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Appena dopo aver scritto di getto sul libro di Giorgio Israel trovo opportuno dire qualcosa di un altro libro, sempre di un ebreo, ordinato direttamente dalla Francia, dove pare il libro abbia suscitato un forte dibattito, e la cui lettura ho condotta quasi per metà. Ne voglio dire giusto qualcosa per far capire che non oriento le mie letture verso libri che rafforzino i miei pregiudizi, se ne ho e se non riesco a liberarmene. Chi cerca solo la verità non ha nessun interesse ad essere preda di pregiudizi. Vi sono poi persone – e sono tante – che coltivano per professione la menzogna ed il cui lavoro consiste consapevolmente nell’inganno del prossimo. Mentre ho sto faticando a giungere alla fine del libretto di Debray di appena 150 paginette ho invece terminato più speditamente il più recente libro italiano di Noam Chomsky, pure lui ebreo, autore di un ultimo volume dal titolo “Stati falliti”, di cui parlo altrove. Mentre in Chomsky trovo un “pensiero”, faccio fatica a trovarlo in Debray, forse perché il mio francese non mi è familiare come l’italiano, che resta la mia lingua principale, anche se oramai è poco più di un dialetto, dove si trovano poche fonti documentarie. Che tristezza!
Ma torniamo a Debray ed al titolo del libro che ricordo altro titolo analogo: La lettera ad un amico di Sergio Romano. Sembra che sia una sorta di assicurazione contro gli infortuni che possono capitare di questi tempi quella di avere almeno un “amico” ebreo o israeliano. Ahimè io non ne nessuno. Ho solo “nemici” da quella parte. La mia gravissima colpa è di essere indipendente e refrattario ad ogni loro propaganda. Per il resto, ad esempio leggendo libri, mi è del tutto indifferente che l’autore sia o non sia ebreo: conta per me solo ciò che dice e la forza dei suoi argomenti. Del pari, non ricordo in vita mia di aver mai discriminato una persona persona per il solo fatto di essere o non essere ebrea, americana, francese, equimese, abruzzese... Ma devo anche dire, ad onor del vero, che dopo gli attacchi subiti evito di aver rapporti con ebrei o israeliani. Se questo sia “antisemitismo” non saprei. Resta il fatto che sono loro ad avermi fatto del male e non io ad averlo fatto loro. La difesa da chi ha dimostrato di volerci male è legittima, anche se bisogna stare attenti a non cadere nel pregiudizio.
Mentre con Chomsky mi accorgo di apprendere qualcosa e di acquisire concetti che mi tornano utili, non ho avuto nessuna sensazione simile procedendo a fatica nella lettura di Debray. Direi che il suo libretto, se ha un senso, esprime semplicemente un disagio esistenziale all’interno dell’identità ebraica. Ma un disagio diverso da quello di un Avraham Burg, che pur restando ebreo, ha ben compreso a mio avviso tutto il rischio di uno schiacciamente dell’identità ebraica sul sionismo e sulla Shoah come mito fondativo dell’identità ebraico-israeliana. Proprio sulla Shoah mi ha appena infastidito una pagina di Debray, dove mi sembra che l’illustre personaggio non abbia capito nulla, a differenza di non pochi altri suoi “correligionari” o come altrimenti occorra dire.
A me della Shoah, per la verità, interessa poco ed ho appreso a mie spese che è meglio non occuparsene e lasciare che chi vuole ne celebri i riti ed i miti. Basta che a me mi lascino in pace e non pretendano professione di fede, come usava ai tempi dei processi per stregoneria, o quando la religione era l’ideologia ufficiale di uno stato. Ciò che invece mi interessa e mi inquieta grandemente è che milioni di persone si trovino negato il loro diritto di svolgere critica storica e di affrontare un libero contradditorio su temi, la cui veridicità può basarsi su fonti documentarie e sulla discussione critica delle fonti primarie e letterarie. Se è vero, come pare sia vero, che l’opera principe su questa problematica sia il libro di Raul Hilberg e che tutto il resto, come dice Finkelstein, sia paccottiglia da supermercato, stancamente ripetitiva ed ideologica, allora è inconcepibile che un autore come Jürgen Graf, autore di un piccolo ma denso libro dal titolo “Il gigante dai piedi di argilla”, cioè un libro di critica alle tesi di Hilberg, debba vivere il esilio in Russia per la sola colpa di aver scritto questo libro. Per me ciò è semplicemente mostruoso e poco mi interessa se abbia scientificamente ragione Graf o Hilberg. Il principio della libertà di pensiero e di espressione dovrebbe essere il cardine della nostra democrazia.
