Mentre il Salone torinese è ancora da venire si può già avere un’anticipazione degli eventi osservando ciò che succede in Parigi alla Fiera del libro. Ne riporto la cronaca da un osservatorio privilegiato, cioè quello dell‘agenzia sionista «Informazione Corretta», il cui livore è già un elemento di documentazione. Ormai, mi sono formato una mia opinione in merito al metodo del boicottaggio. Non si tratta di impedire che l’evento si verifichi, se chi lo ha organizzato vuole anche che abbia luogo. Se lo si impedisse con la forza ed attentati vari, i sionisti avrebbe facile gioco ad usare il loro consueto repertorio propagandistico: antisionismo, antisemitismo, odio, ecc. ecc. In fondo, basta soltanto dire pacificamente la propria opinione sull’evento: “Signori, è una vergogna! Per i motivi che vi abbiamo espresso e vi esprimiamo con le nostre prese di posizione”. Se non si può legalmente impedire, in Parigi, a Torino o altrove, lo svolgimento dell’evento, ancor meno si potrà impedire lo svolgimento dell’antievento: la manifestazione di protesta. Se l’evento celebrativo, fosse passato senza la benché minima contestazione, si sarebbe potuto pensare ad una totale acquiescenza da parte dei cittadini europei, tutti quanti annichiliti ed istupiditi dagli apparati propagandistici, saldamente in mano ai governi ed al Mossad. In fondo, i contestatori possono dire di ottenere il loro successo sulla scia dell’evento. Se questo non avesse avuto luogo, neppure la loro protesta avrebbe avuto visibilità. Al tempo stesso nella guerra ideologica e mediatica in atto si trae materia di studio e di preparazione per lo svolgimento delle prossime battaglie, giacché ve ne saranno ancora tante alte altre per la nostra generazione e per quella successiva in una guerra ormai dei Cento Anni, se si pone la data del 1917, anno della dichiarazione Balfour, per il cui vicino centenario occorre prepararsi dall’uno e dall’altra parte.
Rischia di essere un Salon du livre parecchio agitato, quello che verrà inaugurato giovedì pomeriggio alla Porte de Versailles, a cui parteciperanno 1200 editori e 3000 scrittori. Anche a Parigi, infatti, il paese ospite d´onore è quest´anno Israele, una scelta controversa che nelle ultime settimane ha fatto molto discutere dentro e fuori il mondo editoriale francese, sebbene senza l´intensità e asprezza registrate in Italia. Dai paesi arabi sono giunte molte proteste e diversi appelli a boicottare la manifestazione.
Gli editori palestinesi, ma anche algerini, marocchini, tunisini, libanesi, yemeniti, iraniani e sauditi non verranno a Parigi in segno di protesta. Agli organizzatori rimproverano di aver invitato Israele proprio nell´anno del sessantesimo anniversario della fondazione dello stato ebraico, una scelta che ai loro occhi suona come un appoggio implicito alla politica israeliana, soprattutto in un momento in cui la situazione nei territori occupati e nella striscia di Gaza e di nuovo molto tesa.
Diversi scrittori - tra cui l´algerino Yasmina Khadra o l´inglese John Berger - hanno deciso di boicottare il Salone, seguendo l´invito del presidente dell´Unione degli scrittori palestinesi Taha al-Moutawakel, che qualche giorno fa ha dichiarato: «Non è degno della Francia, paese della rivoluzione e dei diritti dell´uomo, accogliere nella sua Fiera del libro un paese d´occupazione razzista». Altri però, pur condannando la scelta degli organizzatori, hanno annunciato che parteciperanno comunque alla manifestazione, sfruttando l´occasione per difendere la causa palestinese e denunciare la politica israeliana.
E´ il caso dello scrittore egiziano Alaa Al-Aswani, per il quale «invitare un paese accusato di crimini contro l´umanità è un fatto grave». Tuttavia, come ha dichiarato al quotidiano Le Figaro, l´autore del Palazzo Yacoubian intende venire a Parigi per distribuire «foto di bambini palestinesi o libanesi vittime della politica israeliana». Altri scrittori, come gli algerini Maissa Bay o Bualem Sansal, hanno preso nettamente le distanze dal boicottaggio, sottolineando tra l´altro che molti degli autori israeliani invitati a Parigi hanno sempre espresso posizioni molto critiche nei confronti della politica del loro governo. Non è quindi possibile confondere l´attività degli scrittori con le responsabilità dei loro governi.
Tra i quaranta scrittori israeliani ufficialmente invitati al Salon du livre, uno solo ha declinato l´invito, il poeta Aaron Shabatai, per il quale «uno Stato che mantiene un´occupazione, commettendo quotidianamente crimini contro i civili, non merita d´essere invitato a nessun tipo di settimana culturale». Anche lo storico Ilan Pappe alla fine ha rinunciato a venire. Tutti gli altri saranno invece presenti, da David Grossman ad Amos Oz, da Abraham B. Yehoshua a Aharon Appelfeld, da Meir Shalev a Ron Leham.
«Quelli che fanno appello al boicottaggio non si oppongono alla politica di Israele, ma alla sua stessa esistenza. Se dicono che Israele non deve essere al Salone è perché pensano semplicemente che non debba esistere», ha dichiarato Amos Oz. Gli ha fatto eco lo scrittore Meir Shalev: «Essere scandalizzati per la celebrazione del sessantesimo anniversario dello Stato - ha detto - significa che si sarebbe preferito che questo Paese non avesse mai visto la luce».
Il Syndicat National de l´Edition, che organizza questa ventottesima edizione del Salone parigino, cerca di spegnere le polemiche, ricordando che «non è lo stato d´Israele ad essere invitato ma la sua letteratura», motivo per cui la presenza degli scrittori israeliani dovrebbe essere considerata un´occasione di dialogo. Posizione difesa anche dal ministro della Cultura, Christine Albanel, che, presentando il Salone del libro come «un luogo d´incontro e di liberi dibattiti», ha ribadito la volontà della Francia di «continuare ad accogliere tutte le letterature, senza esclusioni né divieti».
Alcuni editori francesi fanno però notare che, per favorire il dialogo, sarebbe stato meglio invitare anche gli scrittori palestinesi e gli autori israeliani di lingua araba. Un´assenza a cui cercheranno di porre rimedio alcuni incontri alternativi a quelli del programma ufficiale, incontri che intendono fare emergere la diversità linguistica della letteratura d´Israele e dare spazio alle voci critiche nei confronti della sua politica.
Stranamente, finora i più silenziosi sono stati proprio gli scrittori francesi, che invece di solito non perdono occasione per esprimersi pubblicamente firmando appelli e petizioni. Questa volta sono stati piuttosto silenziosi. I rari che hanno preso posizione si sono dichiarati contro l´ipotesi del boicottaggio. Giorni fa era stato lo scrittore Marek Halter a denunciare senza mezzi termini questa prospettiva. Dalle pagine del Journal du Dimanche, quattro dei più popolari scrittori francesi - Eric-Emmanuel Schmitt, Philippe Claudel, Tahar Ben Jelloun e Dan Franck - si sono espressi in questo senso. «Non leggo delle nazionalità, leggo delle voci. Non leggo o non leggo un autore perché israeliano o yemenita», ha dichiarato Claudel, mentre Ben Jelloun ha ricordato che «gli autori israeliani non vengono a Parigi come rappresentanti ufficiali dello stato d´Israele, ma come singoli individui: boicottarli è un ammissione di debolezza».
All´inaugurazione di giovedì doveva essere presente Nicolas Sarkozy, ma all´ultimo momento il presidente francese ha lasciato al ministro della Cultura il compito di accogliere il presidente israeliano Shimon Peres. Nella speranza che non accada alcun incidente. Per rafforzare la collaborazione culturale tra i due Paesi, è stato anche creato un premio letterario - consegnato alternativamente a Parigi e Gerusalemme - per ricompensare un´opera francese o israeliana che abbia contribuito significativamente alla conoscenza reciproca dei due Paesi. Per la prima edizione, il premio va quest´anno allo scrittore israeliano Eshkol Novo, per il suo romanzo Quattro case e un esilio.
