mercoledì 12 marzo 2008

Sicurezza per chi? Ce lo dice Antonio Polito.

Versione 1.0

Con l’on. Polito avevo avviato un discorso, rimasto subito interrotto. Adesso che è ritornato alla direzione de “Il Riformista”, è forse possibile riprenderlo quel discorso. Vado subito in medias res riportando da «Informazione Corretta» un articolo probabilmente a lui attribuibile ed in piena “corrispondenza d’amorosi sensi” con la cerchia di Pezzana. Invierò naturalmente il mio commento all’indirizzo di seguito fornito, ma annuncio fin d’ora che gli articoli di Antonio Polito avranno una mia particolare attenzione. Essendo già lungo il commento extratestuale, mi astengo per questa volta dal commento interlineare, riga per riga, parola per parola, che del resto avevo già fatto e che è andato perso per un incidente tecnico:
Il Riformista Informazione che informa
11.03.2008 In Iraq è in gioco la "sicurezza a lungo termine" dell'Occidente
se lo dice Angelina Jolie, potrà dirlo anche Gordon Brown
Testata: Il Riformista
Data: 11 marzo 2008
Pagina: 2
Autore: la redazione
Titolo: «L'Iraq, Brown e la linea Jolie»
Un buon editoriale dal RIFORMISTA , che è tornato ad essere diretto da Antonio Polito.
Ecco il pezzo, pubblicato l'11 marzo 2008:

Sembrava cosa fatta, lo scorso ottobre, quando il premier britannico Gordon Brown annunciò il ritiro di buona parte del contingente di sua maestà dall'Iraq. Al primo scaglione di mille soldati che ha lasciato Bassora a fine anno, dovrebbe far seguito un ulteriore taglio di 1500 unità in primavera: così, da 4000 soldati attivi nella regione meridionale del paese, l'impegno della Gran Bretagna in territorio iracheno dovrebbe essere ridotto a 2500 uomini. L'uso del condizionale, a proposito della manovra strategica voluta dall'inquilino di Downing Street, è imposto dalle notizie diffuse ieri dalla stampa britannica, secondo cui i vertici militari, pur avendo concordato all'epoca la exit strategy, ora si preparano a dissuadere il ministero della Difesa dal realizzare questo secondo depauperamento delle forze in campo. Gli argomenti dell'esercito, anticipati dal Daily Telegraph , non sono certo da prendere sottogamba: le condizioni di sicurezza del paese sono estremamente instabili (come dimostrano i cinque morti americani di ieri, a Baghdad) e la riduzione ulteriore delle truppe nella regione potrebbe rendere insensata la missione.
Un numero così ridotto di soldati, insomma, servirebbe soltanto a difendere se stessi e i propri fornitori. Un po' poco come risultato, secondo i generali, a fronte dell'esoso investimento di risorse e vite umane, speso fin qui. Insomma, o dentro o fuori. E non è detto che questo genere di (ragionevoli) valutazioni non siano condivise dall'opinione pubblica. Della ragionevolezza delle tesi militari devono aver contezza anche a Whitehall, se un portavoce della Difesa ha vincolato la decisione finale sul parziale ritiro, alle raccomandazioni dei militari cui tocca valutare la situazione sul campo. Andar via dall'Iraq, dunque, non è così facile come sembrava sulla carta. Non se lo si vuole fare responsabilmente e coerentemente con la scelta, prima di tutto politica, che ha portato alla fine del regime di Saddam Hussein. Che piaccia o meno, ora la responsabilità da non eludere è quella di garantire la stabilità e la crescita di istituzioni democratiche e rispettose dei diritti umani in Iraq e che non siano una minaccia per il resto del mondo: «non soltanto un obbligo morale», bensì «un forte interesse di sicurezza nazionale a lungo termine», per dirla con le parole di un'icona del pacifismo moderno come Angelina Jolie,
a proposito di un'eventuale ritiro delle truppe Usa. Se lo dice la testimonial dell'Onu, di certo potrà dirlo anche Gordon Brown.

