testo in editing
Senza fare il copia e incolla dalla “Stampa” di oggi 17 marzo 2008 di un articolo di Guido Ceronetti dal titolo suggestivo: Israele e Palestina, la bugia dei due Stati, voglio invece tentare un’analisi ed un commento a margine del testo, per ciò con cui mi sembra di poter concordare ed altro da cui dissentire. Intanto incomincio col dire come ne ho saputo dalla rassegna stampa di radio radicale, non dal quotidiano in edicola. Ne ricevo uno in abbonamento, ma è lì accatastato che attende di esser letto. Questa mattina Massimo Bordin ne ha appena accennato alla fine della sua Rassegna stampa di radio radicale. Come già ho osservato altre volte, l’oggettività assoluta non è di questo mondo. Potendo scegliere, Bordin ha preferito dare evidenza ad altri articoli. Se Bordin avesse scelto di leggere questo testo, avrebbe così reso un cattivo servizio alla sua amica Fiamma Nirenstein, che se ne uscita in clima di campagna elettorale con questa scempiaggione dei due popoli due stati, a cui nella sua conlcamata malafede penso sia la prima a non credere. Certo, non ci si può presentare ad una campagna elettorale senza offrire uno straccio di soluzione ad una guerra che dura da almeno da 60 anni e la cui soluzione – a mio modesto e pessimistico parere – non può essere altro che il completamento del piano di genocidio del popolo palestinese, a meno non mutino gli scenari globali, ad esempio con “l’abbandono” da parte di Usa ed Europa di Israele al suo destino di amore/odio con i suoi vicini arabi e dopo averne ottenuto rigorosamente il disarmo atomico, lo stesso che si pretende da Iran e da ogni altro stato islamico, fatta eccezione per il Pakistan.
Ma veniamo all’articolo di Ceronetti. L’esordio ci pare lcosì letterariamente apprezzabile da non poter fare a meno di una citazione testuale:
Caro Ceronetti, dovresti sapere se per caso hai frequentato le pagine di un pensatore che risponde al nome di Carl Schmitt, che l’essenza del conflitto politico – la contrapposizione amico nemico – si annida in tutti i possibili ambiti della vita umana, ma non sono i diversi ambito (religioso, artistico, economico) a dare l’essenza del conflitto, ma la stessa nuda ed eterna contrapposizione di amico e nemico, che implica in sè la volontà di annientamento dell’altro. E beninteso non annientamente in senso sportivo, ma nel pieno significato esistenziale del termino: ti ammazzo!
Cosa si può fare per uscirne? In condizioni di normale civilizzazione quando l’industria della bugia non era così affermata e prevalente non si aveva timore di riconoscere nel nemico niente altro che il nemico. Se assistiamo ad una lezione di quella grande scuola di pensiero politico che è il salotto televisivo di Bruno Vespa troviamo spesso e malvolienti quel personaggio così compito come Fausto Bertinotti che ci spiega come per lui la parola “nemico” sia una parolaccia da sostituire sempre con “avversario”. Purtroppo, la recezione del pensiero di Carl Schmitt con la sua fondamentale distinzione di amico nemico in quanto categoria scientifica fondativa dello studio della politica si è persa in citazioni di quarta e quinta mano da parte di orecchianti professionali che neppure comprendono che l’avversario (in amore, in commercio, alle competizion elettorali per l‘assunzione di laute prebende e rendite politiche) è in fondo “l’amico” con il quale ci si può mettere sempre d’accordo e stipulare una transazione reciprocamente conveniente.
