L., sembra suggestivamente caricare di negatività l’uso dell’espressione

«semplice ‘sterminio’ di popolazioni…»,

dove, per fortuna, gli apicetti dovrebbero essere originali miei, quasi lasciando tacitamente intendere che, per me, uno ‘sterminio’ ovvero un genocidio non sia qualcosa di estremamente grave, il più grave di tutti i possibili crimini. Probabilmente l’espressione è infelice, ma non potevo immaginare che sarebbe poi finita, anni dopo, in un fascicolo investigativo. Se l’espressione può essere infelice, ho però bene in mente cosa intendevo effettivamente dire. Nella mia biblioteca si trova un libro dal titolo: Il secolo dei genocidi, dove è fatto un elenco ed una tipologia dei genocidi registrati come tali in tutta la storia del Novecento. Conosco anche un altro titolo che fa la storia dei massacri e dei genocidi durante gli ultimi 2000 anni. Per fare solo alcuni esempi, recenti, lo storico Ilan Pappe spiega in un suo libro, che sta suscitando forti reazioni in tutto il mondo, “La pulizia etnica della Palestina”, avvenuta nel 1948, che la “pulizia etnica” è equiparata nella più recente legislazione internazionale ad un vero e proprio “genocidio”, che chiaramente si distingue dallo “sterminio”: cioè, dalla semplice uccisione di popolazioni mediante uso di armi convenzionali. Altro esempio, indicato dalla normativa ONU come forma di “genocidio” è la decapitazione delle classi dirigenti di un popolo mediante uccisione mirata e sistematica di tutti i suoi capi e leaders. Per non parlare, poi, della più recente ricerca in campo militare biologico, dove sulla base della mappatura del genoma, sembra si stiano individuando virus patogeni che dovrebbero selettivamente colpire determinate etnie, escludendo le altre. Si potrebbe perfino concludere che il “genocidio semplice”, mediante ‘sterminio’ fisico, difficile da occultare, è sempre meno praticato, preferendosi altre forme più discrete ed al riparo dall’attenzione dei media (controllabili) e soprattutto dalla reazione della comune coscienza morale: morte per fame e malnutrizione (oltre due miliardi di persone, nel mondo), malattie e mancato soccorso medico, epidemie procurate, avvelenamento e contaminazione dell’ambiente, pulizia etnica, decimazione e decapitazione di gruppi etnici, ecc. È di questi giorni la notizia che in Gaza come conseguenza della contaminazione ambientale dell’operazione “Piombo fuso”, giusto un anno fa, si siano già registrate le prime nascite di bambini deformi o affetti da tumori. Se sopravviveranno, porteranno per tutta la vita le stimmate di un ‘genocidio’ che non potrei certo considerare ‘semplice’ e che non so come altrimenti definire, mancando nel lessico corrente un’espressione standardizzata. Ma qui soprattutto si tratta di una divisione delle coscienze su un fatto storico contemporaneo della nostra quotidianità, dove con tutta la sua forza bruta agisce la politica, volta a condizionare l’opinione e la formazione della coscienza morale.

12°) Orbene, astraendo da qualsiasi contesto di luogo e di tempo, per non so quali fini, il Relatore prof. L. introduce l’espressione «semplice ‘sterminio’», di cui nessun accenno è stato fatto nelle nostre conversazioni e di cui non posso determinare il senso che lui voglia dare. Lo stesso dicasi per tutte le altre espressioni, artatamente riprese dai miei blogs personali, e caricate di oscuri e sinistri significati, ma senza che esse mi siano mai state direttamente ed esplicitamente contestate.

13°) Riguardo al mio pensiero, sarei nondimeno lieto di poter discutere le mie modeste opinioni con chiunque ritenga che esse meritino attenzione: possibilmente, non in una sede disciplinare. Ma, nella sua specifica funzione di Relatore, il prof. L. – incaricato soltanto di accertare l’addebito rettorale in merito al fatto se io avessi o non tenuto Lezioni sull’olocausto all’Università – non mi ha tuttavia contestato nessuna mia opinione, che fuori dell’ambito dell’art. 21 della Costituzione, possa costituire uno specifico ed ulteriore titolo di addebito, peraltro mai specificato. Pertanto, appaiono illazioni, tanto gratuite quanto infondate, le ricostruzioni sulle mie «posizioni personali», chiaramente diverse e antitetiche, sul piano politico, a quelle del prof. L.. È infine sorprendente che il Relatore, più di me esperto di internet, non abbia individuato il brano, da lui riportato, in tutto il suo contesto di un articolo molto più ampio, presente in rete da circa tre anni, e di cui mi ero perfino dimenticato. Non avrebbe dovuto dar credito al quotidiano “La Repubblica” – per opera di un suo giornalista, politicamente schierato – interessato a realizzare il suo “scoop” scandalistico, a danno di un suo avversario. Leggendo il mio articolo nella sua interezza, infatti, vengono meno tutte le congetture sollevate dal Relatore, ed appare plausibile quel “dibattito” (su un blog personale), a cui il titolo espressamente rinviava.

14°) Nella documentazione allegata al Procedimento (qui, All. n° 8) – non tanto per illustrare la risposta al semplice quesito di addebito, risolvibile con un semplice “si” o “no”, ma quanto per offrire un esempio di stralcio di «posizione personale», si trova del materiale pubblicitario riguardante una campagna internazionale di boicottaggio dello Stato di Israele, sul modello di una prassi, non violenta, già in uso nella vittoriosa campagna contro il regime di Apartheid sudafricano. Un siffatto materiale non è per nulla pertinente alla Nota di addebito e si tratta di etichette adesive pubblicitarie illustrative di alcuni articoli del blog. Altro materiale allegato è del pari non pertinente e sarebbe qui macchinoso doverne trattare analiticamente.

15°) Trovo invece strumentale che nella individuazione e descrizione di una mia presunta «posizione personale» venga totalmente omesso, nessuno accenno sia fatto, alla «posizione personale» effettivamente da me espressa e caratterizzante nel caso addebitatomi, e cioè: mentre mi dichiaro estraneo ed incompetente in merito al «cosiddetto negazionismo», esprimo e rivendico invece, in qualità di filosofo del diritto – oltre che come cittadino – il mio attivismo per la strenua difesa del principio costituzionale della libertà di pensiero e di ricerca, che occorre riconoscere, incominciando dai più deboli e meno protetti. Avevo perfino quantificato in circa 15.000 il numero delle persone che nella sola Germania ogni anno vengono perseguiti penalmente per meri reati di opinione, contrari alla lettera e allo spirito, non solo della nostra Costituzione (art. 21), ma anche alla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e alla stessa Carta europea dei diritti. Di questa mia «posizione personale», più volte da me evidenziata e pubblicamente espressa, non è fatto nessun cenno dal Relatore prof. L., che si è limitato, purtroppo, ad assecondare una campagna di stampa arbitraria e diffamatoria contro la mia persona senza che vengano mai riportate le mie smentite e le mie precisazioni. Secondo un “copione” ben collaudato, è risaputo che la strategia ordinariamente seguita da questo genere di diffamatori, tenta di collocare l’accusato di turno (cioè, me) su un piano del discorso che essi stessi hanno scelto (cioè, il “negazionismo”), obbligando il loro interlocutore a stare necessariamente sulla difensiva. Il piano di discorso che io, da almeno tre anni, tento di intavolare, è invece un’altro: la difesa del principio della libertà di pensiero, sempre e comunque. Che io non sia o almeno non mi dichiari un “negazionista” – termine moderno per indicare la «strega», l’«eretico», l’«untore», etc. – è stato detto, tre anni fa, in modo inequivocabile, almeno due volte nel testo internet che il prof. L. ed i falsificatori de “La Repubblica” – quotidiano contro il quale promuovo contestualmente azione legale – pur citano, senza leggere (un caso?) le righe seguenti e i paragrafi successivi che contraddicono e sconfessano quanto pretendono di attribuirmi. In altre parole, si altera il senso di mie frasi testuali e si tace del tutto la problematica che avevo inteso porre ed evidenziare: cioè, il grande pericolo che incombe in Europa ed ora, anche in Italia, sulla libertà di pensiero.

16°) Riguardo la mia collocazione non sul piano del “negazionismo” – dove artatamente ed abusivamente mi si vuole inserire – ma su quello della tutela della libertà di pensiero si trova nel fascicolo rettorale una corrispondenza (qui al mio All. n° 8) di cui non è chiarito per nulla il senso. Non si comprende perché stia nel fascicolo e non è data nessuna spiegazione. Non è neppure chiaro da chi sia stata allegata e perché. Tocca perciò a me darne qui una spiegazione. Terminata la presidenza di facoltà del prof. L. ed iniziata qualche anno fa quella del prof. Rossi, mi ero io fatto promotore di una proposta associativa universitaria nazionale ed europea con sede presso la Facoltà di Scienze Politiche. Essa, riunendo personalità rappresentative, avrebbe dovuto occuparsi di un costante monitoraggio italiano ed europeo e quindi di iniziative a tutela della libertà di pensiero. Il tentativo, fortunatamente abortito, da parte del ministro Mastella di introdurre anche in Italia la legislazione tedesca, aveva lasciato non poche preoccupazioni in me e in parecchi altri colleghi. Avevo informalmente accennato la cosa al nuovo preside che non era ostile all’idea, pur ponendo qualche condizione operativa. Non avevo potuto però avanzare nella realizzazione del progetto, gravato com’ero dagli ordinari impegni. Paradossalmente, proprio l’orchestrazione di stampa, messa in piedi contro di me, su un inesistente caso di “negazionismo”, aveva creato una certa pubblicità ed erano giunte adesioni e sostegni che mi avevano fatto ripensare a questo precedente progetto, oggi più attuale che mai. Da varie università italiane, dalla Germania, dalla Francia, dalla Spagna e da altri Paesi si è manifestata una sensibilità al problema e pure avvertita la necessità di fare qualcosa. È a tutti perfettamente chiaro che non si tratta qui di “negazionismo”, ma di difesa della libertà di pensiero, certamente minacciata e in serio pericolo. Voglio sperare che – come si suol dire – non tutto il male venga per nuocere, e cioè: concluso al più presto il presente procedimento disciplinare, acclarata la mia assoluta innocenza rispetto all’addebito e ad ogni altra insinuazione, possa prendere corpo ed impulso quella che era finora solo un’idea in gestazione. E che sia proprio l’Università di Roma La Sapienza e la Facoltà di Scienze Politiche a farsi promotrice e sede istituzionale di una grande aggregazione europea per il Monitoraggio costante e la Difesa della libertà di pensiero e di ricerca in tutti i luoghi dove essa appare violata o minacciata. La corrispondenza intercettata ed allegata al fascicolo rettorale aveva ed ha questo senso e nessun altro: creare una mobilitazione in difesa dei valori costituzionali contenuti nell’art. 21 della costituzione. È probabile che in un clima di caccia alle streghe vi sia stato qualche malinteso, del tutto ingiustificato.

17°) Per riassumere e per una migliore intelligenza del mio testo, che è stato allegato al suo rapporto dallo stesso prof. L., trovo utile riportarne integralmente il contenuto, per poi ricapitolarne la manipolazione messa in atto da “La Repubblica”. Così recita il breve testo che è stato successivamente e completamente stravolto, nel suo senso letterale, dal giornalista Pasqua de “La Repubblica”:
«Il tema del “cosiddetto olocausto” era per me poco più di una curiosità intellettuale, ma dopo gli incredibili attentati alle libertà democratiche a proposito del caso teramano, che è soltanto un fatto di provincia, diventa per me un obbligo morale conoscere in modo diretto tutta quella letteratura che è stata posta sotto divieto da una ben individuabile lobby.
Per l’uso dell’espressione “cosiddetto olocausto” posso rinviare allo storico ebreo Sion Segre Amar, ma i miei iniziali ed autonomi intendimenti non erano di “negare” alcunché: sulla semplice espressione linguistica si è costruita un’incredibile polemica da caccia alle streghe finita su uno dei maggiori quotidiani d’Italia!
Le mie espressioni esprimevano soltanto l’incomprensibilità linguistica e storica di un termine a valenza religiosa e la mia riluttanza e fastidio ad utilizzarlo per definire un semplice “sterminio” di popolazioni, ammesso che vi sia stato. Non immaginavo le reazioni che avrei scatenato. Invece “leggenda” vuole alludere ad un misto di verità confuso con falsità e soprattutto strumentalizzazioni. Potrei anche usare l’espressione “mito” nel senso soreliano. Infatti, non mi pare dubbio che sull’olocausto il neo stato d’Israele abbia inteso fabbricare il suo mito fondativo. Ed i miti, si sa, non bisogna toccarli e disturbarli».
Il testo sopra riportato si trova nel corpo di uno degli oltre 1300 articoli di cui consistono i due blogs qui citati, su circa una trentina complessivi, e in quel contesto vanno interpretati. L’articolista de “La Repubblica” si è esclusivamente limitato a citarne il titolo: «La leggenda dell’olocausto: riapertura di un dibattito» senza minimamente darsi la cura di leggere ciò che sotto quel titolo era scritto. Non soddisfatto di ciò, ha alterato il mio titolo che è diventato per “La Repubblica”: «L’olocausto è una leggenda», titolo che è un vero e proprio falso, che si accompagna ad altro falso: “shock alla Sapienza”, uno shock, in realtà, creato ad hoc dallo stesso quotidiano, non esistendo né il giorno prima né mai nessuno “shock” come conseguenza delle mie lezioni, che peraltro – come ho già accennato – non erano in corso durante il mese di ottobre, ma erano terminate, in maggio, nel semestre precedente. Una simile titolazione altera il senso inequivocabile di quanto da me scritto poco sotto il titolo anni prima: i miei «intendimenti non erano di “negare” alcunché», richiamando una vecchia polemica già intentata circa tre anni or sono da una veemente, volgare e faziosissima testata della Rete, nel cui archivio ha attinto il giornalista Marco Pasqua, che scrive anche su “La Repubblica”, ma che ha – nella Rete stessa – una sua ben individuabile appartenenza e militanza politica. Questa testata è stata da me monitorata da quando avevano incominciato ad attaccarmi, proprio sul solo titolo in questione, senza neppure curarsi di leggere ciò che sotto il titolo era scritto. Nessuno degli storici revisionisti, che io sappia, nega l’esistenza della tragedia dei campi di concentramento. Gli aspetti storiografici controversi, mi pare, riguardano singole problematiche, su cui non ritengo di dilungarmi in questa sede. Ma a parte il merito delle questioni storiche, la mia annunciata escursione di testi revisionisti aveva uno scopo preminente: stabilire se l’avere scritto dei meri testi di critica storica poteva meritare la prigione, oltre che la “gogna”, ai loro autori. La mia conclusione è che l’attività di critica storica di eventi, ogni anno sempre più remoti, rientra perfettamente nell’attività lecita e costituzionalmente garantita dagli artt. 21 e 33 della nostra Costituzione, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, dalla Carta europea. Orbene, allo stesso modo in cui “La Repubblica” si è inventata di sana piana l’espressione a me attribuita «L’olocausto è una leggenda», suscita pure ambiguità l’espressione «cosiddetto olocausto», di cui nella Relazione. Se il prof. L. mi avesse reso edotto prima, gli avrei mandato l’articolo di Sion Segre Amar, pur presente nel mio blog e dove era chiarito il senso del termine. Del resto, l’espressione in sé è filologicamente neutra ed io mai avrei immaginato di doverne rispondere in una sorta di processo alle intenzioni. In altra epoca, un Censore disse della «Divina Commedia» – non avendo letto altro che il titolo – che trattavasi di blasfemia facendosi “commedia” di cose “divine”.

18°) Secondo la migliore giurisprudenza – rinvio al “caso” francese di Edgar Morin, sul quale non posso attardarmi – il senso di un pensiero si deve ricostruire in tutto il suo contesto. La maggior parte degli oltre miei 1300 post, rimasti spesso allo stato di bozze abbandonate, nei soli due blog personali citati, concernono soprattutto la problematica della libertà di pensiero in tutte le situazioni concrete in cui essa appare minacciata e/o conculcata. In sostanza, esprimo le mie opinioni politiche in libertà e senza timori, fiducioso nella solidità della nostra democrazia. E, come militante politico, ho inteso esercitare uno specifico e aggiuntivo diritto di critica politica. Atteso il mandato da lui ricevuto per la verifica dell’addebito (“aver o non aver tenuto Lezioni...”) non riesco a capire la pertinenza del materiale da lui allegato. Ad esempio, quello relativo ad un articolo da me ripreso da un organo di stampa e, quindi, commentato, dove si parla di clandestini provenienti dal Sudan che vengono non “accolti” alla frontiera di Israele, ma uccisi a fucilate – sia pure da Egiziani – e seppelliti davanti ad un cimitero israeliano. Il fatto è stato da me commentato, certamente con indignazione, ma non capisco proprio perché il prof. L. abbia pensato di allegare al fascicolo quel mio testo. Rilevo con forza come ciò non sia pertinente con il suo mandato di verifica dell’addebito: “avere o non avere io tenuto Lezioni sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica”.
PQM

Per questi motivi, sopra sommariamente elencati, ritengo accettabile la Relazione del prof. L. solo nella parte in cui si limita a riferire in merito al quesito posto dall’addebito rettorale, e cioè nella constatazione del non aver mai io tenuto lezioni agli studenti in materia di olocausto, atteso che bastava leggere il calendario dei corsi per constatare che in ottobre io non svolgevo nessuna attività didattica; mentre ritengo inaccettabile e inammissibile la parte dove egli, in modo erroneo, non vero e inattendibile, descrive mie «posizioni personali». In particolare, è totalmente erronea, infondata, non pertinente l’attribuzione dell’espressione «cosiddetto olocausto», a me attribuita, nonché la ricostruzione del senso di altre espressioni, totalmente sganciate dal loro specifico contesto. Ritengo, in fine, completamente infondato, in fatto e diritto, l’addebito a me mosso dal Rettore, al quale ero disponibile a dare tempestivi chiarimenti e rassicurazioni di ogni genere, qualora mi avesse semplicemente chiamato.

A riprova di quanto da me espresso, riguardo il contenuto dei miei corsi e delle mie lezioni, si potrebbero chiamare a testimoniare sia la già citata titolare della cattedra di Filosofia del diritto, prof. ord. T. S., sia i colleghi che nel corso degli anni hanno fatto parte delle commissioni di esami, sia gli studenti che si riescano a rintracciare. Con riserva finale lasciata ai miei legali – Avv. Teodoro Klitsche de la Grange e Avv. Aldo Costa – di rappresentare, riformulare e illustrare meglio in tutte le sedi competenti e opportune quanto da me qui espresso.
In fede
Antonio Caracciolo
Roma, 5 gennaio 2009
PARTE TERZA
Allegato del testo di querela penale
al giornalista Marco Pasqua e al Direttore Ezio Mauro

– Mi resta ancora da decidere, nei termini dei 90 giorni che decorrono dal 22 ottobre 2009, se sia opportuno aggiungere all’azione civile già avviata anche l’azione penale. Il presente testo è comunque utile per una descrizione dei fatti.

Al Commissariato di P.S.
presso l’Università di Roma “La Sapienza”

Oggetto: querela per creazione e diffusione di notizie false e tendenziose e di conseguenza, per diffamazione, contro il giornalista di Repubblica Marco Pasqua e contro il direttore Responsabile Ezio Mauro.

In data 22 ottobre 2009 usciva sul quotidiano a tiratura nazionale “La Repubblica”, in prima pagina e a pagina 25, un articolo (che si allega) di Marco Pasqua, che lo immette poi in rete, nel suo blog, facendolo circolare in numerosi siti.

In merito al suddetto articolo non è qui presentata querela contro le palesi falsificazioni e caricature del mio pensiero, ma è invece oggetto della presente querela il fatto che il Pasqua ascrive a contenuto delle mie lezioni all’università di Roma La Sapienza quanto da lui stesso e solo da lui artatamente ricostruito in assenza di ogni mio contesto e mio contradditorio.

In non ho mai detto ai miei studenti, o in sede universitaria, la frase virgolettata da Repubblica: “L’olocausto è una leggenda” né che «l’olocausto non esiste» né simili espressioni si trovano mai neppure scritte nei miei blogs pur citati da Pasqua. Anzi si trova il contrario.

Il giornalista Pasqua irride sul fatto che io abbia numerosi blogs privati, su un server e un sito che non è dell’università. Su oltre trenta blog ve n’è ad esempio uno di archivistica parrocchiale, dove vado digitalizzando l’anagrafe storica. Ebbene, la storia della parrocchia non è certo argomento delle mie lezioni di filosofia del diritto all’università di Roma La Sapienza! Ognuno di noi, fuori servizio, ha pieno diritto alla sua vita privata, dove può dedicarsi – se crede – tanto all’attività politica quanto al giardinaggio, all’archivistica, alla fotografia, alla storia locale, alla filosofia, etc.

Nella titolazione de “La Repubblica” si dice grottescamente che vi sarebbe stato uno «Shock alla Sapienza», intendendo e facendo intendere: a causa delle mie lezioni. Fino al giorno prima dell’uscita dell’articolo de “La Repubblica” alla Sapienza non vi era proprio nessuno “shock”; esso è stato creato ex nihilo, dal nulla, solamente da “La Repubblica” come conseguenza delle falsità pubblicate, diffuse, amplificate da una rete di complicità. Il grottesco è che io, in ottobre, non svolgevo nessuna attività didattica, essendosi il mio corso concluso nel mese di maggio, nel semestre precedente. Nei giorni dello “shock”, che sarebbe stato da me causato, non ero neppure presente all’università!

Che non sia solo un problema di titolazione, dovute al “titolista”, ma si tratti di opera dello stesso Pasqua lo si evince dalla frase testuale del suo articolo, dove egli scrive: «C’è da chiedersi, allora, se tra i suoi studenti… qualcuno si sia mai ribellato». Tra i miei studenti nessuno si è mai “ribellato” perché non hanno mai sentito da me le cose che il giornalista Pasqua mi ha attribuito. Non so che faccia abbia il Marco Pasqua, ma il suo nome non risulta dal registro dei miei studenti.

Non sono certamente miei studenti, ma suoi lettori, gli ignoti che sui muri della mia Facoltà hanno affisso manifesti istiganti al mio omicidio o a percosse. Ho già presentato al riguardo separata querela contro ignoti. Dal procedimento amministrativo, seguito dell’articolo del Pasqua, è subito emerso che da me non sono mai state fatte le Lezioni (olocausto, Priebke, leggi razziali, etc.) che Pasqua mi attribuisce. La malafede del Pasqua emerge dallo stesso articolo de “La Repubblica” dove è fotograficamente riportato parte di un mio blog privato il cui titolo esatto è: «La leggenda dell’olocausto: riapertura di un dibattito», risalente al 21 ottobre 2006.

Nella parte tagliata del suddetto testo, poche righe più sotto, è detto espressamente il contrario di quanto Pasqua riporta ed è spiegato anche il significato del termine “leggenda”. Il Pasqua in sostanza ha attinto all’archivio di un sito denominato «Informazione Corretta», con il quale vi era stata appunto nel 2006 una polemica extra-universitaria di cui, se occorre, riferirò ampiamente agli organi inquirenti.

Ripetesi: oggetto di questa querela non sono le falsificazioni e le manipolazioni del Pasqua, quali che siano, riguardo il mio pensiero politico e filosofico, ma il fatto che egli abbia indicato simili grossolane manipolazioni, proprie dello stesso Pasqua, come oggetto delle mie Lezioni, il cui contenuto è invece quello risultante dai programmi affissi nonché dai verbali di esame.

In altri termini, il Pasqua ricostruisce, falsificandole, mie private opinioni, in quanto tali peraltro lecite e protette dall’art. 21 della costituzione, opinioni espresse in blogs personali (“Club Tiberino” o nella Societas “Civium Libertas”), e ne fa oggetto del mio insegnamento universitario, quindi mi denigra non per le mie private opinioni, espresse privatamente ovvero in sede extrauniversitaria, ma in quanto docente universitario, che avrebbe utilizzato indebitamente la sua funzione per propagandare tesi abominevoli, se non criminali, circa tematiche estranee alle discipline insegnate.

La malafede della campagna diffamatoria risulta ancora dal fatto che, in violazione delle leggi sulla stampa, il quotidiano “La Repubblica”, ovvero lo stesso Pasqua, non ha voluto pubblicare la mia tempestiva smentita, ed in tal modo propagando la falsa notizia dell’avere tenuto io fantomatiche lezioni alla Sapienza, cui subito seguiva l’affissione di manifesti velatamente inneggianti al mio omicidio.

Chiedo pertanto la punizione dei colpevoli in relazione al reato di diffamazione a mezzo stampa e per ogni altra ipotesi delittuosa dovesse esser ravvisata nei comportamenti sopra descritti.

Chiedo di essere avvisato ex art. 406.3 dell’eventuale richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari cpp, nonché, ex art. 408.2 cpp, nel caso in cui il PM ritenga di avanzare richiesta di archiviazione.
In fede
Antonio Caracciolo
Allegati alla Querela.

sabato 27 febbraio 2010

Recensioni di libri, critiche, rassegna di blog, siti ed altro: Homepage

A - B -

Ci rendiamo conto che all’interno di una rete di blogs tematici, dove abbiamo voluto distribuire i nostri diversi interessi sia diventato opportuno stabilire il maggior numero possibile di collegamenti interni che consentano di vedere il tutto come un sistema, una diversa forma di scrittura nell’epoca di internet, dove non scompare il libro e la carta stampata, ma dove diventa però possibile una divisione di compiti. Rispetto alla fissità della carta stampata il maggiore e non il solo pregio della scrittura digitale sul web consiste nella sua modificabilità, che non è un suo limite rispetto alla carta stampata, ma un suo vantaggio per la possibilità di aggiornare i dati o di superare posizioni e concetti prima espressi. Un intellettuale onesto non esclude a priori di poter cambiare opinione e pensiero rispetto a sue posizioni precedenti. In fondo, la verità non è altro che un continuo progresso dalla menzogna alla verità, o meglio da una verità parziale ad una verità più alta e comprensiva. Si realizza trent’anni dopo, con internet, la predizione di un futurologo che assegnava alla nostra epoca la produzione globalizzata di contenuti e conoscenze da parte di chiunque ne abbia la capacità e la volontà. È un evento questo sul quale non abbiamo riflettuto abbastanza.

A.

Freschi di stampa e testi di studio

Sono qui raggruppate per lo più recensioni di libri di attualità politica e civile, usciti ed acquistati spesso nella Libreria sotto casa il giorno stesso in cui arrivano al pubblico italiano, ma anche recensioni di libri di cui vengo più tardi a conoscenza, purchè usciti dall”anno 2000 in poi. Il termine recensione è qui usato in modo improprio, non trovandone altro più adatto. Si tratta piuttosto di note di lettura, redatte fin dalle prime pagine e sempre con riserva di ritornarvi sopra per trarne nuovi spunti di riflessione, anche critica. Ai testi contro i quali si intende svolgere una critica demolitrice si riserverà un’apposita sezione. Quelli compresi in questa sezione sono testi di studio o di informazione, per i quali si può avere qualche osservazione critica, ma di cui non si contesta l’intero impianto.

1. Israel Adam Shamir: Per il sangue che avete sparso.
2. Gianantonio Valli: I complici di Dio. Genesi del mondialismo.
3. Gian Pio Mattogno: L’imperialismo ebraico nelle fonti della tradizione rabbinica.
4. Vittorio Arrigoni: Gaza. Restiamo umani.
5. Fulvio Grimaldi: «Di resistenza si vince» (libro) e «Araba fenice il tuo nome è Gaza» (dvd).
6. Robert Fisk: Cronache mediorientali.
7. Paul-Èrich Blanrue: Sarkozy, Israël et les Juifs.
8. Edward W. Said: Il mio diritto al ritorno.
9. Paola Caridi: Hamas. Che cos’è e cosa vuole essere il movimento radicale palestinese.
10. Yakov M. Rabkin: Una minaccia interna. Storia dell’opposizione ebraica al sionismo.
11. Carlo Mattogno: Le camere a gas di Auschwitz. Studio sugli “indizi criminali” di Pressac e sulla “convergenza di prove” di Pelt.
12. Faris Yahia: Relazioni pericolose: il movimento sionista e la Germania nazista.
13. Diana Carminati e Alfredo Tradardi: Boicottare Israele: una pratica non violenta.
14. Aleksandr Solgenitsin: Due secoli insieme. Ebrei e Russi prima della rivoluzione.
15. Aleksandr Solgenitsin: Due secoli insieme. Ebrei e russi durante il periodo sovietico.
16. Antonio La Guardia: Terra santa guerra profana. Israeliani e palestinesi.
17. Ilan Pappe: La pulizia etnica della Palestina.
18. Norman G. Finkelstein: L’Industria dell’Olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei. Con un sagggio inedito.
19. Avraham Burg: Sconfiggere Hitler. Per un nuovo universalismo e umanesimo ebraico.
20. Sabrina Mervin: Hezbollah. Fatti, luoghi, protagonisti e testimonianze.
21. Shlomo Sand: Comment le peuple juif fut inventé. De la Bible au sionisme.
22. Giulietto Chiesa: Zero. Perché la versione ufficiale sull’11/9 è un falso.
23. Carlo Mattogno: Hitler e il nemico di razza. Il nazionalsocialismo e la questione ebraica.
24. Piero Sella: Prima di Israele. Palestina, nazione araba, questione ebraica.
25. Sergio Romano: Lettera ad un amico ebreo.
26. Sergio Romano: I falsi protocolli. Il “complotto ebraico” dalla Russia di Nicola II ai giorni nostri.
27. Sergey Nilus: I protocolli dei savi di Sion.
28. Eyal Weizman: Architettura dell’occupazione. Spazio politico e controllo territoriale in Palestina.
29. Jeff Halper: Ostacoli alla pace. Una ricontestualizzazione del conflitto israelo-palestinese.
30. Edward Said: La questione palestinese. la tragedia di essere vittima delle vittime.
31. Suad Amiry: Murad Murad.
32. Nandino Capovilla: Un parroco all’inferno. Abuna Manuel tra le macerie di Gaza.
33. Walid Khalidi: All That Remains. The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
34. Eric Salerno: Mossad base Italia. Le azioni, gli intrighi, le verità nascoste.
35. Leonid Mlecin: «Perché Stalin creo Israele». – Il vero atto di nascita che la propaganda israeliana nasconde accuratamente.
36. Piero Buscaroli: «Dalla parte dei vinti. Memorie e verità del mio Novecento». – Siamo tutti figli dei vinti.
37. Giorgio Israel: «La questione ebraica oggi. I nostri conti con il razzismo» (2002). - I miei conti con il sionismo. (Delenda).
38. Giano Accame: «La morte dei fascisti» (2010). – Riflessioni in margine al libro postumo di un amico scomparso. (Freschi di stampa)
39. Alain Ménargue: «Le mur de Sharon» (Franceinter, 2004). (Testi di studio)
40. Andrea Spagnolo: «Osservatorio di politica internazionale. Nuove forme di antisemitismo e mezzi di contrasto». (Delenda)
41. Robert Fisk: «Il martirio di una nazione» (2010). L’immagine israeliana del palestinese. (Freschi di stampa)
42. Rashid Khalidi: «Identità palestinese. La costruzione di una moderna coscienza nazionale» (2003). (Testi di studio)
43. Mario Moncada di Monforte: «Israele uno stato razzista (anche verso gli ebrei non europei)». (Freschi di stampa)
44. Noam Chomsky: «Stati falliti. Abuso di potere e assalto alla democrazia in America» (2007). (Arcana)
45. Giorgio Israel: «Il fascismo e la razza. La scienza italiana e le politiche razziali del regime» (2010). (Delenda)
46. Régis Debray: «Á un ami israélien, avec une réponse d’Èlie Barnavi» (Flammarion, 2010). (Freschi di stampa)
47. Giorgio S. Fraenkel: «L’Iran e la bomba. I futuri assetti del Medio Oriente e la competizione globale» (DeriveApprodi, 2010). (Freschi di stampa)
48. Joe Sacco, «Gaza 1956. Nota ai margini della storia» (Mondadori, 1956). - Quando la storia diventa fumetto. (Freschi di stampa)
49. Shlomo Sand, «L’invenzione del popolo ebraico» (Rizzoli, 2010). - Nascita e morte di un mito. (Freschi di stampa)
50. Ghada Karmi, «Sposata a un altro uomo. Per uno Stato laico e democratico nella Palestina storica» (Derive Approdi, set. 2010). (Freschi di stampa)
51. Angela Lano: «Verso Gaza. In diretta dalla Freedom Flotilla». Con una Prefazione di Enzo Iacopino (EMI, 2010). (Giornalismo d’inchiesta)
52. Luigi Compagna: «Theodor Herzl. Il Mazzini d’Israele» (Rubettino, 2010). (Delenda)
53. Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite: «Missione di inchiesta sul conflitto di Gaza: Il Rapporto Goldstone» (Freschi di stampa)
54. Marcello Veneziani: «Vivere non basta» (Freschi di stampa).
55. Giampaolo Pansa: «Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani» (Rizzoli, Maggio 2011) (Freschi di stampa)
56. M. Briganti, A. Déchot, J.P. Gautier: «La galaxie Dieudonné. Pour en finir avec les impostures» (Syllepse, 2011). (Delenda)
57. Giovanni Rulli, «Lo stato d’Israele. Democratico, intransigente, provvidenziale, ambiguo» (EDB-La Civiltà Cattolica, 1998). (Testi di studio)
58. Pino Aprile: «Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud...» (Piemme, Giugno 2011) (Freschi di stampa)
59. Andrea Giacobazzi: «L’asse Roma-Berlino-Tel Aviv. I rapporti internazionali delle organizzazioni ebraiche...» (Il Cerchio, 2010) (Freschi di stampa)
60. Anna Kirschner: «Il dono di Sala. Lettere dall’Olocausto» (Il Maestrale, 2009) (Testi segnalati).
61. Miguel Ayuso: «El Estato en su labirinto» (Barcellona, 2011). Recensione di Teodoro Klitsche de la Grange.
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Alfabetico

Accame - Amiry - Arrigoni - Blanrue - Burg - Buscaroli - Capovilla - Caridi - Carminati - Chiesa - Finkelstein - Fisk - Grimaldi - Halper - Israel - Khalidi - La Guardia - - C. Mattogno: Le camere a gas di Auschwitz; Hiter e il nemico di razza - G. P. Mattogno - Mervin - Mlecin - Nilus - Pappe - Rabkin - Romano: Lettera; I falsi protocolli - Said: Il mio diritto al ritorno; La questione palestinese - Salerno - Sand - Sella - Shamir - Solgenitsin: Ebrei e Russi prima della rivoluzione; durante il periodo sovietico - Tradardi - Valli - Waizman - Yahia

B.

Rassegna di blogs e siti

1. Sarkozy, Israël et les Juifs. Le blog du livre de Paul-Èrich Blanrue.
2. Bye Bye Uncle Sam. Un blog sulla NATO ed il suo superamento.

(segue: pagina in costruzione)

Recensioni ovvero rassegna di blogs e siti: 1. Sarkozy, Israël etl les juifs. Le blog du livre de Paul-Èric Blanrue.

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Sono ormai convinto che il sistema della rete finché ce lo lasceranno è una alternativa vincente alla comunicazione tramite carta stamata e sistema televisivo. Non tutto però ciò che si trova in rete è di eguale qualità ed importanza o rilevanza. Questo può essere certamente un criterio soggettivo, ma ciò non significa che non esistano parametri oggettivi cui aattenersi per una valutazione. Possono riconoscere ad esempio un’elevata qualità tecnica ad un sito o blog di cui non condivido affatto i contenuti. Posso anche riconoscere elevati contenuti a siti tecnicamente assai scadenti. E così via. Ho già avviato una rubrica di recensioni di libri. L’idea che adesso mi viene è di recensire, o meglio di tenere rassegna sui blogs e siti che più mi interessano, mi sono più congeniali o attraggono la mia attenzione. Chiaramente dovrò essere e sarò selettivo, giacché sarebbe imprese impossibile ed asssurda fare un repeterorio di tutto l’esistente. Mi accorgo che non è sufficiente annotare i links nella tabella di destra di questo blog. Avvio dunque questa nuova rubrica iniziando casualmente con il blog Sarkozy, Israël et les Juifs, che ha per sottotilo esplicativo: Le blog du livre de Paul-Èric Blanrue. La piattaforma è eguale alla nostra: blogspot.

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Vers. 1.0/27.2.10
Sommario: 1. Il libro esce anche in Francia. – 2. Un viaggio nel blog. –

1. Il libro esce anche in Francia. – Forse in Italia sono stato il primo in assoluto che ha comprato e letto il libro di Blanrue, di cui ho fatto una scheda in altra rubrica alla quale rinvio. Qui aggiungo che mi sembra una buona cosa averne fatto anche un blog. Il libro consente un’organizzazione diversa del discorso. Qui la forma è tradizionale, classica. Chi scrive un libro dovrebbe pensare all’eternità, non alla contingenza. La realtà è un fluire continuo e ciò che si è scritto ieri potrebbe essere smentito da ciò che succede oggi. Ma un buon libro può anche ricevere continue conferme. Ad esempio, Carl Schmitt nel campo di prigionia di Norimberga, da cui venne fuori lo splendido libretto Ex Captivitate salus diceva che l’opera di Hobbes lo aiutava a comprendere il presente molto più di tanti scrittori contemporanei. Non voglio però addentrarmi in una dissertazione su ciò che è classico e ciò che è invece effimero. Torno al discorso sul libro e sul blog. Non trovo che avrebbe molto senso il blog se fosse soltanto una pubblicità commerciale al libro, mentre avrebbe invece senso se fosse una continuazione e un approfondimento o meglio un aggiornamento rispetto ai temi contenuti nel libro, che non ha le dimensioni e le articolazioni di un’opera dello stesso genere: La Israel lobby e la politica estera americana di Mearsheimer e Walt, al quale mi sono ispirato per tentare di fare qualcosa di analogo per l’Italia e per l’Europa, partendo però da internet e dalla ricerca in rete. A giudicare dagli attacchi che me ne sono venuti direi di essere riuscito almeno in parte nell’intento. Il libro di Blanrue ha avuto i prevedibili attacchi da parte della lobby che non esiste, o meglio che non vuole si sappaia che esiste, giacché solo individuarne la presenza costituisce – secondo loro – una forma di antisemitismo: tutto è antisemitismo. Un sionista (non dico un ebreo) ha un potere enorme sui cittadini dello stato nel quale si degna di vivere, non da ospite ma da padrone su uno dei suoi possedimenti: basta che dica che è un “antisemita” perché giungano i gendarmi o la stampa, assercita, si metta a gridare all’untore, al criminale, al negazionista. Per il libro di Blanrue si è impedita la distribuzione commerciale in Francia. Io ho potuto comprarlo in una libreria francese in Roma, che lo ha chiesto direttamente all’editore, credo in Belgio. Siamo veramente all’assurdo. Adesso però la notizia è che il libro dopo circa un anno è finalmente approdato nelle rete distributiva libraria francese.

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2. Un viaggio nel blog. – Il blog nasce il 24 maggio del 2009 e conta nel primo anno di vita oltre 500 post. Non pochi! Il primo post offre dei dati interessanti. Con De Gaulle nel 1967 per la prima volta la Francia prese le distanze da Israele, che ha potuto avere la bomba atomica grazie alla Francia, o meglio per grande demerito della Francia. Sono certamente interessante da ricostruire i rapporti della Francia con Israele a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, o meglio della guerra civile europea (1917-1945), usando l’espressione di Ernst Nolte. Basti pensare alla tentata invasione dell’Egitto per il canale di Suez, dove Inghilterra, Francia e Israele furono appena fermati dal potente vincitore americano: bastò allora un semplice “no” americano per fermare l’operazione. Con Sarkozy tutto però sembra cambiare all’improvviso, nel 2007. E qui però non riusciamo a capire, già la faigerata legge Fabius-Gaissot precede questa data. Ma siamo certi che esplorando il blog riusciremo a chiarirci questo punto.

Da un punto di vista tecnico di navigazione nel blog la sintassi non ci sembra immediatamente intuitiva. Questo nostro blog – se vogliamo – ha pure una sua intenzionale pesantezza dovuta alla lunghezza dei testi, al suo carattere enciclopedico, ma è stata una scelta intenzionale e meditata, orientata sulla meditazione e l’approfondimento che non la comunicazione. In Blanrue faccio una certa fatica a muovermi. Gli argomenti sono molto interessanti.

(segue)

L’omicidio di Enzo Fragalà, un uomo che aveva il coraggio di parlare e di dire ciò che pensava


Mi giunge fra centinaia di messaggi una lettera che apro quasi per caso. Fino a questo momento non sapevo nulla di Enzo Fragalà ed il suo nome mi giunge insieme con la notizia della sua morte violenta a seguito di bastonate, davanti al suo studio in Palermo. Ignoro se e come i giornali che non leggo e le tv che non vedo ne abbiano dato la notizia, che io qui riporto integralmente per come da me ricevuta. Per associarmi alla condanna di un omicidio non ho bisogno di sapere altro:
Palermo, 26 febbraio 2010

L'avvocato Enzo Fragalà, aggredito martedì scorso sotto il suo ufficio a colpi di bastone, è morto, dopo tre giorni di coma, nell’ospedale Civico di Palermo.

Il penalista, ex deputato del Pdl, noto anche per la sua militanza giovanile nella destra radicale palermitana, è stato massacrato da un uomo, coperto da un casco da motociclista.

Ci lascia così, in uno scenario che sembra nella dinamica ricalcare le violenze degli anni Settanta, uno dei più coraggiosi parlamentari che abbiamo mai conosciuto.

Coraggioso perché le sue dichiarazioni, anche come membro della Commissione Stragi, nonostante il silenzio dei media, hanno tentato di aprire un varco nella ricerca della verità in merito a quelli che rimangono, a tutt’oggi, i misteri d’Italia.

Fragalà aveva il coraggio di partecipare in prima persona ai convegni e ai dibattiti organizzati anche da aree antagoniste, senza badare alle critiche o alle accuse vergognose che i “detentori delle verità storiche” non lesinano a chi non è d’accordo con le loro faziose ricostruzioni.

Non sempre siamo stati d’accordo con le tesi di Enzo Fragalà, specialmente in politica estera, ma di lui abbiamo sempre avuto una grande stima per la sua personalità schietta e per la disponibilità al confronto.

Lo abbiamo ammirato alla Sala del Cenacolo nella Camera dei Deputati di Roma (novembre 1998) quando accettò di partecipare come relatore al convegno dal titolo “Venticinque anni fa lo scioglimnento di Ordine Nuovo: fu persecuzione di idee o lotta al terrorismo?”.

Rileggendo gli atti, ecco cosa disse Fragalà al pubblico: “Non so se qualcuno di voi lo ricorda, ma la strage di piazza della Loggia a Brescia nel maggio del 1974, fece quelle vittime in una manifestazione organizzata dai sindacati, dala CGIL e dagli altri, il cui volantino di presentazione non era contro i missini, contro Ordine Nuovo, contro Avanguardia Nazionale, il volantino era contro i fascisti delle Brigate Rosse ( “Domani appuntamento a piazza dellla Loggia per manifestare contro il fascismo delle Brigate Rosse”). Incredibile vero? Nessuno ha mai parlato di questo volantino e del tema politico della manifestazione...”

Naturalmente non si può pensare che della bomba di Brescia potessero essere responsabili le BR, ma l’aver nascosto il volantino la dice lunga su media e indagini e ancora, a proposito di queste ultime, ecco cosa aggiunse in quell’occasione Fragalà: “Ci sono vari appunti di Maletti e Santovito (capo dei servizi segreti) che abbiamo in Commissione stragi e che abbiamo contestato a Maletti nell’audizione a Johannesburg, scritti dopo lo scioglimento di Ordine Nuovo… Santovito nella sua agenda scrisse; Bisogna organizare il depistaggio ai danni dei gruppi di destra per qualunque fatto eversivo perché così avremo il sostegno della stampa e dell’opinione pubblica”.

Tante altre cose ha detto in pubblico Fragalà, sulla strage di piazza Fontana, su quella di Bologna, ma sarebbe troppo lungo ricordarle in questa occasione.

Ecco dove stava il coraggio di Fragalà, il coraggio di dire cose che nessuno ha mai detto e che difficilmente altri diranno.

Il coraggio di un uomo fermato da un agguato tanto vile quanto il suo esecutore.

Catania, Area Antagonista

Ripeto che non conoscevo l’uomo ed in questo momento so poco o nulla sul perché e sulle circostanze dell’assassinio, neppure conosco chi mi ha comunicato la tremenda notizia ed i firmatari del “necrologio” sopra pubblicato, ma sono costernato all’idea che si possa uccidere un uomo che cercava la verità, che voleva la verità, che diceva la verità. Ma anche se l’immagine dell’uomo non fosse quella che il necrologio offre, non possono esservi dubbi sulla condanna morale di un omicidio, a meno che non si voglia ritornare ad uno stato pre-hobbesiano di bellum omnium contra omnes, dove tutto diventa lecito. La sua morte ci spinge ad interrogarci ancora una volta sui fondamenti della nostra democrazia, sull’esistenza stessa della democrazia in un paese che pretende di imporre con le armi e la guerra la sua “democrazia” ad altri paesi. La nostra classe politica nella sua interezza sembra più dedita alla pratica della menzogna che non alla ricerca ed alla difesa della verità. Agli uomini che la difendono riservano il carcere, la “gogna” e se non basta anche la morte.

venerdì 26 febbraio 2010

La «Lega per la libertà della scienza» (Bund Freiheit der Wissenschaft): una sua storia tratta da notizie in Rete, criticamente vagliate.

Vers. 1.3/27.2.10

Ernst Nolte è noto in Italia per la sua interpretazione transpolitica della storia contemporanea che presenta analogie con la storia filosofica dello stesso Del Noce. Nato nel 1923, era un quarantenne quando in Germania fondò insieme con altri la “Lega per la libertà della scienza”. Nell’ambiente illiberale tedesco questa Associazione ha avuto fin dagli esordi una forte contestazione. Qui tentiamo di ricostruirne la storia del Bund, attingendo direttamente dalla rete, elaborandole secondo nostri criteri e valutazioni.

Sommario: 1. L’anno di fondazione ed i suoi referenti. – 2. La rivista “Freiheit der Wissenschaft”. – 3. Il congresso del 1980. –

1. L’anno di fondazione ed i suoi referenti. – Il Bund Freiheit Freiheit der Wissenschaft venne fondato con atto notarile il 18 novembre 1970. Il Bund è apparso o si presentò come una risposta “conservatrice” al movimento studentesco di quegli anni. Visto però dai nostri anni, 40 anni dopo, ci sembra ben altri i problemi della libertà della scienza. Da allora le condizioni generali della libertà di pensiero in Europa sono andate progressivamente peggiorando. Di re libertà della scienza non è cosa diversa che dire libertà del pensiero, ma la prima espressione fa pensare a ristrette categorie di professionisti delle accademie, mentre il pensiero libero appartiene ad ogni cittadino ed è il presupposto della democrazia e quindi anche delle garanzie costituzionali per la libertà della ricerca, dell’insegnamento e dello studio. Nelle stessa Germania ogni anno circa 15.000 persone vengono perseguite penalmente per meri reati di opinione. Molte persone scontano pesanti anni di carcere per la sola colpa di aver scritto dei libri. È incredibile leggere che vi siano studenti che non abbiano a cuore innanzitutto la libertà di pensiero inclusiva di libertà di scienza, di ricerca, di insegnamento. Paradossalmente possiamo dire che oggi a 87 anni anni Ernst Nolte è molto più giovane dei suoi giovani contestori di Trieste, che sono già vecchi senza mai essere stati giovani.

Facevano parte dei comitato di fondazione, in Bonn-Bad Godesberg, Edith Euchen-Erdsieck, Hans Joachin Geisler, Karl Huauser, Wilhelm Hennis, Gerhard Löwenthal. Richard Löwenthal, Hermann Lübee, Hans Maier, Thomas Nipperdey, Ernst Nolte, Heinz Dietrich Ortlieb, Konrad Repgen, Walter Rüegg, Horst Sanmann, Erwin K. Scheuch, Hatto H. Schmitt, Hermann Schmitt-Vockenhausen, Gerhard Schröder e Friedrich Tenbruck. Il Bund ha tuttora la forma di un’associazione registrata con un suo statuto. Ha un suo organo che è una rivista quadrimestrale con titolo “Freiheit del Wissenschaft”, con una sua edizione sul web. Sul BFW esiste un’estesa letteratura. Il “Bund Freiheit der Wissenschaft” ha pure un suo sito web.

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2. La rivista “Freiheit der Wissenschaft”. – La si può scaricare in formato pdf, gratuitamente, direttamente dalla rete ed è certamente la migliore fonte di informazione sul BFR.

3. Il congresso del 1980. – Dieci anni dopo la sua fondazione il BFW tenne un convegno a Berlino Ovest.

(segue: pagina in costruzione)

mercoledì 24 febbraio 2010

Osservatorio sulla libertà di pensiero negata. Parte Prima: Gli Stati. Cap. XI - Italia.

Area di lavoro
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In Italia abbiamo passato un momento di terrore quando Mastella sembrava stesse per estendere anche in Italia la legislazione tedesca, come da richiesta del collega tedesco ministro della giustizia. Vi fu allora una reazione pronta, ma non priva di ambiguità. Esiste nell’attuale parlamento un’associazione parlamentare dichiaratamente filo-israeliana, una vera e propria lobby nel parlamento italiano, che non si fa neppure scrupolo dei suoi propositi. Il pericolo è oggi più più incombente di allora. Cercheremo qui di seguire gli eventi, ricostruendo i tentativi che si fanno in Italia...

Sommario: 1. Prove d’orchestra per l’introduzione della legge. – 2. Non è una “lista nera”. – 3. Marco Ventura: torna l’ombra sua o trattasi di omonimia? – 4. La battaglia per mandare in galera i cittadini italiani. – 5. Strane incoerenze. – 6. Disordine morale e intellettuale. – 7. I propri comodi come principio di legge. – 8. L’antisemitismo come eterno pretesto per la repressione della critica politica. –

1. Prove d’orchestra per l’introduzione della legge. – Mentre ancora questo nostro “Osservatorio” non ha raggiunto la forma strutturale ed editoriale prevista, non possiamo tuttavia non segnalare l’ottimo articolo di keleber, che si legge cliccando sul titolo del paragrafo. Puntualmente, ogni anno, cercando un capro espiatorio su cui montare il “caso” che poi deve portare alla legge si consuma la stessa identica sceneggiata con gli stessi personaggi. Per l’edizione 2010 Kelebek ha fatto non solo una raccolta diligente dei dati ma anche dato una buona cornice interpretativa. Ritorneremo sul tema, cercando di dare ulteriori contributi. Intanto è da non perdere il collegamento testuale.

2. Non è una “lista nera”. – Certe posizioni possono essere un titolo di merito o di demerito a seconda della posizione nella quale ci si trova. In Italia si può incominciare a stendere una lista di quanti si prodigano perché anche in da voi venga introdotta quella legislazione liberticida che nella sola Germania ha condotto in prigione migliaia e migliaia di persone. A lasciarli fare si può prevedere una popolazione carceraria in Europa, nell’arco di una generazione, superiore ai fatidici sei milioni, cioè uno dei tre punti fondamentali della Questione: che siano sei milioni, non uno di meno. Vi è poi il fatto tecnico delle camere a gas: altro punto per il quale in Francia si va in galera. Ed infine vi è la questione della intenzionalità. Sono questi i tre punti controversi intorno ai quali si fa molta confusione, manipolazione, strumentalizzazione. Che la vergogna e il vero crimine stia nella repressione della libertà di pensiero e di ricerca, è inutile aspettarselo da questi personaggi da cui occorre stare sempre in guardia. Ma vedremo come andrà a finire.

3. Marco Ventura: torna l’ombra sua o trattasi di omonimia? – Mi limito qui a registrare il link, per poi accertare se si tratta di uno stesso signore, per giunta nipote di un mio collega, il quale – non si sa bene per quale motivo invitato – io conobbi in un’abitazione privata, mescolandosi agli ospiti e poi pubblicando un articolo su “La Stampa” che provocò un gran numero di lettere di smentita e rettifica da parte delle persone da lui citate. Io ne mandai due che furono pubblicate. Devo un poco fare mente locale e rileggere i testi, ma il ricordo sedimentato è che questo signore non dimostrò di essere allora un sostenitore della libertà di pensiero. Adesso sembra che rivesta altri panni, scontentando quegli stessi sionisti che allora plaudirono al suo “pezzo” per la “Stampa”, dove forse da allora non ebbe altra occasione per scrivere. Potrebbe trattarsi di una omonimia, ed in tal caso sarò lieto di rettificare, se l’interessato – che non ho modo di raggiungere – me ne desse lui comunicazione.

4. La battaglia per mandare in galera i cittadini italiani. – Nel nostro lavoro, lecito, di monitoraggio ci limitiamo a registrare il link in questione senza ulteriore analisi. Costoro si inventano un concetto incomprensibile di “antisemitismo”, si fanno la legge per reprimerlo, e mandano in galera quanti osano criticare loro ed il loro stato estero di riferimento. Quanto a “genocidi” io conosco, vedo e valuto la “pulizia etnica” del popolo palestinese, cosa che equivale al genocidio, secondo quanto illustra nel suo libro lo storico ebreo israeliano Ilan Pappe. Con certe persone non si può neppure parlare: appena apri bocca, e fai capire di non appartenere alla loro setta, sei già un “antisemita”. È incredibile, ma questa è l’Italia del 2011, almeno una certa Italia, che per fortuna non è la nostra. Ricordo alla noia che aspetto ancora la smentita della mia stima di 200.000 persone penalmente perseguite in Germania dal 1994 ad oggi per meri reati di opinione. Dico: reati di opinione. Non perché abbiano torto un capello a nessuno o abbiano rubato una lira o fatto male ad una mosca.

5. Strane incoerenze. – Se non andiamo errati, ma alla bisogna andremo a controllare, lo stesso personaggio a cui si deve il testo di una Lettera aperta bipartisan (leggi: Israel lobby che giustamente prospera sulle logore e inutili distinzioni di destra, centro, sinistra) contro il diritto di manifestare la proprio opposizione alla kermesse propagandistica di Piazza del Duomo, dove gli organizzatori tentano di far passare un’immagine di Israele che assolutamente non regge davanti all’evidenza dei fatti: da Sykes/Picot a Balfour, da Balfour alla Nakba, dalla Nakba alla Naksa, dalla Naksa a Piombo Fuso, da Piombo Fusi alla Mavi Marmara, dalla Mavi Marmara ai morti ammazzati alla frontiera giusto ieri e l’altro ieri, ed ancora oggi e domani! Qui nessuno è in grado di fare “violenza” a chi possiede l’atomica e forse la tiene puntata sulla nostra testa. Si tratta soltanto del diritto di manifestare il proprio dissenso, la propria opposizione ad una chiara operazione propagandistica dove ad essere vittima è la nostra intelligenza, la nostra coscienza, il comune senso del pudore. Se una senatrice americana, qui citata dalla stessa fonte, può ben dire:
«È un insulto per l’America che le Nazioni Unite abbiano deciso di tenere la conferenza Durban III a New York City…»,
perché mai non possiamo dire che è un insulto non solo per la città di Milano, ma l’Italia intera, che si tenga in Milano una manifestazione come quella annunciata? Perché lo ha deciso Formigoni ed i pezzi grossi che contano e sono ammanicati con la Lobby? Ma noi non siamo loro e Loro sempre meno Noi! Proprio l’altro ieri in Roma l’ex parlamentare inglese Galloway ha detto a Roma che una cosa del genere in Londra non la si sarebbe potuto fare. Ed è vero che siamo messi proprio male! Speriamo che la “primavera araba”, dopo quella “spagnola”, sia seguita anche da una “indignazione” del popolo italiano, che ne sta subendo proprio troppe da una classe politica che più corrotta, sfacciata ed impudente non si poteva immaginare. Ancora più insensato l’appello al diritto di “manifestazione del pensiero” che verrebbe negato ai personaggi (grandissimi scrittori in viaggio di propaganda!) annunciati! Lo si fa da chi ha sottoscritto la richiesta del signor Qualcuno affinché vengano introdotte anche in Italia quella stessa legislazione che in Germania, Francia ed altri paesi (monitorati in questo “Osservatorio”) negano appunto la libertà di pensiero di chi la pensa diversamente da Lor Signori. Bellissima questa, sulla stessa fonte, che solo un monitoraggio attento quanto ingrato come il nostro consente di rilevare:
«Scaricare la responsabilità della decisione, non appoggiare la manifestazione culturale su Israele non è indice di 'rigore istituzionale', ma di totale disinteresse per uno dei valori fondamentali di una democrazia, quello della libertà d'espressione».
Costoro sono impegnati tutto l’anno a negare la “libertà di espressione”… degli altri! E noi ben ci guardiamo dal negare la loro. Semplicemente dissentiamo da loro su tutta la linea, ma mai e poi mai negheremmo la loro libertà di espressione, come loro fanno tenacemente con la nostra.

Probabilmente è la Logica del Talmud che al modico costo di 5 milioni di euro verrà tradotto in italiano a spese del contribuente italiano, non dei 40.000 cittadini italiani di religione ebraica, ma di 60 milioni di cittadini, in gran parte non di religione ebraica. Indignarsi è bene, ma con questa gente serve a poco. Ti dicono che la tua indignazione è “odio”, quasi che ci fossimo potuti mai accorgere del grande “amore” che provano per noi, soprattutto per gli anziani. E se non è odio è pur sempre “antisemitismo”, ossia la moderna “lettre de cachet”, che è stata loro consegnata per inguaiare a loro discrezione chi non sta loro simpatico.

6. Disordine morale ed intellettuale. – Leggere su una testata che va patrocinando l’introduzione in Italia delle leggi liberticide esistenti in altri paesi frasi come la seguente: «…in società nelle quali tutti dovrebbero poter esprimere liberamente il proprio pensiero…» suscita reazioni morali ed intellettuali non facili da contenere. Non entriamo nel merito del fazioso contenuto di un personaggio incredibile, ma ci limitiamo a registrare un dato costante, dove si rivendica per se stessi quella libertà che si nega agli altri. Per la verità costoro sostengono che ciò che loro dicono è un diritto sacrosanto, libertà di pensiero e di opinioni, mentre invece le opinioni di persone a cui attribuiscono gratuitamente un perenne “odio” nei loro confronti è invece un vero e proprio “crimine”. Sembrano e sono assurdità, ma hanno bocche, facce e inchiostri che esprimono simili sconcezze, a cui mai ci si potrà assuefare.

7. I propri comodi come principio di legge. – È piuttosto stancante seguire i contorsionismi di chi per troppo tempo è vissuto in regime di privilegio. Il pensiero contorto di questi signori, che non vedono l’ora di ridurci tutti quanti in una condizione carceraria analoga a quella delle gente di Gaza, è molto semplice e si riduce alla seguente: quello che dico io è libertà di pensiero e di espressione; quello che pensi e dici tu è un crimine, per il quale non vi è carcere abbastanza duro, se proprio non si può applicare la morte fisica e civile. Non occorre perdere altro tempo per riconoscere dignità a posizioni che non ne hanno. Solo la prassi deciderà la questione. Quanto poi al principio del boicottaggio, la cosa è ancora più semplice: se i soldi sono miei ed ho il diritto di spenderli come e dove voglio e di darli a chi voglio, nessuno mi può costringere a darli all’economia israeliana, divenuta prospera solo grazie a continui taglieggiamenti dei contribuenti americani ed europei. E posso chiaramente dare ai miei figli, ai miei amici, a chi mi pare i migliori consigli per gli acquisti o per non acquistare. È una libertà semplice ed elementare, ma alcuni non solo hanno smarrito il senso dell’equità e della decenza, ma vogliono farlo smarrire anche al loro prossimo.

8. L’antisemitismo come eterno pretesto per la repressione della critica politica. – Tutto lascia pensare ad un’azione concertata, con il via dato da Tel Aviv, in coincidenza con l’atto di “pirateria” con il quale è stato sequestrato lo yacht francese “Dignité” che voleva infrangere l’assedio di Gaza. Studiando l’iniziatore della campagna di stampa, il solito Marco Pasqua, sulla solita “Repubblica”, e le riprese che ne vengono fatte non pare vi siano dubbi sulla concertazione. La presunta “lista nera” è sempre la stessa ed è in realtà un Controappello di un gruppo di docenti italiani, certamente sionisti, che hanno pensato di suscitare un movimento di opinione contro i docenti inglesi che in stragrande maggioranza avevano deliberato il boicottaggio accademico di Israele. I fatti successivi – da “Piombo Fuso” a Mavi Marmara, al rapporto Goldstone, per nulla invalidato dalle pressioni e dai ricatti esercitati su sull’«ebreo» e «sionista» presidente dell’apposita commissione Onu di inchiesta – hanno pienamente confermato i giudizi dei docenti inglesi e pienamente svalutato l’Appello dello sparuto gruppo di docenti italiani, che tutto lascia supporre siano supporter di Israele. Il punto essenziale sul quale la nostra pessima stampa non sembra voler prestare attenzione è che non si tratta di nessuna “lista”, ma di Appello che i sottoscrittori hanno liberamente firmato per ottenerne il massimo di pubblicità, che può essere positiva o negativa, a seconda dei punti di vista. È desolante come i due maggiori quotidiani italiani si prestino ad una vera ed indubbia campagna di diffamazione, il cui scopo è la produzione di nuove leggi liberticide o applicazione estensiva della legge Mancino, la cui vera genesi e funzioni trovano qui ulteriore conferma. Seguiamo il caso che ci sembra come da copione: non è la prima volta e non sarà l’ultima che viene inscenato. Si tratta di vedere quali nuovi effetti potrà produrre. Non mi soffermo ulteriormente sull’assurdità di una fenomenologia tediosa, facile da smontare.