Ciò a ben compreso Noam Chomsky in una sua difesa di Faurisson. Non dimostra di averlo capito Debray che poi cita a suo sostegno nient’altro che un Naquet-Vidal, della cui superficialità mi sono occupato, ma su cui ho ancora in programma di ritornare. Insomma, come filosofo del diritto, la mia battaglia è che la libertà di pensiero e di critica viene assai prima ed è più importante di qualsiasi Shoah, che per me in ogni caso non è la Tragedia per antonomasia. Ve ne sono di più grandi e certamente la “pulizia etnica” ed il “genocidio” del popolo palestinese è ben più grave delle ragioni che i coloni israeliani adducono come loro diritto a rendere a terzi innocenti il male che dicono di aver ricevuto da altri. Tutto ciò perme cozza contro il più elementare principio di logica e di giustizia al tempo stesso. Ma a capire questo sono in primo luogo non pochi “ebrei”, come Chomsky, Burg, Atzmon, Rabkin e tanti altri, i cui libri leggo con interesse ed a preferenza di altri sullo stesso tema.
Per fortuna, il libretto di Debray è mi è costato appena 12 euro rispetto ai 29 spesi per un libro inutile ed irritante come quello di Giorgio Israel, la cui utilità è solo quella di avere un documento di quello che passa come un “eccelso sionista”. Se è il massimo che si possa trovare sulla piazza italiana, allora non occorre affaticarsi a trovare altri documentazione con la quale doversi misurare criticamente. Via via che si cresce in un certo ordine di conoscenze – e di questo campo mi occupo solo da qualche anno e spero di non dovermene occupare oltre, chiariti a me stesso alcuni concetti essenziali. Si chiama ciò “fare i conti”, per usare un’espressione dello stesso Giorgio Israel. Ogni intellettuale fa concettualmente i conti con quelli che ritiene suoi “avversari” se non addirittura “nemici” esistenziali. Ma questi sono concetti delicati e pericolosi che bisogna rinviare ad altra sede.
Per chiudere con Debray, salvo ritornarvi in prosieguo di lettura, riprendo un concetto che avrei già dovuto utilizzare per Monforte, dove il discorso è rimasto interrotto. Nessuno può pretendere di toglierci il nostro passato storico, la nostra memoria, introducendovene una stabilita dal regime. La ricostruzione del proprio passato personale o del passato storico della comunità entro cui si è nati e alla cui sorte si è inscindibilmente legati è espressione della nostra libertà e del nostro cammino verso la conoscenza e la verità. Le classi politiche che si sono insediate al potere dopo la sconfitta bellica non sono state capaci di produrre una loro propria legittimazione. Credono di poterla ottenere con la demonizzazione (il «Male assoluto») di quanti li hanno preceduti nella gestione del potere. Possono aver commesso tutti gli errori ed avere tutte le colpe che si vogliono, ma almeno erano indipendenti. Il ceto politico attuale ha le stesse colpe, forse anche di più gravi, ma non è più indipendente e la sua “cupidigia di servilismo” era già parsa chiara a pochi anni dalla sconfitto ad un politico intelligente ed esperto come Vittorio Emanuele Orlando.