Nulla di simile, neppure a volerlo, nei rapporti con il nemico, che non cessa di esser tale sia che lo si voglia chiamare “avversario” o magari diffamarlo come “terrorista”. Ecco la prima cosa che occorrerebbe fare è quella di riconoscere al nemico dignità di nemico: è un modo di riconoscere la sua umanità e la sua radicalità esistenziale. Ma ormai in tempi civilizzati da innumerevoli dichiarazioni dei diritti umani non siamo più in grado di riconoscere le evidenze elementari che persistono malgrado i nostri ideologismi. Succede così che chiamamo pace e missioni di pace quella che per i nostri antenati, meno civilizzati, era una guerra vera e propria con tanto di morti ammazzati in modo impersonale. Nella faida privata o nella vendetta si uccideva un particolare individuo, nella guerra si uccide l’altro a prescindere dalla sua concreta individualità. Non importa quale sia il suo nome: è l’altro il cui gruppo è la contrapposizione nemica, che globalmente scende in campo ostile.
In tempi meno civilizzati dei nostri le guerre potevano aver termine con dei veri e propri trattati di pace che ponevano fine alle ostilità e consentivano addirittura rapporti privati amichevoli (commercio, matrimoni, scambi di ogni genere) fra parti dapprima reciprocamente in guerra. Nei nostri tempi più civilizzati, ad incominciare per lo meno da Norimberga, abbiamo pensato di unificare le due distinte figure del nemico e del criminale. La conseguenza è stata che si è resa impossibile la pace. Un “nemico” dichiarato “criminale” è così bollato non solo per tutto l’arco della sua esistenza fisica individuale, ma è colpito anche nella sua progenie che continuerà a portare le stigmate del crimine ascritto al padre ed al padre del padre.
Noi abbiamo perso la pace perché non siamo più capaci di riconoscere ed ammettere la guerra. Per tornare al nostro punto di partenza, caro Ceronetti, sapresti spiegarmi come la prenderesti se tu stesso o prima di te tuo padre o tuo nonno, fossi stata non metaforicamente ma realmente cacciato dalla casa in cui vivevi e dal paese in cui sei nato, se il tutto venisse raso al suolo e venissero edificate nuove case ed al tuo paese natale venisse dato un nuovo nome sulla carta geografica? Se questa condizione non è già per te la morte inflitta, cosa mai sarà per te la vita? Di quale vita vuoi parlare che sia degna di un essere umano? Dubito che se tu (o io), fossimo bestie anziché uomini, un simile trattamento ci avrebbe reso più mansueti e domestici.
Mi avvio alla conclusione perché l’andamento è più adatto ad un seminario con studenti ai quali spiegare Carl Schmitt che non ad un articolo su di un blog. Se realisticamente si vuole cercare una via d’uscita non due stati bisogna creare, ma un solo stato smantellando l’impianto dello stato razzista ebraico. Devono poter vivere tutti in uno stesso stato con eguali diritti e doveri. Non si dovranno celebrare Giornate della Memoria ma dovrà essere imposto con legge ferrea l’Oblio per tutti. Non sono favorevole ai controlli internazionali, ma credo che per un certo numero di anni, non pochi, una forza militare e di polizia esterna dovrà vigilare sul più scrupoloso rispetto delle leggi che possono fondare la civile e pacifica convivenza fra persona in guerra non per pochi anni, ma di generazione in generazione con un carico di odio ed ostilità quale raramente si è visto nella storia umana.
Se questa soluzione non è praticabile, bisognerà l’ipocrisia e la menzogna come normale condizione esistenziale della nostra epoca.
