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Versione 1.6
Status: 20.11.08
Sommario: 1. Cosa è successo? Una ricostruzione sintetica dell’evento con indicazione delle cause prossime e remote. – 2. Spiegazioni indebite. – 3. Massimo D’Alema e il gioco delle parti. – 4. Eccola di nuovo, Peppina! – 5. Le bacchettate di Fini. – 6. Gianni cala le brache. – 7. Non “una grande emozione” ma “una grande paura”. – 8. Alemanno, Pacifici e il Museo della Memoria. – 9. Alemanno sindaco illiberale. –
1. Cosa è successo? Una ricostruzione sintetica dell’evento con indicazione delle cause prossime e remote. – Alemanno ha voluto distinguere il giudizio storico sul fascismo da alcuni suoi momenti come l’emanazione delle leggi razziali nel 1938. Su questo episodio tardivo del fascismo si sta accanendo un tizio come Furio Colombo, di cui radio radicale manda in onda come uno spot pubblicitario i suoi ricordi d’infanzia, dove la scuola piemontese dove ha fatto le elementari e l'altoparlamente di classe diventa l’evento epocale del XX secolo. È curioso come il Colombo infuriato nella sua presentazione al pessimo libro di Shlomo Venezia non noti la differenza cronologica fra il mese di settembre e quello di ottobre. Dopo l’8 settembre di regime fascista in Italia non può più propriamente parlarsi ed il primo rastrellamento di ebrei in Italia, avvenuto in ottobre, non può essere attribuito né al fascismo né alle leggi razziali, per la cui comprensione occorre aver presente un più ampio contesto.
Lasciamo da parte i dettagli e cerchiamo di assumere un punto di vista più generale. È da poco uscito nelle librerie italiane un grosso volume di oltre 1000 pagine volto a ricostruire tutto il dopoguerra europeo a partire dal 1945 fino a questi ultimi anni. Una sintesi agile e di avvincente lettura. Giudizi descrittivi si alternano a giudizi prescrittivi. Ho letto per intero tutto il libro durante il mese di agosto. Sono rimasto deluso nelle ultime pagine nelle quali Tony Judt, un ebreo americano, impone in modo tassativo la costruzione di una identità europea tutta calata su Auschwitz. Come studioso informato del metodo scientifico e come cittadino italiano ed europeo trovo ciò del tutto inaccettabile: in tutti i miei blogs cerco di darne ampia spiegazione. Ma è qui sufficiente richiamare un’altra opera storica: quella di Ernst Nolte, tedesco e cittadino europeo, che spiega il nostro recente passato collegando insieme tutti i fatti che dal 1914 al 1945 hanno dato consistenza alla guerra civile europea.
Una guerra civile che continua ancora oggi se si pretende di privilegiare un singolo momento su tutti gli altri che giocano insieme in un complesso inestricabile di azioni e reazioni, di cause ed effetti. Voler costruire la pace, l’identità comune, l’unità politica dell’Europa significa uscir fuori dalla trappola identitaria che distingue fra vinti e vincitori, fra buoni e cattivi, fra parte giusta e parte sbagliata. Solo comprendendo nella sua interezza la moderna guerra del trent’anni è possibile uscire fuori da polemiche ricorrenti su questioni che dovrebbero ormai essere lasciate alla competenza esclusiva degli storici, non organici a questo o a quel partito e liberi di ricercare e sostenere le tesi che meglio credono.
In effetti operano ancora nel presente quelle forze che si ritengono vincitrice di una guerra che ha dilaniato l’Europa intera particolarmente nel trentennio 1914-1945, dove non vi sono stati vincitori europei, ma solo vinti: anche l’Inghilterra, animatrice di tante guerre civili continentali, ha scoperto infine di aver perso il suo Impero e di essersi rovinata economicamente. Tutti vinti, dunque. Ma fra i vinti vi sono ancora oggi quanti traggono motivo di legittimazione dalla sconfitta/liberazione. Un ceto politico dovrebbe trarre la sua legittimazione dalla sua capacità di riscuotere nel presente la fiducia dei cittadini, dando prova di saper risolvere i problemi del presente e non suscitando remoti spauracchi di cui la stragrande maggioranza dei cittadini non ha più esperienza diretta.
La ricetta Auschwitz non sembra funzionare in Medio Oriente. Se nel XX secolo l’Europa è stata distrutta e depoliticizzata da una guerra civile trentennale, gli Arabi resistono da Cento Anni ad una penetrazione neocolonialista americana-israeliana-europea. Le connessioni a me sembrano evidenti, ma la Verità non è un valore condiviso: ognuno si aggrappa alla verità che gli torna utile. Sciocco oltre che utile idiota e traditore del suo popolo e della sua patria è chi si lascia imporre da altri la sua identità: ciò che sei non lo scopri da te con un lunga e faticosa ricerca, ma lasci che te lo imponga il vincitore che ha fiaccato le tue resistenze fisiche e spirituali. In passato, ai tempi dei greci e dei romani, un popolo vinto era ridotto in schiavitù ed i suoi cittadini venivano venduti all’incanto nelle piazze. Oggi si impone loro una forma politica, beninteso a sovranità limitata, ed una identità. La partita si gioca tutta nella capacità in cui potranno essere plasmate le coscienze dei cittadini attraverso le molteplici forme della comunicazione politica: dalla scuola sempre più infestata da “giornate della memoria”, inflitte da insegnanti non più liberi ma “indottrinati”, da una stampa di regime finanziata per istupidire i lettori, da celebrazioni ufficiali dove la retorica è inferiore solo alla noia che i “discorsi” suscitano perfino negli stessi oratori, costretti a recitare litanie a cui neppure credono. Gli strateghi di questa informazione di regime confidano nella persuasione subliminale e nell’istupidimento di un popolo di cui dovrebbero essere i legittimi rappresentanti. La “rappresentanza politica” è quella cosa per la quale mediamente ogni cinque anni tutti gli aventi diritto sono chiamati a porre un segno di croce su una scheda, chiusi dentro il recinto delle gabine elettorali ed in modo anonimo. Passato quel momento l’Eletto si dimentica tranquillamente di un Elettore anonimo che in nessun caso ha più strumenti per esprimere la sua volontà e che rischia di venir dileggiato, se non peggio, appena si azzardi ad aprir bocca ed uscir fuori dai binari del regime.
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2. Spiegazioni indebite. – Naturalmente, i «Corretti Informatori» non potevano non inzuppare il pane in una polemica come quella apertasi in questa calda estate. Andando al link si trova un’intervista a Ignazio La Russa, messo sulla difensiva, e poi un’altra a Riccardo Pacifici, quasi che egli abbia sul tema una posizione da pontefice massimo. Giova ricostruire la rappresentatività di quest’ultimo e la soverchia importanza che gli viene attribuita. Salvo errore, gli ebrei romani sono circa 10.000, mentre in tutta Italia sono 40.000. Di questi 10.000 solo il 30 per cento circa ha partecipato alle elezioni per le quali Riccardo Pacifici è indicato con il pomposo titolo di presidente dei 10.000 ebrei romani, accanto a Napolitano presidente di 57.000 di italiani, benché eletto solo da un corpo elettore di un migliaio di parlamentari a conclusione di complessi patteggiamenti che in ultimo hanno prodotto l'elezione di un (ex)comunista alla più alta carica dello Stato. Dei 3000 effettivi votanti Pacifici ha conseguito solo una maggioranza relativa. Insomma, Pacifici è stato eletto da poco più di un migliaio di ebrei romani, che in buona parte si sono visti di recente gratificati da una pensione privilegiata su sui vi è stata una campagna mediatica con uscite su “Striscia la notizia” e con l'intervento determinante dell’inefabbile Clemente Mastella di Calcutta, per fortuan ora uscito dalla scena politica. Alemanno a sua volta è stato eletto sindaco di una città con tre milioni di abitanti e con votazione diretta. Se ben ricordo, in fase di campagna elettorale, vi sono stati interventi pubblici di Pacifici certamente non favorevoli ad Alemanno, da cui tuttavia si aspetta quei vantaggi già concessi da Veltroni e che si si aspettava confermati dallo sconfitto Rutelli. Si spiegano così i toni mordibi di Pacifici rispetto alle dichiarazioni di Alemanno. Resta però il fatto che Alemanno in quanto cittadino ha il pieno diritto alle sue opinioni ed al suo pensiero storico senza che Pacifici possa censurarlo o abbia il diritto di condedere l’imprimatur. Lo stesso vale per le dichiarazioni di Ignazio La Russa. Si spera che dalle loro autorevoli posizioni tanto Alemanno quanto La Russa non solo dimostrino di avere il coraggio delle loro opinioni, ma usino tutta la loro influenza perché la libertà di pensiero venga garantita ad ogni cittadino, beninteso senza che una diversa opinioni venga sanzionata con l’emarginazione. Quanto alla presunta polemica con Napolitano, ove fosse, non si potrebbe pretendere la destituzione né di Alemanno né di La Russa e si dovrebbe prendere atto di una semplice divergenza con il presidente della Repubblica, il cui ruolo è di difendere in tutta la sua portata il fondamentale art. 21 sulla libertà di pensiero.
Infine, come cittadino romano ed elettore di Alemanno auspico non solo che Alemanno non partecipi al viaggio in Auschwitz portando scolaresche, ma che venga cancellato dal bilancio del comune ogni specifico contributo. Anzi come cittadino romano chiedo un rendiconto sui passati bilanci dell'amministrazione Veltroni e Rutelli al riguardo. Naturalmente, se Riccardo Pacifici vuol fare privatamente un simile viaggio a spese della comunità ebraica romana, portando scolaresche della comunità ebraica, ne ha il pieno diritto. Con altra privata missiva avevo suggerito al sindaco Alemanno di destinare più utilemente la stessa somma prevista per simili viaggi scolastici, a mio avviso diseducativi (ricordo al riguardo la posizione di Avraham Burg), per l'adozione a distanza di bambini palestinesi, secondo le garanzie offerte dalla mezza luna araba. La comunità ebraica romana temo si sia troppo abituata ad un trattamento di privilegio rispetto alle altre comunità (i calabresi pare siano in Roma 400.000) ed accettare in tutte le sue implicazioni il dettato dell’art. 3 della costituzione che fissando l'eguaglianza fra tutti i cittadini non intende istituire per nessuno posizioni di privilegio. Quanto al museo della Shoa in Roma aspetto di saperne di più per esprimere un’opinione, spero lecita di cittadino romano nella misura in cui sia stato impegnato il bilancio comunale, deficitario per l’astronomica cifra di sette miliardi di euro.
3. Massimo D’Alema e il gioco delle parti. – Da una registrazione in differita di radio radicale ho ascoltato Massimo D’Alema intervistato da una voce femminile: darò il link della registrazione appena l'avrò trovato. Qui mi limito ad isolare la parte dell'intervista consistente in una domanda sulle dichiarazioni di Alemanno e La Russa. Vado per sintesi dicendo che irrimediabilmente D’Alema ed altri conservano la loro identità alla nascita, cioè come comunisti. Non vi sono rinnovamenti che tengano: sono sempre fondamentalmente gli stessi. D’Alema ha provato ha tornare indietro nel tempo, prima del 1938 e delle leggi razziali, dicendo che il fascismo rimane il fascismo, ad esempio anche all'epoca del delitto Matteotti. Ma per quanto voglia risalire nel tempo non potrà andare oltre l’ottobre del 1922, all'epoca della marcia su Roma. Ma prima del 1922 c’è il 1917 e ciò che succede in Russia non è senza effetto in Europa. Ernst Nolte ha tracciato un quadro storiografico volto a spiegare il periodo 1917-1945 come guerra civile europea. In una guerra civile non ci sono solo vinti. Se veramente viene fuori un vincitore, è suo interesse cercare la pacificazione degli animi con amnistie e leggi volte ad imporre l'obblio, non la memoria, la memoria appunto dei vincitori con perpetua umiliazione dei vinti colpevoli solo di essere stati vinti: beato l’on. D’Alema che sa quale era la parte giusta e buona in quegli intricatissimi anni che vanno dal 1917 al 1945. Per la verità, non era neppure nato in quegli anni, come la maggior parte degli italiani. Ma cosa importa? Per costoro la guerra civile non è ancora terminata, da essa traggono la loro legittimazione al potere, con cui intendono imporre ai posteri la loro opinabile e discutibile visione della storia passata. Il loro peccato di nascita, in quanto comunisti figli della rivoluzione bolscevica, è irrimediabile. Non possono rinnovarsi e cambiar pelle e vestiti: possono solo scomparire e lasciare spazio ad una diversa sensibilità politica. La maggior parte degli italiani lo ha capito molto meglio degli studiosi e degli intellettuali che popolano la fondazione dell’on. D’Alema. Da aggiungere a chiosa delle battute dalemiane vi è una data di cui ci si è scordati: l'11 febbraio 1929, cioè i patti lateranensi, per i quali Mussolini fu battezzato uomo della provvidenza. Sono del parere che la gravità di quest’atto del fascismo supera di gran lunga la gravità delle leggi razziali che colpirono pochi docenti universitari ma che non ebbero altro impatto nella società italiana. I patti lateranensi furono inclusi da Togliatti nella costituzione italiana. Quando si dice che la costituzione si basa su valori antifascisti bisognerebbe ricordarsi del fondamentale articolo 7: la costituzione italiana resta intimamente fascista. Il Risorgimento aveva posto fine al potere temporale della chiesa; il fascismo lo ha ripristinato; la Repubblica nata dalla Resistenza lo ha ereditato, conservato, ampliato.
4. Eccola di nuovo, Peppina! – Vi era da aspettarsi che lo staff sionista-aipacchiano di IC si sarebbe buttato come un cane sull’osso. Consideriamo sufficiente l’analisi già fatta altrove riguardo Piera Prister. Qui basta fornire il link come mera documentazione. La fin troppo facile confutazione non vale il tempo per redigerla.
5. Le bacchettate di Fini. – Piuttosto deprimente lo spettacolo offerto da Gianfranco Fini che interviene sulla questione bacchettando Alemanno e La Russa che ubbidienti si rimettono in riga. Nei discorsi di Gianfranco Fini abbonda un intercalare: “ovviamente”. Da questo vezzo espressivo si può raffigurare il neo presidente della Camera come l’uomo delle ovvietà. Solo che le questioni che sono emerse in questa calda estate non sono per nulla ovvie e non saranno certe chiuse con ordini di scuderia e di allineamento. Almeno finché i comuni cittadini non saranno privati della loro facoltà di pensare liberamente e senza particolari autorizzazioni. Di curioso vi è è il fatto che al termine della sua evoluzione Gianfranco Fini ha sposato i valori dell’antifascismo dimenticando la sua provenienza. Naturalmente è un bene per tutti il superamento della guerra civile dopo oltre 60 anni, ma un simile superamento non avviene assumendo le ragioni della controparte in cambio di una compartecipazione al sistema del poter postfascista. Si esce dalla guerra civile riconoscendo la guerra civile ed abbandonando ogni assurda pretesa di distinguere fra morti buoni e morti cattivi. Finché vi sarà questa distinzione, la guerra civile non avrà mai fine.
6. Gianni cala le brache. – La notizia che si legge al link si commenta da sola, come si suol dire. Interessante il dato delle 62 scuole, probabilmente un viaggio a carico del comune e di nessuna utilità pedagogica. È probabile che di fronte ad una crescente arroganza che non si ferma neppure davanti al soglio pontificio anche il transeunte Gianni Alemanno possa finire con l’avere qualche problema. Stendo qui un velo pietoso su un politico che ricordo ragazzo e che per far carriera ed impadronirsi del potere si adatta a tutto, anche al sacrificio della sua e dell’altrui intelligenza. Eviterò di pronunciarmi ancora se non sarà proprio necessario, ma osservo lo svolgimento del fenomeno.
7. Non “una grande emozione”, ma “una grande paura”. – A proposito del fenomeno politico “Gianni” in corso di osservazione e monitoraggio, di cui già detto sopra, mi soffermo su un piccoloa particolare linguistico: l’espressione “una grande emozione”. Ho sentito esattamente questa formula a me linguisticamente insolita nella presentazione del volume di Shlomo Venezia in Campidoglio, allora regnante Veltroni. Era seduto vicino a me, un signore che poi ricostruii essere l‘ambasciatore uscente di Israele. Terminata la presentazione, vi erano le solite mondanità dove i conoscenti si salutano l’un l’altro. Potei così sentire l’ambasciatore che inziava una conversazione di circostanza con un suo vicino, parlando di “una grande emozione”, intendendo con ciò la presentazione del libro, a me parsa invece alquanto stucchevoli e piuttosto untuosa. Non mi soffermai molto sull’espressione che mi pure mi colpì tanto da sceglierla come titolo per un mio post. Successivamente, combrai il libro dell’ambasciatore che riconobbi come la persona a me vicina nella sala del Campidoglio in quanto iniziava il suo libro con la stessa espressione che a me suona curiosa: “una grande emozione” ed estranea al mio vocabolario. Non credo di averne mai fatto uso nell’arco della mia non breve esistenza e non perché io non abbia “emozioni”. Evidentemente, quando le provo e le avverto, non le misuro, stabilendo a priori se sono “grandi” o “piccole”. Una valutazione del genere, di mera intensità se mai è possibile farla molto tempo dopo l’evento emotivo, non durante o addirittura prima. Questo modo di esprimersi credo che sia una spia dell’insincerità ed artificiosità dell’emozione che si pretende “grande” forse più per gli altri cui la rende nota che non per se stessi in quanto soggetti emotivamente senzienti. Ebbene, qualche giorno fa mi ha sorpreso risentire la stessa espressione per la bocca di una «studente» intervistato dalla televisione di stata e passata nei telegiornali della sera. A questo punto sorge in me, per contagio, non “una grande emozione”, ma “una grande paura” per la grande intimidazione e coercizione intellettuale e morale che in questo modo viene indirizzata verso una totalità di cittadini che potrebbero avere perplessit. di vario genere in merito ad una “visita” istituita da Rutelli, presumo a spese del Comune, continuata da Veltroni e mantenuta dal destro Alemanno. Conosciamo tutti la frase del Gattopardo: mutare tutto per non cambiare nulla. Ostaggio nelle mani di Riccardo Pacifici, che non mi pare sia stato suo elettore, il nostro Gianni incomincia a girare le spalle a quanti lo hanno eletto, potendosene ormai infischiare di loro, per assicurarsi consensi là dove non ve n’erano. Non mi soffermo qui sul merito del tragico evento di oltre mezzo secolo fa, un evento che gli studenti portati in vacanza scolastica, non possono certamente ricordare personalmente, ma solo per la rappresentazione che ne viene loro offerta. Anche qui andrebbero fatte complicate distinzioni fra l’essenza reale di un qualsiasi evento (ciò che è) e la sua necessaria rappresentazione: le due cose non coincidono mai. Ma è cosa assai preoccupante – “una grande paura” – quando ciò che dovrebbe essere lasciato alla libera “rappresentazione” interpretativa di ognuno diventa rappresentazione ufficiale di stato. Abbiamo appreso tutti con orrore – “una grande paura” – la scempiaggine di Sarko, il quale avrebbe voluto far adottare ad ogni bambino francese un bambino morto in Auschwitz oltre 60 anni prima. La cosa non è passata, ma fa inorridire il solo aver avuto un’idea tanto macabra. Se qualcuno ritiene che simili “rappresentazioni” abbiano valore educativo e pedagogico, dobbiamo allora preoccuparci – “una grande paura” – per la visibile decadenza dei nostri istituti educativi, sui quali hanno messo le mani politici spesso privi di scrupoli. La casistica e la lista ognuno di noi è in grado di farla. Di questo passo non mi stupirei se il nostro Gianni, ormai in caduta libera, non concedesse alle lobbies olocaustiche ciò che neppure Sarkò ha osato imporre ai francesi.
