sabato 7 maggio 2011

Freschi di stampa: 55: Giampaolo Pansa:: «Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani» (Rizzoli, Maggio 2011)

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Sono arrivato a pagina 200 su 423 e non ho ancora trovato quello che mi aspettavo di trovare, andando subito a comprare il libro nella Libreria sotto casa, appena il suo Autore ne aveva fatto reclame in un passaggio televisivo, dicendo cose di cui non trovo riscontro nel libro. E 200 pagine lette mi sembrano abbastanza, anche se arriverò alla fine del libro. Non vi è il rischio che Pansa legga questa mia “scrittura sull’acqua”, cioè in un blog, forma a lui estranea. Ama la solidità della vecchia carta stampata, il libro appunto, ed al massimo riconosce il potere mediatico della televisione, dalla quale appunto sono stato indotto a comprare l’ultimo suo libro, che insieme agli altri già editi deve avergli fruttato non pochi guadagni. Non voglio essere malevolo con Pansa. Non ne ho un giudizio definitivo. E sono piuttosto incerto su di lui, non so come classificarlo e queste sono solo delle impressioni, che potrebbero essere ingiuste e fallaci. Ma non avrò nessuna esitazione a ritirarle, quando me ne sarò accorto.

Certo però che è duro leggere i suoi libri. Non perchè siano difficili. Ma perché l’autore non ha il pregio di arrivare subito al punto. Si dilunga in sue vicende private e marginali che possono ben non interessare l’universo mondo. Suo nonna è una figura centrale dei suoi scritti. Con tutto il rispetto e la venerazione che si deve per le nonne e i nonni, ognuno ha i suoi. E non saprei di quanto tempo, di quante vite dovremmo disporre per raccontare ognuno non già le vicende significative della nostra vita e delle nostre esperienze, ma anche quelle dei nostri nonni. E davvero una fatica non piccola, per me, abituato alla saggistica e alla filosofia, aspettare la pagina, la frase, la parola rilevante in libri che si succedono l’uno dopo l’altro, trovando a quanto pare un pubblico di affezionati.

Due sole cose dico ora su Pansa, salvo a ritornarci sopra: cosa che la scrittura sull’acqua consente sempre, mentre quella sulla carta, straccia o meno, non è più possibile, salvo scrivere un nuovo libro o un nuovo articolo, per rettificare e aggiornare il precedente. Invece, queste righe posso sempre modificarle fino a dire il contrario. Questo a mio avviso è un grande vantaggio rispetto alla carta straccia, che si può solo stracciare, ma non può aggiornare o modificare. Ed anche il libro di Pansa, appena a 19,90 euro, potrebbe forse essere carta straccia ed avrei potuto dare quella somma al giovane emarginato che incontro, uscendo di casa, a rovistare nei cassonetti della spazzatura. Un problema di coscienza...

Ma non ce l’ho con Pansa. È un dubbio generale che ho sul modo di intendere la cultura ed il sapere e se si debba intendere con ciò solo ed unicamente quanto si legge e si apprende da libri e giornali. Due cose dicevo. La prima riguarda il revisionismo storico di Pansa. Ho letto o incominciato a leggere altri libri di Pansa, che vanno per la maggiore e che hanno perfino procurato guai al suo autore per il coraggio che ha avuto di andare contro luoghi comuni che però presso la gente comune, magari analfabeta, erano diventati banali. Che l’Italia, la Germania e l’Europa siano stati non “liberate” ma “distrutte” ed “asservite” riesce a capirlo anche e meglio un analfabeta che non legge libri, che non è andato a scuola e che magari non ha neppure la televisione. Anche se l’ideologia sovrastrutturale insiste nel lavaggio del cervello del popolo bue, è difficile smantellare il senso comune di chi è refrattario alle ideologie.

La sensazione generale che provo leggendo i libri “revisionisti” di Pansa è che malgrado le apparenze siano ormai tardivi ed innocui. Si limitano a narrare qualche fattarello, ma senza intaccare la legittimità di un sistema che vede dislocate nel nostro paese oltre 100 basi americane, di cui paghiamo perfino i costi. Mi ha fatto ridere ad una riunione culturale di militare sentire ammettere questo fatto, ma aggiungere che il carburante per lo spostamento di una portaerei ce lo pagavano gli Stati Uniti. Più servi e pezzenti di così! Se fosse un “revisionismo” non all’acqua di rose quello di Pansa dovrebbe suscitare ben altri dibattiti, di quelli di cui mi è capitato di udire, riferiti dallo stesso autore e che si risolvono, in pratica, nelle molestie e negli insulti di qualche imbecille invasato, di qualche idiota più idiota degli altri.

Il problema del “revisionismo” è oggi un’altro, che non mi sembra di aver veduto mai trattato nei libri di Pansa, che sono tanti, ripetitivi, e che non ho letto tutti. Io ho più volte detto che in Germania vi sarebbero stati dal 1994 ad oggi ben 200.000 persone incriminate per reati di opinione. Nell’indice dei 400 nomi di cui Pansa ha menato vanto non ho trovato quello di Nolte che nel 1994 avvertiva di cosa significava l’introduzione di una certa legge in Germania. Io ne pubblicai allora il testo in italiano. Non ho visto neppure il mio nome, mentre vi compare quello di comuni lettori che scrivono lettere ai giornali. Eppure avevo avuto una questione con Repubblica proprio nell’arco di tempo che Pansa esamina.

E vengo alla seconda cosa che ho da dire su questo ultimo libro di Pansa. Mi sarei aspettato una critica generale del sistema dei media. Ma ancora a pagina 200 non trovo nulla che dia credito a ciò che sembrava dire lo stesso Pansa nello spot pubblitario promozionale del suo libro. Qua e là ho trovato qualche aneddoto interessante, ma non una critica sistematica. Io mi auguro che la gente non vada più a comprare per nulla i giornali in edicola. Quando vede passeggeri sul pulman che leggono giornali, mi fanno ormai lo stesso effetto degli alcolizzati per strada e dei tossicodipendenti. Non credo che i giornalisti siano i sacerdoti della verità e neppure dei modesti professionisti che hanno il compito di comunicare notizie. Sono parte integrante di un sistema oppressivo che ha assai poco a che fare con la democrazia.

Potrei io raccontare ben altri aneddoti che non è dato leggere nei libri di Pansa. Dell’altro ieri una di cui non motivo di dubitare e che riguarda un celebre nome del mondo mediatico. Cosa faceva costui per guadargnarsi uno stipendio certamente non misero? Stendeva un lenzuolo e faceva proiettare le cassette che un militare americano portava ai giornalisti e poi si faceva riprendere come se lui si trovasse nei luoghi del pericolo. Noi poveri gonzi pensavamo che fosse una corrispondenza dal fronte! Non è il solo caso ed è forse la regola dell’informazione mainstream. Per questo, diffido della grande informazione, della mancanza di contraddittorio, dei giornalisti di mestiere e di regime, che spesso non capiscono neppure le cose di cui parlano, ma sanno soltanto dalla parte di chi devono stare.

Ma non ho ancora finito di leggere le restanti 200 pagine del libro. Avverto che su questo stesso post parlerò di altri libri, citati dallo stesso Pansa, che toccano il problema che mi interessa e che non vedo trattato da Pansa. E cioè se una comunicazione orizzontale, formata da una rete interconnessa di blogger e siti internet, può andare a sostituire la comunicazione verticale dei mainstream. Io credo che sia tecnicamente possibile e che siamo all’inizio di una rivoluzione nel campo dell’informazione, sempre che questa rivoluzione non venga repressa. Non si dimentichi che questo blog recita sotto il titolo anche: «…contro la stampa di regime»: non è tanto per dire, ma è un preciso impegno teorico e civile. Di questa problematica Giampaolo Pansa non pare abbia consapevolezza, finora, malgrado il titolo del libro “carta straccia” e “potere inutile” quello dei giornalisti, che per quanto mi riguarda sono piuttosto dei diffamatori di professione al servizio di qualcuno, ma per non equivocare posso anche dire per vocazione.

Ho finito di leggere il libro, per l’altra metà. E se qualcosa ancora da aggiungere, ne ho perso presto l’interesse. Il libro mi è parso deludente rispetto a quello che in una presentazione televisiva l’Autore sembrava annunciare. Altri interessi sono subentrati, e non avendole subito annotate, ho dimenticato due o tre osservazioni che avrei potuto fare in un giudizio definitivo sul libro. Qua e là ho notato grandi superficialità, non tanto riguardo il mondo del giornalismo al cui interno Pansa è sempre vissuto, ma in una realtà sociale che il giornalista Pansa non mi sembra abbia compreso. Adesso tuttavia ritorno sull’argomento perché Pansa in questo suoi libro ha trovato degli estimatori, di cui personalmente mi sarei vergognato, se fossi Pansa. Ma può che Pansa sia uno del loro. La Lobby ha tanto e insospettate ramificazioni. Conoscendo abbastanza i figuri, non credo che abbiano compreso granché della sostanza del libro, ammesso e dubitando che lo abbiano letto.

Ho finito da tempo di leggere l’altra metà del libro. Devo dire che il libro mi ha deluso rispetto a ciò che il titolo fa pensare e che lo stesso Pansa aveva detto in un passaggio televisivo di promozione del suo libro. Ad esempio, di quello che ricordo, essendo già passato un certo tempo, è la sua incomprensione delle faccende universitarie ed ancor più il problema della disoccupazione giovanile, come se si trattasse di “bamboccioni” che non sanno liberarsi dalle gonne della madre e rimboccarsi le maniche. Basta leggere ben altro libro, come quello di Naomi Klein, per capire che il problema della disoccupazione generale, e giovanile n particolare, è un risultato strutturale del liberismo della scuola di Chicago. Che questo non lo abbia capito un giornalista come Pansa mi sembra strano. Ma il motivo che mi induce ad aggiungere queste righe è uno strano successo che il libro ha indubbiamente presso i sionisti nostrani che ne parlano bene a più riprese e perfino in una loro rubrica lo menzionano nei dieci libri raccomandati per le letture estive. Ecco, avendo ben letto il libro, di non difficile lettura, non mi riesce tuttavia di capire questa connessione fra il sionismo e Pansa. Misteri estivi!

(segue: testo in elaborazione permanente)

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