Postilla
Questa volta ho battuto sul tempo i «Corretti Informatori» nel senso che ho letto prima di loro l’articolo di Guido Ceronetti, facendone una specie di recensione critica. Pubblico di seguito l‘abituale commento dei «Corretti Informatori», irrilevante sotto il profilo e dell’analisi storica e dello stesso articolo di Ceronetti, ma interessante per capire la testa degli stessi «Corretti Informatori» e dell’ideologia che rappresentano. Ecco il testo del loro commento a Ceronetti:
È quasi penoso l’attaccamento ad una sequela di ideologismi che non resistono ad una analisi logica e razione: il terrorismo come forma di delegittimazione della resistenza dei palestinesi; un diritto acritico all’esistenza di Israele basato sul nulla ovvero sulla più bieca violenza contraria ad ogni idea di diritto e di giustizia; la bandiera di un antisemitismo filogicamnete insensato perché gli stessi palestinesi sono più semiti degli stessi ebrei, che in realtà neppure esistono come nazione ma solo come comunità religioso ed in ultimo come entità sionista, ossia cementata insieme da una peculiare forma di razzismo quale il sionismo stesso; la indebita affiliazione alla tragedia dell’ebraismo europeo che è cosa che si conclude con la seconda guerra mondiale e la fine del nazismo; un sistema di privilegi nei vari paesi occidentali che confligge con il principio di eguaglianza con tutti gli altri cittadini; una forma di razzismo interno che si rivolge contro gli stessi ebrei che divergono dagli obiettivi, giudicati folli, del sionismo. Fino a quanto tempo ancora questo equilibrio di forze durerà dipende in buona parte dal sostegno degli USA e dell’Europa ed è per questo di vitale importanza la guerra ideologica che si combatte soprattutto in Europa ma anche negli Usa e in Canada. Capire come funziona la testa dei «Corretti Informatori» è di nessuna utilità per la comprensione degli equilibri geopolitici del Medio Oriente, ma è utile per la comprensione dell’ideologia alla base del conflitto ed anche per la comprensione della situazione spirituale dell’Europa odierna.
Ma veniamo all’articolo di Ceronetti. L’esordio ci pare lcosì letterariamente apprezzabile da non poter fare a meno di una citazione testuale:
La fabbrica delle bugie non conosce crisi, le assunzioni in pianta stabile non finiscono mai. Vorrei segnalare una impostura delle più credute, delle più facili, delle più ripetute, delle più diffuse. Non ha né destra né sinistra, è un luogo comune infarcito di falso: l’impostura dei due Stati, Israele e Palestina, di cui uno è riuscito a essere Stato (dopo sessant’anni giusti di esistenza ufficiale in guerra permanente), l’altro semplicemente non potrà mai farcela a diventare qualcosa che somigli a uno Stato. Purtroppo si tratta di due siamesi inoperabili: sepàrali chirurgicamente, li uccidi entrambi.Come non essere d’accordo con Ceronetti? mi sembra una così ovvia constatazione. Se mai è da chiedersi perché si insista così spesso nella fabbricazione di questa bugia. La risposta non depone a favore della buona fede e dell’onestà dei fabbricanti di bugie. Il dubbio lo insinua pure Ceronetti: non sanno a cosa aggrapparsi e giocano una carta che sanno loro stessi non valere nulla. Forse il mio modesto dissenso con Ceronetti sorge nel momento in cui egli offre la spiegazione di una vicenda senza normali vie di uscita:
Al razionalismo politico sfugge l’essenza crudamente religioso del conflitto palestinese.Ma perché dovrebbe esservi un’essenza religiosa del conflitto? Perché sarebbe questa la spiegazione? Proviamo a seguire il ragionamento e l’argomentazione di Ceronetti. Mentre Ceronetti scriveva il suo articolo, è stato raggiunto dalla notizia dell’attentato alla scuola rabbinica di Gerusalemme. Forse da questa circostanza Ceronetti è indotto a credere che le numerosi uccisioni dall’una e dall’altra parte, ma con nettissima prevalenza di morti palestinesi, si è detto, nel rapporto di 100 palestinesi uccisi per un israeliano morto, abbiano una spiegazione religiosa. Credo che la religione c’entri per nulla e che lo stesso attentato avrebbe potuto aver luogo allo stadio e forse Ceronetti avrebbe parlato di “essenza crudamente sportiva” del conflitto. E così via: essenza crudamente commerciale al centro commerciale, automobilistica all’incrocio stradale, letteraria se alla Fiera del libro, enologica se alla sagra del vino, psicologica al manicomio o nello studio dello strizzacervelli.
Caro Ceronetti, dovresti sapere se per caso hai frequentato le pagine di un pensatore che risponde al nome di Carl Schmitt, che l’essenza del conflitto politico – la contrapposizione amico nemico – si annida in tutti i possibili ambiti della vita umana, ma non sono i diversi ambito (religioso, artistico, economico) a dare l’essenza del conflitto, ma la stessa nuda ed eterna contrapposizione di amico e nemico, che implica in sè la volontà di annientamento dell’altro. E beninteso non annientamente in senso sportivo, ma nel pieno significato esistenziale del termino: ti ammazzo!
Cosa si può fare per uscirne? In condizioni di normale civilizzazione quando l’industria della bugia non era così affermata e prevalente non si aveva timore di riconoscere nel nemico niente altro che il nemico. Se assistiamo ad una lezione di quella grande scuola di pensiero politico che è il salotto televisivo di Bruno Vespa troviamo spesso e malvolienti quel personaggio così compito come Fausto Bertinotti che ci spiega come per lui la parola “nemico” sia una parolaccia da sostituire sempre con “avversario”. Purtroppo, la recezione del pensiero di Carl Schmitt con la sua fondamentale distinzione di amico nemico in quanto categoria scientifica fondativa dello studio della politica si è persa in citazioni di quarta e quinta mano da parte di orecchianti professionali che neppure comprendono che l’avversario (in amore, in commercio, alle competizion elettorali per l‘assunzione di laute prebende e rendite politiche) è in fondo “l’amico” con il quale ci si può mettere sempre d’accordo e stipulare una transazione reciprocamente conveniente.
Nulla di simile, neppure a volerlo, nei rapporti con il nemico, che non cessa di esser tale sia che lo si voglia chiamare “avversario” o magari diffamarlo come “terrorista”. Ecco la prima cosa che occorrerebbe fare è quella di riconoscere al nemico dignità di nemico: è un modo di riconoscere la sua umanità e la sua radicalità esistenziale. Ma ormai in tempi civilizzati da innumerevoli dichiarazioni dei diritti umani non siamo più in grado di riconoscere le evidenze elementari che persistono malgrado i nostri ideologismi. Succede così che chiamamo pace e missioni di pace quella che per i nostri antenati, meno civilizzati, era una guerra vera e propria con tanto di morti ammazzati in modo impersonale. Nella faida privata o nella vendetta si uccideva un particolare individuo, nella guerra si uccide l’altro a prescindere dalla sua concreta individualità. Non importa quale sia il suo nome: è l’altro il cui gruppo è la contrapposizione nemica, che globalmente scende in campo ostile.
In tempi meno civilizzati dei nostri le guerre potevano aver termine con dei veri e propri trattati di pace che ponevano fine alle ostilità e consentivano addirittura rapporti privati amichevoli (commercio, matrimoni, scambi di ogni genere) fra parti dapprima reciprocamente in guerra. Nei nostri tempi più civilizzati, ad incominciare per lo meno da Norimberga, abbiamo pensato di unificare le due distinte figure del nemico e del criminale. La conseguenza è stata che si è resa impossibile la pace. Un “nemico” dichiarato “criminale” è così bollato non solo per tutto l’arco della sua esistenza fisica individuale, ma è colpito anche nella sua progenie che continuerà a portare le stigmate del crimine ascritto al padre ed al padre del padre.
Noi abbiamo perso la pace perché non siamo più capaci di riconoscere ed ammettere la guerra. Per tornare al nostro punto di partenza, caro Ceronetti, sapresti spiegarmi come la prenderesti se tu stesso o prima di te tuo padre o tuo nonno, fossi stata non metaforicamente ma realmente cacciato dalla casa in cui vivevi e dal paese in cui sei nato, se il tutto venisse raso al suolo e venissero edificate nuove case ed al tuo paese natale venisse dato un nuovo nome sulla carta geografica? Se questa condizione non è già per te la morte inflitta, cosa mai sarà per te la vita? Di quale vita vuoi parlare che sia degna di un essere umano? Dubito che se tu (o io), fossimo bestie anziché uomini, un simile trattamento ci avrebbe reso più mansueti e domestici.
Mi avvio alla conclusione perché l’andamento è più adatto ad un seminario con studenti ai quali spiegare Carl Schmitt che non ad un articolo su di un blog. Se realisticamente si vuole cercare una via d’uscita non due stati bisogna creare, ma un solo stato smantellando l’impianto dello stato razzista ebraico. Devono poter vivere tutti in uno stesso stato con eguali diritti e doveri. Non si dovranno celebrare Giornate della Memoria ma dovrà essere imposto con legge ferrea l’Oblio per tutti. Non sono favorevole ai controlli internazionali, ma credo che per un certo numero di anni, non pochi, una forza militare e di polizia esterna dovrà vigilare sul più scrupoloso rispetto delle leggi che possono fondare la civile e pacifica convivenza fra persona in guerra non per pochi anni, ma di generazione in generazione con un carico di odio ed ostilità quale raramente si è visto nella storia umana.
Se questa soluzione non è praticabile, bisognerà l’ipocrisia e la menzogna come normale condizione esistenziale della nostra epoca.
Postilla
Questa volta ho battuto sul tempo i «Corretti Informatori» nel senso che ho letto prima di loro l’articolo di Guido Ceronetti, facendone una specie di recensione critica. Pubblico di seguito l‘abituale commento dei «Corretti Informatori», irrilevante sotto il profilo e dell’analisi storica e dello stesso articolo di Ceronetti, ma interessante per capire la testa degli stessi «Corretti Informatori» e dell’ideologia che rappresentano. Ecco il testo del loro commento a Ceronetti:
Si noti che è certamente fondato il timore per l’evoluzione demografica della popolazione araba e palestinese: più li ammazzi e più si riproducono. Ma ciò indirettamente nasconde un’altra verità difficile da ammettere per i sionisti. E cioè che essi non sono una popolazione autoctona, come i palestinesi e gli arabi, bensì una popolazione immigrata di coloni: la schiuma dei cinque continenti che pensavano di trovare in Palestina una terra di nessuno, o popolata da selvaggi che potevano essere presto ripuliti. Probabilmente, gli ebrei americani, e perfino quelli italiani, preferiscono vivere in America o in Italia, anziché trasferirsi in massa nella Terra Promessa, dove hanno già il passaporto assicurata. I palestinesi, nati in Palestina, non possono che restare in Palestina. Anzi pretendono di ritornare nei villaggi dai quali sono stati scacciati dagli israeliani sulla base di un diritto che evidentemente è fondato sulla volontà di Jahvè, ma non su un’idea razionale di giustizia e di diritto. Si capisce dai commenti sionisti dei «Corretti Informatori» che la fine della soluzione a due stati pone una drammatica alternativa: o il completamente di un processo di genocidio fisico, culturale, politico, identitario del popolo palestinese, da sempre portato avanti con una determinazione e scientificità che Hitler non ha mai avuto con eguale intessità; oppure procedere fatalmente non allo stato binazionale, ma allo smantellamento dello stato ebraico e razzista dell’apartheid. Ne abbiamo avuto un modello storico nel Sud Africa.
La Stampa Informazione che informa
17.03.2008 Impossibile la soluzione a due Stati: è l'opinione di Guido Ceronetti
che deve stare attento a non farsi strumentalizzare da chi di Stato ne vuole solo uno: arabo e islamico
Testata: La Stampa
Data: 17 marzo 2008
Pagina: 29
Autore: Giudo Ceronetti
Titolo: «Israele e Palestina: la bugia dei due stati»
La "fine della soluzione a due Stati" è oggi la parola dordine di quanti continuano a volere la distruzione di Israele e vogliono rendere questa prospettiva accetabile dalle opinioni pubbliche europee e occidentali.
Costoro sanno che il tempo e la demografia lavorano per creare una maggioranza araba e islamica tra il Mediterraneo e il Giordano, e propugnano perciò un falso progetto di stato binazionale laico, paravento della loro aspirazione a uno Stato islamico e arabo.
Completamente diverse, ci sembra, le motivazioni di Guido Ceronetti, che in un suo articolo pubblicato da La STAMPA del 17 marzo 2008 qualifica anch'egli come "impostura" l'idea dei "due Stati, Israele e Palestina".
Ceronetti indica infatti esplicitamente nella jihad contro l'esistenza di Israele e nell'antisemitismo islamico i motivi per cui il progetto di uno Stato palestinese che conviva pacificamente con quello ebraico sarebbe irrealizzabile e avrebbe esiti catastrofici (la fine di entrambi gli stati, "gemelli siamesi" inseparabili).
Ceronetti, inoltre, non indica soluzioni, tanto meno quella dello Stato binazionale. Il suo scopo non è quello della mistificazione ideologica.
Va detto però che della pessimistica visione del Medio Oriente proposta da Ceronetti è possibile fare un uso mistificante e ideologico. La STAMPA , ad esempio, titola "Israele e Palestina la bugia dei due Stati Come gemelli siamesi inoperabili: separali e li uccidi entrambi". E' scomparso ogni riferimento all'irriducibile ostilità palestinese e arabo-islamica a Israele, ogni riferimento all'antisemitismo. Restano solo due slogan, interpretabili nel senso della campagna antisionista per lo Stato binazionale. L'articolo è illustrato da una fotografia in controluce di "militanti di Hamas" che "sventolano la loro bandiera", un'imagine che evidentemente presenta i terroristi come personaggi epici. Scompare anche ogni traccia della distinzione, chiaramente formulata da Ceronetti, tra il terrorismo contro i civili di Hamas e degli altri gruppi palestinesi, e le risposte militari di Israele che non possono evitare di colpire anche i civili, inintenzionalmente. Ceronetti sa benissimo, e lo scrive, che quelli di Hamas sono terroristi. Immagine e didascalia scelti dalla redazione raccontano tutt'altro.
È quasi penoso l’attaccamento ad una sequela di ideologismi che non resistono ad una analisi logica e razione: il terrorismo come forma di delegittimazione della resistenza dei palestinesi; un diritto acritico all’esistenza di Israele basato sul nulla ovvero sulla più bieca violenza contraria ad ogni idea di diritto e di giustizia; la bandiera di un antisemitismo filogicamnete insensato perché gli stessi palestinesi sono più semiti degli stessi ebrei, che in realtà neppure esistono come nazione ma solo come comunità religioso ed in ultimo come entità sionista, ossia cementata insieme da una peculiare forma di razzismo quale il sionismo stesso; la indebita affiliazione alla tragedia dell’ebraismo europeo che è cosa che si conclude con la seconda guerra mondiale e la fine del nazismo; un sistema di privilegi nei vari paesi occidentali che confligge con il principio di eguaglianza con tutti gli altri cittadini; una forma di razzismo interno che si rivolge contro gli stessi ebrei che divergono dagli obiettivi, giudicati folli, del sionismo. Fino a quanto tempo ancora questo equilibrio di forze durerà dipende in buona parte dal sostegno degli USA e dell’Europa ed è per questo di vitale importanza la guerra ideologica che si combatte soprattutto in Europa ma anche negli Usa e in Canada. Capire come funziona la testa dei «Corretti Informatori» è di nessuna utilità per la comprensione degli equilibri geopolitici del Medio Oriente, ma è utile per la comprensione dell’ideologia alla base del conflitto ed anche per la comprensione della situazione spirituale dell’Europa odierna.
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