sabato 18 ottobre 2008

Propagandisti: 42. Christian Rocca e le sue corrispondenze dagli USA


A convincermi definitivamente per una scheda su Christian Rocca è stato un suo articolo su Jeanne Patrick. Stavo leggendo un post di Kelebek, dove si analizza la produzione e la diffusione di un video islamofobo, costato circa 28 milioni di dollari e volto a spostare elettorato verso McCain. Studiando la mappatura delle sigle e delle persone implicate, una vera e propria giungla per me che sono nuovo, trovo il nome della defunta Jean Kirkpatrick, «l’ambasciatrice di Reagan che avviò il processo di trasformazione dell’ONU in dispensatrice di bolle papali a sosstegno dell’Impero». Ho quindi inserito il nome di Kirkpatrick nell’archivio di «Informazione Corretta» ed è venuto fuori un articolo di Christian Rocca sul «Foglio», altamente elogiativo della defunta. Il “Foglio” insieme con una serie di altre testate (Opinione, Riformista, Velino, Giornale, Radio radicale) ci appare come interamente schiacciato su un’ideologia che ha i suoi centri di elaborazione negli USA e in Israele.

Versione 1.4/ 2.10.09
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Sommario: 1. Christian Rocca e Jeanne Kirkpatrick. – 2. «Parole chiare su Edward Said». – 3. Paul Berman: “Terrore e liberalismo”. – 4. Cristian il Profeta. – 5. Cristian nostalgico di Bush. – 6. La stessa pasta. –

1. Christian Rocca e Jeanne Kirkpatrick. – Si tratta di un necrologio della Kirkpatrick morta all’età di 80 anni nel dicembre del 2006. L’articolo di Christian Rocca appare sul “Foglio” del 9 dicembre 2006 con titolo «Ciao Kirkpatrick. L’anticomunista che aiutò Reagan a combattere l’imperialismo sovietico e il disfattismo liberal». La rititolazione del “Corretti Informatori” suona invece: «È morta Jeane Kirkpatrick, ci mancheranno la sua intelligenza e il suo coraggio: il ricordo di Christian Rocca». Esplicativo anche il “corretto commento”: «Ci eravamo innamorati di Jeane Kirkpatrick negli anni ’80, quando Reagan la nominò ambasciatrice alle nazioni Unite. Ci innamorammo dei suoi interventi, sempre in difesa dei valori occidentali, della democrazia, della libertà. La difesa delle ragioni di Israele raggiunse con lei, non ebrea, uno dei livelli più alti [nel testo: altri]. Con lei l’amico Moynihan, anche lui ricordato nel bellissimo “ciao Kirkpatrick” [nel testo: Kikpatrick] che Cristian Rocca ha scritto per il Foglio di oggi…». Ed andiamo a leggere ciò che Christian scrive, sembrerebbe da Milano. Naturalmente democrazia, libertà. valori occidentali, ecc. sono intesi nel modo che ormai conosciamo. Ciò che innanzitutto interessa i commentatori è il ruolo che la defunta ha svolto verso Israele, punto cardinale di ogni assiologia. Compaiono i consueti luoghi di raccolta e di incontro dei neocon. Anticarteriana. Peccato capitale la rivoluzione khomeinista che aveva scacciato il regime dello scià instaurato nel 1953 dalla Cia. Ma questo ultimo dettaglio è però omesso da Christian: meglio non aprire gli occhi all’ingenuo lettore. Il solito riferimento all’11 settembre senza nessuna riserva critica su un attentato che si rivela sempre più oscuro e sospetto. Jeanne e con lei Christian non accettavano l’idea che qualcuno potesse accusare «l’America di tutti i mali del mondo». Così conclude Christian: «Il giorno dopo 11 settembre, tirando il filo di quella battaglia, Kirkpatrick ha chiesto al Congresso di dichiarare guerra contro “l’intero network terrorista e fondamentalista islamico”». Sappiamo ora qualcosa di Jeanne, ma anche del network di Christian Rocca e dei suoi metri di giudizio.

