domenica 3 luglio 2011

Citazioni: 3. La distruzione della memoria palestinese, denunciata in una pagina di Ghada Karmi

Home
Precedente / Successivo

È disponibile un video You Tube, dove Ghada Karmi che è stata in Italia almeno un paio di volte, in cui ho avuto occasione di poterla ascoltare durante la presentazione del suo libro, uscito in traduzione italiana, nel mese di settembre dello scorso anno. È un libro decisamente illuminante per chi vuole seriamente comprendere ciò che succede in quella terra di sofferenza secolare che si chiama Palestina. La realtà dei fatti è ricondotta nella loro elementare semplicità, depurata da quei distinguo, da quelle equidistanze che nel migliore dei casi ostentano imparzialità fra il lupo e l’agnello, fra la vittima e il carnefici. Un libro che è necessario necessario leggere per sottrarsi agli inganni sistematici e scientifici che i media propagano, magari proprio quando pensano di aver favorito la causa palestinese dandole una qualche copertura giornalistica in contrapposizione al silenzio assordante con cui viene consumato un genocidio con la complicità dei governi e perfino di istituzioni come l’ONU, il cui attuale presidente Banki Moon avrebbe dovuto essere lui una sorta di Ammiraglio delle navi della Freedom Flotilla II, il cui viaggio per rompere l’assedio di Gaza è ostacolato in tutti i modi, non escluso il taglio malavitoso delle eliche. Abbiamo già letto una volta il libro di Ghada Karmi ed abbiamo faticato più volte a rintracciare la citazione che segue ed un’altra che si trova in apertura del volume. Per comodità nostra e dei Lettori riprendiamo la serie di post dedicata a “Citazioni” particolarmente significative, che è utile avere comodamente a portata di mano.

* * *
La campagna israeliana contro i palestinesi è stata un assalto sistematico alla memoria collettiva, all’identità e alla coesione di un’intera società, con l’obiettivo di estirpare l’idea che ci fosse qualcosa di non ebraico precedente allo Stato di Israele. Il danno che questo ha recato ai palestinesi in termini fisici, sociali e psicologici è incalcolabile e deve essere ancora analizzato. Nei primi anni dello Stato di Israele, ad esempio, fu messa in atto una politica che mirava deliberatamente a distruggere la coesione della società palestinese. Agenti israeliani organizzarono in segreto conflitti tra i palestinesi, armarono e favorirono alcuni gruppi e non altri ed escogitarono vari modi per impedire l’emergere di una classe di palestinesi ben istruita e la formazione di una leadership palestinese. A quel tempo esistevano progetti di storia orale per documentare le vicende del 1948 e le loro conseguenze ed erano disponibili solo pochi documenti scritti su quella tragica vicenda. Anche se questi progetti stanno diventando sempre più importanti, il lavoro vero e proprio è solo agli inizi. Il fatto che i tentativi di salvare gli eventi narrati dalla generazione che li ha vissuti abbia richiesto tanto tempo è indicativo del trauma causato dalla Nakba.

Per illustrare la situazione basta un esempio. Una caratteristica della Nakba, della quale si è parlato poco, furono i campi di lavoro forzato istituiti dal nuovo Stato israeliano durante la guerra del ’48-49. Secondo la Croce Rossa Internazionale furono istituiti cinque campi per la popolazione maschile tra i 10 e i 60 anni che ospitarono oltre 5000 palestinesi catturati nel corso della guerra. Gli uomini lavoravano per costruire gli insediamenti israeliani e per trasferire le pietre delle case arabe distrutte, necessarie per la costruzione di nuove abitazioni per gli ebrei. I prigionieri rimasero nei campi dai due ai cinque anni, la maggior parte fu rilasciata nel 1955. Molte delle guardie dei campi erano ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania nazista, a volte anche ex prigionieri dei campi tedeschi. Nessuno dei prigionieri palestinesi parlò di questa esperienza e questa storia è emersa solo successivamente. Fu come se nessuno riuscisse a esprimere in parole l’enormità delle sofferenze causate dall’esperienza della perdita, dell’insicurezza e dello sradicamento. La gente che doveva far fronte alla sopravvivenza quotidiana non poteva guardare al passato.

Ghada Karmi, Sposata a un altro uomo.
Per uno Stato laico e democratico
nella Palestina storica, Roma, 2010, pp. 32-33
* * *

Dimenticavo di dire che Ghada Karmi è una profuga del 1948, se ho bene inteso ciò lei stessa ha detto, una delle volte che l’ho sentita in pubblica conferenza. Il brano sopra riportato è idealmente indirizzato a tal Mathilde Redmatn, che in un articolo del “l’Occidentale” è presentato come «vice direttore della Croce Rossa nella Striscia», ed avrebbe dichiarato che «Non c’è nessuna crisi umanitaria a Gaza e la situazione, nonostante la grande attenzione dei media, non è eccessivamente grave». In realtà, l’articolista de l’Occidentale sembra riprenda da una fonte, riconducibile alla stessa IDF (Israel Defense Forces), il che spiegherebbe l’assurdità di dichiarazioni attribuite alla Croce Rossa. Infatti, il “vice direttore” va oltre quello che ancora potrebbe essere una dichiarazione (opinabile) di competenza della Croce Rossa per allargarsi in una plateale presa di posizione: «Israele ha il legittimo diritto di proteggere la propria popolazione civile», che fa pensare ad una connivenza con l’occupante del 1948, responsabile di una “pulizia etnica” di cui la situazione “umanitaria” nella Striscia di Gaza è una delle conseguenza che si può non considerare una “emergenza” solo perché ormai ha assunta i caratteri della “ordinarietà”, a cui il mondo all’azione dei media si è assuefatto, ma che “crisi umanitaria” vi sia non è dubbio, se appena Matilde ci chiarisce il significato dei termini del suo vocabolario. Forti di queste dichiarazioni, ascritte ad una istituzione veneranda come la Croce Rossa, tutti i media sionisti e filo-israeliani si passano di mano la dritta, per far credere che in Gaza si viva come nel paradiso terrestre. Da qualche anno a questa parte stiamo esperendo tutti i tentativi per accedere alla documentazione della Croce Rossa, citata da Karmi. Idealmente rivolgiamo la stessa a Mathild [= Matilde? Una donna?] Redmatn, perché ci fornisca la documentazione originale citata da Ghada Karmi, e sempre idealmente ci rivolgiamo a Joe Sacco, perché scriva un nuovo libro fumetto, questa volta non su Yav Kounis, ma sui campi di concentramento del 1948-1955, non quelli in Germania, ma quelli in Eretz Israel, dove erano non erano rinchiusi gli ebrei, ma i palestinesi della Nakba, con gli ebrei come carcerieri. Vi saranno probabilmente ancora dei “sopravvissuti” e Joe Sacco non dovrà fare altro che raccoglierne le testimonianze, come ha già egregiamente fatto per le vittime del 1956, a Yad Kounis. Non possiamo purtroppo rivolgerci a Vittorio Arrigoni, che prestava servizio come volontario proprio dentro le auto-ambulanze della Croce Rossa, e che è stato ucciso pochi mesi prima che iniziasse la Fredom Flotilla II. Era stato proprio Arrigoni ad aprire la strada alle Flotille, di cui oggi la seconda reca il suo nome. L’attribuzione del suo assassinio a mani salafite ha la stessa credibilità dei sabotaggi alle navi della Flotilla, che al momento restano giudizialmente “ignoti”, ma di ognuno ha fondatissimi sospetti. Del resto, la vita di Vittorio Arrigoni resta indissolubilmente legata al nome Palestina, come la sua morte continua a suscitare gioia e tripudio presso gli ambienti sionisti.

Nessun commento: