sabato 5 settembre 2009

Non solo apartheid, ma anche e soprattutto genocidio e pulizia etnica. A proposito di un attacco a Desmond Tutu


A gettare del fango su Desmond Tutu è quanto mai facile che esso ritorni sugli stessi lanciatori, specialmente se sono i “Corretti Informatori”, ossia fra le tante frange del giudaismo sionista il volto decisamente meno presentabile e “corretto”. Il nostro monitoraggio non consente di avere uno spaccato dei lettori organici, cioè solidali ai contenuti immessi dai “Corretti Informatori”. Ormai, anche noi siamo lettori di IC, essendo stati degnati delle stesse attenzioni riservate a un Desmond Tutu ma ovviamente siamo lettori “critici” e non certo “organici” ad un mondo che non è il nostro. Anzi ci appare a tinte assai fosche ed è percepito come un nemico, non sapremmo dire quanto pericoloso, del nostro sistema di libertà. La propaganda di IC è per noi quanto mai incredibile nelle sue assurdità ed inverisomiglianze. Tolti i fanatici di casa, tolti gli squadristi, siamo abbastanza certi che una simile propaganda attiri molte più antipatie che simpatie alla “causa” di Israele, ossia una causa fondata sull’aggressione coloniale che tenta di mascherarsi come “diritto al ritorno” su terre altrui, i cui legittimi abitanti vengono brutalmente espulsi senza nessun “diritto al ritorno” nelle loro case, di cui conservano e le chiavi e talvolta anche len carte di proprietà. Incredibile a dirsi e a credersi, ma costoro hanno tra i loro fan anche un ministro Frattini, “grande amico di Israele”. Potenza delle lobbies e del possesso o del controllo della maggior parte dei media.

Veniamo a Desmond Tutu. Egli ben sa cosa è stato l’aprtheid in Sud Africa. Con cognizione di causa può quindi cogliere le forti analogie con il sistema israeliano. Egli condanna ogni forma di violenza, anche quella degli innocui sigari Kassam, il cui senso – a mio avviso – è solo quello di ribadire il proprio diritto di resistenza ad un’aggressione la cui natura si tenta di acquisire come “fatto compiuto” e dunque “diritto consolidato”. Se ciò può passare in politica e nella relazione fra gli stati, nella nostra coscienza di uomini liberi non esistono “fatti compiuti” e “diritti consolidati”. L’esistente deve corrisponde alla nostra ragione. Altrimenti esso diventa hegelianamente irreale, benché meramente esistente.

Giustamente Desmond Tutu sottolinea che Israele non può costruire nulla sulla forza e sul diritto delle armi. La strada deve essere quella della piena eguaglianza dei diritti. Saranno poi, se lo vorranno, gli stessi palestinesi ad accettare o meno la realtà dell’immigrazione coloniale. In Sud Africa è avvenuta una riconciliazione, dimenticando un passato terribile: altro che retorica della Memoria. Urge invece l’oblio. La prospettiva dello Stato Unico con parità di diritti civili e politici per tutti i suoi abitanti è la sola razionalmente possibile, benché estremamente difficile da raggiungere e realizzare. Giustamente Avraham Burg ha parlato di Israele come di uno Stato alla nitroglicerina, per giunta dotato di arsenale atomico, sul quale l’Occidente non ha mai battuto ciglio, facendo finta di non vedere e di non sapere. A Mordechau Vanunu, rapito in Roma dal Mossad con uno stratagemma, il sindaco Alemanno difficilmente regalerà una cittadinanza onoraria. Vanunu, per chi non lo ricorda, è il tecnico israeliano che ha svelato al mondo l’esistenza dell’atomica israeliana.

La specificità dell’apartheid israeliano, che lo differenzia nettamente da quello sudafricano, è la compresenza di due altri elementi: il genocidio e la pulizia etnica. Se in Sud Africa la popolazione autoctona poteva costituire per i bianchi una forza lavor da poter sfruttare, in Israele si tende invece a dare ogni lavoro utili agli stessi ebrei fatti immigrare con promesse e allettamenti di ogni tipo: venite e troverete la vostra Terra Promessa, dopo averne scacciato i legittimi abitanti: una vera e propria istigazione all’usurpazione. Appunto perché non servono, oltre che essere razzisticamente “impuri” o “idolatri”, i palestinesi autoctoni devono essere sterminati con ogni mezzo e tecnica possibile: oltre all’uccisione fisica, diretta, magari poco pubblicizzabile agli occhi ipocriti della cosiddetta opinione pubblica internazionale, esistono innumerovili sistemi più discreti ed efficaci. Allo strangolamento per fame e malattia, all’alienazione morale e psicologica della popolazione occupata e oppressa, costretta alla pratica della delazione, con il congiunto che tradisce il proprio parente, se non addirittura il padre o il figlio, si uniscono perfino le malattie tumorali a lunga scadenza come effetto delle armi utilizzare o per inquinamento radiottavivo dei luoghi abitati da palestinesi, di cui addirittura si apprende vengono usati per l’utilizzo di organi.

A fronte di queste notizie sempre più allarmanti e circostanziate la strategia israeliana è ormai nota: negare, negare, negare. Quando poi non si può proprio negare l’evidenza, allora la si travisa: non muro dell’apartheid, ma barriera difensiva per salvare preziose vite umane: chiaramente vite umane israeliane e mai vite umane palestinesi! Si potrebbe continuare all’infinito per documentare l’alterazione abituale del linguaggio da parte della propaganda israeliana ed in particolare della loro agenzia in versione italiana, cioè “Informazione Corretta”, utile certamente per una più rapida accessibilità ai documenti e soprattutto ad una mentalità che ci riesce incredibilmente aliena. Con i marziani sarebbe più facile trovare termini dal significato per lo meno condivisibile.

Quindi, i palestinesi devono sparire. I palestinesi non sono assimilabili all’interno della società ebraica israeliana. Devono morire o andarsene. Questa è la politica costante del sionismo non da oggi, ma dal 1882. Il “processo di pace” è un’espressione quanto mai eufemistica e ipocrita. Il “processo di pace” è in effetti il tempo di cui i givernanti israeliani già dispongono per portare avanti i due principi del genocidio e dell’espulsione, completati i quali sarà anche concluso il “processo di pace”. Israele è stato una creazione della politica di potenza degli stati. Esso troverà una soluzione, se mai sarà, nella sede il cui il problema è sorto: la comunità degli Stati. L’ONU commise una grande ingiustizia, disponendo di un diritto che non le era concesso: la spartizione della Palestina ed il riconoscimento di uno stato coloniale fondato sull’apartheid, il genocidio, la pulizia etnica.


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