domenica 2 novembre 2008

Apartheid: 58. Desdmond Tutu e Gaza come nuovo apartheid

Home

Anche se anglicano Desmond Tutu è un sacerdote. Fa perciò una certa impressione leggere le contumelie che gli scagliano addosso i suoi denigratori sionisti. SSecondo il loro linguaggio, per il quale godono della massima impunità, sarebbe uno dei «figuri più loschi della scena politica internazionale». portando egli la colpa di ritenere, fondatamente, la Striscia di Gaza una nuovo apartheid, più grave di quello sudafricano. Ma in questo giudizio Desmond Tutu non è per nulla isolato. Basti ricordare Miguel D’Escoto, che neppure è tenero verso Israele. Desmond nacque nel 1931 e deve la sua fama mondiale proprio per essere stato in Sud Africa oppositore dell’apartheid durante gli anni ’80. Dunque, di apartheid se ne intende e sa quel che dice. Il «losco figuro» di nome Desmond Tutu ebbe addirittura nel 1984 il Premio Nobel per la pace. A questo punto è molto più credibile che siano “loschi figuri” i suoi denigratori torinesi. Si legge in Wikipedia che «Tutu crede che il trattamento dei palestinesi da parte dello stato di Israele sia una forma di aparthed» e che «si è ripetutamente appellato al governo israeliano perché rispetti la dignità umana del popolo palestinese, che sia musulmano o cristiano».

Vers. 1.4/ 7.2.10
Precedente/Successivo
Sommario: 1. «Gaza, il nuovo apartheid». – 2. «Ho pianto davanti a Gaza in rovina». – 3. La strage di Beit Hanun. – 4. Sulla pena di morte. – 5. Il disco parlante. – 6. Pasticci torinesi. – 7. Non solo apartheid, ma anche genocidio e pulizia etnica. – 8. La neutralità non è lecita. –

1. «Gaza, il nuovo apartheid». – È questo il titolo con cui oggi 2 novembre esce su l’Unità un’intervista di Giovanni De Giovannageli a Desmond Tuzu. L’intervista ha fatto perdere il lume della ragione ai “Corretti Informatori”, i quali si erano illusi che il giornalista dell’Unità fosse stato fulminato da Elie Wiesel, da lui pure intervistato. Il testo dell’intervista non è stato dato in quanto la Premiata Ditta Sodomita Torinese (PDST) non ha evidentemente i mezzi tecnici e le risorse finanziare per copiare direttamente dall’edizione cartacea dell’Unità in edicola il testo non disponibile online. In compenso pubblica il suo turpe commento che riproduciamo a perenne infamia:
L'Unità Critica
02.11.2008 Due pagine inneggianti a Desmond Tutu, Israele come il Sud Africa
è lo stile Flip-Flop di Udg
Testata: L'Unità
Data: 02 novembre 2008
Pagina: 20
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Gaza, il nuovo Apartheid»

Il sito web dell' UNITA' non è in funzione, quindi non possiamo riprendere l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Desmond Tutu. In attesa che riprenda a funzionare invitiamo i nostri lettori a cercare in edicola una copia del giornale diretto ora da Concita de Gregorio. Il pezzo di Udg è illuminante. A Desmond Tutu, uino dei capifila degli odiatori di israele, non viene mai posta nessuna domanda che possa sembrare nemmeno lontanamente interrogativa. Udg gli accarezza il pelo dalla prima e dall'ultima riga. Se fossimo ingenui chiederemmo a Udg come mai non si indigni di fronte alle menzogne di Tutu, e le riporti in totale condivisione. Ma leggiamo Udg da anni, sappiamo bene perchè, a seconda di chi intervista, assuma una posizione che apparentemente può sembrare contradditoria. Con Elie Wiesel sembra quasi comprendere le ragioni di Israele, poi arriva un capo di Hamas o di Hezbollah e Udg riprende a suonare il violino con la massima disinvoltuta. Come ha fatto nell'intervista di stamane a Tutu, uno dei figuri più loschi della scena politica internazionale.

Per inviare all'Unità la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.
lettere@unita.it
Si noti nel livore di tanta follia l’insistenza sulla categoria debole dell’«odio», un sentimento per sua natura contrario al cammino dell’essere verso la sua perfezione. Nessuna persona che voglia bene a se stessa, non già che odi l’altro, indulgerà mai verso quella che Spinoza, filosofo ebreo, definiva essere un ostacolo alla perfezione. Di «odio» se ne trova un distillato nel brano dei “Corretti Odiatori”, che dimostrano di essere anche degli stupidi non avendo saputo comprendere la professionalità con cui De Giovanngeli ha fatto l’intervista a Elie Wiesel, un personaggio ben diverso da Desmond Tutu.

Torna al sommario.

2. «Ho pianto davanti a Gaza in rovina». – Non leggo abitualmente l’Unità, come invece i «Corretti Informatori». Se lo avessi saputo in tempo, avrei comprato il numero in edicola il 2 di novembre con l’ultima intervista di Desmond Tutu. A differenza di radio radicale, dove Massimo Bordin si alza di buon ora per leggere alle 7.30 la rassegna dei giornali quotidiani, in Torino se la prendono comoda e stilano il loro bollettino di guerra solo la sera, quando le edicole sono chiuse ed uno che lo volesse non potrebbe controllare sui testi la diffamazione fresca di giornata. Singolare come per Tutu avessero emesso il verdetto senza offrire al cosiddetto Lettore nessuna possibilità di riscontro. In realtà, se vi era ancora bisogno di provarlo, non si tratta di vera e propria “rassegna stampa” ma di un servizio di sionismo militante, dove a degli ascari lapidatori viene segnalato il bersaglio di turno contro cui scagliare pietre. Cercando in rete ho però trovato un’altra intervista a Desmond Tutu, sempre a cura di Umberto De Giovannangeli, apparsa sull’Unità del 30 maggio 2008 e qui ripresa integralmente dal sito perlapace.it, che riporto integralmente per ampliarne la diffusione:
Desmond Tutu: «Ho pianto davanti a Gaza in rovina»
L’inferno di Gaza visto attraverso gli occhi dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu,
premio Nobel per la Pace 1984.

Articolo di: Umberto De Giovannangeli
Foto di http://www.alternativenews.org

Confessa di aver pianto nel constatare di persona i patimenti inflitti a una popolazione allo stremo. L’inferno di Gaza visto attraverso gli occhi dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace ’84, riconoscimento che gli fu attribuito per la sua lotta non violenta contro il regime dell’apartheid. Tutu in questi giorni è a Gaza, capo della missione del Consiglio dell’Onu per i diritti umani incaricata di indagare sulle violazioni israeliane nella Striscia e sull’uccisione di 19 civili, tra i quali molte donne e bambini, provocata da un bombardamento israeliano l’8 novembre ’06 a Beit Hanun.

Israele ha rifiutato di concedere i visti a Tutu e al suo gruppo: l’arcivescovo anglicano e i suoi collaboratori hanno aggirato le restrizioni israeliane entrando nel territorio palestinese dal valico di Rafah con l’Egitto che è stato aperto occasionalmente per loro martedì scorso.

Nella sua missione a Gaza, Tutu ha incontrato anche il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ma soprattutto si è intrattenuto con i sopravvissuti dell’attacco di Beit Hanun. Nel ricordare quell’incontro, il Premio Nobel per la Pace sudafricano non trattiene la commozione: «Tutti noi - racconta a l’Unità - siamo rimasti scioccati, devastati da quei colloqui. Si è trattato di una esperienza sconvolgente che non si augurerebbe al proprio peggior nemico».

Sulla strage di Beit Hanun, la commissione guidata da Desmond Tutu sta preparando un rapporto che sarà presentato alla riunione del Consiglio dell’Onu per i Diritti umani a settembre.

Un viaggio a Gaza. Quali emozioni ha provato?
– «È stata una esperienza umana sconvolgente. In questi giorni abbiamo avuto modo di renderci conto di persona di una situazione disastrosa. A Gaza è in atto una tragedia umanitaria di fronte alla quale il mondo non può chiudere gli occhi. Perché se la verità fa male, il silenzio uccide».

Le più importanti agenzie umanitarie internazionali hanno ripetutamente denunciato gli effetti provocati sulla popolazione di Gaza dal blocco imposto da Israele. Qual è in proposito la sua opinione?
– «Quello in atto da mesi e mesi a Gaza è un assedio illegale; il blocco costituisce una violazione flagrante dei diritti umani ed è contrario agli insegnamenti delle sacre scritture, cristiane ed ebraiche e della tradizione ebraica di adoperarsi per i più deboli. Faccio davvero fatica a trovare le parole adatte per descrivere ciò che abbiamo visto e inteso. Di certo, tutto ciò è inaccettabile. La cosa più inconcepibile e mai giustificabile, è quello che si sta facendo ad un popolo per garantire la propria sicurezza (di Israele). Ciò che ho visto mi ricorda molto quello che accadeva a noi neri in Sudafrica, durante l’apartheid. Non mi riferisco solo a Gaza. Ricordo ancora un mio precedente viaggio in Terra Santa. Ricordo come se fosse oggi l’umiliazione dei palestinesi ai check points e ai blocchi stradali, soffrivano come noi quando i giovani poliziotti bianchi ci impedivano di circolare».

Qual è il messaggio che si sente di lanciare alla comunità internazionale?
– «Il messaggio è che il nostro silenzio e la nostra complicità per ciò che sta accadendo a Gaza, fa disonore a tutti noi. Gaza ha bisogno di aiuti e di attenzione da parte del mondo, in particolare da quanti credono e si battono per la pace».

Lei ha avuto modo di incontrare a Gaza il premier di Hamas, Ismail Haniyeh.
– «Ho chiesto ad Haniyeh di operare affinché Hamas interrompa il lancio di razzi Qassam verso Israele. Queste azioni finiscono solo per aggiungere dolore a dolore, sofferenza a sofferenza: la mia solidarietà va anche alla popolazione israeliana di Sderot, costretta a soffrire per il lancio dei razzi Qassam. Non è in questo modo che i palestinesi vedranno realizzati i propri diritti. Dal più profondo del cuore, mi sento di lanciare di nuovo un appello a entrambe le parti perché si ponga fine ad ogni atto di violenza, ed in particolare agli attacchi ai civili. Questi attacchi, comunque motivati, sono sempre una violazione dei diritti dell’uomo. L’unico modo per porre fine alle violenze e alle ingiustizie è che israeliani e palestinesi si ritrovino insieme intorno ad un tavolo per discutere: questo è l’unico modo per instaurare la vera pace».

E a Israele quale appello si sente di lanciare?
– «Vorrei dire che Israele ha diritto a vivere in pace nella sicurezza ma che questo diritto non può fondarsi né realizzarsi compiutamente se proseguirà l’oppressione esercitata contro un altro popolo. Il popolo palestinese. Una vera pace può essere costruita solo su basi di giustizia. E giustizia vuole che oggi si porti conforto alla popolazione di Gaza».

Lei ha parlato di una realtà, quella della Striscia di Gaza, scioccante, disperata...
«E non mi riferivo solo alle condizioni materiali di vita. La disperazione è anche altro. È l’assenza di speranza, è la percezione diffusa che la realtà è destinata ancora a peggiorare. La disperazione è nei tanti ragazzi e ragazze che ho incontrato e che mi hanno confessato di non saper immaginare un futuro. La disperazione è nei bambini che hanno respirato solo violenza, paura...Questa è Gaza oggi. Lo ripeto: è una condizione inaccettabile, inumana. Alla quale non dobbiamo rassegnarci».

Ha collaborato Osama Hamdan -Fonte: l'Unità, 30 maggio 2008
Il testo dell’intervista lancia accuse pesanti come macigni. Le violazioni di Israele sono flagranti. Si noti tuttavia come il «losco figuro» – secondo gli apprezzamenti di IC – condanni il lancio di missili Qassam contro la popolazione di Sderot. Si noti anche come De Giovanngeli parli di Ismail Haniyeh chiamandolo “premier” del palestinesi di Gaza. La cosa non sarebbe stata da me rilevata se in una proprio ieri di IC non vi fosse stato un forsennato attacco contro l’agenzia ANSA colpevole di aver pure scritto “premier”: avrebbe dovuto dire capo dei terroristi. Si noti che l’appellativo “terrorista” è una dichiarazione unilaterale Usa-israeliana, che in questo modo credono di delegittimare i loro nemici, facendo poi loro di più e peggio di ciò di cui accusano altri. E meno male che qui un arcivescovo, in visita umanitaria a Gaza per conto dell’ONU, dice di Israele che: a) è responsabile di un assedio illegale; b) è una flagrante violazione dei diritti umani; c) agisce contro la dottrina delle sacre scritture. Il testo della sua intervista è decisamente equilibrato quanto chiaramente squilibrato e diffamatorio è il “corretto commento” di cui sopra e verosimilmente attribuibile ad Angelo Pezzana.

3. La strage di Beit Hanun. – Sono innumerevoli le stragi dovute alla ormai secolare impresa coloniale sionista. A ricordarle tutte ci vuole un vero e proprio sforzo enciclopedico, al quale del resto ci accingiamo con metodo e disciplina: forniremo la documentazione fotografica che riusciremo a raccogliere concentrando in un apposito paragrafo della nostra Docomentazione fotografica dell’occupazione coloniale della Palestina. Andando al link di questo paragrafo 3 si accede al solito dossier mossadico di IC del 12 dicembre 2006 sulla negato accesso alla missione di Desmond Tutu che per conto dell’Onu doveva indagare sulla strage di Beit Hanoun. Non riporto tutto il demenziale e delirante testo dei «Corretti Informatori», ma solo alcuni estratti utili per il loro contenuto informativo. Chi vuole può accedere direttamente al link di IC. Si renderà conto personalmente della natura di una testata che Piergiorgio Odifreddi ha correttamente definito per cià che essa è.
Israele blocca la missione di Desmond Tutu.
L’arcivescovo e premio Nobel doveva indagare
per conto dell’Onu
sulla strage di Beit Hanoun


Ginevra. L’arcivescovo sudafricano e premio Nobel per la pace Desmond Tutu non ha ottenuto l’autorizzazione di Israele a compiere una visita nella regione per indagare per conto dell’Onu sulla strage dello scorso novembre a Beit Hanoun nella Striscia di Gaza. «È molto penoso», ha affermato Desmond Tutu deplorando in una conferenza stampa ieri a Ginevra la «mancanza di cooperazione da parte del governo israeliano». L’arcivescovo emerito era stato incaricato dal Consiglio dell’Onu sui diritti umani di guidare una missione di inchiesta sulla strage di Beit Hanoun dell’8 novembre scorso, quando 19 palestinesi rimasero uccisi in un bombardamento israeliano. La missione era stata istituita il 15 novembre da una risoluzione Onu. La missione doveva recarsi a Beit Hanoun per «valutare la situazione delle vittime, i bisogni dei superstiti, formulare raccomandazioni sui modi e i mezzi di proteggere i civili palestinesi contro ulteriori attacchi israeliani» e presentare un rapporto entro la metà di dicembre. «Pensavamo, e pensiamo ancora, che c’era una speranza che la nostra visita ed il nostro rapporto avrebbero potuto in qualche modo contribuire alle possibilità di pace nel Medio Oriente», ha affermato Tutu. L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite di Ginevra ha affermato in una dichiarazione che la decisione «non ha niente a che vedere con le persone coinvolte nella Missione, ma piuttosto con lo stesso Consiglio dell’Onu sui diritti umani, preso in ostaggio da Stati membri che vogliono solo criticare Israele». L’ambasciatore ha inoltre sottolineato che Israele ha già condotto un’inchiesta sull’incidente ed ha presentato il proprio rammarico per l’accaduto. In una base militare israeliana, intanto, sono apparse ieri numerose scritte in lingua araba di sostegno alle vittime di Beit Hanun. «Siamo con voi, tenete duro malgrado le ferite» hanno scritto soldati di leva nella base di Glilot, alla periferia di Tel Aviv. Uno dei militari ha confermato che all'interno della base ci sono accesi dibattiti politici e ha precisato che gli eventi di Beit Hanun hanno provocato turbamento. «Non siamo mica robot» ha aggiunto.
L’articolo contiene altre notizie riguardanti Carter, che del tutto autonomamente conferma il giudizio sull’esistenza di un regime di aparteid in Israele, ritenuto anche più grave di quello sudafricano. Nel testo si fa cenno anche all’uso separato di strade, su cui in questo blog si trovano maggiori informazioni andando alla scheda relativa a Shulamit Aloni, che fornisce una testimonianza diretta al riguardo. L’ambasciatore israeliano si arrampica sugli specchi. Meriterebbe lui stesso di essere indagato come criminale di guerra per complicità nella strage. Proprio ieri quel mattacchione di Pannella, che con disappunto per il giudizio «lusinghiero», ha definito Bush un coglione che dovrebbe essere chiamato a rispondere di innumerevoli omicidio, per errore, su quali non si può esprimere “rammarico”. Gli uomini non sono mosche o vetture tamponate.

4. Sulla pena di morte. – L’argomento è un poco diverso dai contenuti dei paragrafi precedenti. Riguarda una presa di posizione di Desmond Tutu sulla pena di morte. Le sue dichiarazioni sono riprese sul “Corriere della Sera” del 16 novembre 2007. I riferimenti all’apartheid sono qui marginali e riguardano il Sud Africa. I «Corretti Informatori» hanno però la coda di paglia e ne approfittano per il solito attacco fazioso che non scalfisce l’arcivescovo anglicano ma offre ulteriore conferma sulla natura dei diffamatori, che lamentano il silenzio sulla pena di morte agli omosessuali ancora inflitta dall’Iran. Forse Pezzana teme per se stesso, caso mai volesse andare a fare una conferenza sull’«Olocausto» in Iran. Del resto, Ahmadinejad ha risposto durante la sua visita alla Columbia University che in realtà il problema non si pone perché in Iran di omosessuali non ve ne sono. Non gli hanno creduto e si son tutti messi a ridere. Da noi in effetti ce ne sono tanti. Direi che sono la maggioranza ed è perciò bene riconoscere democraticamente tutti i loro diritti, ma non posso però ammettere che occorra muovere guerra a 70 milioni di iraniani per rivendicare i diritti degli omosessuali locali.

5. Il disco parlante. – Si trova qui la “corretta” segnalazione dell’intervista del 30 maggio 2008 a cura di Umberto De Giovanngeli che abbiamo riportato sopra integralmente al paragrafo 2. Il corretto commento non esce dagli schemi della consueta idiozia volta a ribaltare i ruoli: l’aggressore e colonizzatore sionista sarebbe vittima perché gli aggrediti generazione dopo generazione continuano a resistere e a non lasciarsi scannare democraticamente. Manca il senso delle proporzioni ed è ridicola l’ammissione della strage di Beit Hanoun: un increscioso incidente per il quale si è disposti a dare un risarcimento. Penoso! Abbiamo esaurito l’archivio di IC su Desmond Tutu. Ma saremo vigili su ogni altro futuro ingresso e soprattutto seguiremo la presenza di Desmond Tutu nelle altre fonti di informazione. IC è per noi solo un avvio, un indizio.

6. Pasticci torinesi. – Non sembra proprio che i «Corretti Informatori» siano dei corretti filologi. Nel numero di ieri parlano di un’intervista di De Giovannageli a Desmond Tutu uscita ieri sull’Unità del 2 novembre, ma non disponibile online. Oggi però pubblicano il testo dell’intervista del 30 maggio scorso come se fosse l’intervista del 2 novembre, che riguarda altri temi. Nel frattempo in data 3 novembre di intervista ne è uscita un’altra, sempre di De Giovannangeli, ma ad un altro Premio Nobel. Si tratta di Maired Corrigan Maguire, al seguito della nave “Dignity” che la settimana scorsa ha forzato il blocco navale di Gaza, ripetendo l’impresa delle altre due navi che nell’agosto scorso forzarono per la prima volta il blocco. La “notizia” giornalistica è appunto questo nuovo viaggio di una nave ,ora ribattezzata Dignity, al cui seguito era la pacifista Corrigan Maguire. Pezzana non sembra aver realizzato che si è trattato di una forzatura del blocco navale. Tralasciando il commento illogico e delirante, riprendiamo invece il testo dell’intervista a Maired Corrigan Maguire, integrativa di quelle di Desmond Tutu del 30 maggio e del 2 novembre:
Intervista a Maired Corrigan Maguire
«Gaza è diventata la tomba dei diritti umani»

La Nobel per la pace nordirlandese ha forzato il blocco navale israeliano. «Chi nasce qui è già condannato». La disperazione diffusa: «Manca tutto, e a soffrire sono soprattutto i più deboli, le donne e i bambini. Così non ci sarà mai pace».
Intervista di Umberto De Giovannageli apparsa su l’Unità del 3 novembre 2008, p. 19

«Il grido d’allarme lanciato da Desmond Tutu va raccolto. Gaza muore nel silenzio complice della comunità internazionale». A parlare è Mairead Corrigan Maguire, premio Nobel per la pace nel 1976. Nata a Belfast da famiglia cattolica, Mairead Corrigan Maguire, 64 anni, decise di dedicarsi alla pace nel suo Paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un’auto di cui aveva perso il controllo un membro dell’Esercito repubblicano irlandese, colpito poco prima a morte da un soldato inglese. A seguito di quella tragedia la sorella si tolse la vita e Mairead fondò con Betty William, con cui ha condiviso il Nobel, il movimento «Donne per la pace». Nell’aprile del 2007, mentre partecipava a una manifestazione contro la costruzione del «Muro» in Cisgiordania, Mairead fu ferita da un proiettile sparato da un soldato israeliano.

Lei è reduce dallo «sbarco» a Gaza dei pacifisti della nave «Dignity». Quale realtà si è trovata di fronte?
– «Una realtà terribile, agghiacciante, angosciante che il mio amico Desmond Tutu ha raccontato con parole toccanti nell’intervista al suo giornale. Una cosa voglio dirla chiara e forte: non c'è nulla di più illegale e immorale della punizione collettiva che viene applicata contro la popolazione palestinese ogni giorno e in maniera indiscriminata dalle autorità israeliane».

Israele ribatte che Gaza è in mano di Hamas e che con il blocco della Striscia lo Stato ebraico sta esercitando il suo diritto all’autodifesa.
– «Il diritto all’autodifesa non consente di trasformare Gaza in una prigione dove un milione e mezzo di persone vivono e muoiono in condizioni estreme, dove la maggioranza dei bambini è malnutrita, dove manca tutto, dai medicinali ai generali alimentari. A Gaza si sta facendo scempio dei più elementari diritti dell’uomo. E questo nel silenzio complice della comunità internazionale».

Un silenzio complice che non riguarda i pacifisti che sono sbarcati a Gaza e le donne e gli uomini delle Ong internazionali che continuano a operare nella Striscia.
– «Sono loro, queste straordinarie persone, i veri costruttori di pace. Senza il loro impegno quotidiano, generoso, a Gaza la situazione sarebbe ancora più terribile. Noi abbiamo cercato di portare aiuti alla popolazione di Gaza (una tonnellata di medicinali, subito trasferiti in uno degli ospedali di Gaza City, ndr.). Lo rifaremo, sfidando i blocchi navali di Israele. Ma sappiamo bene che si tratta solo di un palliativo, di fronte allo sfacelo causato dall’assedio. Non ci sono mezzi di ricambio per i macchinari, scarseggiano le medicine, la corrente elettrica va e viene, la manutenzione delle strutture è praticamente impossibile. La verità è che a Gaza la gente continua a soffrire e a morire nell’indifferenza della comunità internazionale e con la piena responsabilità di Israele».

Nell'intervista a l'Unità, Desmond Tutu ha parlato dell’assenza di speranza dei giovani di Gaza.
– «È così. Ed è terribile. Passeggiando per le strade di Gaza City, ho incontrato tanti ragazzi. Una, in particolare, ha 19 anni, il suo nome è Intisar, mi ha colpito fino alle lacrime: ”Ti supplico - mi ha detto - portami via con te, perché chi nasce qui sa già che non avrà un lavoro, non avrà mezzi per sostentarsi, non avrà una vita degna di essere vissuta. Chi nasce qui, nasce già condannato”. Le parole di Intisar restano scolpite nel mio cuore e nella mia mente. E moltiplicheranno il mio impegno per ridare un futuro degno ai ragazzi di Gaza».

Un futuro che sappia di normalità lo chiedono anche i ragazzi israeliani.
– «Le due aspirazioni non vanno messe in contrapposizione. Il futuro dei due popoli è strettamente intrecciato. Ma spetta al più forte, in questo caso Israele, fare il primo passo. Sarebbe un atto lungimirante, perché nessun popolo può pensare di fondare la propria sicurezza sull’oppressione di un altro popolo. L’ingiustizia produce solo rabbia, frustrazione e può innescare la violenza. È una lezione che noi nordirlandesi abbiamo imparato sulla nostra pelle».
Abbiamo fatto un nostro editing del testo per rendere leggibile l’intervista, pubblicata assai male dai «Corretti Informatori», le cui parole reggono al confronto con la limpida testimonianza del Nobel per la Pace annata 76.

7. Non solo apartheid, ma anche genocidio e pulizia etnica. –A gettare del fango su Desmond Tutu è quanto mai facile che esso ritorni sugli stessi lanciatori, specialmente se sono i “Corretti Informatori”, ossia fra le tante frange del giudaismo sionista il volto decisamente meno presentabile e “corretto”. Il nostro monitoraggio non consente di avere uno spaccato dei lettori organici, cioè solidali ai contenuti immessi dai Corretti Informatori. Ormai, anche noi siamo lettori di IC, essendo stati degnati delle stesse attenzioni riservate a un Desmond Tutu ma ovviamente siamo lettori “critici” e non certo “organici” ad un mondo che non è il nostro. Anzi ci appare a tinte assai fosche ed è percepito come un nemico, non sapremmo dire quanto pericoloso, del nostro sistema di libertà. La propaganda di IC è per noi quanto mai incredibile nelle sua assurdità ed inverisimiglianze. Tolti i fanatici di casa, tolti gli squadristi, siamo abbastanza certi che una simile propaganda attiri molte più antipatie che simpatie alla “causa” di Israele, ossia una causa fondata sull’aggressione coloniale che tenta di mascherarsi come “diritto al ritorno” su terre altrui, i cui legittimi abitanti vengono brutalmente espulsi senza nessun diritto al ritorno nelle loro case, di cui conservano e le chiavi e talvolta anche len carte di proprietà. Incredibile a dirsi e a credersi, ma costoro hanno tra i loro fan anche un ministro Frattini, “grande amico di Israele”. Potenza delle lobbies e del possesso o del controllo della maggior parte dei media.

Veniamo a Desmond Tutu. Egli ben sa cosa è stato l’aprtheid in Sud Africa. Con cognizione di causa può quindi cogliere le forti analogie con il sistema israeliano. Egli condanna ogni forma di violenza, anche quella degli innocui sigari Kassam, il cui senso – a mio avviso – è solo quello di ribadire il proprio diritto di resistenza ad un’aggressione la cui natura si tenta di acquisire come “fatto compiuto” e dunque “diritto consolidato”. Se ciò può passare in politica e nella relazione fra gli stati, nella nostra coscienza di uomini liberi non esistono “fatti compiuti” e “diritti consolidati”. L’esistente deve corrisponde alla nostra ragione. Altrimenti esso diventa hegelianamente irreale, benché meramente esistente.

Giustamente Desmond Tutu sottolinea che Israele non può costruire nulla sulla forza e sul diritto delle armi. La strada deve essere quella della piena eguaglianza dei diritti. Saranno poi, se lo vorranno, gli stessi palestinesi ad accettare o meno la realtà dell’immigrazione coloniale. In Sud Africa è avvenuta una riconciliazione, dimenticando un passato terribile: altro che retorica della Memoria. Urge invece l’oblio. La prospettiva dello Stato Unico con parità di diritti civili e politici per tutti i suoi abitanti è la sola razionalmente possibile, benché estremamente difficile da raggiungere e realizzare. Giustamente Avraham Burg ha parlato di Israele come di uno Stato alla nitroglicerina, per giunta dotato di arsenale atomico, sul quale l’Occidente non ha mai battuto ciglio, facendo finta di non vedere e di non sapere. A Mordechau Vanunu, rapito in Roma dal Mossad con uno stratagemma, il sindaco Alemanno difficilmente regalerà una cittadinanza onoraria. Vanunu, per chi non lo ricorda, è il tecnico israeliano che ha svelato al mondo l’esistenza dell’atomica israeliana.

La specificità dell’apartheid israeliano, che lo differenzia nettamente da quello sudafricano, è la compresenza di due altri elementi: il genocidio e la pulizia etnica. Se in Sud Africa la popolazione autoctona poteva costituire per i bianchi una forza lavor da poter sfruttare, in Israele si tende invece a dare ogni lavoro utili agli stessi ebrei fatti immigrare con promesse e allettamenti di ogni tipo: venite e troverete la vostra Terra Promessa, dopo averne scacciato i legittimi abitanti: una vera e propria istigazione all’usurpazione. Appunto perché non servono, oltre che essere razzisticamente “impuri” o “idolatri”, i palestinesi autoctoni devono essere sterminati con ogni mezzo e tecnica possibile: oltre all’uccisione fisica, diretta, magari poco pubblicizzabile agli occhi ipocriti della cosiddetta opinione pubblica internazionale, esistono innumerovili sistemi più discreti ed efficaci. Allo strangolamento per fame e malattia, all’alienazione morale e psicologica della popolazione occupata e oppressa, costretta alla pratica della delazione, con il congiunto che tradisce il proprio parente, se non addirittura il padre o il figlio, si uniscono perfino le malattie tumorali a lunga scadenza come effetto delle armi utilizzare o per inquinamento radiottavivo dei luoghi abitati da palestinesi, di cui addirittura si apprende vengono usati per l’utilizzo di organi.

A queste notizie sempre più allarmanti e circostanziate la strategia israeliana è ormai nota: negare, negare, negare. Quando poi non si può proprio negare l’evidenza, allora la si travisa: non muro dell’apartheid, ma barriera difensiva per salvare preziose vite umane: chiaramente vite umane israeliane e mai vite umane palestinesi! Si potrebbe continuare all’infinito per documentare l’alterazione abituale del linguaggio da parte della propaganda israeliana ed in particolare della loro agenzia in versione italiana, cioè “Informazione Corretta”, utile certamente per una più rapida accessibilità ai documenti e soprattutto ad una mentalità che ci riesce incredibilmente aliena. Con i marziani sarebbe più facile trovare termini dal significato per lo meno condivisibile.

Quindi, i palestinesi devono sparire. I palestinesi non sono assimilabili all’interno della società ebraica israeliana. Devono morire o andarsene. Questa è la politica costante del sionismo non da oggi, ma dal 1882. Il “processo di pace” è un’espressione quanto mai eufemistica e ipocrita. Il “processo di pace” è in effetti il tempo di cui i givernanti israeliani già dispongono per portare avanti i due principi del genocidio e dell’espulsione, completati i quali sarà anche concluso il “processo di pace”. Israele è stato una creazione della politica di potenza degli stati. Esso troverà una soluzione, se mai sarà, nella sede il cui il problema è sorto: la comunità degli Stati. L’ONU commise una grande ingiustizia, disponendo di un diritto che non le era concesso: la spartizione della Palestina ed il riconoscimento di uno stato coloniale fondato sull’apartheid, il genocidio, la pulizia etnica.

8. Non è lecita la neutralità. – Il senso dell’intervista a Desmond Tutu non lascia adito a dubbi ed è bene averne preso il testo da un organo di propaganda sionista. Dice Tutu: «se rimanete neutrali in una situazione d’ingiustizia, come quella patita dalla gente a Gaza, avete scelto la parte dell’oppressore».


Nessun commento: