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Il boicottaggio di Israele abbraccia tutti gli ambiti dell’esistenza umana e della vita sociale. Anche il mondo dello spettacolo si ribella e non si presta alle mistificazioni che da sempre Israele attua attraverso la politica della finzione. La filmistica sull’«Olocausto» ha aggredito nelle loro case milioni e milioni di telespettatori in ogni parte del mondo. L’uomo però non può essere condizionato all’infinito. Spesso succede che la reiterazione di una falsità produca il suo rigetto. Non è forse ancora giunto il tempo del rifiuto di massa di quella che Norman G. Finkelstein ha chiamato l’«Industria dell’Olocausto», ma di certo sul massacro di Piombo Fuso la coscienza non è più disposta a lasciarsi irretire. La Dichiarazione di Toronto è un primo segnale importante. Ed io mi auguro che ogni anno vi siano ricorrenze di ricordo dell’Operazione Piombo Fuso per tutto il periodo in cui sono continuate le operazioni militari, anche se in un certo senso non sono mai cessate. Io mi impegno fin da adesso ad un’attività su questo blog di rievocazione per tutto il periodo dicembre-gennaio che si approssima. Non so bene ancora cosa, ma incomincio a pensarci.
Versione 1.0/19.9,09
Sommario: 1. La Dichiarazione di Toronto. –
1. La Dichiarazione di Toronto. – Cliccando sul titolo si accede ad un altro post di questo stesso stesso blog dove è già stata data la prima notizia della dichiarazione e dove verranno ad essere postati gli aggiornamenti che giungono direttamente in inglese. In questo post verrà invece tentata una sintesi di eventi che per il loro contesto straniero non mi riescono molto agevoli da comprendere nella loro dinamica.
2. La nuova frontiera del sionismo mediatico: i diritti dei gay. – Il link riporta ad un articolo di Naomi Klein, inframezzato dal solito commento infame e fazioso ad uso delle squadracce assatatanate, principalmente dedicato al festival di Toronto, ma con analisi interessanti e in apparenza marginali. Su una di queste mi soffermo. Sembra che – e se lo dice Naomi va tolto il sembra – la propaganda israeliana stia tentando manovre diversive, per distogliere l’attenzione sul massacro di Gaza. Sono maestri nell’arte della manipolazione. Bisogna riconoscerlo. Ma fra queste diversioni vi è anche una battaglia per i diritti dei gay. Mi viene ancora da ridere per la consapevole battuta di Ahmadinejad alla Columbia University, quando attaccato sulla condizione dei gay in Iran, rispose che in Iran non ce ne erano, provocando l’ilarità generale. Come a dire, quelli li avete tutti voi. Ebbene l’altro giorno mentre passavo per andare ad un seminario in via Nazionale sulla condizione di Gaza, mi sono imbattuto in una manifestazione – non oceanica – confluita a piazza S. Apostoli. Solo dopo ho saputo cosa fosse e di cosa si trattasse. Era la manifestazione per gli omosessuali con uno slogan piuttosto offensivo e provocatorio: “se non tolleri il diverso, clonati!” o qualcosa di simile. Come a dire che l’essere omosessuali diventa adesso la norma e non l’eccezione. La nuova etica del “prenderlo anziché darlo”. Arrivo al dunque. Nel palco ho notato, dalle foto che dovrebbero rinvenirsi in rete, Alemanno accanto a Pacifici: la coppia ormai di ferro! Ecco, dunque cosa mi ha fatto pensare un passo marginale di Naomi. In Italia, la sezione romana del sionismo israeliano, la sua dependance, ha recepito il messaggio: avanti tutta con i gay o come altro li si voglia chiamare, forse poco rispettosamente “froci”, non bello, ma almeno è lingua italiana. Omosessuale è più corretto ma solo i più dotti usano questo termine. Probabilmente saranno contenti di questa nuova attenzione verso di loro, ma mi auguro si rendano conto che vengono ancora una volta presi per il di dietro. Sul palco ho notato quel Tajani con il quale, pur avendolo votato, ho pubblicamente contestato per l’astensionismo referendario, quando la chiesa cattolica aveva pensato di vincere non con il “si si no no”, ma con il “ni” dell’astensionismo. Ed a servire opportunisticamente, proprio contro i diritti degli omosessuali, c’erano gli stessi che oggi si trovano a braccetto con Pacifici in esecuzione delle nuove direttive mediatiche di Tel Aviv.
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