Antonio Caracciolo
Rischia di essere un Salon du livre parecchio agitato, quello che verrà inaugurato giovedì pomeriggio alla Porte de Versailles, a cui parteciperanno 1200 editori e 3000 scrittori. Anche a Parigi, infatti, il paese ospite d´onore è quest´anno Israele, una scelta controversa che nelle ultime settimane ha fatto molto discutere dentro e fuori il mondo editoriale francese, sebbene senza l´intensità e asprezza registrate in Italia. Dai paesi arabi sono giunte molte proteste e diversi appelli a boicottare la manifestazione.
Gli editori palestinesi, ma anche algerini, marocchini, tunisini, libanesi, yemeniti, iraniani e sauditi non verranno a Parigi in segno di protesta. Agli organizzatori rimproverano di aver invitato Israele proprio nell´anno del sessantesimo anniversario della fondazione dello stato ebraico, una scelta che ai loro occhi suona come un appoggio implicito alla politica israeliana, soprattutto in un momento in cui la situazione nei territori occupati e nella striscia di Gaza e di nuovo molto tesa.
Diversi scrittori - tra cui l´algerino Yasmina Khadra o l´inglese John Berger - hanno deciso di boicottare il Salone, seguendo l´invito del presidente dell´Unione degli scrittori palestinesi Taha al-Moutawakel, che qualche giorno fa ha dichiarato: «Non è degno della Francia, paese della rivoluzione e dei diritti dell´uomo, accogliere nella sua Fiera del libro un paese d´occupazione razzista». Altri però, pur condannando la scelta degli organizzatori, hanno annunciato che parteciperanno comunque alla manifestazione, sfruttando l´occasione per difendere la causa palestinese e denunciare la politica israeliana.
E´ il caso dello scrittore egiziano Alaa Al-Aswani, per il quale «invitare un paese accusato di crimini contro l´umanità è un fatto grave». Tuttavia, come ha dichiarato al quotidiano Le Figaro, l´autore del Palazzo Yacoubian intende venire a Parigi per distribuire «foto di bambini palestinesi o libanesi vittime della politica israeliana». Altri scrittori, come gli algerini Maissa Bay o Bualem Sansal, hanno preso nettamente le distanze dal boicottaggio, sottolineando tra l´altro che molti degli autori israeliani invitati a Parigi hanno sempre espresso posizioni molto critiche nei confronti della politica del loro governo. Non è quindi possibile confondere l´attività degli scrittori con le responsabilità dei loro governi.
Tra i quaranta scrittori israeliani ufficialmente invitati al Salon du livre, uno solo ha declinato l´invito, il poeta Aaron Shabatai, per il quale «uno Stato che mantiene un´occupazione, commettendo quotidianamente crimini contro i civili, non merita d´essere invitato a nessun tipo di settimana culturale». Anche lo storico Ilan Pappe alla fine ha rinunciato a venire. Tutti gli altri saranno invece presenti, da David Grossman ad Amos Oz, da Abraham B. Yehoshua a Aharon Appelfeld, da Meir Shalev a Ron Leham.
«Quelli che fanno appello al boicottaggio non si oppongono alla politica di Israele, ma alla sua stessa esistenza. Se dicono che Israele non deve essere al Salone è perché pensano semplicemente che non debba esistere», ha dichiarato Amos Oz. Gli ha fatto eco lo scrittore Meir Shalev: «Essere scandalizzati per la celebrazione del sessantesimo anniversario dello Stato - ha detto - significa che si sarebbe preferito che questo Paese non avesse mai visto la luce».
Il Syndicat National de l´Edition, che organizza questa ventottesima edizione del Salone parigino, cerca di spegnere le polemiche, ricordando che «non è lo stato d´Israele ad essere invitato ma la sua letteratura», motivo per cui la presenza degli scrittori israeliani dovrebbe essere considerata un´occasione di dialogo. Posizione difesa anche dal ministro della Cultura, Christine Albanel, che, presentando il Salone del libro come «un luogo d´incontro e di liberi dibattiti», ha ribadito la volontà della Francia di «continuare ad accogliere tutte le letterature, senza esclusioni né divieti».
Alcuni editori francesi fanno però notare che, per favorire il dialogo, sarebbe stato meglio invitare anche gli scrittori palestinesi e gli autori israeliani di lingua araba. Un´assenza a cui cercheranno di porre rimedio alcuni incontri alternativi a quelli del programma ufficiale, incontri che intendono fare emergere la diversità linguistica della letteratura d´Israele e dare spazio alle voci critiche nei confronti della sua politica.
