sabato 9 luglio 2011

Freschi di stampa: 59. Andrea Giacobazzi: «L’asse Roma-Berlino-Tel Aviv. I rapporti internazionali delle organizzazioni ebraiche..» (Il Cerchio, 2010)

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Del tema trattato da Andrea Giacobazzi (n. 1985) ci siamo già occupati in una precedente scheda di Faris Yahia, che per l’occasione andremo a rileggere contestualmente ad altro libro di cui daremo prossima recensione. È un tema non abituale, anzi solitamente evitato. Ed anche pericoloso da affrontare in questo nostro Occidente fondato sulla libertà di propaganda propria e di repressione del pensiero non conformista. Non è vuota retorica ma constatazione quotidiana quale può fare ogni utente della Rete, i cui giorni parrebbero contati. Noi però continuiamo fino a quando non sarà giunto il momento di dedicarci alla pesca e mettere in magazzino il computer, assieme alla vecchia macchina da scrivere.

Perché il tema è pericoloso e tale che solo un giovane nato nel 1985 ha pensato di poterlo affrontare? Abbiamo appena incominciato a leggere il libro che sembra una struttura da tesi di laurea. Poteva forse evitarsi di inquadrare il tema del sionismo ed andare subito in medias res, dando la documentazione annunciata nel titolo. Non perché l’inquadramento generale di cosa il sionismo sia stato e tuttora sia non costituisca un tema importante, ma perché la sua trattazione condurrebbe fuori tema e toglierebbe al libro l’originalità che annuncia. Ma questa non è una critica ed a noi piace annotare un libro in corso di lettura, non a fine lettura, quando l’attenzione potrebbe essere attratta da nuovi temi. Nessuno poi ci impedisce in corso di lettura di mutare opinione. È se mai l’indicazione di una delle difficoltà iniziali del libro, che l’Autore supera dando una sobria sintesi del problema. E gli va anche dato merito ed onore per aver affrontato un argomento che in genere persone più avanti negli anni ben si guardano dal trattare.

Intanto osserviamo che nel definire il sionismo come un movimento politico per la costituzione di uno stato o di una patria per gli ebrei, che poi sarebbero i sionisti, si dice solo un aspetto della cosa, il lato più presentabile. Questo lato dovrebbe interessare solo quel particolare strato di ebrei, più o meno numeroso, che nel tempo è andato abbracciando il sionismo. La letteratura è al riguarda assai cospicua e di una noia infinita per chi non fa parte dell’ambiente. Ma esiste un altro lato del problema, assai inquietante per tutti gli altri che restano, in quanto riconoscerne il principio significherebbe la distruzione di millenni di civiltà giuridica. Se la prima legge di natura hobbesiana prescrive la ricerca costante della pace, perché solo con la pace è possibile avere certezza della vita, è anche vero che questa ricerca incessante di secoli, anzi di millenni, si è sostanziata in un insieme di regole, la cui cogenza non è data da una forza superiore in grado di imporla, ma dalla convenienza reciproca e comune anche ai terzi, affinché esse siano rispettate, dando ad ognuno la prevedibilità dei comportanti e fede nella parola data.

L’altro lato del sionismo è la pulizia etnica della Palestina ed il genocidio dei suoi abitanti, che si è tentato in più di un secolo di diffamare e infangare in ogni modo: non sono un popolo, sono dei selvaggi, beduini, vivevano nel deserto, che con loro era un deserto, sono musulmani, e si sprecano tutte quelle stesse qualificazioni che se fossero riferite agli ebrei avrebbero dato fiato alle trombe dei media e prodotto una nuova legislazione liberticida che si traduce in un regime di privilegio per gli uni e di repressione e terrore per gli altri. Non è eludibile l’esistenza del palestinese e del suo radicamento millenario su una terra che i sionisti appunto vogliono loro togliere, magari comprandola, secondo una prassi consolidata con il danaro ed il suo potere. Non vi è propaganda che tenga: la Palestina era ed è una terra abitata. Il grande obiettivo degli immigrati sionisti di diventare maggioranza nella Terra promessa da Balfour lo si è potuto raggiungere solo nel 1948 con l’espulsione in massa del 50 % della popolazione autoctona e con la riduzione in cittadini di serie B della parte rimasta. È anche vergognoso che questo delitto si sia consumato con la complicità della cosiddetta comunità internazionale, che è in realtà solo il ristretto gruppo delle potenze che nel 1945 hanno vinto la guerra contro l’Europa, non per questo rendendo il mondo migliore e più sicuro. Anzi, il primo frutto che i vincitori ci hanno offerto è stato la distruzione del diritto internazionale. Il sionismo oltre ad essere la negazione del giudaismo, come dicono gli uomini pii di Neturei Karta, significa anche la distruzione del diritto internazionale. Temono costoro, secondo i moduli della loro propaganda, che Israele possa venire distrutto proprio perché non vogliono il ripristino del diritto internazionale.

Nelle pagine introduttive iniziali è richiamato il rapporto irriducibile del sionismo con il razzismo, come per altre vie è stato riconosciuto nella prima conferenza di Durban nel 2001. Su questa ovvia equiparazione di razzismo e sionismo si è scatenata tutta la forza congiunta degli Stati Uniti e di Israele che in un primo momento, attraverso oscure procedure, ha fatto annullare la portata normativa della prima dichiarazione di Durban, ma poi si assiste ogni giorno agli urli ed ai cicalecci di ascari e troll lanciati nella rete con lo scopo di ripetere con un disco o come pappagalli i moduli propagandistici coniati a Tel Aviv. Discutere con costoro sarebbe una ingenuità. Basta saper riconoscere i moduli della propaganda per la loro stereotipicità e per l’incapacità degli agit-prop a sostenere l’unicità di una corretta argomentazione basata su principi logici e dati certi ed acquisiti.

Proprio per quanto riguarda la propaganda va rilevato come uno dei punti di forza maggiore sia il rapporto del nazismo con l’ebraismo ovvero nel caso dei palestinesi la grande colpa del mufti di Gerusalemme. Non è difficile imbattersi in personaggi che magari facendo affidamento sull’ignoranza dei più tirano ogni volta dal cilindro il gran mufti di Gerusalemme in visita da Hitler e suo alleato. Certo, questi sono da approfondire e per i nostri lettori diventeranno familiari quando dal 1921 avremo esteso la nostra ricerca sulla «Questione sionista e il Vicino oriente» agli anni 1935-39, quando vi fu una grande rivolta dei palestinesi, repressa nel sangue dagli inglesi e non solo, decapitando quella classe dirigente palestinese che sarà del tutto assente nel 1948, anno della pulizia etnica. Il mufti fu costretto all’esilio e non poteva fare altro, dall’estero, che tentare tutte le strade che potevano essere utili al suo popolo sofferente. Ma se pensa di rimproverare al mufti i suoi rapporti il nazismo, il libro di Giacobazzi con la sua documentazione – che andremo ad esaminare e citare per ampi estratti – documenta che siffatti rapporti furono maggiori e più consistenti fra il sionismo e il nazismo.

(segue)

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