giovedì 10 settembre 2009

Freschi di stampa e testi di studio: 24. Piero Sella: «Prima di Israele. Palestina, nazione araba, questione ebraica » (2006).

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Il testo di Piero Sella, Prima di Israele, ebbe la sua prima edizione nel 1990 e la copia da me qui letta è una ristampa del 2006. Limpida e lineare è la trattazione della materia. Avevo già letto una prima volta il libro qualche anno fa, ma mi ritorna adesso utile una seconda lettura. Rispetto ad altri volumi che ho letto o vado leggendo il libro di Sella ha il pregio del rigore unito alla sintesi. Per dare un’idea del suo contenuto che esce per le «edizioni dell’Uomo Libero», che forse non godono di una grande distribuzione, magari presso Feltrinelli, mi sembra utile riportarne integralmente le due pagine di Premessa:

Coll’intento di dar vita in Palestina ad uno Stato ebraico, nasceva cento anni fa il sionismo. Alla fine della seconda guerra mondiale le superpotenze vittoriose davano il via libera, attraverso una risoluzione dell’ONU, la 181, all’ambizioso progetto ebraico.

Nonostante il mondo avesse deciso a favore degli ebrei e continuasse ad essere schierato diplomaticamente e militarmente dalla loro parte, la questione, cinquant’anni dopo, è però ancora aperta. Non si era infatti tenuto conto, nel prendere decisioni di così grande rilievo, della presenza della popolazione araba che da sempre viveva in quei luoghi, e che non era certo disposta ad accettare sulla propria terra un’entità destinata ad accogliere immigrati stranieri provenienti dai più diversi paesi del mondo.

La nazione araba dunque, sia nella componente che è rimasta nella regione consegnata dall’ONU agli ebrei, sia in quella costretta ad abbandonarla, ha sempre respinto la soluzione imposta. Soluzione che non è ovviamente neppure gradita al mondo arabo nel suo complesso che, dall’inserimento di un corpo estraneo come Israele, ha visto spezzata la sua unità geografica e la sua compattezza etnica.

Se con le buone non è riuscito a farsi accettare dalla popolazione palestinese e dai vicini arabi, Israele non ha risolto i suoi problemi neppure col ricorso alle armi. Certo le operazioni militari del 1948, del 1956, del 1967, del 1973, sono state tutte successi ebraici, segnando un’ulteriore espansione di Israele, ma hanno scavato un solco ancora più profondo tra gli ebrei e le popolazioni che con la violenza essi cercavano di piegare.

La conquista di quella popolosa parte di Palestina ‑ Gaza, Gerusalemme, Cisgiordania ‑lasciata dall’ONU agli arabi ha fatto sì che, dal 1967, un altro milione e mezzo di arabi finisse sotto il tallone dell’occupante ebraico. Troppi per cacciarli dal Paese o per poterli eliminare. Dopo trent’anni, Israele, nonostante le ripetute ingiunzioni dell’ONU ‑ la prima è quella contenuta nella risoluzione 242 ‑ non si è ancora ritirato ed occupa addirittura parti della Siria, il Golan, e del Libano, la cosiddetta fascia di sicurezza.

Presenza dunque illegale quella ebraica e illegale perché contraria alla Convenzione di Ginevra la sua amministrazione dei territori occupati. Illegali le annessioni ‑ del Golan e di Gerusalemme ‑ illegali le requisizioni di terreni coltivabili ed edificabili, illegali gli insediamenti dei «coloni», illegali le misure di polizia applicate contro una popolazione privata di diritti civili e discriminata da una legislazione razzista.

È questo lo scenario in cui Americani e Sionisti, dopo essersi costruito un interlocutore di comodo, dicono di cercare la pace. Una pace che non si propone affatto di riparare ai torti del passato, ma pretende anzi dagli arabi la resa incondizionata.

Ecco perché nessuna fiducia possono riscuotere nel mondo arabo i piani di questo o quel personaggio, ecco perché il futuro non autorizza alcun ottimismo. Si vogliono considerare infatti perno di ogni soluzione, centrali ed ineludibili, proprio quegli elementi strategici e culturali dai quali l’attuale disastroso impasse è scaturito. L’ Occidente e Israele manifestano la più assoluta indisponibilità a riesaminare a fondo la questione, si sottraggono ad un dibattito a tutto campo e preferiscono divagare su argomenti quali il terrorismo, l’assistenza ai profughi, l’entità del contributo europeo e nipponico necessario a distrarre e rabbonire gli arabi. Si finge di ignorare che, del vero problema, queste sono solo le scontate, secondarie conseguenze.

Da una simile impostazione si intuisce la scelta tattica del Sionismo, quella di guadagnare tempo, con l’obiettivo strategico di mantenere indefinitamente lo status quo.

Questa catena di amare, ma realistiche riflessioni mostra la necessità di sgombrare il campo da demagogiche o pietistiche considerazioni per avviare un’indagine a largo respiro storico sulle vere origini del problema palestinese e sulla questione ebraica ad esso tanto strettamente collegata.

Rimuovere l’opaco, artificioso diaframma che si interpone ad una nitida visione delle cose, chiarire cosa realmente c’è stato Prima di Israele, individuare il Male alle sue radici e cercare di prevederne il decorso, è lo scopo di questo nostro lavoro.

Il libro uscito in prima edizione nel 1990 non ha perso proprio nulla della sua attualità. Rispetto ad altri che sono usciti e via via continuano ad uscire ha il pregio di una grande sintesi storica del problema che è utile affiancare a letture più analitiche o su periodi cronologicamente più delimitati. L’autore non ha nessun timore nel dire le cose per come stanno ed è scontato che anche quest’opera non apologetica si attirerà la solita accusa di “antisemitismo”. Accusa doppiamente ingiusta sia perché si è totalmente svuotato il significato di un termine con il quale si vogliono soltanto censurare gli studi critici su questioni che restano scottanti sia perché nel libro non vi è nessun livore o preconcetta ostilità verso quei gruppi sociali che storicamente e socialmente formano l’ebraismo.

(segue)

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