sabato 9 luglio 2011

Testi segnalati: 60. Anna Kirschner: «Il dono di Sala. Lettere dall’Olocausto» (Il Maestrale, 2009).

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Il libro mi è stato segnalato e ad esso non sono giunto seguendo i miei abituali interessi. Per ragioni che qui non sto a spiegare, ho raccolto la segnalazione, acquistando il libro ed iniziando a leggerlo. Ne predispongo la scheda di lettura, come ho fatto per tutti i numeri precedenti di questa serie di post. Ma dopo averne letto le pagine iniziali, mi accorgo che per poterne forse dire qualcosa devo aspettare la fine del libro. In fondo, un libro è solo una tecnica di scrittura. Se consideriamo che la maggior parte della filosofia antica, intendo quella dei Presocratici, ci è giunta attraverso semplici frammenti sui quali si è esercitata tutta la riflessione successiva, possono bastare poche righe o poche pagine di un libro per farsi un’idea dello stesso e reagire intellettualmente. Non è che il pensiero critico si accende come una lampadina, superata la boa dell’ultima pagina. Comprensibilmente un Autore desidera essere letto fino all’ultima pagina, ma non è un suo diritto. È una facoltà del Lettore. Non è una digressione inutile, perché mi è costata una rottura ed un’amicizia il caso di un libro di oltre 1200 pagine, di cui io però ritenevo di aver acquisito sufficienti elementi i giudizio dopo averne lette appena 400 o 500 e scorse con gli occhi le parti restanti. E lo dissi di aver seguito questa tecnica di lettura, detta anche in diagonale, redigendo poi una stroncatura del libro, che non venne pubblicata, essendo troppo potente l’uomo che lo aveva scritto. Chiusa la digressione che non ha nulla a che fare con libro qui segnalato.

La mia difficoltà di lettura nasce qui dal tema, di cui mi dichiaro “incompetente”. Dalla sensibilità espressa, dai termini usati, dalle cose presupposte e suppongo inconfutabili. Ad esempio, leggo a pagina 12 del libro, dove l’autrice introduce le lettere della madre, che danno corpo all’opera: «Nel 1961 il processo di Adolf Eichmann fu trasmesso in televisione: lei stette immobile a guardare per ore, fumando come una ciminiera, silenziosa, gelida, impenetrabile. Leggeva ogni libro sull’Olocausto, guardava ogni film sull’Olocausto, celebrava ogni anniversario dell’Olocausto…». Le reazioni che suscitano queste righe è il ricordo di un ben diverso libro, di Avraham Burg, che parla come di una patologia l’insistere tanto sul piano propagandistico e pedadogico sull’«Olocausto», che in sè è un termine strettamente religioso tale da porre inquietanti e probiti interrogativi. Penso poi ad altro libro ancora, scritto da Norman G. Finkelstein, che sul tema dell’«Olocausto» ha visto nascere e crescere quella che lui chiama una vera e propria “industria”. E Finkelstein è figlio di “sopravvissuti” a quei più duri campi di concentramento dove Sala non pare sia stata, se ho capito bene dalle prime pagine.

E si badi bene che i genitori di Norman G. Finkelstein, pure “sopravvissuti”, non hanno per nulla scoraggiato il figlio Norman nello scrivere quei libri, per i quali Norman ha perso il posto all’università, proprio per opera di suoi chiamandoli correligionari, non sapendo bene io al momento come meglio chiamarli. In un video biografico Norman spiega il suo essersi ostinatamente voluto cacciare nei guai, accusando di plagio un noto avvocato e sionista, assai potente all’interno della Israel lobby, motivando che questo mondo in cui noi viviamo è un mondo radicalmente cattivo al quale occorre opporsi radicalmente, senza cedimenti e compromessi. Finkelstein rivedeva attualizzate e maggiorate sugli odierni palestinesi tutte le sofferenze che l’Industria aveva applicato con libri e fiction infinite agli ebrei, fra i quali i suoi genitori, per trarne profitto. Probabilmente, l’Autrice non è a conoscenza del fatto che i reduci dai campi di concentramento nazisti impiantarono in Palestina/Israele altri campi di concentramento, dove dal 1948 al 1955 tennero rinchiusi migliaia di palestinesi, costretti ai lavori forzati, dovendo costruire le case dei coloni con le pietre delle proprie case che erano state demolite.

Ecco, il tema della sofferenza! Ma è mai possibile dire che la mia sofferenza vale più della tua? E misurarlo poi come risarcimento dovuto? Un calabrese, che andasse a ricostruire la storia cancellata e distrutta dei suoi antenati a partire dal cosiddetto “brigantaggio” e della dubbia Unità d’Italia, potrebbe mostrare al mondo un carico di sofferenza di tutto rispetto. Ma poi ancora il termine “sopravvissuto” suscita in me altre perplessità. Non furono “sopravvissuti” tutti quelli che non morirono prima del 1945? Tutto il numero dei morti della seconda guerra mondiale non è stato stimato in 60 milioni di persone? Non è questa una tragedia più grande di quella che pretende di essere Unica?

Ed ancora in fatto di libri scritti: non esistono forse migliaia di persone che sono in galera per aver scritto libri diversi da quelli che Sala leggeva? Per carità, non mi pronuncio su quale sia la verità dei fatti. Ma si può andare in galera per avere scritto un libro? Del resto, su una qualsiasi verità storica o di cronaca come non possiamo sapere qualcosa che si avvicini alla “verità” se non riconoscendo ad ognuno libertà di pensiero, di espressione e di contraddittorio? Hai ragione tu perché io vado in galera se sostengo il contrario? Il risultato è soltanto che della cosa non si può saper nulla e che ciò che si crede per imposizione di legge è una sorta di nuova religione. Ma al di là dei fatti materiali in sé, quali che siano stato, resta pesante come un macigno la domanda del Perché la Cosa sia successa? Mi sembra che sul perché la riflessione sia pressoché inesistente.

Ma a scanso di equivoci io non ho ancora detto nulla sul libro. Ne potrà forse dire qualcosa solo dopo che sarò giunto all’ultima delle sue 377 pagine, un impegno gravoso non da poco, che andrò ad onorare solo in seguito ad una segnalazione. Aggiungo che è per me una difficoltà ulteriore la forma letterario-narrativa con la quale prende avvio il libro. Non sono più abituato a queste forme espressivo. Voglio vedere subito il punto, la tesi, l’argomentazione. Quando devo faticare per trovarle, la lettura diventa pesante. Procedendo con determinazione nella lettura, certamente non lieta, può darsi che in qualche dettaglio si scopre qualche verità o qualche dato interessantte sotto il profilo storico e filosofico. Infatti, i grandi libri di sintesi sull’argomento sono in genere tutti impostati nell’assunto ideologico che vogliono propagandare. Può capire che un epistolario, una corrispondenza, beninteso autentica, offrano visioni diverse da quelle che vanno per la maggiore. Ma è presto per dire, se sia questo il caso.

(segue)

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