giovedì 10 settembre 2009

Freschi di stampa e testi di studio: 27. Sergey Nilus: «I protocolli dei savi di Sion» (ed. it. 2008).

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Anche questa scheda è strettamente complementare alle tre schede precedenti intrecciate per il tema scabroso che trattano. Prevedo facili reazioni da parte di qualche mio abituale detrattore per avere io deciso di studiare questo libro, la cui citazione è frequentissima. In pratica, un libro che si può e si deve preventivamente demonizzare prima di potersi mettere a leggerlo e studiarlo. Perfino l’ampio Prefatore dell’edizione da me acquistata nel circuito librario Feltrinelli ritiene di dover dare assicurazioni con una avvertenza finale, a scanso di equivoci sempre ricorrenti:
«Ribadiamo che la presente pubblicazione, che fa conoscere i Protocolli, un testo di eccezionale importanza storica, per quel che sono, e cioè un falso, fornendo tutte le opportune informazioni, non vuole nè può avere, per le sue stesse caratteristiche, un fine diffamatorio nei confronti della comunità ebraica, italiana o di altri paesi» (ivi, 77).
In condizione di normale libertà un autore non dovrebbe sentirsi tenuto a dare di queste rassicurazione. Forse è proprio timore, questa mancanza di libertà di spirito, che mi fanno apparire piuttosto farraginosa la lunga prefazione – quasi metà di tutto il libro –, al punto da indurmi a saltarla, salvo a ritornarvi per confronti critici con il libro di Sergio Romano dedicato allo stesso argomento, ma anche alle pagine di Solgenitizin che ricordo di aver già letto in proposito, e ad altri testi che giudicherò utile o interessante leggere, scegliendo fra una vastissima letteratura critica che però non intendo esplorare in tutta la sua interezza. I miei interessi sono qui limitati e stimolati dalla curiosità di fronte ad un testo maledetto e proibito.

Intanto, una prima osservazione sulla quale mi aspetto di trovare chiarimenti in altri. Che i Protocolli siano dei “falsi” è cosa che trovo in se poco interessante. Ma il punto è: cosa significa falsi? Che non sono mai esistiti dei veri Protocolli e che non vi siano mai stati i Savi di cui si parla nel titolo? Tutto qui? Ma chi ha concepito l’opera avrebbe dovuto per primo essere consapevole del falso che andava confezionando. Salvo leggere cosa diranno gli studiosi che già si sono occupati dei Protocolli, mi viene da congetturare di primo acchito che si sia trattato di un’intenzionale finzione letteraria per veicolare una concezione, un’idea riguardo al giudaismo e più esattamente al sionismo che negli anni in cui i Protocolli uscivano aveva già fatto la sua apparizione storica.

Non dimentichiamo che in autori come Shlomo Sand troviamo ampiamente discussa e argomentata la tesi secondo cui il sionismo nasce nel contesto del dibattito e della letteratura nazionalistica del secolo XIX. L’autore del “falso” ben potrebbe avere avuto presente questo dibattito e questa letteratura ed aver voluto quindi intervenire al riguardo. Per cui si tratta non già di soffermarsi su un “falso” ormai dato per acclarato, ma direi piuttosto sulla verosimiglianza delle tesi enunciate. Non dimentichiamo che negli stessi anni in cui i Protocolli uscivano – mi sembra stigmatizzati dal ministro russo che per prima li vide – era in corso la guerra russo-giapponese, dove è noto il ruolo della finanza ebraica americana. In un patriota russo questo intervento esterno che portò alla sconfitta della Russia doveva pur bruciare. Si tratta qui però di ipotesi di lavoro, di chiavi di lettura, che io stesso qui anticipo di dover verificare, non avendo poi nessuna remora a rettificare le mia veduta a letture in fase avanzata e necessario confronto critico dei testi.

Per parlare del libro e contestuamente della letteratura che lo riguarda è utile fornire una sintesi del libro, che però si può trovare facilmente altrove, anche in internet e nel testo integrale. Qui penso di fare un diverso lavoro via via che procedo nella lettura. Ne farò estratti numerati, anche di poche righe, dopo riporto magari seguiti da un mio commento in corsivo quelle “profezie” o parti che mi sembrano più impressionanti per la loro verosimiglianza. Dico subito che il “falso” mi appare subito evidente, se per “falso” si intende che effettivamente vi siano stati dei “Savi” che abbiano steso quei “Protocolli” dove si dicono le cose che si leggono. In realtà, la mia impressione di lettore è che chiunque abbia scritto i “Protocolli” – una sola persona o un team – abbiano inteso comunicare quello che secondo loro avrebbe potuto essere il punto di vista delle persone fittizie, ma appartenenti al sionismo o all’ebraismo, dalle quali intendono mettere in guardia. Certamente, si tratta di una posizione “antisemita” nel senso che comunemente viene dato al termine. Nella rappresentazione ideologica degli Autori vengono individuati in non ben individuati Capi dei “nemici” ai quali ci si contrappone più per difendersi che non per attaccarli. Questi Capi, “scribi e farisei”, sono distinti dalla maggior parte degli israeliti, ai quali cristianemente si lascia la porta della salvezza sempre aperta. Dopo i nostri estratti tenteremo un’analisi storico-critica attingendo alle fonti a noi disponibili, in primis al libro di Sergio Romano dedicato ai “Protocolli” e del quale parliamo a parte, distinguendo le vedute proprie di Sergio Romano da quelle nostre che si verranno formando nel tempo.

Citazioni
estratte dai Protocolli

1.
La forma assiomatica

Chi esamina questi appunti può, a prima vista, riportarne l’impressione che essi contengano ciò che di solito chiamiamo assiomi, vale a dire delle verità più o meno conosciute, quantunque espresse con un’asprezza ed un sentimento d’odio che di solito non accompagnano le manifestazioni di simili verità.
(ed. cit., 79).

2.
Scribi e Farisei

La nostra coscienza sarà soddisfatta se, con l’aiuto di Dio, potremo raggiungere il nostro scopo, senza tuttavia suscitare ira contro il popolo accecato d’Israele. Confidiamo che i Gentili non nutriranno sentimenti di odio verso la massa credulona degli israeliti, inconsapeoli del peccato satanico dei suoi capi – gli Scribi e i Farisei – i quali hanno già una volta dato la prova di essere la distruzione di Israele.
(ed. cit., 80-81)

Qui, per quanto ci riguarda, troviamo la prima sorpresa. È come se l’Autore dei Protocolli, forse lo stesso Nilus, volesse rigettare da se quell’accusa di antisemitismo, di “odio” verso gli israeliti, che oggi è frequentissima ed alla quale deve rassegnarsi ogni persona che si voglia interessare di judaica, sempre che non vi siano risvolti penali, come avviene in non poche legislazioni, per le quali non possono ritenersi estranee le influenze e gli apporti diretti delle Israel lobbies, dell’associazionismo ebraico o sionista. Non comprendo il motivo per il quale si debbano ritenere insincere queste dichiarazioni. Nulla avrebbe impedito un tono diverso ed un’aperta ostilità. Siamo in fondo nel 1906 ovvero in un’epoca in cui gli “antisemiti” erano forti ed all’offensiva, non sulla difensiva. Non avevano nessuna legge Mancino o Fabius-Gayssot dalla quale doversi difendere.

3.
L’ultima barricata

L’ultima barricata, l’ultimo rifugio del mondo contro l’uragano che viene è la Russia. In essa la vera fede vive ancora e l’Imperatore consacrato rimane il suo protettore sicuro. Tutti gli sforzi di distruzione dei servi sinistri e palesi dell’Anticristo, tutti gli sforzi dei suoi lavoratori coscienti e incoscienti, sono concentrati contro la Russia. Le ragioni di questo sforzo sono conosciute, l’obiettivo è conosciuto e deve essere conosciuto dalla Russia fedele e credente. Quanto più è minaccioso il momento che si approssima e più spaventevoli sono gli avvenimenti che si avvicinano nascosti nelle dense nubi, tanto più devono battere con coraggio e determinazione sempre maggiore i cuori russi intrepidi ed audaci. Devono coraggiosamente unirsi intor­no allo stendardo sacro della loro Chiesa ed al Trono del loro Imperatore. Fintanto che vive l'anima, fintanto che il cuore batte nel petto non deve trovar posto lo spettro mortale della disperazione; tocca a noi con la nostra fede di ottenere la misericordia dell'Onnipotente e di ritardare l'ora della caduta della Russia.
(ed. cit., 81-82)

Noi leggiamo questo brano ad oltre cento anni da quando fu scritto, nel 1905. Abbiamo i nostri manuali di storia. Sappiamo cosa cosa successe allora e negli anni successivi. Non parliamo di profezie, termine religioso, ma di una prognosi politica, di un guardare avanti negli anni secondo la capacità di analisi del Prefatore Nilus. Anche oggi esistono analisti che ci danno un quadro della situazione stimato per i prossimi anni. A volte queste previsioni si rivelano azzeccate, altre volte totalmente infondate. Nulla di strano dunque che Nilus presagisse la fine dell’Impero zarista e chiamasse a raccolta le forze che si riconoscevano nell’ordine e nei valori esistenti. Mentre Nilus scriveva non era ancora terminata, evidentemente, la guerra russo-giapponese con il suo esito disastroso. È storicamente incontrovertibile che in questa guerra la finanza ebraica ebbe un suo ruolo determinante. Non se il rilevare l’esistenza di questi legami che non sono una tantum, ma si ritrovano in tantissimi altri momenti storici sia accreditare la tesi del “complotto ebraico” e dunque fare dell’antisemitismo. La questione mi sembra puramente terminologica e la “teoria del complotto” una teoria della calunnia quanti semplicemente rilevano fatti storicamente accertati, o per essere più precisi fatti sui quali esiste una vasta letteratura che li accredita come realmente avvenuti ed esistenti. Sulla fine coeva degli Imperi Centrali trovo suggestivo un testo del sultano che rispondeva a herzl, il quale nel 1901 «crede di poter imprimere la svolta decisiva all’azione sionista», offrendo ai turchi la somma di due milioni di sterline per la cessione della Palestina. Ma il sultano dava questo nobile rifiuto:
«Non posso cedere neppure un metro quadrato di terra perché non appartiene a me, bensì al mio popolo. Il mio popolo ha conquistato e cementato questo impero con il suo sangue. Gli ebrei risparmino i loro milioni. Forse, quando il mio impero sarà smembrato, la Palestina la otterranno gratis. Ma faranno a pezzi il nostro corpo solo dopo che sarò morto; non acconsentirò alla vivisezione».

(Cit. in P. Sella,
Prima di Israele, Edizioni dell’uomo libero, 2006, p. 154-155)

Sappiamo come le cose andarono e possiano riconoscere capacità di previsione storica non solo al Nilus dei “falsi” Protocolli, ma anche al sultano che scriveva pochi anni prima. La storia di un secolo dimostra che per i territori dello smembrato Impero ottomano le cose non sono andate meglio. Gli uomini che prima obbedivano al Sultano non si sono trovati più felici sotto gli inglesi e poi sotto gli ebrei. Questa è storia. La teoria dell’«acquisto di terre» è uno dei capisaldi ideologici per processo sionista di autolegittimazione, un processo che non si arresta neppure davanti alla pulizia etnica ed al genocidio.

4.
La corruzione come prassi politica

Si deve anzitutto notare che e gli l individui corrotti sono assai più numerosi di coloro che hanno nobili istinti, perciò nel governare il mondo i migliori risultati sono ottenuti colla violenza e l'intimidazione, anziché con le discussioni accademiche. Ogni uomo mira al potere, ognuno vorrebbe essere un dittatore e sono, in verità, assai rari coloro che non sono pronti a sacrificare il benessere altrui pur di raggiungere le proprie finalità. Nei primordi della civiltà si sono sottomessi alla forza cieca e brutale, poi alla legge la quale ‑ in realtà ‑ è la stessa forza, ma mascherata. Da ciò debbo dedurre che, secondo la legge della natura, il diritto sta nella forza.

5.
La libertà come inganno

La libertà politica non è un fatto, ma una idea. Si deve sapere come applicare questa idea quando necessità, allo scopo di servirsene come di un'esca per attirare la forza della plebe al proprio partito, se detto partito ha deciso di usurpare il potere di un rivale. Il problema viene semplificato, se questo rivale diventa infetto da idee di “libertà” ‑ dal cosiddetto liberalismo ‑ e se per questo ideale cede una parte del suo potere. In queste circostanze trionfa il nostro concetto. Una nuova mano afferra le abbandonate redini del Governo, come vuole la legge vitale, perché la forza cieca del popolo non può esistere per un solo giorno senza un Capo che la guidi, ed il nuovo Governo non fa che sostituire il vecchio indebolito dal suo liberalismo.

Ci è troppo caro il tema della libertà dei cittadini, divenuti consapevoli e maturi, per non sentirci turbati da questo pessimismo per l’incapacità degli uomini di vivere liberi. Ma non possiamo ignorare su uno inganno stridente che si presenta abitualmente quando un esercito invade il territorio di un popolo. Si dice sempre in questi casi che il popolo sconfitto viene liberato dal precedente governo, che sarà stato esecrabile quanto si vuole ma che per lo meno era autoctono. Del peggiore governo un popolo si può liberare esso stesso quando viene meno il fondamentale rapporto di protezione/obbedienza, quando un governo anziché difendere la libertà e la sicurezza del popolo che gli obbedisce, lo opprime lui stesso, rendendo impossibile l’obbedienza ed il riconoscimento della legittimità del potere. Ma è una soluzione peggiore del male credere che un nemico in armi possa portare la libertà. Si passa in realtà in una peggiore condizione di schiavitù. magari per un piatto di lenticchie in cambio.

(segue)

1 commento:

Anonimo ha detto...

consigliandole le leggere la versione originale con prefazioni varie mi domando come si fà a non essere d'accordo su un tale programma?e su tale visione del mondo?
il vero unico problema è che la realizzazione debba essere svolta dagli ebrei,per il resto ci metterei una firma.