2. «Parole chiare su Edward Said». – Che le simpatie di Christian Rocca vadano a Jeanne Kirkpatrick non è altrettanto chiaro di come le sue antipatie vadano invece a Edward Said, di cui si cita la requisitoria pronunciata da un Daniel Pipes. Christian si nasconde dietro pareri di cosiddetti esperti. Quale il ragionamento di fondo? Esistono nelle università americane professori come Edward Said che certamente non dicono le stesse cose di Daniel Pipes o Bernard Lewis. La loro libertà non è in discussione, poiché l’America è il paese della libertà. Possono benissimo mettere in cattiva luce davanti ai loro studenti quella che è la realtà della politica americana nel Medio Oriente, cioè possono fare dell’antiamericanismo, solo che non possono pretendere anche di accedere a fondi federali, quegli stessi fondi cui attingono, abbondantemente, Daniel Pipes e altri ovviamente non per fare dell’antiamericanismo. La logica è stringente: se fai quello che ti diciamo noi, ti paghiamo. Se non lo fai, lo puoi non fare, ma non ti paghiamo. Questo è parlar chiaro. Ma tanto che ci siamo, riportiamo gli addebiti a Edward Said, diligentemente evidenziati da Christian Rocca e registrati dai “Corretti Informatori” riportando l’articolo del “Foglio’ del 26 giugno 2003:
Nell’analisi di Stanley Kurtz, il cui saggio sull’"Imperialismo democratico" sarebbe dovuto uscire in un libro sulla nuova politica estera americana che la Bruno Mondadori aveva programmato e poi cestinato, il padre fondatore del sentimento antiamericano diffuso nelle università grazie ai soldi dei contribuenti è Edward Said, professore della Columbia e autore di numerosi saggi sul Medio Oriente, il principale dei quali è "Orientalismo" del 1978. Le tesi di Said, che in Italia pubblica Il Manifesto, sono centrate sul fatto che lo sconquasso mediorientale sia dovuto alle politiche neocoloniali dell’America e dell’Occidente. La teoria post coloniale di Said si basa sul fatto che chiunque appoggi la politica estera americana, qualunque essa sia, è paragonabile a quegli intellettuali che nel XIX secolo sostenevano gli imperi coloniali basati sulla diversità della razza. Gli Stati Uniti, ha scritto Said nella sua rubrica sul settimanale egiziano Al-Ahram, "sono noti per trascinare interi popoli, paesi e anche continenti verso niente altro che l’olocausto". Kurtz ricorda anche i consigli di Said ai lettori egiziani di smetterla di pensare ingenuamente che l’America difenda la libertà e la democrazia, quando invece la realtà è quella di un impero che esporta genocidi. Sul piano accademico, ha spiegato Kurtz al Congresso, la teoria di Said si basa sull’immoralità di quei professori che mettono la propria conoscenza delle lingue e delle culture straniere al servizio di questo criminale potere americano. Liberissimo di dirlo, hanno detto Kurtz e gli altri davanti ai deputati, ma almeno che lo dica senza il contributo finanziario del medesimo potere genocida.
Lo stesso potere genocida che invece finanzia a piene mani, suppongo, lo stesso Kurtz, o Pipes, o Lewis, ben felici di collaborare per la gloria dell’America e l’esportazione della sua democrazia nel resto del mondo, con o senza il concorso della Cia e dei servizi occulti dentro e fuori degli Stati Uniti. Non si sputa sul piatto in cui si mangia! che diamine! Resta però da stabilire chi prepara le pietanza e secondo quale autorità. Ringrazio Christian Rocca per la segnalazione di “Orientalismo” che ho appena comprato in una edizione italiana presso Feltrinelli. Non è recente ma resta un classico, mentre non si può dire certamente del libro di Fiamma Nirenstein, sempre segnalato da Christian Rocca come una critica a Said. Nierenstein può solo fare propaganda sionista, ma non ho gli strumenti concettuali per criticare chicchessia. Avevo trovato su una bancherella a 3 euro uno dei numerosi libri di madonna Fiammetta: iniziava con un falso in epigrafe, cioè una falsa citazione di Martin Luther King scientemente fabbricata dalla Israel lobby degli USA. Non basta imbrattare della carta per credere di aver scritto dei libri. Altra cosa per Bernd Lewis, che ho sentito di persona in un recente convegno sulla democratizzazione forzata del Medio Oriente, organizzato in Roma sempre da madonna Fiammetta e tale probabilmente da avergli fruttato la messa in lista da parte di Fini in una posizione numerica sicura. Si parlava appunto di democrazia.

3. Paul Berman: “Terrore e liberalismo”. Recensito da Christian. – Si tratta di una recensione apparsa sul Foglio del 3 luglio 2003. L’uscita del libro era data come imminente presso Einaudi, ma io non me ne sono accorto e non credo che andrò a comprarlo per leggerlo con profitto. Ho appena comprato Said, Orientalismo, euro 13 e non è saggio comprare ogni libro. Credo sia sufficiente ricavare le informazioni che servono, almeno in questa fase, direttamente dalla recensione entusiasta di Christian Rocca. Trova conferma un mio giudizio che adesso scopro costituisce il contenuto del libro di Berman, magari con opposta valutazione. Egli dice che la guerra in Medio Oriente è la prosecuzione delle guerre combattute in Europa: le due cosiddette guerre mondiali, ma in realtà un’unica guerra civile europea. Gli Usa con la favola della liberazione dai totalitarismi ha fiaccato l’Europa, ridotta in una condizione servile, e vuole riservare la stessa sorte agli arabi, che però resistono ancora. Eravano al 3 di luglio 2003, ma la guerra in Iraq è stata praticamente persa, gli arabi resistono ancora e sembra scongiurata l’imminente guerra contro l’Iran. Ribaltando tutti gli schemi valutativi di Berman e del suo recensore entusiasta nonché del “Foglio” di Ferrara e dei “Corretti Informatori”, ossia di Pezzana, credo che la resistenza degli arabi sia l’ultima speranza per gli europei di poter riconquistare la loro libertà ed autonomia. La crisi economica epocale di questo ottobre 2008, di cui il mondo prende consapevolezza quasi all’improvviso, forse potrà avere anche conseguenze geopolitiche. Chissà che l’Europa no scopra nuovi e più validi motivi per risorgere politicamente. Ma questi sono auspici come assonanza ideologica è il testo della recensione di Rocca. Nel 2003 l’Iran è qui chiaramente menzionato come il terzo stato mediorientale destinato a cadere dopo Afghanistan e Iraq. La questione dei falsi armamenti interessa poco Berman: devono cadere e basta. Ogni pretesto è buono. Che questi regimi si siano macchiati di nefandezze inferiori a quelli degli Usa è naturalmente un modo rassicurante di guardarsi allo specchio. Anche qui la verità sta a cuore meno ancora che la questione dei falsi armamenti e della menzogna con cui un popolo è stato portato in guerra con l’Europa tenuta come un cane al guinzaglio. Ho letto che la sola guerra in Iraq sarebbe costata ad oggi tremila milardi di dollari. Una cifra impressionante che certamente ha arricchito quanti producono armi, ma ha affamato molte persone cittadini del mondo globale su cui gli Usa tendono le loro mani sporche di sangue. Il “mondo libero e democratico” sta crollando in questi giorni nella considerazione di cittadini atomo che impotenti vivono nelle metropoli dell’Occidente. Nessuno avverte con grande ottimismo il futuro prossimo che ci aspetta.

