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Dizionario del sionismo
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.
Occorre studiare la geografica, anche il vero e proficuo studio della geografia – come diceva il mio insegnate – lo si può fare solo con i piedi, cioè camminando e viaggiando, non sui libri. In altro post ho detto che mai avrei letto il libro di Elena Rosenthal su Tel Aviv. Un famoso proverbio dice: mai dire mai. Infatti, quando scrissi quella frase, immaginando lo stile melenso dell’autrice, non sapevo che l’odierna Tel Aviv risulta dall’inglobamento di Giaffa e dei 24 villaggi che l’attorniavano: tutti distrutti. L’incredibile faccia tosta degli autori sionisti, pretende di far dimenticare questa macchia orribile di nascita e pretende di invitarci alla festa. Chissà se Elena parla di tutto ciò o se ne parla, come ne parla. Per adesso ho altre letture più urgenti e non andrò certo a leggere proprio il libro di Elena. Una notizia e la sua contronotizia mi giungono proprio oggi, in lingua inglese. Non mi è ancora del tutto chiaro l’evento, ma se non erro in Canada – roccaforte del sionismo e della Lobby – un gruppo di cineasti sta protestando al Toronto International Film Festival (TIFF), ricordando il fatto che Tel Aviv sorge su villaggi e città palestinesi distrutti. Puntualmente, il Simon Wiesental Center cerca di fare apologia del crimine, mandando email ai suoi affiliati organici ed allertando le lobbies. Sempre mantenendo fede al nostro impegno di redigere una scheda anche minima per ognuno degli oltre 500 villaggi distrutti, anticipiamo qui la scheda su Giaffa, che è forse uno delle distruzioni più vistose. Partiamo sempre da Ilan Pappe, rinviando a tempi successivi ogni ulteriore documentazione, via via che diverrà a noi nota e accessibile.
Sommario: 1. Le fondamenta di Tel Aviv sulle rovine di Giaffa. – 2. «Possiamo far morire di fame gli arabi di Haifa e Giaffa». – 3. Fare di loro qualunque cosa volessero. – 4. Il terrorismo dell’Irgun e della banda Stern. – 5. «Dobbiamo colpire Giaffa in tutti i modi possibili». – 6. Le vere intenzioni del sionismo. –
1. Le fondamenta di Tel Aviv sulle rovine di Giaffa. – Il crimine è orrendo ed è difficile trovare parole che parlino alla nostra ragione più che alla nostra emotività. È da aggiungere però che qui si compie anche un insulto alla nostra intelligenza. Escono libri che pretendo di farci innamorare di luoghi come Tel Aviv, presentandoli come fascinosi, ignorando la pulizia etnica che vi si è compiuta nel 1948. Se una città merita il nome ed il premio dell’infamia, questa è proprio Tel Aviv.
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2. «Possiamo far morire di fame gli arabi di Haifa e Giaffa». – Le parole fra virgolette sono del papà di tutti gli israeliani, cioè di Ben Gurion, e dimostrano come l’odierno affamamento di Gaza abbia una sua gloriosa tradizione. Nel brano di Pappe che riporto di seguito si presti attenzione all’elemento essenziale del «sostegno internazionale». Tutta l’impresa sionista, dal suo concepimento fino al suo odierno compimento non sarebbe mai stata possibile senza il “sostegno internazionale”. Pochi sanno che la famosa dichiarazione Balfour ebbe i suoi retroscena, dove le organizzazioni sioniste era le ispiratrici delle stessa Richiarazione, che riprodotta in forma di volantino veniva sganciata sulla testa dei tedeschi che vivevano in Germania alla fine del 1917. Si potrebbe qui continuare nella digressione assai istruttiva, ma qui ci preme solo sottolineare l’importanza del dato propagandistico sul piano internazionale e sulla necessità imperiosa per il sionismo di occultare i momenti essenziali della sua storia, ovvero di falsificarli e mistificarli. Sbattere loro in faccia tutta l’evidenza della pulizia etnica del 1948 e della loro odierna continuazione negli insediamenti illegali nei territori “occupati” (diventati nella propaganda sionista ora “contesi”, perfino “acquisiti” ovvero semplicemente “territori” orfani di qualsiasi aggettivazione che ne dia senso logico e storico), significa usare un’arma potente quanto incruenta: l’arma della verità.
3. Fare di loro qualunque cosa volessero. – Che la pietà e l’amore del prossimo, ossia nel nemico, sia cosa estranea all’etica sionista, per non dire ebraica, possiamo desumerlo da questa nuova pagina di Pappe, dove a proposito di Giaffa si parla del proposito di affondare le barche dei pescatori, ripetesi non corazzate o imbarcazioni di carattere militare, ma barche da pesca.
4. Il terrorismo dell’Irgun e della banda Stern. – Oggi uno dei preferiti della propaganda israeliana è la lotta al terrorismo di Hamas, di Hezbollah, perfino dell’ONU. Ma in Haifa ed a Giaffa l’eplosione di bombe ai danni di civili inermi era cosa all’ordine del giorno.
5. «Dobbiamo colpire Giaffa in tutti i modi possibili». – Nella storia della pulizia etnica si passa dalla fase della rappresaglia a quell’aggressione i cui effetti sono permanenti. Il senso era chiaro: gli arabi dovevano sparire dalla Palestina. Non sarebbero stati raggiunti gli obiettivi del sionismo se una maggioranza araba fosse rimasta. Il problema resta di drammatica attualità ancora oggi. L’Operazione Piombo Fuso decembre 2008-gennaio 2009 è perfettamente in linea con la Nakba del 1948. Seguiamo questo momento nel brano che segue:
6. Le vere intenzioni del sionismo. – Malgrado i tentativi propgandistici-culturali di collegare autorevolmente il sionismo alla nostra tradizione mazziniana e risorgimentale non possono esservi dubbi sulla natura predatoria del sionismo, accompagnata dalla disponibilità a qualsiasi efferatezza congiunta a cinismo: il diritto è la forza e la forza è il diritto, come si dice nei “falsi” Protocolli (vedi). Ma seguiamo la narrazione di Pappe, il quale manda a dire al presidente Napolitano ed al suo Consulente che “si è antisemiti se non si è antisionisti”. Il 9 febbraio Yadin aveva già rivelato le sue vere intenzioni chiedendo «invasioni in profondità» nelle zone palestinesi. Indicò villaggi a elevata popolazione, quali Fassuta, Tarbikha e Aylut nella Galilea settentrionale, con l'obiettivo di distruggerli completamente. La Consulta rifiutò il piano come troppo ambizioso e Ben Gurion suggerì di metterlo da parte per il momento.
Il nome in codice che Yadin diede al suo piano fu Lamed-
Heh; lo concepiva come rappresaglia per l'attacco al convoglio
a Gush Etzion68
• Alcuni giorni dopo la Consulta approvò
altri piani simili - con lo stesso nome in codice - all'interno
100 LA PULIZIA ETNICA DELLA PALESTINA
delle zone palestinesi rurali, ma insisteva a collegarli, anche se
superficialmente, ad azioni ostili da parte degli arabi. Anche
queste operazioni furono frutto dell'ingegno di Yigael Yadin.
Iniziarono il 13 febbraio 1948, concentrandosi su diverse aree.
A Giaffa, le case furono selezionate a caso e poi fatte esplodere
quando le persone si trovavano ancora dentro; il villaggio di
Sa'sa venne attaccato, così come altri tre a Qisarya (l'attuale
Cesarea).
Le operazioni di febbraio, attentamente pianificate dalla
Consulta, erano diverse da quelle di dicembre: non erano più
sporadiche ma facevano parte di un primo tentativo di collegare
la pulizia etnica dei villaggi all'idea di linee di trasporto ebraiche
senza ostacoli lungo le principali arterie stradali della Palestina.
Tuttavia, a differenza di quanto sarebbe poi accaduto il
mese successivo, quando le operazioni avrebbero avuto un nome
in codice con obiettivi e territori ben definiti, le direttive rimanevano
ora alquanto vaghe.
I primi obiettivi furono tre villaggi nelle vicinanze dell' antica
città romana di Cesarea, una città con una storia che risaliva ai
Fenici. Fondata come colonia per il commercio, Erode il Grande
la chiamò Cesarea in onore del suo patrono a Roma, Cesare
Augusto. Il più graride di questi villaggi era Qisarya, con una
popolazione di 1500 abitanti che viveva all'interno delle antiche
mura della città vecchia. Come spesso succedeva nei villaggi pa-
"lestinesi della costa, diverse famiglie ebree avevano comperato
lì della terra e praticamente vivevano all'interno del villaggio. La
maggior parte degli abitanti viveva in case di pietra accanto alle
famiglie beduine che facevano parte del villaggio ma che stavano
in tende. I pozzi del villaggio fornivano acqua a sufficienza
sia per la comunità semisedentaria che per quella contadina e
permetteva loro di coltivare estesi appezzamenti con grande varietà
di prodotti agricoli, compresi gli agrumi e le banane. Quindi
Qisarya era un modello tipico dell'atteggiamento "vivi e lascia
vivere" che caratterizzava la vita rurale lungo la costa della
Palestina.
