martedì 10 maggio 2011

Israel lobby, N.S.: 5) «Goldstone ha ritrattato sotto minaccia i crimini di Israele?» - di Gianluca Freda.

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Redatto da Gianluca Freda, pubblichiamo il testo che segue e che appare contemporaneamente in più siti. Con la la presunta “ritrattazione” di Goldstone si mira a far ritirare dall’ONU il rapporto omonimo. Si vuol ripetere la manovra fatta dopo Durban I, quando fu equiparato sionismo e razzismo. Ma mentre a tutti resta nota (e valida) quella famosa dichiarazione, rimangono ignoti i maneggi che ne causarono il ritiro. In Londra, pochi giorni fa, si è pure tentato di intimidire un gruppo di relatori che hanno dato inizio ad un dibattito sulla natura del sionismo e sull’essenza dell’ebraicità, partendo proprio dalle pressioni esercitate su Goldstone. Noi crediamo che sia giunto il tempo di interrogarci seriamente su cosa il sionismo è in realtà. A 150 dall’Unità d’Italia, ci sembra togliere ogni valore all’idea di Risorgimento se si pretende di coniugarlo o imparentarlo con il sionismo, che resta inguaribilmente un movimento immigratorio, di carattere coloniale e razzista, finalizzato alla pulizia etnica della Palestina. Ad essere contrari a questo disegno furono proprio le comunità ebraiche che erano presenti in Palestina prima dell’immigrazione sionista, cioè a far data dal 1882 e con le accelerazioni del 1917 (Balfour) e del 1948 (Nabka). L’evento londinese dimostra che ciò che si vuol impedire è proprio qualsiasi tentativo di approfondimento dell’essenza dell’ebraicità e della natura del sionismo, nonché della sua estraneità al giudaismo, come in circa 300 pagine ben descrive Jakob Rabkin in un libro tradotto anche in italiano e poco noto e pubblicizzato. A questo post, seguirà fra qualche giorno, un ampio resoconto della discussione londinese.

CIVIUM LIBERTAS


R. GOLDSTONE: SUI CRIMINI DI ISRAELE HA RITRATTATO SOTTO MINACCIA?

di Gianluca Freda

Se avessi saputo prima quello che so adesso,
il Rapporto Goldstone sarebbe stato un documento diverso
”.
Con queste parole, scritte lo scorso 1° aprile su un articolo del Washington Post, Richard Goldstone avrebbe “ritrattato” (almeno così ci è stato raccontato dai media mainstream) le accuse di crimini contro l’umanità rivolte ad Israele per le stragi compiute dall’IDF (l’esercito israeliano) durante l’attacco a Gaza del dicembre 2008 - gennaio 2009. Ma si è trattato davvero di una ritrattazione? E che cosa ha spinto Goldstone a compiere questa imprevista marcia indietro?

Leggendo l’articolo di Goldstone sul Washington Post, pubblicato il 1° aprile scorso (una data simbolica?) si può innanzitutto notare che esso, più che una vera e propria ritrattazione sugli scempi compiuti da Israele contro i civili di Gaza, contiene soprattutto alcune insistenti precisazioni sugli speculari (secondo Goldstone) crimini di guerra perpetrati da Hamas. I lanci di razzi effettuati da Hamas vengono posti sullo stesso piano dei bombardamenti al fosforo bianco compiuti da Israele, con un’operazione che sa di deriva propagandistica più che di corollario agli accertamenti compiuti nel corso della missione ONU, di cui Goldstone era a capo. Una propaganda dai connotati arcinoti, della quale è impossibile non riconoscere a prima vista la matrice.

Goldstone non ritratta affatto le sue precedenti conclusioni sull’intervento israeliano, deprecando anzi la scarsa collaborazione offerta dalle autorità di Israele nel corso delle indagini, nonché la lunghezza e la scarsa trasparenza dei processi intentati contro i militari accusati di azioni criminali contro i civili (come lo sterminio di 29 membri della famiglia al-Simouni all’interno della loro abitazione di Gaza). Ma allo stesso tempo, con mastodontica contraddizione, egli esprime una generica fiducia nella “correttezza” e nella “trasparenza” delle indagini che Israele sta adesso iniziando a condurre (o più probabilmente a fingere di condurre) contro l’operato dei propri militari. Ad esempio, la posizione di Israele riguardo lo sterminio della famiglia al-Simouni – cui era dedicata una corposa sezione del rapporto - è che tale massacro sarebbe stato causato dall’”errata interpretazione di un’immagine proveniente da un drone”. Goldstone si dice “fiducioso” che l’ufficiale che aveva scorrettamente interpretato l’immagine venga riconosciuto colpevole di negligenza. Non è chiaro su cosa egli basi la propria fiducia, trattandosi di un processo che l’IDF conduce contro l’IDF, con risultati che non è avventato definire prevedibili. E’ esattamente lo stesso modello di procedura investigativa avviata dopo il massacro della Mavi Marmara ed è davvero difficile capire come sia possibile nutrire “fiducia” verso un imputato che giudica se stesso e non ammette di essere giudicato da altri che da se stesso. Né è chiaro cosa Goldstone intenda per “trasparenza”, visto che le indagini non sono pubbliche e che Israele non si sogna nemmeno di condividere le prove raccolte con osservatori esterni e indipendenti.

Nell’articolo, Goldstone fa anche notare che mentre Israele si sarebbe impegnato ad avviare indagini sugli eventi del 2008-2009, Hamas non avrebbe invece fatto nulla per accertare le eventuali responsabilità dei propri esponenti. Il che sarebbe, in verità, un’ottima ragione per ringraziare Hamas di aver risparmiato all’opinione pubblica un’indagine-farsa contro se stessa, i cui esiti non sarebbero stati difficili da immaginare. Che Hamas apprezzi le pantomime processuali molto meno del governo israeliano, era cosa già nota. Manca ovviamente nell’articolo – né era lecito attendersela – qualunque considerazione sul problema di fondo: e cioè sul fatto che le aggressioni israeliane contro i civili palestinesi non andrebbero valutate singolarmente e di volta in volta come se si trattasse di azioni isolate; esse andrebbero invece inquadrate nell’ottica della lunga storia di massacri perpetrati da Israele contro la Palestina, la cui ricorrenza e la cui brutalità è impossibile definire accidentale se trasposta su una prospettiva di lungo periodo.

Insomma, più che come una ritrattazione motivata e articolata, l’articolo di Goldstone sul Washington Post si presenta come una scomposta sequela di affermazioni improbabili e apodittiche, scritta frettolosamente ricopiando alla rinfusa i pretesti più grevi del razzismo omicida dell’entità sionista. Occorre chiedersi: cos’è che ha spinto Goldstone a pubblicare una non-smentita così traballante e sospetta?

La risposta è piuttosto nota sulla stampa estera, assai meno in Italia, dove tutto ciò che può nuocere alla politica del sionismo o rivelarne le trame viene segregato nel limbo del non detto e non scritto e ricoperto da una coltre di ossequiante silenzio.

Il 15 aprile del 2010, il quotidiano Jerusalem Post pubblicava un articolo nel quale si rendeva conto di un’escalation di ostilità delle collettività ebraiche nei confronti di Richard Goldstone. L’articolo spiegava:
Il giudice Richard Goldstone, a capo di un’indagine sui crimini di guerra che ha fatto infuriare Israele e le comunità ebraiche del mondo, non potrà partecipare al bar mitzvah di suo nipote che si terrà a Johannesburg il prossimo mese, stando a quanto afferma un giornale sudafricano”.
Il bar mitzvah (bat mitzvah per le ragazze) è
“la cerimonia ebraica con cui si celebra il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l'età della maturità (12 anni e un giorno per le femmine, 13 anni e un giorno per i maschi) e diventa responsabile per sé stesso nei confronti della Halakhah, la legge ebraica”.
Si tratta di un evento molto sentito nelle comunità ebraiche, un’occasione in cui ogni famiglia ha, fra le altre cose, la possibilità di far risaltare la propria composizione numerica, la propria rilevanza sociale e dunque il proprio potere nell’ambito della collettività.

L’articolo del Jerusalem Post continuava:
Goldstone non sarà presente alla cerimonia religiosa di suo nipote in seguito ad un accordo tra la famiglia, l’Organizzazione Sionista del Sud Africa (SAZF) e la sinagoga Beith Hamedrash Hagadol di Sandton, dove la cerimonia verrà celebrata, stando al giornale sudafricano Jewish Report. [...] Il capo della SAZF, Avrom Krengel, ha detto che, riguardo al problema, la sua organizzazione “si è confrontata” col rabbino capo, con la beit din (corte rabbinica) e con altri soggetti, aggiungendo che la federazione si è interessata del problema “con la massima forza, visto che noi rappresentiamo Israele””.
Il rabbino Moshe Kurtstag, capo della beit din locale dichiarava:
So bene che nella shul [sinagoga] ci sono sentimenti molto forti, c’è molta rabbia [riguardo alla partecipazione di Goldstone]. Ho anche sentito che la SAZF voleva organizzare una protesta all’esterno della shul, c’erano progetti di ogni tipo. Ma penso che alla fine la ragione abbia prevalso”.
E’ da notare che questo evidente ricatto contro Goldstone nasce e si sviluppa in seno alla stampa ebraica sionista. L’attacco parte dal giornale ebraico sudafricano Jewish Report, viene ripreso dal Jerusalem Post e subito dopo dal London Jewish Chronicle e dalla Jewish Telegraphic Agency. Solo successivamente la notizia verrà ripresa da altre fonti, quali il New York Times e Al Jazeera.

E’ anche da notare che la SAZF, nelle sue dichiarazioni, cerca ipocritamente di farsi passare per mediatrice, come se fosse intervenuta a proteste già iniziate e si fosse messa alla ricerca di una risoluzione pacifica della questione. In realtà era stata proprio la SAZF, nella persona del suo capo Avrom Krengel, la fonte da cui erano partite le minacce e la campagna diffamatoria.
Nella foto si riconosce a sinistra Alan Dershowitz, al centro Avron Krengel, e forse a destra lo stesso Richard Goldstone. È una foto della SAZF (South African Zionist Federation) svoltasi il 31 marzo 2011 (Fonte). Il dubbio dell’esistenza di un contatto diretto fra Krengel e Goldstone è però sciolto da un’altra documentazione fotografica che ritrae insieme i due personaggi. La fonte della prima foto è a questo link, dove si trova tutto il servizio fotografico di una confererenza del SAFZ, mentre la seconda proviene dal Guardian (Fonte: del 7 maggio 2011) e mostra un Goldstone in atteggiamento piuttosto deferente verso Krengel. Quando il giudice Goldstone ebbe a dire di essere lui stesso un ebreo e per giunta sionista, evidentemente – è proprio il caso di dirlo – non si trattava di affermazione superficiale senza fondamento. Resta il problema di come si sia potuto affidare un compito tanto delicato ad una persona che il qualsiasi altro procedimento giudiziario sarebbe stata ricusata in quanto non imparziale e inaffidabile, ovvero a rischio di pressioni e condizionamenti. [N.d.R.]

Nel mese di aprile 2010, in molte sinagoghe sudafricane, i rabbini tennero sermoni sul caso Goldstone. Se da una parte si affermava il diritto di Goldstone a partecipare senza interferenze al bar mitzvah del nipote, dall’altro lo si additava senza esitazione come un nemico del popolo ebraico. Un esempio, fra i tanti, è quello del sermone tenuto dal rabbino Yossi Goldman, presidente dell’Associazione Rabbinica Sudafricana, presso la sinagoga Sydenham di Johannesburg. Goldman, da un lato, difendeva “il diritto di Goldstone di entrare nella sinagoga”; aggiungeva però che Goldstone “non avrebbe dovuto essere contato nel minyan” [il quorum di dieci uomini ebrei richiesto per certe preghiere] e suggeriva che a Goldstone avrebbe dovuto essere negata l’Aliya [l’onore di essere chiamato alla Torah], spiegando che “tale privilegio può andare perduto a seguito di comportamenti inappropriati”. Goldman, inoltre, accusava Goldstone di essere un nemico del popolo ebraico e di aver tradito la memoria di sua nonna. Steven Friedman, professore di scienze politiche presso l’università di Rhodes, in Sudafrica, dichiarava:
“C’è l’establishment dietro questi attacchi. [...] C’è l’evidente tentativo, da parte della Federazione Sionista, di diffamare Goldstone”.
Alan Dershowitz, [Vedi sopra la sua foto, che lo ritrae ad una recente conferenza del SZF. Ed anche, nella stessa conferenza, la foto qui accanto. - N.d.R.] avvocato costituzionalista americano – lo stesso che aveva spinto la DePaul University di Chicago a licenziare Norman Finkelstein, il quale aveva denunciato come il libro di Dershowitz, “The Case for Israel”, fosse in buona parte scopiazzato da altri testi di infimo livello – definiva Goldstone “un uomo molto malvagio”, “un traditore del popolo ebraico” e “un essere umano spregevole”. I ministri del governo israeliano, come vuole la consuetudine, denunciavano Goldstone come antisemita. Shimon Peres lo definiva “un omuncolo, privo di qualunque senso della giustizia”.

Alla fine di maggio del 2010 comparve sul sito ebraico Forward un articolo a firma di un certo Leonard Fein. L’autore dell’articolo affrontava, più che altro, una generica questione di costume, lamentandosi di come fossero cambiati, nel corso del tempo, alcuni caratteri delle celebrazioni religiose ebraiche. Nello specifico, l’autore deprecava le interferenze esterne che contribuiscono oggi a definire chi viene e chi non viene invitato ad alcune cerimonie religiose, come il bar mitzvah. L’articolo faceva nuovamente riferimento al caso Goldstone, affermando che la situazione di Goldstone
si era alla fine risoltacon una luce verde concessa in ritardo e con una certa riluttanza – e la giornata era poi trascorsa in modo piacevole”.
Non specificava, però, in quale modo Goldstone fosse riuscito a placare i suoi persecutori.

La questione viene chiarita da questo articolo del Guardian, in cui si legge:
Richard Goldstone, ex capo di una commissione internazionale sui crimini di guerra, è stato costretto ad incontrarsi con i leader ebraici sudafricani per ascoltare la loro rabbia riguardo al rapporto dell’ONU in cui egli accusava Israele di aver commesso crimini di guerra a Gaza. L’incontro, che non è stato Goldstone a richiedere, è in realtà la condizione affinché gli venga consentito di partecipare al bar mitzvah di suo nipote a Johannesburg”.
Cosa si siano detti Goldstone e i capi del sionismo sudafricano durante quella riunione, non è dato sapere, ma non è difficile immaginare. Goldstone è sempre stato profondamente legato ad Israele e nel corso della sua indagine sull’aggressione contro Gaza aveva mantenuto un livello di obiettività che, paradossalmente, aveva fatto risaltare con maggiore evidenza le atrocità compiute dagli israeliani. Ormai 75enne e al termine della sua carriera, Goldstone non ha voluto essere ricordato come un “nemico del popolo ebraico” e si è piegato ai voleri delle organizzazioni sioniste per non lasciare un marchio sul proprio nome che avrebbe esposto la sua stessa famiglia a ricatti e ritorsioni. La sua “ritrattazione” è tanto vaga, disarticolata e priva di logica quanto il suo rapporto era dettagliato e argomentato. Una ritrattazione che non conta e non vale nulla, soprattutto se non si esclude che potrebbe essere stata ottenuta attraverso un ricatto odioso, di “tale squallore umano – pretendono le malelingue… – che solo un’organizzazione sionista potrebbe essere stata in grado di concepire”. Sulla base dell’articolo pubblicato da Goldstone, il governo israeliano, per bocca di Netanyahu e del vice Primo Ministro Moshe Ya’alon, sta continuando a fare pressione affinché Goldstone chieda una ritrattazione dei contenuti del rapporto alle stesse Nazioni Unite. In ogni caso, vista la vacuità della “marcia indietro” di Goldstone, contrapposta all’estrema precisione delle accuse presenti nel rapporto, appare al momento piuttosto improbabile che le Nazioni Unite possano prendere le richieste dei sionisti in qualsivoglia considerazione.

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Questo testo appare anche nei seguenti blog, siti e Forum, dove si può seguire gli ulteriori sviluppo ed ogni eventuale dibattito, anche con partecipazione di avversari:

A: 1. Agora di Cloro. - 2. Apocalypse Time. 3. Arianna Editrice. - 4. Asalto.
C: 5. Civium Libertas. - 6. Il Corrosivo. -

1. Palestina libera!

3. Informare Per Resistere.
4. Fabio Sallustro’s Blog.

6. Il Francotiratore.

8. Francesco Ferrari.
9. Gruppo Falastin.
10. Oltre la Coltre.
11. Gianluca Freda - Blogghete!
12. Zcommunications.

14. Media activism group.

16. Stampa libera.
17. Web Nostrum.
18. Tlaxcacala.

20. Politica in Rete.
21. Terra Santa Libera. –

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Postilla 1
( a cura di CL)

Links:
– Lo stato di Israele si è avvalso di una contro-inchiesta affidata ai suoi stessi militari, responsabili di “Piombo Fuso”. Non era difficile immaginare quale potessero essere le conclusioni, allo stesso modo in cui non si è rivelato saggio affidare la presidenza della missione ONU ad una persona, Richard Goldstone, che si sapeva per sua stessa ammissione essere “ebreo” e “sionista”. Un recente sviluppo lo si è avuto, il 17 maggio scorso, pochi giorni fa, in Bruxelles, dove a un militare è stato inibito di tenere una conferenza sulla guerra asimmetrica, dove spiegava che è nella prassi dell’esercito israeliano sparare in misura sproporzionata nella direzione in cui avvertono la presenza di un fuoco nemico, poco importa che in quel luogo vi siano dei civili. Su questa “dottrina”, evidentemente, Goldstone deve aver avuto i suoi ripensamenti. Ma ecco il link dove sono precisati meglio i dettagli dell‘evento:

- Liron Liebman, colonel israélien ne tiendra pas sa conf?érence à Bruxelles (18.5.2011).

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