Trovo interessante la tesi della guerra in Medio Oriente come prosecuzione della guerra terminata in Europa nel 1945. Non so come concretamente Berman articolola la tesi e solo per questi dovrei leggerlo il libro, anche se già da adesso mi appare come una rozza e spregevole propaganda di parte, che mutatis mutandis non è diverso da quello che avrebbe potuto scrivere un ideologo nazista o bolscevico. Di italiani e di tedeschi ve ne sono diversi. Berman non si spieghi come essi non la pensino come lui, ma io da italiano, non saprei quanto rappresentativo, trovo deprimente che in molti si siano adagiati a vivere un mondo soggiogato dagli Usa. Di quale democrazia parli, quando Berman crede si possa esportare, è cosa di cui allarmarsi. Incredibile ciò che Rocca riporta in una citazione testutale da Berman: «
Il vero pericolo non è solo al Qaida, ma il culto della morte e del suicidio come atto di ribellione alla società borghese. E' un'idea nata in Occidente, scritta nelle poesie di Baudelaire e nei libri di Dostoevskij, e diventata poi movimento di massa, con il fascismo, il franchismo, il nazismo e il comunismo. In Occidente è stata sconfitta, ma è stata esportata nel mondo islamico e lì si è sviluppata».
Se è questo il pensiero di Berman, egli mente spudoratamente. E mente perché non accetta l’idea che qualcuno possa preferire la morte all’asservimento o alla rinuncia ai propri valori. La morte da suicidio non è cosa che qualcuno possa imporre. Si possono uccidere gli uomini, ma in condizioni normali non li si può costringersi a uccidersi o a morire per una causa in cui non credono. Gli USA per arruolare volontari per la guerra all’Iraq devono pescare nelle fasce della disperazione sociale. Nessuno dei parlamentari intevistati in Fahrenheit 9/11 da Michael Moore ne ha voluto sapere di mandare i suoi figli a morire in Iraq. Ma in Iraq molti iraqueni si lasciano esplodere piuttosto che accettare la libertà e la democrazia portata dagli USA. Il popolo europeo non è stato capace di tanto eroismo, ma gli europei si sono lasciati sconfiggere gli uni dagli altri: hanno perso una guerra civile dove gli Usa e l’Inghilterra si sono insinuati con la scusa della libertà altrui da difendere. La storia e soprattutto la politica è fatta da un uso sistematico e spesso spudorato della menzogna. Ma la morte, la propria morte, è difficile scherzare e amipolare la verità. Evidentemente, quando scrive che questa idea della morte in Occidente è stata sconfitta, pensa alla sconfitta del fascismo, del franchismo, del nazismo, del comunismo. Ma in questo modo rende loro un onore inaspettato. Per Berman la Libertà si chiama MacDonald e CocaCola. Qualcuno in Medio Oriente ha ancora la forza per dire: no, grazie! Quanto però all’eportazione in Medio Oriente di un’idea di morte che gli europei non hanno per nulla praticato, cioè il suicidio kamikaze come movimento di resistenza, ho tutti i miei dubbi e penso che si tratti di arbitrarie illazioni di un ideologo dell’imperalialismo americano, razzista e genocida.

Nel luglio 2003 Berman e con lui Rocca si chiedono perché mai la sinistra odiasse Bush. Nell’ottobre 2008 ad essere rimasti entusiasti di Bush sono forse solo loro, salvo aggiornamenti dell’ultima ora. Gli eventi della nostra epoca si succedono a ritmi sempre più frenetici e ciò appare scontato oggi non lo è necessariamente domani. Le previsioni di entusiasti ideologi possono essere clamorosamente smentite dai fatti appena il giorno dopo. Insegnava Gramsci che una previsione è fondamentalmente ciò che si vorrebbe che fosse, in pratica una proprio opzione politica o assiologica, un proprio interesse materiale o ideologico proiettato in avanti con l’apparenza di una neutralità scientifica e di una dignità che è solo l’abito che si indossa, ma non è l’abito di chi è vittima di quella previsione e di quei disegni. È poi curiosa l’accusa di ignoranza dell’Islam che Berman rivolge ad altri. Forse in America la cosa può avere qualche fondamento, ma in Europa l’Islam è di casa e per chi lo conosce non ha le tinte fosche con cui gli ideologi e propagandisti interessati vogliono dipingerlo. Certo, se andiamo a scuola da Fiamma Nirenstein o Magdi Cristiano Allam & Co. sappiamo cosa possiamo da loro apprendere. Ma appunto non sono i nostri maestri e cerchiamo di difenderci dalle loro menzogne come meglio sappiamo e possiamo. Concludo con una nota amara. Dopo le distruzioni irriversibili delle vestigia della più antica civiltà del mondo, delle tavolette cuneiformi che diedero inizio alla scrittura, di tanti siti e giacimenti archeologici, della distruzioni dei museo che il dittatore Saddam aveva ancora saputo conservare, in America qualcuno parla di “ricostruzione”. L’unica cosa che hanno saputo fare è di tessere una rete di contratti con valenza costituzionale che assicuri i vantaggi delle ditte americane coinvolte nella guerra. Questa è l’America! Dio ci salvi!

4. Christian il Profeta. – Al paragrafo precedente ci siamo occupati del pensiero di Christian rocca alla data del 3 luglio 2003, cioè agli esordi della rovinosa guerra illegale contro l’Iraq che ancora dopo cinque anni non è terminata, a meno che non abbiano finito di ammazzare tutti quelli che potevano ammazzare. E doveva essere una passeggiata! Il giudizio su Bush come il peggior presidente della storia degli Stati Uniti sembra ormai un dato di comune opinione, fatta eccezione per Christian che in questo articolo odierno sembra mordere il freno, ma non si azzarda a cantare le lodi di Bush come faceva nel luglio 2003. Si esibisce però come profeta, vaticinando che Barak Obama, se eletto, sarà quasi la perfetta copia di Bush. Pertanto, resteranno gabbati quanti si illudevano di potersi liberare di Bush. Non si campisce se è vendetta, sadismo, sberleffo. Per esperienza, so che è meglio non fare previsioni. Ma tutto può essere e non abbiamo certo bisogno delle profezie di Christian Rocca che farebbe un più onesto lavoro di giornalista se informasse su qualcosa di ciò che accade, magari nell’ottica che gli è propria, piuttosto che somministrarci il futuro dei suoi desideri, un futuro che già ci inquieta abbastanza vinca Obama o McCain.

5. Christian nostalgico di Bush. – È da parecchio che trascuriamo gli articoli di Christian Rocca. Ma ciò accade perché pensiamo di averne comprese le coordinate essenziali del suo modo di pensare, che non può più riservarci sorprese. La sua lettura non ci delizia come la prosa del Leopardi e quindi pensiamo di potercela risparmiare se non è strettamente necessaria. In questo testo si dimostra nostalgico di Bush e ci narrà l’autorappresentazione che Bush fa di se stessi. Credo che il milione di vittime irachene ed il mondo ingannate dalle bugie del presidente americano poco si interessino di ciò che pensa di se stesso. Se vi fosse equità, probabilmente Bush dovrebbe essere processato come un criminale di guerra, che ha fatto non diversamente, se non peggio, ed io credo peggio, di quanto viene attribuito a Hitler, in fondo diffamato ingiustamente.

6. La stessa pasta. – Non siamo ai livelli di volgarità e di stupidità di altre penne del sionismo, ma la famiglia è la stessa. L’ideologia sionista si avvale di una serie di giornalisti alcuni più vocati di altri e perfettamente riconoscibili. A volte non li si legge affatto, essendo del tutto inattendibili o meglio li si legge proprio in ragione della loro inattendibilità e per l’enormità delle opinioni. altre volte si potrebbe cascare nella rete di una discorsività in apparenza obiettiva e non sfacciatemente scherata. Nel merito Rocca ci ha fatto sapere che non gli piacciono né Michael Moore né Gore Vidal, ma è un problema tutto suo personale e non un fatto di rilevanza giornalistica. Questo però potrebbe essere un indice a favore dei due “santorizzati”, non un demerito. Stare con Christian Rocca, giornalista sionista, significa stare contro qualcun altro. Sono chiaramente criteri empirici che potrebbero ingannare, ma sono anche un primo criterio di classificazione e orientamente. Non avevamo una scheda su Gore Vidal e Rocca ci offre un nuovo spunto per il nostro monitoraggio.

(segue)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Una nota di colore: il figlio della Kirkpatrick si faceva chiamare Swami Prem Pramana, "maestro di tantra"; oggi si fa chiamare Traktung Rimpoche, e sostiene di essere la reincarnazione di un lama tibetano, cosa negata con decisione dal Dalai Lama.

Anonimo ha detto...

Caro Antonio, ci siamo mai chiesti: "Ma come fa una lobby a pubblicizzarsi"? O, meglio, come fa a diffondersi? Non so se conosci il servizio Msn Reporter che permette agli utenti di Internet di segnalare notizie che trovano in giro per la rete, dai un'occhiata a questa notizia:
http://reporter.it.msn.com/articles/Esteri/538 , se clicchi sul titolo vieni automaticamente reindirizzato ad un testo di Informazione Corretta.
Cari saluti
Mohammed

Antonio Caracciolo ha detto...

Anni addietro mi trovavo in Monaco a fare ricerche presso l’Institut für die Zeitgeschichte. Analizzando documenti della seconda guerra mondiale rimasi impressionato dalla frequenza di una nota, di una specie di circolare, che avvertiva: Das ist ein ideologischer Krieg: questa è una guerra ideologica. Sono convinto che quella guerra ideologica è continuata ben oltre il 1945 fino ai nostri giorni, fino all’esempio da te segnalato che è da inserire in un contesto organico che si avvale di risorse finanziarie, materiali, strategiche.

Cosa possiamo fare noi? Combattere quella guerra con gli strumenti che ci sono propri e che sappiamo darci. Innanzitutto con la demistificazione ideologica. Costoro ci aggrediscono nella nostra quiete in quanto vorrebbero darci ad intendere una verità che non è la nostra, ma la loro, e non una verità per il nostro bene, ma per il loro esclusivo vantaggio politico e materiale.