I tre villaggi furono scelti perché erano una facile preda: non
avevano nessuna forma di difesa, né interna né esterna. li 5 febbraio
arrivò l'ordine di occuparli, evacuarli e distruggerli69
•
4. PORTARE A TERMINE UN MASTER PLAN 101
Qisarya fu il primo villaggio a essere completamente sgombrato
il 15 febbraio 1948. L'espulsione richiese poche ore e fu
eseguita in modo così sistematico che le truppe ebraiche condussero
la stessa operazione in altri quattro villaggi nello stesso
giorno, sempre sotto l'occhio attento delle truppe britanniche
che erano appostate nelle vicine stazioni di polizia70
•
Il secondo villaggio fu Barrat Qisarya ('fuori Qaysariyya'),
con circa 1000 abitanti. Ci sono molte foto degli anni Trenta che
ritraggono questo pittoresco villaggio su una spiaggia di sabbia
presso le rovine dell'antica città romana. Fu cancellato in febbraio
in un attacco così improvviso e così feroce che gli storici,
sia israeliani che palestinesi, usano il termine "misterioso" per
indicarne la scomparsa. Oggi una nuova città ebrea, Or Akiva,
occupa ogni metro quadrato di questo villaggio distrutto. Alcune
case erano ancora in piedi negli anni Settanta, ma furono demolite
in tutta fretta quando un'équipe di ricercatori palestinesi
cercò di documentare la loro presenza nell 'ambito di un più
esteso tentativo di ricostruzione del patrimonio palestinese in
questa parte del paese.
Esistono vaghe informazioni anche per il vicino villaggio di
Khirbat al-Burj. Era più piccolo degli altri due e se ne possono
ancora intravedere i resti quando si viaggia nella zona a est del
vecchio insediamento ebraico di Binyamina (relativamente "vecchio"
poiché risale al 1922). L'edificio principale era una taverna
degli ,ottomani, un caravanserraglio, l'unico a essere ancora in
piedi. Chiamato "Burj" -la targa indica che una volta questo era
un castello storico -, non c'è menzione del villaggio. Oggi è un
noto centro israeliano per mostre, fiere e feste familiari71
•
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«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.
Occorre studiare la geografica, anche il vero e proficuo studio della geografia – come diceva il mio insegnate – lo si può fare solo con i piedi, cioè camminando e viaggiando, non sui libri. In altro post ho detto che mai avrei letto il libro di Elena Rosenthal su Tel Aviv. Un famoso proverbio dice: mai dire mai. Infatti, quando scrissi quella frase, immaginando lo stile melenso dell’autrice, non sapevo che l’odierna Tel Aviv risulta dall’inglobamento di Giaffa e dei 24 villaggi che l’attorniavano: tutti distrutti. L’incredibile faccia tosta degli autori sionisti, pretende di far dimenticare questa macchia orribile di nascita e pretende di invitarci alla festa. Chissà se Elena parla di tutto ciò o se ne parla, come ne parla. Per adesso ho altre letture più urgenti e non andrò certo a leggere proprio il libro di Elena. Una notizia e la sua contronotizia mi giungono proprio oggi, in lingua inglese. Non mi è ancora del tutto chiaro l’evento, ma se non erro in Canada – roccaforte del sionismo e della Lobby – un gruppo di cineasti sta protestando al Toronto International Film Festival (TIFF), ricordando il fatto che Tel Aviv sorge su villaggi e città palestinesi distrutti. Puntualmente, il Simon Wiesental Center cerca di fare apologia del crimine, mandando email ai suoi affiliati organici ed allertando le lobbies. Sempre mantenendo fede al nostro impegno di redigere una scheda anche minima per ognuno degli oltre 500 villaggi distrutti, anticipiamo qui la scheda su Giaffa, che è forse uno delle distruzioni più vistose. Partiamo sempre da Ilan Pappe, rinviando a tempi successivi ogni ulteriore documentazione, via via che diverrà a noi nota e accessibile.
Sommario: 1. Le fondamenta di Tel Aviv sulle rovine di Giaffa. – 2. «Possiamo far morire di fame gli arabi di Haifa e Giaffa». – 3. Fare di loro qualunque cosa volessero. – 4. Il terrorismo dell’Irgun e della banda Stern. – 5. «Dobbiamo colpire Giaffa in tutti i modi possibili». – 6. Le vere intenzioni del sionismo. –
1. Le fondamenta di Tel Aviv sulle rovine di Giaffa. – Il crimine è orrendo ed è difficile trovare parole che parlino alla nostra ragione più che alla nostra emotività. È da aggiungere però che qui si compie anche un insulto alla nostra intelligenza. Escono libri che pretendo di farci innamorare di luoghi come Tel Aviv, presentandoli come fascinosi, ignorando la pulizia etnica che vi si è compiuta nel 1948. Se una città merita il nome ed il premio dell’infamia, questa è proprio Tel Aviv.
Il disprezzo ebraico o sionista per la memoria altrui ha probabilmente una matrice biblica. Penso qui alle pagine di Robert Fisk sulla distruzione, davvero gratuita oltre che criminale, del patrimonio monumentale e archivistico di Bagdad. Le pagine di Fisk sono piuttosto oscure perché allude a delle responsabilità senza però indicarle. Forse non può utilizzare le sue fonti. Egualmente, troviamo nelle pagine di Pappe denunciato lo stesso disprezzo per l’antichissima storia di Giaffa, una storia non ebraica e dunque immeritevole di essere tramandata e conservata.La distruzione di Giaffa
Giaffa fu l’ultima città a essere occupata, il 13 maggio, due giorni prima della fine del Mandato. Come molte città palestinesi, aveva alle spalle una lunga storia, risalente all’età del bronzo, con un’eccezionale eredità romana e bizantina. Era stato un comandante musulmano, Ornar Ibn al-’Aas, a conquistarla nel 632 e a darle un carattere arabo. L'estensione del territorio di Giaffa comprendeva 24 villaggi e 17 moschee; ai nostri giorni è rimasta una sola moschea e nemmeno un villaggio.
Il 13 maggio, 5000 uomini dell'Irgun e dell’Haganà attaccarono la città che volontari arabi, guidati da Michael al-Issa, un cristiano del posto, tentarono di difendere. Tra di loro vi era uno straordinario gruppo di cinquanta musulmani bosniaci, e anche elementi della seconda generazione di Templari, coloni tedeschi arrivati a metà del XIX secolo come missionari che ora avevano deciso di provare a difendere le loro colonie (altri Templari in Galilea si arresero senza combattere e furono rapidamente scacciati dalle loro due belle colonie, Waldheim e Beit Lehem, a ovest di Nazareth).
In conclusione, Giaffa dispose della più grande forza di difesa mai vista prima in Palestina: un totale di 1500 volontari affrontarono 5000 soldati ebrei. Essi resistettero per tre settimane a un assedio e ad attacchi che iniziarono a metà aprile e terminarono a metà maggio. Quando Giaffa cadde, tutta la sua popolazione fu espulsa con l’«aiuto» della mediazione britannica: ciò vuoI dire solamente che la fuga fu meno caotica che nel caso di Haifa. Tuttavia anche lì vi furono scene che richiamano alla memoria gli orrori avvenuti nel porto settentrionale di Haifa: persone letteralmente spinte in mare quando la folla tentò di salire a bordo di piccolissimi battelli da pesca che avrebbero dovuto portarla a Gaza, mentre le truppe ebraiche sparavano in aria per accelerarne l’espulsione.
Con la caduta di Giaffa, le forze occupanti ebraiche avevano sgombrato e spopolato tutte le più grandi città della Palestina. La maggior parte degli abitanti - di ogni classe, confessione e professione - non rivide mai più le proprie città, mentre i più politicizzati avrebbero svolto un ruolo dirigente nel movimento nazionale palestinese che sarebbe rinato col nome di OLP, chiedendo innanzitutto il diritto al ritorno.I. Pappe, op. cit., 131-132
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2. «Possiamo far morire di fame gli arabi di Haifa e Giaffa». – Le parole fra virgolette sono del papà di tutti gli israeliani, cioè di Ben Gurion, e dimostrano come l’odierno affamamento di Gaza abbia una sua gloriosa tradizione. Nel brano di Pappe che riporto di seguito si presti attenzione all’elemento essenziale del «sostegno internazionale». Tutta l’impresa sionista, dal suo concepimento fino al suo odierno compimento non sarebbe mai stata possibile senza il “sostegno internazionale”. Pochi sanno che la famosa dichiarazione Balfour ebbe i suoi retroscena, dove le organizzazioni sioniste era le ispiratrici delle stessa Richiarazione, che riprodotta in forma di volantino veniva sganciata sulla testa dei tedeschi che vivevano in Germania alla fine del 1917. Si potrebbe qui continuare nella digressione assai istruttiva, ma qui ci preme solo sottolineare l’importanza del dato propagandistico sul piano internazionale e sulla necessità imperiosa per il sionismo di occultare i momenti essenziali della sua storia, ovvero di falsificarli e mistificarli. Sbattere loro in faccia tutta l’evidenza della pulizia etnica del 1948 e della loro odierna continuazione negli insediamenti illegali nei territori “occupati” (diventati nella propaganda sionista ora “contesi”, perfino “acquisiti” ovvero semplicemente “territori” orfani di qualsiasi aggettivazione che ne dia senso logico e storico), significa usare un’arma potente quanto incruenta: l’arma della verità.
Moshe Sharett, il ministro degli Esteri “designato” dello Stato ebraico, durante i mesi che portarono alla dichiarazione dello Stato, era fuori del paese. Di tanto in tanto riceveva lettere da Ben Gurion che lo istruivano su come affrontare la necessità di reclutare il sostegno internazionale ed ebraico per il futuro Stato in pericolo di essere annientato, e nello stesso tempo lo tenevano aggiornato sulla reale situazione sul campo. Quando il 18 febbraio 1948 Sharett scrisse a Ben Gurion: «Avremo abbastanza soldati soltanto per difenderci, non per conquistare il paese», Ben Gurion rispose:Di fronte a queste documentazioni ci si scontra con un pregiudizio diffuso per il quale è giusto aver fatto dei palestinesi carne da macello. Mentre si condanna il razzismo ed il genocidio da un’altra parte, non ci si vuol accorgere di aver convissuto con i crimini che si imputano agli altri. È la singolare coscienza della nostra epoca, o meglio ciò che si trova scritto e divulgato con la pretesa che si tratti di “opinione pubblica”, che è cosa ben diversa da quella situazione concreta in cui ognuno di noi si trova, avendo la facoltà e la responsabilità della decisione concreta nel caso specifico.Se riceveremo in tempo le armi che abbiamo già comprato e, magari, anche un po’ di quelle che ci hanno promesso le Nazioni Unite, saremo in grado non solo di difendere [noi stessi] ma anche di infliggere colpi mortali ai siriani nel loro stesso paese - e conquistare l'intera Palestina. Di questo non ho alcun dubbio. Possiamo affrontare tutte le forze arabe. Non è una fede mistica ma un calcolo freddo e razionale, basato su un’analisi empirica14.Questa lettera era del tutto coerente con le altre che i due si erano scambiati da quando Sharett era stato mandato all’estero. Il carteggio era cominciato con una lettera del dicembre 1947 in cui Ben Gurion cercava di convincere il suo corrispondente politico della supremazia militare degli ebrei in Palestina: «Possiamo far morire di fame gli arabi di Haifa e Giaffa [se vogliamo farlo]» 15.
Note:
14. Lettere di Ben Gurion.
15. Pubblicazioni degli Archivi di Stato israeliani, Political and Diplomatic Documents of the Zionist Central Archives and Israeli State Archives, dicembre 1947-maggio 1948, Gerusalemme, 1979, doc. 45, 14 dicembre ’47, p. 60.I. Pappe, op. cit., 66
3. Fare di loro qualunque cosa volessero. – Che la pietà e l’amore del prossimo, ossia nel nemico, sia cosa estranea all’etica sionista, per non dire ebraica, possiamo desumerlo da questa nuova pagina di Pappe, dove a proposito di Giaffa si parla del proposito di affondare le barche dei pescatori, ripetesi non corazzate o imbarcazioni di carattere militare, ma barche da pesca.
Danin riferì che questo era il solo esempio che erano riusciti a rilevare di palestinesi che si spostavano in zone fuori dai confini dello Stato ebraico definito dall'ONU, con l'eccezione di parecchie tribù beduine che si erano trasferite più vicino ai villaggi arabi per paura di attacchi ebraici. Sembra che questo abbia deluso Danin perché quasi contemporaneamente richiese una politica molto più aggressiva - nonostante il fatto che non vi fossero né iniziative né atteggiamenti aggressivi da parte palestinese - e proseguì spiegando alla Consulta i benefici che sarebbero derivati: i suoi informatori gli avevano detto che le azioni violente contro i palestinesi li avrebbero terrorizzati e «questo renderà inutile l'aiuto del mondo arabo», cioè, le forze ebraiche potevano fare di loro qualunque cosa volessero.Chi era questo scellerato di nome Danin? Si tratta esattamente di Ezra Danin che nella pulizia etnica svolse un ruolo primario, ma che con la sua attività di intelligence aveva fatto un lavoro essenziale nella schedatura dei villaggi, operazione essenziale per poter attuare con scientificità ed efficienza il lavoro di pulizia etnica. Pappe ne parla di frequente nel suo libro e noi ne redigeremo scheda – anche noi abbiamo bisogno di schede per tenere a mente i crimini sionisti-isrealiani – in una diversa sezione.
«Che cosa intendi per azione violenta?», chiese Ben Gurion.
«Distruggere i mezzi di trasporto (autobus, camion per il trasporto dei prodotti agricoli e auto private) . .. affondare le loro barche da pesca a Giaffa, chiudere i loro negozi ed evitare che le materie prime raggiungano le loro fabbriche».
«Come reagiranno?», chiese Ben Gurion.
«Le reazioni iniziali possono essere dei disordini, ma alla fine capiranno il messaggio». Lo scopo principale era di assicurare che la popolazione fosse alla mercé dei sionisti, così che il loro destino fosse segnato. Pare che Ben Gurion avesse gradito il suggerimento e tre giorni dopo scriveva a Sharett per spiegargli l’idea generale: la comunità palestinese nell’area ebraica sarebbe stata «in nostro potere» e qualsiasi cosa gli ebrei volessero fare di loro potevano farlo, perfino «farli morire di fame»30.
Note:
30. Diary di Ben Gurion, 11 dicembre 1947; la lettera a Moshe Sharett è tratta da G. Yoger, Documents, dicembre 1947-maggio 1948, Gerusalemme, Archivi di Stato israeliani, 1980, p, 60.
I. Pappe, op. cit., 75.
4. Il terrorismo dell’Irgun e della banda Stern. – Oggi uno dei preferiti della propaganda israeliana è la lotta al terrorismo di Hamas, di Hezbollah, perfino dell’ONU. Ma in Haifa ed a Giaffa l’eplosione di bombe ai danni di civili inermi era cosa all’ordine del giorno.
Due settimane dopo, nel gennaio del 1948, il Palmach “usò” l’impeto che si era creato per attaccare e ripulire Hawassa, un quartiere di Haifa relativamente isolato. Era la zona più povera della città che in origine consisteva di capanne ed era abitato da contadini venuti a cercare lavoro negli anni Venti e che vivevano in squallide condizioni. All’epoca, in questa parte orientale della città, risiedevano circa 5.000 palestinesi. Fecero esplodere le capanne e anche la scuola, di conseguenza il panico fece fuggire molte persone. La scuola venne ricostruita sulle rovine di Hawassa, che adesso fa parte dei dintorni di Tel-Amal, ma anche questo edificio è stato di recente demolito per far posto a una nuova scuola ebraica 39.Il testo di Pappe non lascia adito a dubbi o a scappatoie circa l’esistenza di un terrorismo sionista. Ma se anche vogliamo evitare l’uso del termine terrorismo resta l’evidenza di un’atto di sopraffazione ai danni di un popolo per la quale Israele oggi non può avanzare nessuna pretesa di legittimità all’interno della comunità dei popoli. Può reclamare il suo diritto ad esistere allo stesso titolo in cui un clan di pirati ed assassini della peggiore specie si avvale della forza delle sue armi per ribadire la sua esistenza. Israele possiede oltre 250 testate atomiche, a quel che si può leggere.
Gennaio del 1948: addio alla rappresaglia. Queste operazioni erano accompagnate da atti di terrorismo da parte dell’Irgun e della Banda Stern. La loro abilità nel seminare il terrore nei quartieri arabi di Haifa, e anche di altre città, era direttamente influenzata dalla graduale ma evidente rinuncia inglese a qualsiasi tipo di responsabilità nel mantenere la legge e l’ordine. Soltanto nella prima settimana di gennaio l’Irgun eseguì più azioni di terrorismo che in qualsiasi altro periodo precedente. Tra queste, vi fu l'esplosione di una bomba a Giaffa nella sede del comitato nazionale locale 40, casa Sarraya, che crollò provocando 26 morti. Si proseguì con le bombe all’Hotel Samiramis di Qatamon, a Gerusalemme Ovest, nel quale morirono molte persone tra cui il console spagnolo. Quest’ultimo atto sembra che avesse spinto Sir Alan Cunningham, ultimo Alto Commissario britannico, a indirizzare una debole nota di protesta a Ben Gurion, il quale rifiutò di condannare l’attentato sia in pubblico che in privato. A Haifa simili attentati avvenivano ogni giorn040.I. Pappe, op. cit., 82Note:
39. Uri Milstein, The History of the Indipendence War, vol, 2, p. 156 e Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 156.
40. I comitati nazionali erano gruppi di notabili locali che furono istituiti in diverse località della Palestina nel 1937, per agire come leadership di emergenza per la comunità palestinese in ciascuna città.
41. Uri Milstein, The History of the Indipendence War, vol, 3, p. 74-75 e Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 50.
* Per comprendere la differenza fra “rappresaglia” e “aggressione” si consideri il seguente brano che si trova a p. 87 del testo:Yitzak Sadeh, leggendario capo del Palmach, come veniva considerato da molti israeliani, convenne e aggiunse: «Abbiamo sbagliato nell'avviare solo operazioni di rappresaglia». Quello che dovevamo fare era di instillare nelle truppe la convinzione che ora la parola d’ordine è: “aggressione”!
5. «Dobbiamo colpire Giaffa in tutti i modi possibili». – Nella storia della pulizia etnica si passa dalla fase della rappresaglia a quell’aggressione i cui effetti sono permanenti. Il senso era chiaro: gli arabi dovevano sparire dalla Palestina. Non sarebbero stati raggiunti gli obiettivi del sionismo se una maggioranza araba fosse rimasta. Il problema resta di drammatica attualità ancora oggi. L’Operazione Piombo Fuso decembre 2008-gennaio 2009 è perfettamente in linea con la Nakba del 1948. Seguiamo questo momento nel brano che segue:
Anche Moshe Dayan espresse opinioni simili, e Ben Gurion scartò l’idea di cercare di raggiungere un accordo a Giaffa o altrove. Che ci fosse ancora un problema di ordine psicologico tra le truppe era evidente soprattutto nel caso di Giaffa. Il 7 gennaio, durante l’incontro settimanale, i funzionari della municipalità di Tel Aviv si chiedevano perché l'Haganà, e non solo l’Irgun, stesse provocando gli arabi a Giaffa, quando essi stessi erano riusciti a instaurare un' atmosfera pacifica tra le due città vicine 53. Il 25 gennaio 1948 una delegazione di questi autorevoli funzionari andò a casa di Ben Gurion protestando per il netto cambiamento che avevano visto nel comportamento dell’Haganà a Giaffa. Esisteva un accordo non scritto tra Giaffa e Tel Aviv in base al quale le due città sarebbero state separate da una striscia di terra di nessuno lungo la costa, che permetteva una coesistenza accettabile.La categoria della “colpa collettiva” continua ad essere utilizzata, ad esempio in Goldhagan, per instillare nella psiche delle giovani generazioni europee che i loro padri sono da disprezzare in quanto complici di crimini inenarrabili contro il sale della terra, cioè gli ebrei di Geova. In realtà, ammesso e non concesso che questa categoria razzista e demonizzante della colpa collettiva abbia un minimo fondamento, lo si deve cercare in tutta la storia del movimento sionista, dal suo concepimento nella testa degli ideologi fino a Piombo Fuso ed oltre. Non a caso nel recente rapporto Goldstone viene condannato lo stato criminale di Israele anche per questa teoria della colpa collettiva per la quale questi criminali indegni della razza umana hanno pensato di poter infliggere una punizione collettiva.
Senza consultarsi con loro, le truppe dell’Haganà erano entrate in questa zona, ricoperta da agrumeti, e avevano distrutto questo delicato equilibrio. E ciò fu fatto in un momento in cui, come fece notare un funzionario, le due municipalità stavano cercando di raggiungere un nuovo modus vivendi. Si lamentarono che quelli dell’Haganà stavano facendo di tutto per far fallire tali tentativi e dissero che attaccavano a casaccio, uccidevano senza alcuna provocazione, nelle vicinanze dei pozzi d’acqua, nella zona della terra di nessuno, rubavano agli arabi, li maltrattavano, distruggevano i pozzi, sequestravano i beni, sparavano solo per il gusto di intimidire 54.
Ben Gurion annotò nel suo diario che simili lamentele venivano espresse da membri di altre municipalità ebraiche situate nelle vicinanze di città o villaggi arabi. Erano giunte proteste da Rehovot, Nes Ziona, Rishon Le-Zion e Petah Tikva, i più vecchi insediamenti ebraici nell’area della grande Tel Aviv, i cui membri, come i loro vicini palestinesi, non avevano afferrato che l’Haganà stava mettendo in opera un “nuovo approccio” nei confronti della popolazione palestinese.
Tuttavia, un mese più tardi vediamo che questi stessi funzionari ebrei furono risucchiati nella generale atmosfera d’intransigenza in quanto riferirono a Ben Gurion: «Dobbiamo colpire Giaffa in tutti i modi possibili». La tentazione era grande: in febbraio, in piena stagione di raccolta delle arance per le quali Giaffa era rinomata, l’avido municipio di Tel Aviv mise subito da parte il proposito espresso poco prima di mantenere il modus vivendi con la vicina città palestinese 55. In effetti, non ci fu nemmeno bisogno di avanzare una richiesta: alcuni giorni prima l’Alto Comando aveva già deciso di attaccare gli agrumeti e i centri di raccolta della frutta dei palestinesi a Giaffa 56.
Note:
53. Diary di Ben Gurion, 7 gennaio 1948.
54. Ivi, 25 gennaio 1948.
55. Gershon Rivlin - Elhanan Oren, The War of Independence, p. 229, 10 febbraio 1948.
56. Archivi di Ben Gurion, sezione “Corrispondenza”, 1.1.48-31.1.48, doc. 101, 26 gennaio 1948,Ilan Pappe, op. cit., 88-89
ll suo vice, Ygal Allon, era persino più critico. Biasimava indirettamente la Consulta per non aver emesso ordini espliciti per un attacco globale agli inizi di dicembre. «Avremmo potuto prendere Giaffa con facilità, e avremmo dovuto attaccare anche i villaggi nelle vicinanze di Tel Aviv. Dobbiamo procedere a una serie di “punizioni collettive” anche quando ci sono bambini nelle case [attaccate]».Anche questa è una nuova prova della loro premeditazione nella pulizia etnica e nel genocidio.Ivi, 87.
6. Le vere intenzioni del sionismo. – Malgrado i tentativi propgandistici-culturali di collegare autorevolmente il sionismo alla nostra tradizione mazziniana e risorgimentale non possono esservi dubbi sulla natura predatoria del sionismo, accompagnata dalla disponibilità a qualsiasi efferatezza congiunta a cinismo: il diritto è la forza e la forza è il diritto, come si dice nei “falsi” Protocolli (vedi). Ma seguiamo la narrazione di Pappe, il quale manda a dire al presidente Napolitano ed al suo Consulente che “si è antisemiti se non si è antisionisti”. Il 9 febbraio Yadin aveva già rivelato le sue vere intenzioni chiedendo «invasioni in profondità» nelle zone palestinesi. Indicò villaggi a elevata popolazione, quali Fassuta, Tarbikha e Aylut nella Galilea settentrionale, con l'obiettivo di distruggerli completamente. La Consulta rifiutò il piano come troppo ambizioso e Ben Gurion suggerì di metterlo da parte per il momento.
Il nome in codice che Yadin diede al suo piano fu Lamed-
Heh; lo concepiva come rappresaglia per l'attacco al convoglio
a Gush Etzion68
• Alcuni giorni dopo la Consulta approvò
altri piani simili - con lo stesso nome in codice - all'interno
100 LA PULIZIA ETNICA DELLA PALESTINA
delle zone palestinesi rurali, ma insisteva a collegarli, anche se
superficialmente, ad azioni ostili da parte degli arabi. Anche
queste operazioni furono frutto dell'ingegno di Yigael Yadin.
Iniziarono il 13 febbraio 1948, concentrandosi su diverse aree.
A Giaffa, le case furono selezionate a caso e poi fatte esplodere
quando le persone si trovavano ancora dentro; il villaggio di
Sa'sa venne attaccato, così come altri tre a Qisarya (l'attuale
Cesarea).
Le operazioni di febbraio, attentamente pianificate dalla
Consulta, erano diverse da quelle di dicembre: non erano più
sporadiche ma facevano parte di un primo tentativo di collegare
la pulizia etnica dei villaggi all'idea di linee di trasporto ebraiche
senza ostacoli lungo le principali arterie stradali della Palestina.
Tuttavia, a differenza di quanto sarebbe poi accaduto il
mese successivo, quando le operazioni avrebbero avuto un nome
in codice con obiettivi e territori ben definiti, le direttive rimanevano
ora alquanto vaghe.
I primi obiettivi furono tre villaggi nelle vicinanze dell' antica
città romana di Cesarea, una città con una storia che risaliva ai
Fenici. Fondata come colonia per il commercio, Erode il Grande
la chiamò Cesarea in onore del suo patrono a Roma, Cesare
Augusto. Il più graride di questi villaggi era Qisarya, con una
popolazione di 1500 abitanti che viveva all'interno delle antiche
mura della città vecchia. Come spesso succedeva nei villaggi pa-
"lestinesi della costa, diverse famiglie ebree avevano comperato
lì della terra e praticamente vivevano all'interno del villaggio. La
maggior parte degli abitanti viveva in case di pietra accanto alle
famiglie beduine che facevano parte del villaggio ma che stavano
in tende. I pozzi del villaggio fornivano acqua a sufficienza
sia per la comunità semisedentaria che per quella contadina e
permetteva loro di coltivare estesi appezzamenti con grande varietà
di prodotti agricoli, compresi gli agrumi e le banane. Quindi
Qisarya era un modello tipico dell'atteggiamento "vivi e lascia
vivere" che caratterizzava la vita rurale lungo la costa della
Palestina.
I tre villaggi furono scelti perché erano una facile preda: non
avevano nessuna forma di difesa, né interna né esterna. li 5 febbraio
arrivò l'ordine di occuparli, evacuarli e distruggerli69
•
4. PORTARE A TERMINE UN MASTER PLAN 101
Qisarya fu il primo villaggio a essere completamente sgombrato
il 15 febbraio 1948. L'espulsione richiese poche ore e fu
eseguita in modo così sistematico che le truppe ebraiche condussero
la stessa operazione in altri quattro villaggi nello stesso
giorno, sempre sotto l'occhio attento delle truppe britanniche
che erano appostate nelle vicine stazioni di polizia70
•
Il secondo villaggio fu Barrat Qisarya ('fuori Qaysariyya'),
con circa 1000 abitanti. Ci sono molte foto degli anni Trenta che
ritraggono questo pittoresco villaggio su una spiaggia di sabbia
presso le rovine dell'antica città romana. Fu cancellato in febbraio
in un attacco così improvviso e così feroce che gli storici,
sia israeliani che palestinesi, usano il termine "misterioso" per
indicarne la scomparsa. Oggi una nuova città ebrea, Or Akiva,
occupa ogni metro quadrato di questo villaggio distrutto. Alcune
case erano ancora in piedi negli anni Settanta, ma furono demolite
in tutta fretta quando un'équipe di ricercatori palestinesi
cercò di documentare la loro presenza nell 'ambito di un più
esteso tentativo di ricostruzione del patrimonio palestinese in
questa parte del paese.
Esistono vaghe informazioni anche per il vicino villaggio di
Khirbat al-Burj. Era più piccolo degli altri due e se ne possono
ancora intravedere i resti quando si viaggia nella zona a est del
vecchio insediamento ebraico di Binyamina (relativamente "vecchio"
poiché risale al 1922). L'edificio principale era una taverna
degli ,ottomani, un caravanserraglio, l'unico a essere ancora in
piedi. Chiamato "Burj" -la targa indica che una volta questo era
un castello storico -, non c'è menzione del villaggio. Oggi è un
noto centro israeliano per mostre, fiere e feste familiari71
•
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