Stranamente, finora i più silenziosi sono stati proprio gli scrittori francesi, che invece di solito non perdono occasione per esprimersi pubblicamente firmando appelli e petizioni. Questa volta sono stati piuttosto silenziosi. I rari che hanno preso posizione si sono dichiarati contro l´ipotesi del boicottaggio. Giorni fa era stato lo scrittore Marek Halter a denunciare senza mezzi termini questa prospettiva. Dalle pagine del Journal du Dimanche, quattro dei più popolari scrittori francesi - Eric-Emmanuel Schmitt, Philippe Claudel, Tahar Ben Jelloun e Dan Franck - si sono espressi in questo senso. «Non leggo delle nazionalità, leggo delle voci. Non leggo o non leggo un autore perché israeliano o yemenita», ha dichiarato Claudel, mentre Ben Jelloun ha ricordato che «gli autori israeliani non vengono a Parigi come rappresentanti ufficiali dello stato d´Israele, ma come singoli individui: boicottarli è un ammissione di debolezza».
All´inaugurazione di giovedì doveva essere presente Nicolas Sarkozy, ma all´ultimo momento il presidente francese ha lasciato al ministro della Cultura il compito di accogliere il presidente israeliano Shimon Peres. Nella speranza che non accada alcun incidente. Per rafforzare la collaborazione culturale tra i due Paesi, è stato anche creato un premio letterario - consegnato alternativamente a Parigi e Gerusalemme - per ricompensare un´opera francese o israeliana che abbia contribuito significativamente alla conoscenza reciproca dei due Paesi. Per la prima edizione, il premio va quest´anno allo scrittore israeliano Eshkol Novo, per il suo romanzo Quattro case e un esilio.
(Fabio Gambaro, Il salone boicottato, in “La Repubblica”, 11 marzo 2008, p. 49)
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È utile riportare qui la titolazione ed il commento dei «Corretti Informatori», che basta a far capire la valenza tutta politica dell’evento puramente culturale:
È utile riportare qui la titolazione ed il commento dei «Corretti Informatori», che basta a far capire la valenza tutta politica dell’evento puramente culturale:
Quanto mai ingannevole la pretesa di scindere politica e cultura. Gli scrittori in quanto tali non sono apolitici o apartitici. Anzi, normalmente è il contrario. La cultura come luogo idilliaco del dialogo e dell’incontro è cosa quanto mai lontana dalla realtà e l’uomo di cultura in quanto personaggio più consapevole di altri ha spesso una maggiore catatterizzazione politica. Il commento dei «Corretti Informatori» sullo “stato degli ebrei” conferma indirettamente la connotazione razzista che si trova nella dichiarazione sopra riportata. In realtà, gli ebrei come popolo non sembra siano mai esistiti. Con il sionismo si opera uno strano miscuglio di nazionalismo, religione e razzismo, i cui effetti nefasti sono i nostri occhi.La Repubblica Informazione che informa
11.03.2008 Un giornale ignorante, se non in malafede
lo dimostra il sottotitolo di un articolo sul Salone del libro di Parigi
Testata: La Repubblica
Data: 11 marzo 2008
Pagina: 49
Autore: Fabio Gambaro
Titolo: «Il salone boicottato»
Da La REPUBBLICA dell'11 marzo 2008 un articolo sulle contestazioni antisraeliane del Salone del libro di Parigi.
Il sottotitolo recita: "tra gli israeliani ci saranno Oz, Yehoshua, Appelfeld. A favore degli autori di Tel Aviv, Schmitt e Ben Jelloun".
REPUBBLICA è davvero a conoscenza del fatto che Oz, Yehoshua, Appelfeld e tutti gli altri scrittori israeliani presenti a Parigi abitano a Tel Aviv ? Oppure quella del quotidiano è un'ossessione politica, che porta ad associare sempre e comunque, in ogni occasione, opportuna e inopportuna, Israele a Tel Aviv per negare lo status di Gerusalemme, capitale dello Stato degli ebrei ?
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