8. Alemanno, Pacifici e il Museo della Memoria. – Gianni Alemmano si è decisamente convertito alla religio holocaustica. Non vogliamo infierire nel giudico, me da cronisti ne registriamo le evoluzioni. Vi è solo da sperare che da neoconvertito non si trasformi in un feroce persecutore di quanti ancora non solo non si sono convertiti, ma non intendono farlo. Il «Museo della Memoria» (ma ogni museo non è un luogo della memoria?) sara un museo destinato a suscitare interrogativi e dibattiti: ben vengano! Ma saranno liberi? È da prevedere che per completare il progetto il museo diventare una chiesa della nuova religio con obbligo a credere e venerare le divinità ivi esposte.
9. Alemanno sindaco illiberale. – Se “fascista”, termine che ha ormai assunto una pluralità di significato, vuol dire “illiberale” o “antiliberale”, di certo il sindaco Gianni Alemanno aprendo un’iniziativa contro il prof. Valvo, non può certo dirsi “liberale”, alla Voltaire, di quelli che dicono: «disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo». Proprio no e appunto perché non lo è dobbiamo star cauti in ciò che scriviamo e diciamo, sapendo ormai che il sindaco da me votato è pronto alla denuncia di quanti sono colpevoli di voler pensare con la loro testa. Andando al link si ricostruisce con aggiornamenti in tempi reali il lungo supplizio in cui è stato messo un docente di liceo, sospeso dall’insegnamento in seguito all’autorevole “segnalazione” del sindaco Alemanno. L’episodio è istruttivo perché ogni insegnante potrà sapere quali sono i limiti della sua libertà di insegnamento, ma soprattutto chi dovesse pensare di intraprendere questo mestiere, bellissimo di insegnare ai giovani in scienza e coscienza, sa cosa lo attende e credo che potendo sceglierà altro mestiere. Io ho preso la mia maturità nel più prestigioso liceo romano nel lontano 1970. Ma già allora sapevo di non amare un mestiere armato di registro di classe e sottoposto a dei sorveglianti di regime. Le vie della Provvidenza sono infinite ed ho potuto trovare lo stesso la mia nicchia dove poter pensare in libertà con tutte le protezioni che il sistema giuridico consente. La condizione del ricercatore, senza un onere tassativo di docenza, è ciò che mi consente di scrivere quello che penso, quando lo penso e come lo penso.
Cosa si intende qui per Israel Lobby?
«Una coalizione informale di individui e gruppi che cerca di influenzare la politica estera americana in modo che Israele ne tragga beneficio».
Ed in Italia come stanno le cose?
Stiamo cercando di scoprirlo!«Esistono due distinti meccanismi che impediscono alla realtà del conflitto israelo-palestinese di essere giustamente divulgata, e sono i due bavagli con cui i leader israeliani, i loro rappresentanti diplomatici in tutto il mondo, i simpatizzanti d’Israele e la maggioranza dei politici, dei commentatori e degli intellettuali conservatori di norma zittiscono chiunque osi criticare pubblicamente le condotte dello Stato ebraico nei Territori Occupati, o altri aspetti controversi della storia e delle politiche di quel Paese. Il primo bavaglio è l’impiego a tutto campo dei gruppi di pressione ebraici, le cosiddette lobby, per dirottare e falsificare il dibattito politico sul Medioriente (negli USA in primo luogo); il secondo è l’accusa di antisemitismo che viene sempre lanciata, o meglio sbattuta in faccia ai critici d’Israele» (P. Barnard, Perché ci odiano, p. 206).
Ricerche correlate:
Seguo dall’estremo sud della Penisola la bufera mediatica che vede coinvolto Gianni Alemanno, ora sindaco di Roma, anche con il mio voto, a causa di alcune sue dichiarazioni nella ricorrenza dell’8 settembre. Dal luogo in cui mi trovo non posso disporre di quella stessa informazione che avrei potuto attingere in Roma, ma motivi di opportunità mi inducono a non indugiare oltre in questo mio intervento che potrà sempre essere ripreso e perfezionato. Poco è servito al sindaco Gianni Alemanno aver concesso l’uso della piazza del Campidoglio, partecipando egli stesso, per celebrare l’indecente spettacolo organizzato da Pacifici e Polito in occasione della visita di Ahmadinejad in Roma. Di ciò facciamo ampia analisi altrove: si rinvia ad una ricostruzione non ancora terminata. Qui ci limitiamo ad osservare che Alemanno non sembra aver appreso la distinzione schmittiana fra amico e nemico, sacrificando gli “amici” e consegnandosi nelle mani del “nemici” che alla prima occasione gli danno il benservito. Quanta strada possa fare rinnegando ciò che pensa non saprei dire, ma almeno rivendicasse per se come primo cittadino di Roma il rispetto dell’art. 21 della costituzione che il presidente Napolitano sembra aver espunto dal testo. Di tutto si può e si deve discutere, ma liberamente e senza criminalizzazione per l'opinione di diverso avviso.1. Monitoraggio di «Informazione Corretta»: Sezioni tematiche. – 2. Osservatorio sulle reazioni a Mearsheimer e Walt. – 3. L’11 settembre: misteri, dubbi, problemi. – 4. Rudimenti sul Mossad: suo ruolo e funzione nella guerra ideologica in corso. 5. Free Gaza Movement: una sfida al blocco israeliano di Gaza. – 6. La pulizia etnica della Palestina. – 7. Studio delle principali Risoluzioni ONU di condanna a Israele. – 8. Cronologia del conflitto ebraico-palestinese. – 9. Boicottaggio prossimo venturo: la nuova conferenza di Durban prevista per il gennaio 2009. – 10. Teoria e prassi del diritto all’ingerenza. – 11. Per una critica italiana a Daniel Pipes. – 12. Classici del sionismo e dell’antisionismo: un’analisi comparata. – 13. Letteratura sionista: Sez. I. Nirenstein; II. Panella; III. Ottolenghi; IV. Allam; V. Venezia; VI. Gol; VII. Colombo; VIII. Morris; – 14. La leggenda dell’«Olocausto»: riapertura di un dibattito. – 15. Lettere a “La Stampa” su «Olocausto» e «negazionismo» a seguito di un articolo diffamatorio. – 16. La sotterranea guerra giudaico-cristiana dei nostri giorni. – 17. Jürgen Graf: Il gigante dai piedi di argilla. – 18. Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – 19. Analisi critica della manifestazione indetta dal «Riformista». – 20. Controappello per una pace vera in Medio Oriente. –
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Status: 20.11.08
Sommario: 1. Cosa è successo? Una ricostruzione sintetica dell’evento con indicazione delle cause prossime e remote. – 2. Spiegazioni indebite. – 3. Massimo D’Alema e il gioco delle parti. – 4. Eccola di nuovo, Peppina! – 5. Le bacchettate di Fini. – 6. Gianni cala le brache. – 7. Non “una grande emozione” ma “una grande paura”. – 8. Alemanno, Pacifici e il Museo della Memoria. – 9. Alemanno sindaco illiberale. –
1. Cosa è successo? Una ricostruzione sintetica dell’evento con indicazione delle cause prossime e remote. – Alemanno ha voluto distinguere il giudizio storico sul fascismo da alcuni suoi momenti come l’emanazione delle leggi razziali nel 1938. Su questo episodio tardivo del fascismo si sta accanendo un tizio come Furio Colombo, di cui radio radicale manda in onda come uno spot pubblicitario i suoi ricordi d’infanzia, dove la scuola piemontese dove ha fatto le elementari e l'altoparlamente di classe diventa l’evento epocale del XX secolo. È curioso come il Colombo infuriato nella sua presentazione al pessimo libro di Shlomo Venezia non noti la differenza cronologica fra il mese di settembre e quello di ottobre. Dopo l’8 settembre di regime fascista in Italia non può più propriamente parlarsi ed il primo rastrellamento di ebrei in Italia, avvenuto in ottobre, non può essere attribuito né al fascismo né alle leggi razziali, per la cui comprensione occorre aver presente un più ampio contesto.
Lasciamo da parte i dettagli e cerchiamo di assumere un punto di vista più generale. È da poco uscito nelle librerie italiane un grosso volume di oltre 1000 pagine volto a ricostruire tutto il dopoguerra europeo a partire dal 1945 fino a questi ultimi anni. Una sintesi agile e di avvincente lettura. Giudizi descrittivi si alternano a giudizi prescrittivi. Ho letto per intero tutto il libro durante il mese di agosto. Sono rimasto deluso nelle ultime pagine nelle quali Tony Judt, un ebreo americano, impone in modo tassativo la costruzione di una identità europea tutta calata su Auschwitz. Come studioso informato del metodo scientifico e come cittadino italiano ed europeo trovo ciò del tutto inaccettabile: in tutti i miei blogs cerco di darne ampia spiegazione. Ma è qui sufficiente richiamare un’altra opera storica: quella di Ernst Nolte, tedesco e cittadino europeo, che spiega il nostro recente passato collegando insieme tutti i fatti che dal 1914 al 1945 hanno dato consistenza alla guerra civile europea.
Una guerra civile che continua ancora oggi se si pretende di privilegiare un singolo momento su tutti gli altri che giocano insieme in un complesso inestricabile di azioni e reazioni, di cause ed effetti. Voler costruire la pace, l’identità comune, l’unità politica dell’Europa significa uscir fuori dalla trappola identitaria che distingue fra vinti e vincitori, fra buoni e cattivi, fra parte giusta e parte sbagliata. Solo comprendendo nella sua interezza la moderna guerra del trent’anni è possibile uscire fuori da polemiche ricorrenti su questioni che dovrebbero ormai essere lasciate alla competenza esclusiva degli storici, non organici a questo o a quel partito e liberi di ricercare e sostenere le tesi che meglio credono.
In effetti operano ancora nel presente quelle forze che si ritengono vincitrice di una guerra che ha dilaniato l’Europa intera particolarmente nel trentennio 1914-1945, dove non vi sono stati vincitori europei, ma solo vinti: anche l’Inghilterra, animatrice di tante guerre civili continentali, ha scoperto infine di aver perso il suo Impero e di essersi rovinata economicamente. Tutti vinti, dunque. Ma fra i vinti vi sono ancora oggi quanti traggono motivo di legittimazione dalla sconfitta/liberazione. Un ceto politico dovrebbe trarre la sua legittimazione dalla sua capacità di riscuotere nel presente la fiducia dei cittadini, dando prova di saper risolvere i problemi del presente e non suscitando remoti spauracchi di cui la stragrande maggioranza dei cittadini non ha più esperienza diretta.
La ricetta Auschwitz non sembra funzionare in Medio Oriente. Se nel XX secolo l’Europa è stata distrutta e depoliticizzata da una guerra civile trentennale, gli Arabi resistono da Cento Anni ad una penetrazione neocolonialista americana-israeliana-europea. Le connessioni a me sembrano evidenti, ma la Verità non è un valore condiviso: ognuno si aggrappa alla verità che gli torna utile. Sciocco oltre che utile idiota e traditore del suo popolo e della sua patria è chi si lascia imporre da altri la sua identità: ciò che sei non lo scopri da te con un lunga e faticosa ricerca, ma lasci che te lo imponga il vincitore che ha fiaccato le tue resistenze fisiche e spirituali. In passato, ai tempi dei greci e dei romani, un popolo vinto era ridotto in schiavitù ed i suoi cittadini venivano venduti all’incanto nelle piazze. Oggi si impone loro una forma politica, beninteso a sovranità limitata, ed una identità. La partita si gioca tutta nella capacità in cui potranno essere plasmate le coscienze dei cittadini attraverso le molteplici forme della comunicazione politica: dalla scuola sempre più infestata da “giornate della memoria”, inflitte da insegnanti non più liberi ma “indottrinati”, da una stampa di regime finanziata per istupidire i lettori, da celebrazioni ufficiali dove la retorica è inferiore solo alla noia che i “discorsi” suscitano perfino negli stessi oratori, costretti a recitare litanie a cui neppure credono. Gli strateghi di questa informazione di regime confidano nella persuasione subliminale e nell’istupidimento di un popolo di cui dovrebbero essere i legittimi rappresentanti. La “rappresentanza politica” è quella cosa per la quale mediamente ogni cinque anni tutti gli aventi diritto sono chiamati a porre un segno di croce su una scheda, chiusi dentro il recinto delle gabine elettorali ed in modo anonimo. Passato quel momento l’Eletto si dimentica tranquillamente di un Elettore anonimo che in nessun caso ha più strumenti per esprimere la sua volontà e che rischia di venir dileggiato, se non peggio, appena si azzardi ad aprir bocca ed uscir fuori dai binari del regime.
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2. Spiegazioni indebite. – Naturalmente, i «Corretti Informatori» non potevano non inzuppare il pane in una polemica come quella apertasi in questa calda estate. Andando al link si trova un’intervista a Ignazio La Russa, messo sulla difensiva, e poi un’altra a Riccardo Pacifici, quasi che egli abbia sul tema una posizione da pontefice massimo. Giova ricostruire la rappresentatività di quest’ultimo e la soverchia importanza che gli viene attribuita. Salvo errore, gli ebrei romani sono circa 10.000, mentre in tutta Italia sono 40.000. Di questi 10.000 solo il 30 per cento circa ha partecipato alle elezioni per le quali Riccardo Pacifici è indicato con il pomposo titolo di presidente dei 10.000 ebrei romani, accanto a Napolitano presidente di 57.000 di italiani, benché eletto solo da un corpo elettore di un migliaio di parlamentari a conclusione di complessi patteggiamenti che in ultimo hanno prodotto l'elezione di un (ex)comunista alla più alta carica dello Stato. Dei 3000 effettivi votanti Pacifici ha conseguito solo una maggioranza relativa. Insomma, Pacifici è stato eletto da poco più di un migliaio di ebrei romani, che in buona parte si sono visti di recente gratificati da una pensione privilegiata su sui vi è stata una campagna mediatica con uscite su “Striscia la notizia” e con l'intervento determinante dell’inefabbile Clemente Mastella di Calcutta, per fortuan ora uscito dalla scena politica. Alemanno a sua volta è stato eletto sindaco di una città con tre milioni di abitanti e con votazione diretta. Se ben ricordo, in fase di campagna elettorale, vi sono stati interventi pubblici di Pacifici certamente non favorevoli ad Alemanno, da cui tuttavia si aspetta quei vantaggi già concessi da Veltroni e che si si aspettava confermati dallo sconfitto Rutelli. Si spiegano così i toni mordibi di Pacifici rispetto alle dichiarazioni di Alemanno. Resta però il fatto che Alemanno in quanto cittadino ha il pieno diritto alle sue opinioni ed al suo pensiero storico senza che Pacifici possa censurarlo o abbia il diritto di condedere l’imprimatur. Lo stesso vale per le dichiarazioni di Ignazio La Russa. Si spera che dalle loro autorevoli posizioni tanto Alemanno quanto La Russa non solo dimostrino di avere il coraggio delle loro opinioni, ma usino tutta la loro influenza perché la libertà di pensiero venga garantita ad ogni cittadino, beninteso senza che una diversa opinioni venga sanzionata con l’emarginazione. Quanto alla presunta polemica con Napolitano, ove fosse, non si potrebbe pretendere la destituzione né di Alemanno né di La Russa e si dovrebbe prendere atto di una semplice divergenza con il presidente della Repubblica, il cui ruolo è di difendere in tutta la sua portata il fondamentale art. 21 sulla libertà di pensiero.
Infine, come cittadino romano ed elettore di Alemanno auspico non solo che Alemanno non partecipi al viaggio in Auschwitz portando scolaresche, ma che venga cancellato dal bilancio del comune ogni specifico contributo. Anzi come cittadino romano chiedo un rendiconto sui passati bilanci dell'amministrazione Veltroni e Rutelli al riguardo. Naturalmente, se Riccardo Pacifici vuol fare privatamente un simile viaggio a spese della comunità ebraica romana, portando scolaresche della comunità ebraica, ne ha il pieno diritto. Con altra privata missiva avevo suggerito al sindaco Alemanno di destinare più utilemente la stessa somma prevista per simili viaggi scolastici, a mio avviso diseducativi (ricordo al riguardo la posizione di Avraham Burg), per l'adozione a distanza di bambini palestinesi, secondo le garanzie offerte dalla mezza luna araba. La comunità ebraica romana temo si sia troppo abituata ad un trattamento di privilegio rispetto alle altre comunità (i calabresi pare siano in Roma 400.000) ed accettare in tutte le sue implicazioni il dettato dell’art. 3 della costituzione che fissando l'eguaglianza fra tutti i cittadini non intende istituire per nessuno posizioni di privilegio. Quanto al museo della Shoa in Roma aspetto di saperne di più per esprimere un’opinione, spero lecita di cittadino romano nella misura in cui sia stato impegnato il bilancio comunale, deficitario per l’astronomica cifra di sette miliardi di euro.
3. Massimo D’Alema e il gioco delle parti. – Da una registrazione in differita di radio radicale ho ascoltato Massimo D’Alema intervistato da una voce femminile: darò il link della registrazione appena l'avrò trovato. Qui mi limito ad isolare la parte dell'intervista consistente in una domanda sulle dichiarazioni di Alemanno e La Russa. Vado per sintesi dicendo che irrimediabilmente D’Alema ed altri conservano la loro identità alla nascita, cioè come comunisti. Non vi sono rinnovamenti che tengano: sono sempre fondamentalmente gli stessi. D’Alema ha provato ha tornare indietro nel tempo, prima del 1938 e delle leggi razziali, dicendo che il fascismo rimane il fascismo, ad esempio anche all'epoca del delitto Matteotti. Ma per quanto voglia risalire nel tempo non potrà andare oltre l’ottobre del 1922, all'epoca della marcia su Roma. Ma prima del 1922 c’è il 1917 e ciò che succede in Russia non è senza effetto in Europa. Ernst Nolte ha tracciato un quadro storiografico volto a spiegare il periodo 1917-1945 come guerra civile europea. In una guerra civile non ci sono solo vinti. Se veramente viene fuori un vincitore, è suo interesse cercare la pacificazione degli animi con amnistie e leggi volte ad imporre l'obblio, non la memoria, la memoria appunto dei vincitori con perpetua umiliazione dei vinti colpevoli solo di essere stati vinti: beato l’on. D’Alema che sa quale era la parte giusta e buona in quegli intricatissimi anni che vanno dal 1917 al 1945. Per la verità, non era neppure nato in quegli anni, come la maggior parte degli italiani. Ma cosa importa? Per costoro la guerra civile non è ancora terminata, da essa traggono la loro legittimazione al potere, con cui intendono imporre ai posteri la loro opinabile e discutibile visione della storia passata. Il loro peccato di nascita, in quanto comunisti figli della rivoluzione bolscevica, è irrimediabile. Non possono rinnovarsi e cambiar pelle e vestiti: possono solo scomparire e lasciare spazio ad una diversa sensibilità politica. La maggior parte degli italiani lo ha capito molto meglio degli studiosi e degli intellettuali che popolano la fondazione dell’on. D’Alema. Da aggiungere a chiosa delle battute dalemiane vi è una data di cui ci si è scordati: l'11 febbraio 1929, cioè i patti lateranensi, per i quali Mussolini fu battezzato uomo della provvidenza. Sono del parere che la gravità di quest’atto del fascismo supera di gran lunga la gravità delle leggi razziali che colpirono pochi docenti universitari ma che non ebbero altro impatto nella società italiana. I patti lateranensi furono inclusi da Togliatti nella costituzione italiana. Quando si dice che la costituzione si basa su valori antifascisti bisognerebbe ricordarsi del fondamentale articolo 7: la costituzione italiana resta intimamente fascista. Il Risorgimento aveva posto fine al potere temporale della chiesa; il fascismo lo ha ripristinato; la Repubblica nata dalla Resistenza lo ha ereditato, conservato, ampliato.
4. Eccola di nuovo, Peppina! – Vi era da aspettarsi che lo staff sionista-aipacchiano di IC si sarebbe buttato come un cane sull’osso. Consideriamo sufficiente l’analisi già fatta altrove riguardo Piera Prister. Qui basta fornire il link come mera documentazione. La fin troppo facile confutazione non vale il tempo per redigerla.
5. Le bacchettate di Fini. – Piuttosto deprimente lo spettacolo offerto da Gianfranco Fini che interviene sulla questione bacchettando Alemanno e La Russa che ubbidienti si rimettono in riga. Nei discorsi di Gianfranco Fini abbonda un intercalare: “ovviamente”. Da questo vezzo espressivo si può raffigurare il neo presidente della Camera come l’uomo delle ovvietà. Solo che le questioni che sono emerse in questa calda estate non sono per nulla ovvie e non saranno certe chiuse con ordini di scuderia e di allineamento. Almeno finché i comuni cittadini non saranno privati della loro facoltà di pensare liberamente e senza particolari autorizzazioni. Di curioso vi è è il fatto che al termine della sua evoluzione Gianfranco Fini ha sposato i valori dell’antifascismo dimenticando la sua provenienza. Naturalmente è un bene per tutti il superamento della guerra civile dopo oltre 60 anni, ma un simile superamento non avviene assumendo le ragioni della controparte in cambio di una compartecipazione al sistema del poter postfascista. Si esce dalla guerra civile riconoscendo la guerra civile ed abbandonando ogni assurda pretesa di distinguere fra morti buoni e morti cattivi. Finché vi sarà questa distinzione, la guerra civile non avrà mai fine.
6. Gianni cala le brache. – La notizia che si legge al link si commenta da sola, come si suol dire. Interessante il dato delle 62 scuole, probabilmente un viaggio a carico del comune e di nessuna utilità pedagogica. È probabile che di fronte ad una crescente arroganza che non si ferma neppure davanti al soglio pontificio anche il transeunte Gianni Alemanno possa finire con l’avere qualche problema. Stendo qui un velo pietoso su un politico che ricordo ragazzo e che per far carriera ed impadronirsi del potere si adatta a tutto, anche al sacrificio della sua e dell’altrui intelligenza. Eviterò di pronunciarmi ancora se non sarà proprio necessario, ma osservo lo svolgimento del fenomeno.
7. Non “una grande emozione”, ma “una grande paura”. – A proposito del fenomeno politico “Gianni” in corso di osservazione e monitoraggio, di cui già detto sopra, mi soffermo su un piccoloa particolare linguistico: l’espressione “una grande emozione”. Ho sentito esattamente questa formula a me linguisticamente insolita nella presentazione del volume di Shlomo Venezia in Campidoglio, allora regnante Veltroni. Era seduto vicino a me, un signore che poi ricostruii essere l‘ambasciatore uscente di Israele. Terminata la presentazione, vi erano le solite mondanità dove i conoscenti si salutano l’un l’altro. Potei così sentire l’ambasciatore che inziava una conversazione di circostanza con un suo vicino, parlando di “una grande emozione”, intendendo con ciò la presentazione del libro, a me parsa invece alquanto stucchevoli e piuttosto untuosa. Non mi soffermai molto sull’espressione che mi pure mi colpì tanto da sceglierla come titolo per un mio post. Successivamente, combrai il libro dell’ambasciatore che riconobbi come la persona a me vicina nella sala del Campidoglio in quanto iniziava il suo libro con la stessa espressione che a me suona curiosa: “una grande emozione” ed estranea al mio vocabolario. Non credo di averne mai fatto uso nell’arco della mia non breve esistenza e non perché io non abbia “emozioni”. Evidentemente, quando le provo e le avverto, non le misuro, stabilendo a priori se sono “grandi” o “piccole”. Una valutazione del genere, di mera intensità se mai è possibile farla molto tempo dopo l’evento emotivo, non durante o addirittura prima. Questo modo di esprimersi credo che sia una spia dell’insincerità ed artificiosità dell’emozione che si pretende “grande” forse più per gli altri cui la rende nota che non per se stessi in quanto soggetti emotivamente senzienti. Ebbene, qualche giorno fa mi ha sorpreso risentire la stessa espressione per la bocca di una «studente» intervistato dalla televisione di stata e passata nei telegiornali della sera. A questo punto sorge in me, per contagio, non “una grande emozione”, ma “una grande paura” per la grande intimidazione e coercizione intellettuale e morale che in questo modo viene indirizzata verso una totalità di cittadini che potrebbero avere perplessit. di vario genere in merito ad una “visita” istituita da Rutelli, presumo a spese del Comune, continuata da Veltroni e mantenuta dal destro Alemanno. Conosciamo tutti la frase del Gattopardo: mutare tutto per non cambiare nulla. Ostaggio nelle mani di Riccardo Pacifici, che non mi pare sia stato suo elettore, il nostro Gianni incomincia a girare le spalle a quanti lo hanno eletto, potendosene ormai infischiare di loro, per assicurarsi consensi là dove non ve n’erano. Non mi soffermo qui sul merito del tragico evento di oltre mezzo secolo fa, un evento che gli studenti portati in vacanza scolastica, non possono certamente ricordare personalmente, ma solo per la rappresentazione che ne viene loro offerta. Anche qui andrebbero fatte complicate distinzioni fra l’essenza reale di un qualsiasi evento (ciò che è) e la sua necessaria rappresentazione: le due cose non coincidono mai. Ma è cosa assai preoccupante – “una grande paura” – quando ciò che dovrebbe essere lasciato alla libera “rappresentazione” interpretativa di ognuno diventa rappresentazione ufficiale di stato. Abbiamo appreso tutti con orrore – “una grande paura” – la scempiaggine di Sarko, il quale avrebbe voluto far adottare ad ogni bambino francese un bambino morto in Auschwitz oltre 60 anni prima. La cosa non è passata, ma fa inorridire il solo aver avuto un’idea tanto macabra. Se qualcuno ritiene che simili “rappresentazioni” abbiano valore educativo e pedagogico, dobbiamo allora preoccuparci – “una grande paura” – per la visibile decadenza dei nostri istituti educativi, sui quali hanno messo le mani politici spesso privi di scrupoli. La casistica e la lista ognuno di noi è in grado di farla. Di questo passo non mi stupirei se il nostro Gianni, ormai in caduta libera, non concedesse alle lobbies olocaustiche ciò che neppure Sarkò ha osato imporre ai francesi.
8. Alemanno, Pacifici e il Museo della Memoria. – Gianni Alemmano si è decisamente convertito alla religio holocaustica. Non vogliamo infierire nel giudico, me da cronisti ne registriamo le evoluzioni. Vi è solo da sperare che da neoconvertito non si trasformi in un feroce persecutore di quanti ancora non solo non si sono convertiti, ma non intendono farlo. Il «Museo della Memoria» (ma ogni museo non è un luogo della memoria?) sara un museo destinato a suscitare interrogativi e dibattiti: ben vengano! Ma saranno liberi? È da prevedere che per completare il progetto il museo diventare una chiesa della nuova religio con obbligo a credere e venerare le divinità ivi esposte.
9. Alemanno sindaco illiberale. – Se “fascista”, termine che ha ormai assunto una pluralità di significato, vuol dire “illiberale” o “antiliberale”, di certo il sindaco Gianni Alemanno aprendo un’iniziativa contro il prof. Valvo, non può certo dirsi “liberale”, alla Voltaire, di quelli che dicono: «disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo». Proprio no e appunto perché non lo è dobbiamo star cauti in ciò che scriviamo e diciamo, sapendo ormai che il sindaco da me votato è pronto alla denuncia di quanti sono colpevoli di voler pensare con la loro testa. Andando al link si ricostruisce con aggiornamenti in tempi reali il lungo supplizio in cui è stato messo un docente di liceo, sospeso dall’insegnamento in seguito all’autorevole “segnalazione” del sindaco Alemanno. L’episodio è istruttivo perché ogni insegnante potrà sapere quali sono i limiti della sua libertà di insegnamento, ma soprattutto chi dovesse pensare di intraprendere questo mestiere, bellissimo di insegnare ai giovani in scienza e coscienza, sa cosa lo attende e credo che potendo sceglierà altro mestiere. Io ho preso la mia maturità nel più prestigioso liceo romano nel lontano 1970. Ma già allora sapevo di non amare un mestiere armato di registro di classe e sottoposto a dei sorveglianti di regime. Le vie della Provvidenza sono infinite ed ho potuto trovare lo stesso la mia nicchia dove poter pensare in libertà con tutte le protezioni che il sistema giuridico consente. La condizione del ricercatore, senza un onere tassativo di docenza, è ciò che mi consente di scrivere quello che penso, quando lo penso e come lo penso.
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