Per inviare una e-mail alla redazione del riformista cliccare sul link sottostante

info@ilriformista.it

Avevo conosciuto l’on. Antonio Polito in occasione della presentazione del libro di Emanuele Ottolenghi, “Autodafé”, in una sala di via Ostiense (vedi). Essendo pubblica la manifestazione e soprattutto non lontana da casa, avevo deciso di andare a sentire. Insieme con Polito era Gianfranco Fini ed altri esponenti della comunità ebraica romana. Solo di recente apprendo che Antonio Polito, non più parlamentare, era e resta uno dei punti di maggiore riferimento della comunità ebraica. Se qualche iniziativa parlamentare o qualche punto di vista nell’esclusivo interesse della comunità ebraica deve essere assunto a chi rivolgersi? All’on. Polito! Niente di illecito, per carità. Solo che come cittadino e libero intellettuale mi sento preso per i fondelli da Antonio Polito quando vuol far credere di assumere un punto di vista assolutamente obiettivo e generale, assolutamente universale ed assolutamente condivisibile.

Dalla parte del pubblico, trovandomi per primo a poter parlare, posi una domanda che suscitò l’imbarazzo generale e senza prevederlo mi trovai esposto al fuoco incrociato dei relatori e degli altri partecipanti. La tesi della serata, suffragata dalla “lobby” parlamentare (Fini e Polito), era il sacrosanto diritto di Israele alla sua esistenza e quindi la sua legittimità. La mia domanda abbastanza ovvia era la seguente: in termini di popolazione e di territorio Israele costituisce una percentuale minima, se non irrisoria, nel contesto geopolitico del Medio Oriente. Se Israele ha bisogno di un riconoscimento, di una legittimità al suo esistere, da chi più che dai suoi vicini può e deve aspettarsela? Che senso ha che in una sala di via Ostiense gli onn. Fini, Polito ed altri di cui non ricordo, ma di cui esiste registrazione radiofonica nell’archivio di Radio radicale, pretendano da semplici cittadini italiani un riconoscimento che tutto sommato non hanno titolo a concedere? È noto che la maggior parte del mondo arabo non riconosce politicamente Israele. Anche in quei pochi casi in cui vi è riconoscimento diplomatico sono portato a credere che sia stato estorto con la forza e la capacità di pressione esercitata dalle maggiori potenze. Dispongo di un osservatorio particolare che è il barbiere sotto casa, un arabo musulmano che mi riporta gli umori della gente comune. Israele non gode qui di buona stampa, malgrado gli articoli benevoli su quotidiani come “Il Riformista”, “l’Opinione”, “il Foglio”, “il Velino” e simili.

Dell’on. Polito ricordo quella sera una certa aria stupita che non saprei come definire e che non sono riuscito a descrivere nell’ampia recensione che feci di quella serata e che stava assumendo la dimensione di un vero e proprio libro prima che me ne stancassi, lasciando il progetto incompiuto. Era come se di fronte alla mia ovvia constatazione che solo i musulmani, arabi, palestinesi, iraniani, potessero concedere ad Israele ciò di cui dimostrava di aver bisogno, cioè una patente di legittimità, l'on. Polito facesse intendere: ma questo da dove è spuntato? io pensavo che ormai la cosa fosse storicamente acquisita. Già! Ma per chi? Per lo stesso Polito, per Fini, per Pacifici e tutti gli “amici” riuniti nella sala di via Ostiense! E gli altri? Per gli arabi del Medio Oriente che costituiscono in territorio e popolazione il 98 per cento o giù di li? Non contano? Ho scattato delle foto, ma resta difficile lo stesso descrivere la faccia e la prosopopea dell'on. Polito. Resta nella mia memoria in tutto il suo valore esemplare. Ed in effetti me ne ricordo ancora a distanza di tempo.

