Quanto mai utile
questo agile libretto in un’epoca in cui di sedicenti liberali ce ne sono
tanti, per il motivo che, essendo crollato nel 1989-1991 il comunismo, gran
parte della sinistra si è riconvertita (spesso a parole) ad un asserito e rivisitato liberalismo che,
dell’originale, conserva solo alcuni (e limitati) profili, per lo più in
stretta correlazione con le minoranze che “tutela”. Lo scrive l’autore nella
“premessa” “La constatazione che da troppo tempo molti parlano a sproposito del
Liberalismo, convinti tra l’altro si tratti di una ideologia quando invece è un
metodo, mentre molti si dichiarano liberali pur senza esserlo – anzi esprimendo
idee e promuovendo politiche o comportamenti che liberali non sono, mi ha
indotto a scrivere questo riassunto di riflessioni altrui”.
Peraltro già del
liberalismo classico se ne hanno più
“versioni” distinte, anche se vicine.
Ad esempio
quella sintetizzata dall’alternativa “Parigi o Filadelfia?”, onde liberalismo
anglosassone o continentale? La preferenza dell’autore va alla declinazione
anglosassone, che articola in una serie
di opposizioni. Antropologica: l’uomo è “legno storto” o “buon selvaggio”? Istituzionale:
“rule of law” o “Stato di diritto”?. Common
law (diritto consuetudinario) o legge (diritto statuito dal legislatore).
Ognuna di queste alternative “parigine”, anche se in misura diversa, rischia di
tradursi in un depotenziamento della libertà a favore di un potere statale
pervasivo e opprimente. Nonostante le migliori intenzioni: forse non è un caso
che la situazione odierna, malgrado quelle, somigli assai alla descrizione
profetica che Tocqueville fa del “dispotismo mite”: un potere paternalistico
che tratta i cittadini come bambini da rieducare. Anche l’Unione europea non è
immune da tale menda. Come scrive De Carolis “Nell’attualità, sono sempre più
convinto che un altro giacobinismo ci minaccia, ovvero quello del super-Stato
europeo in mano ad una classe più burocratica che politica, e quindi svincolata
dalle volontà dei propri cittadini/sudditi; mentre lo stiamo costruendo, lo
Stato liberale e federale all’anglosassone sembra invece essere il modello che
l’Europa, per essere davvero unita in armonia, dovrebbe seguire”: l’alternativa
quindi non è tanto tra Stati nazionali e unioni superstatali, che andrebbero
contemperati, ma tra bulimia del “pubblico” e garanzia del privato, presente
sia a livello statale che sovrastatale, sia tra sovranisti che globalisti.
Il libro è
completato da una serie di documenti: dalla dichiarazione dei diritti del
26/08/1789 al Manifesto di Oxford del 1947 (ed altre) che testimoniano, anche
se sinteticamente, del perdurare del nucleo fondamentale del liberalismo in
oltre due secoli.
Nel complesso un
libro per chiarirsi le idee nella confusione imperante (e spesso artatamente
intensificata). Particolarmente opportuno in una nazione, come l’Italia, che
negli ultimi trent’anni ha visto una costante riduzione degli ambiti di libertà
reale a favore del potere pubblico, presentati come un processo di
“liberazione” e (addirittura) come “fine
della storia”. Un farmaco contro la weberiana eterogenesi dei fini.
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