Il caso Faurisson, noto a molti come se fosse un caso singolo, è invece esemplificativo di milioni di casi simili. Mi sono lanciato in una stima di 200.000 persone per la sola Germania dal 1994 ad oggi, ma bisognerebbe avere statistiche certe ed aggiornate per ogni paese d’Europa. Attualmente sono circa 13 i paesi europei dove vige una legislazione liberticida, il cui mandante è lo stato di Israele che ha fatto partire il suo ordine di scuderia nel 1986. Pretendeva perfino una sorta di giurisdizione universale per la quale ogni cittadino del mondo avrebbe potuto essere rapito dal Mossad e portato in Israele per espiare la mera colpa di aver pensato fuori dai canoni impartiti. Evidentemente Debray avverte il disagio di questo essere ebrei oggi ed esserlo in questo modo. Ma non ha ancora raggiunto la lucidità intellettuali di uno Chomsky o anche di un Avraham Burg. Sono affari loro e noi non-ebrei dovremmo avere pure il diritto di occuparci della nostra identità in un mondo che tenta in ogni modo di spersonalizzarci e di trasformarci in atomi sociali eterodiretti.
Per quanto riguarda Israele ed ogni “amico israeliano” non importa di chi il discorso mi sembra alquanto semplice. Se dovessimo seguire il criterio di Chomsky, cioè di voler cercare ad ogni costo Verità e Giustizia, non è difficile riconoscere una sostanziale “illegittimità” di tutta quella costruzione che è stata edificata con la forza e la sopraffazione da oltre un secolo a questa parte e che oggi è lo stato di Israele, che blatera sul suo strano “diritto all’esistenza”, un diritto che normalmente nessun essere che esiste pensa di dover reclamare. La verità è che una simile pretesa nasconde in sé la consapevolezza della propria illegittimità, della propria natura violenta e sopraffatrice. Si è vorrebbe essere rassicurati per i propri crimini. Orbene, un conto è l‘azione diplomatica degli stati che devono soggiacere al principio di effettività ed all’occorrenza trattare con briganti e malfattori di ogni genere, dopo beninteso averli riconosciuti e data loro un’eguale dignità di pari; altra cosa è quella verità che ogni essere pensante ed indipendente è capace di attingere con le sue proprie libere forze. L’immagine che ne viene fuori di Israele e del sionismo è assolutamente negativa. Se per malaugurata ipotesi, gli Israeliani (ed anche “l’amico israeliano” di Debray) riuscissero a cancellare dalla faccia della terra ogni palestinese, sia uccidendolo fisicamente sia disperdendolo in campi profugo sparsi per il mondo o in riserve indiane in quella farsa di cui tanto si parla e che sarebbe uno “stato palestinese”, non per questo cesserebbe o diminuerebbe quell’immagine negativa che risulta da una coscienza umana libera, indipendente e informata. Anche oggi noi riusciamo a mantenere intatto il nostro giudizio a distanza di secoli. Come non considerare un crimine immane la scomparsa ed il genocidio degli indiani d’America e come considerare diversamente i crimini del colonialismo europeo, che non ha lasciato nulla di buono dietro di se ma solo un pessimo ricordo che trova concordi tutti gli storici indipendenti?
Da qui un insanabile deficit di legittimità di Israel, un deficit che si allarga quanto più quel regime si mantiene su una forza brutale, su armi sofisticate che altri non possiedono per poter combattere su un piano di parità militare. Da qui un disagio esistenziale inevitabile per quanti non sono legati mani e piedi al maltolto e al delitto. È questo il vero senso, credo, del discorso di Ahmadinejad che parla di “implosione” dello stato di Israele, privo di ogni fondamento di giustizia ed umanità. E quanto più gli stati daranno copertura ad una illegittimità sempre più manifesta tanto più indeboliranno le loro stesse basi di legittimità ed appariranno complici e colpevoli agli occhi dei loro popoli, che non potranno ingannare indefinitamente. Quanto poi all’essere ebreo tocca ad ogni ebreo che si dica e riconosca tale se vuole egli identicarsi o meno con quella mostruosa costruzione, con un vero Stato “criminale” nell’accezione di Jaspers. Forse, ed è stato detto, Israele è la peggiore disgrazia che gli ebrei abbiano avuto nel corso di tutta la loro storia. A stare a sentire Chomsky, che in questo diverge da altre analisi, Israele dipende interamente dagli USA, come in passato ha cavalcato l’Inghilterra e la Russia di Stalin. Il giorno in cui gli USA dovessero ritirarsi dal Medio oriente, come si è già ritirato l’Impero Britannico, allora per Israele sarebbe proprio finità, ma disponendo di atomica ed essendo tutti matti da quelle parti, avendo cioè un modo di ragionare tutto peculiare, è da temere fortemente per le sorti dell’umanità tutta. Dove sta scritto: “Muoia Sansone con tutti i Filistei”? Bisognerebbe incominciare a denuclearizzare proprio Israele, non l’Iran che non possiede nessuna atomica e contro il quale si va cercando lo stesso pretesto, la stessa menzogna che abbiamo visto con i falsi armamenti di Saddam. Ci hanno mentito spudoratamente, ma sono e restano ancora saldamente al potere. Questa è la nostra cosiddetta democrazia, che pretendiamo di esportare altrove!
Ma torniamo a Debray ed al titolo del libro che ricordo altro titolo analogo: La lettera ad un amico di Sergio Romano. Sembra che sia una sorta di assicurazione contro gli infortuni che possono capitare di questi tempi quella di avere almeno un “amico” ebreo o israeliano. Ahimè io non ne nessuno. Ho solo “nemici” da quella parte. La mia gravissima colpa è di essere indipendente e refrattario ad ogni loro propaganda. Per il resto, ad esempio leggendo libri, mi è del tutto indifferente che l’autore sia o non sia ebreo: conta per me solo ciò che dice e la forza dei suoi argomenti. Del pari, non ricordo in vita mia di aver mai discriminato una persona persona per il solo fatto di essere o non essere ebrea, americana, francese, equimese, abruzzese... Ma devo anche dire, ad onor del vero, che dopo gli attacchi subiti evito di aver rapporti con ebrei o israeliani. Se questo sia “antisemitismo” non saprei. Resta il fatto che sono loro ad avermi fatto del male e non io ad averlo fatto loro. La difesa da chi ha dimostrato di volerci male è legittima, anche se bisogna stare attenti a non cadere nel pregiudizio.
Mentre con Chomsky mi accorgo di apprendere qualcosa e di acquisire concetti che mi tornano utili, non ho avuto nessuna sensazione simile procedendo a fatica nella lettura di Debray. Direi che il suo libretto, se ha un senso, esprime semplicemente un disagio esistenziale all’interno dell’identità ebraica. Ma un disagio diverso da quello di un Avraham Burg, che pur restando ebreo, ha ben compreso a mio avviso tutto il rischio di uno schiacciamente dell’identità ebraica sul sionismo e sulla Shoah come mito fondativo dell’identità ebraico-israeliana. Proprio sulla Shoah mi ha appena infastidito una pagina di Debray, dove mi sembra che l’illustre personaggio non abbia capito nulla, a differenza di non pochi altri suoi “correligionari” o come altrimenti occorra dire.
A me della Shoah, per la verità, interessa poco ed ho appreso a mie spese che è meglio non occuparsene e lasciare che chi vuole ne celebri i riti ed i miti. Basta che a me mi lascino in pace e non pretendano professione di fede, come usava ai tempi dei processi per stregoneria, o quando la religione era l’ideologia ufficiale di uno stato. Ciò che invece mi interessa e mi inquieta grandemente è che milioni di persone si trovino negato il loro diritto di svolgere critica storica e di affrontare un libero contradditorio su temi, la cui veridicità può basarsi su fonti documentarie e sulla discussione critica delle fonti primarie e letterarie. Se è vero, come pare sia vero, che l’opera principe su questa problematica sia il libro di Raul Hilberg e che tutto il resto, come dice Finkelstein, sia paccottiglia da supermercato, stancamente ripetitiva ed ideologica, allora è inconcepibile che un autore come Jürgen Graf, autore di un piccolo ma denso libro dal titolo “Il gigante dai piedi di argilla”, cioè un libro di critica alle tesi di Hilberg, debba vivere il esilio in Russia per la sola colpa di aver scritto questo libro. Per me ciò è semplicemente mostruoso e poco mi interessa se abbia scientificamente ragione Graf o Hilberg. Il principio della libertà di pensiero e di espressione dovrebbe essere il cardine della nostra democrazia.
Ciò a ben compreso Noam Chomsky in una sua difesa di Faurisson. Non dimostra di averlo capito Debray che poi cita a suo sostegno nient’altro che un Naquet-Vidal, della cui superficialità mi sono occupato, ma su cui ho ancora in programma di ritornare. Insomma, come filosofo del diritto, la mia battaglia è che la libertà di pensiero e di critica viene assai prima ed è più importante di qualsiasi Shoah, che per me in ogni caso non è la Tragedia per antonomasia. Ve ne sono di più grandi e certamente la “pulizia etnica” ed il “genocidio” del popolo palestinese è ben più grave delle ragioni che i coloni israeliani adducono come loro diritto a rendere a terzi innocenti il male che dicono di aver ricevuto da altri. Tutto ciò perme cozza contro il più elementare principio di logica e di giustizia al tempo stesso. Ma a capire questo sono in primo luogo non pochi “ebrei”, come Chomsky, Burg, Atzmon, Rabkin e tanti altri, i cui libri leggo con interesse ed a preferenza di altri sullo stesso tema.
Per fortuna, il libretto di Debray è mi è costato appena 12 euro rispetto ai 29 spesi per un libro inutile ed irritante come quello di Giorgio Israel, la cui utilità è solo quella di avere un documento di quello che passa come un “eccelso sionista”. Se è il massimo che si possa trovare sulla piazza italiana, allora non occorre affaticarsi a trovare altri documentazione con la quale doversi misurare criticamente. Via via che si cresce in un certo ordine di conoscenze – e di questo campo mi occupo solo da qualche anno e spero di non dovermene occupare oltre, chiariti a me stesso alcuni concetti essenziali. Si chiama ciò “fare i conti”, per usare un’espressione dello stesso Giorgio Israel. Ogni intellettuale fa concettualmente i conti con quelli che ritiene suoi “avversari” se non addirittura “nemici” esistenziali. Ma questi sono concetti delicati e pericolosi che bisogna rinviare ad altra sede.
Per chiudere con Debray, salvo ritornarvi in prosieguo di lettura, riprendo un concetto che avrei già dovuto utilizzare per Monforte, dove il discorso è rimasto interrotto. Nessuno può pretendere di toglierci il nostro passato storico, la nostra memoria, introducendovene una stabilita dal regime. La ricostruzione del proprio passato personale o del passato storico della comunità entro cui si è nati e alla cui sorte si è inscindibilmente legati è espressione della nostra libertà e del nostro cammino verso la conoscenza e la verità. Le classi politiche che si sono insediate al potere dopo la sconfitta bellica non sono state capaci di produrre una loro propria legittimazione. Credono di poterla ottenere con la demonizzazione (il «Male assoluto») di quanti li hanno preceduti nella gestione del potere. Possono aver commesso tutti gli errori ed avere tutte le colpe che si vogliono, ma almeno erano indipendenti. Il ceto politico attuale ha le stesse colpe, forse anche di più gravi, ma non è più indipendente e la sua “cupidigia di servilismo” era già parsa chiara a pochi anni dalla sconfitto ad un politico intelligente ed esperto come Vittorio Emanuele Orlando.
Il caso Faurisson, noto a molti come se fosse un caso singolo, è invece esemplificativo di milioni di casi simili. Mi sono lanciato in una stima di 200.000 persone per la sola Germania dal 1994 ad oggi, ma bisognerebbe avere statistiche certe ed aggiornate per ogni paese d’Europa. Attualmente sono circa 13 i paesi europei dove vige una legislazione liberticida, il cui mandante è lo stato di Israele che ha fatto partire il suo ordine di scuderia nel 1986. Pretendeva perfino una sorta di giurisdizione universale per la quale ogni cittadino del mondo avrebbe potuto essere rapito dal Mossad e portato in Israele per espiare la mera colpa di aver pensato fuori dai canoni impartiti. Evidentemente Debray avverte il disagio di questo essere ebrei oggi ed esserlo in questo modo. Ma non ha ancora raggiunto la lucidità intellettuali di uno Chomsky o anche di un Avraham Burg. Sono affari loro e noi non-ebrei dovremmo avere pure il diritto di occuparci della nostra identità in un mondo che tenta in ogni modo di spersonalizzarci e di trasformarci in atomi sociali eterodiretti.
Per quanto riguarda Israele ed ogni “amico israeliano” non importa di chi il discorso mi sembra alquanto semplice. Se dovessimo seguire il criterio di Chomsky, cioè di voler cercare ad ogni costo Verità e Giustizia, non è difficile riconoscere una sostanziale “illegittimità” di tutta quella costruzione che è stata edificata con la forza e la sopraffazione da oltre un secolo a questa parte e che oggi è lo stato di Israele, che blatera sul suo strano “diritto all’esistenza”, un diritto che normalmente nessun essere che esiste pensa di dover reclamare. La verità è che una simile pretesa nasconde in sé la consapevolezza della propria illegittimità, della propria natura violenta e sopraffatrice. Si è vorrebbe essere rassicurati per i propri crimini. Orbene, un conto è l‘azione diplomatica degli stati che devono soggiacere al principio di effettività ed all’occorrenza trattare con briganti e malfattori di ogni genere, dopo beninteso averli riconosciuti e data loro un’eguale dignità di pari; altra cosa è quella verità che ogni essere pensante ed indipendente è capace di attingere con le sue proprie libere forze. L’immagine che ne viene fuori di Israele e del sionismo è assolutamente negativa. Se per malaugurata ipotesi, gli Israeliani (ed anche “l’amico israeliano” di Debray) riuscissero a cancellare dalla faccia della terra ogni palestinese, sia uccidendolo fisicamente sia disperdendolo in campi profugo sparsi per il mondo o in riserve indiane in quella farsa di cui tanto si parla e che sarebbe uno “stato palestinese”, non per questo cesserebbe o diminuerebbe quell’immagine negativa che risulta da una coscienza umana libera, indipendente e informata. Anche oggi noi riusciamo a mantenere intatto il nostro giudizio a distanza di secoli. Come non considerare un crimine immane la scomparsa ed il genocidio degli indiani d’America e come considerare diversamente i crimini del colonialismo europeo, che non ha lasciato nulla di buono dietro di se ma solo un pessimo ricordo che trova concordi tutti gli storici indipendenti?
Da qui un insanabile deficit di legittimità di Israel, un deficit che si allarga quanto più quel regime si mantiene su una forza brutale, su armi sofisticate che altri non possiedono per poter combattere su un piano di parità militare. Da qui un disagio esistenziale inevitabile per quanti non sono legati mani e piedi al maltolto e al delitto. È questo il vero senso, credo, del discorso di Ahmadinejad che parla di “implosione” dello stato di Israele, privo di ogni fondamento di giustizia ed umanità. E quanto più gli stati daranno copertura ad una illegittimità sempre più manifesta tanto più indeboliranno le loro stesse basi di legittimità ed appariranno complici e colpevoli agli occhi dei loro popoli, che non potranno ingannare indefinitamente. Quanto poi all’essere ebreo tocca ad ogni ebreo che si dica e riconosca tale se vuole egli identicarsi o meno con quella mostruosa costruzione, con un vero Stato “criminale” nell’accezione di Jaspers. Forse, ed è stato detto, Israele è la peggiore disgrazia che gli ebrei abbiano avuto nel corso di tutta la loro storia. A stare a sentire Chomsky, che in questo diverge da altre analisi, Israele dipende interamente dagli USA, come in passato ha cavalcato l’Inghilterra e la Russia di Stalin. Il giorno in cui gli USA dovessero ritirarsi dal Medio oriente, come si è già ritirato l’Impero Britannico, allora per Israele sarebbe proprio finità, ma disponendo di atomica ed essendo tutti matti da quelle parti, avendo cioè un modo di ragionare tutto peculiare, è da temere fortemente per le sorti dell’umanità tutta. Dove sta scritto: “Muoia Sansone con tutti i Filistei”? Bisognerebbe incominciare a denuclearizzare proprio Israele, non l’Iran che non possiede nessuna atomica e contro il quale si va cercando lo stesso pretesto, la stessa menzogna che abbiamo visto con i falsi armamenti di Saddam. Ci hanno mentito spudoratamente, ma sono e restano ancora saldamente al potere. Questa è la nostra cosiddetta democrazia, che pretendiamo di esportare altrove!
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