Dopo di me, parlo dal pubblico un Tizio al quale non potei replicare. Mi dava indirettamente dell'uomo delle caverne ignorando il riconoscimento Onu dato ad Israele nel 1948. Nella guerra ideologica in corso resta questo in effetti il maggior titolo sempre citato. Tom Segev in una pagina del suo libro (Il Settimo Milione) descrive le circostanze lobbistiche in cui il riconoscimento fu estorto. Esso resta un fatto formale che da poca sostanza giusnaturalistica al preteso riconoscimento. Ma anche dando per buono l’argomento resta il fatto che in seguito dal 1951 in poi sono state enumerate ben 73 risoluzioni di condanna di Israele. Poco importa se emesse con o senza obbligo coercitivo. Resta tutto il valore politico. E che dire della conferenza di Durban ai primi di settembre del 2001, quando Israele stava per essere condannata per razzismo. A salvarla fu il pronto sabotaggio degli USA, che sempre, proprio sempre, corrono in salvataggio di Israele: uno strano salvataggio la cui stranezza hanno ben documentato Mearsheimer e Walt nel loro libro sulla “Israel lobby e la politica estera americana”. Poiché normalmente l’ONU, anche fino agli ultimi giorni, pronuncia condanne ad Israele, ormai il governo israeliano ed il Mossad si sono scatenati in una campagna di denigrazione e delegittimazione dell’Onu, soprattutto in vista di Durban II che dovrebbe tenersi nel gennaio del 2009. Essendo la situazione umanitaria di Gaza la più grave dal 1967 ad oggi – come denunciano insospettali organizzazioni umanitarie – è comprensibile il timore israeliano che questa volta passi l‘equiparazione sionismo = razzismo a stento scongiurata nel settembre 2001. Ammettiamo pure che la delegittimazione dell'Onu riesca. Ma allora cosa ne è del principale titolo di Israele per il suo diritto all’esistenza, cioè al riconoscimento politico e diplomatico?

E veniamo all’Iraq ed all’editoriale di Polito, che da questo momento non lascerò più in pace, essendo ormai tornato alla direzione de “il Riformista” e supponendo abbia maggior tempo per rispondere ai lettori, quel tempo di cui non disponeva quando gli scrissi essendo lui nell’Olimpo di Montecitorio. Non posso credere che Antonio Polito sia tanto ignorante da non sapere del falso rapporto con cui Israele indusse gli Usa a muovere una vera e propria guerra di aggressione all’Iraq sulla base di una vera e propria menzogna, ampiamente circolata sui media. Non so se “Il Riformista” esisteva all’epoca e quali siano stati i suoi articoli: lo immagino! A proposito della guerra “preventiva” non posso fare a meno ogni volta di citare una ministra tedesca, subito costretta alle dimissioni per aver detto che proprio per questa teoria della guerra “preventiva” non vi era più distinzione fra Bush ed Hitler.

Ed infine, caro Polito, ma di quale democrazia vogliamo parlare in Iraq? Quella di eseguire i comandi di Usa ed Israele? Quella di rinnovare una farsa elettorale alla quale noi siamo da tempo abituati e dove un Polito sta in parlamento non certo per rappresentare me italiano con una sola cittadinanza, ma piuttosto i suoi “amici” di via Ostiense, forniti di doppia cittadinanza e di cui quella straniera vale probabilmente più di quella italiana? Ma anche a prescindere da ciò quale bene ha portato alla gente comune irachena la liberazione portata dalle armi usa-israeliane? Io ho letto di 600.000 morti civili. Se non fosse troppo raccapriccianti le foto a me giunte, pubblicherei le mostruosità genetiche prodotte dalla guerra americana sulla popolazione civile: non ho avuto la forza di soffermarmi più di un secondo sulle immagini mostruose. Se le vuole, l’on. Polito, gliele posso mandare in privato.

E per ritornare alla serata in via Ostiense ed alla domanda da me posta allora: non è che Israele il riconoscimento lo vuole facendo muovere guerra a tutti gli stati mediorientali e poi imponendo loro governi fantoccio, “democratizzati”, il cui primo atto è il riconoscimento diplomatico di Israele? Penso che a tanto cinismo non arrivasse neppure Hitler. Poiché Polito si diletta anche di storia (“storicamente acquisito…”), sarei lieto di poter sentire la sua opinione, pubblica o privata, su questo parallelo storico Israele/Hitler.



Nessun commento: