Sommario: 1. L’appello degli editori per il boicottaggio. – 2. Sergio Cararo spiega le ragioni del boicottaggio. – 3. Una scelta vergognosa. – 4. Il rifiuto di Aharon Shabtai, poeta israeliano. – 5. Gianni Vattimo: Perché boicotto Israele. – 6.
L’appello degli editori per il boicottaggio
Fonte: Forum Palestina
Fiera del Libro di Torino. Un appello degli e agli editori La cultura sia al servizio della pace tra i popoli, non della celebrazione del colonialismo |
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Io non ritengo che uno Stato che mantiene un'occupazione, commettendo giornalmente crimini contro civili, meriti di essere invitato ad una qualsivoglia settimana culturale. Ciò è anti-culturale; è un atto barbaro mascherato da cultura in maniera cinica. Manifesta un sostegno ad Israele, e forse anche alla Francia che appoggia l'occupazione. Ed io non voglio partecipare.
Cordiali saluti,
Come editori, piccoli e non, sentiamo doveroso intervenire con un nostro punto di vista in merito alla polemica scatenatasi attorno alla prossima Fiera del Libro di Torino, a cui è stato invitato come paese ospite Israele.
Tale scelta ci sembra motivata non da ragioni di tipo culturale e dalla volontà di promuovere gli scrittori e la letteratura israeliani, ma da ragioni di tipo politico che nulla hanno a che vedere con gli scambi culturali tra i popoli e che rischiano di ritorcersi contro gli stessi artisti israeliani.
Come è emerso anche dalla stampa, il paese ospite doveva essere un altro, l' Egitto, a seguito di accordi sottoscritti e sanciti nei mesi passati; dietro le pressioni degli organismi diplomatici israeliani, impegnati in tutto il mondo a organizzare le celebrazioni del sessantesimo anniversario della fondazione dello Stato di Israele, l'Ente Fiera del Libro ha deciso di cambiare il paese ospite.
Questa scelta ci sembra francamente inopportuna, dal momento che finge di non considerare quanto accade sul terreno in Palestina/Israele. Nello stesso momento in cui sessanta anni fa nasceva lo Stato di Israele, il popolo che sul quelle terre abitava è stato scacciato con la violenza e il terrore ed è divenuto profugo, o costretto a vivere in porzioni sempre minori della terra originariamente abitata proprio a causa dell'espansionismo nel neonato stato ebraico.
Sessanta anni fa iniziava per i palestinesi la nakba, la catastrofe, che non ha mai avuto fine. Più di tre milioni e mezzo di palestinesi vivono tuttora in campi profughi fuori dalla Palestina, mentre gli abitanti della Palestina vivono in Territori Occupati, sottoposti a tutte le limitazioni e alle angherie di una occupazione militare.
Decine sono le risoluzioni ONU che Israele non ha rispettato in questi sessant'anni.
Lo Stato di Israele non ha nulla da celebrare: sono forse degni di celebrazione la colonizzazione illegale delle terre palestinesi, la distruzione delle case e delle terre coltivate, gli omicidi "mirati", il sequestro di parlamentari democraticamente eletti, le punizioni collettive inferte alla popolazione in modo indiscriminato o la negazione dei più elementari diritti umani ai palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania come l'accesso all' acqua e la libertà di movimento, ecc.?
Nessuno dovrebbe dimenticare che i comportamenti adottati da Israele verso gli scrittori palestinesi e la cultura in generale non sono certo degni di celebrazioni, vedi l'uccisione mirata di intellettuali e scrittori palestinesi considerati scomodi (ricordiamo qui: Ghassan Kanafani, Wael Zwaiter, Kamal Nasser, Mahmoud Hamshari, Majed Abu Sharar) e la massiccia negazione del diritto allo studio per i bambini e i ragazzi palestinesi, che a causa del Muro, dei blocchi stradali, dei bombardamenti quotidiani non hanno la possibilità di raggiungere fisicamente le scuole.
Come possiamo far finta di non vedere l'ipocrisia di chi tenta di far passare per innocente operazione culturale una vera e propria scelta di parte? Se si fosse voluto usare il terreno culturale come momento di scambio e di creazione di ponti tra popoli e intellettuali, aldilà delle scelte dei propri governi, allora i paesi ospiti avrebbero dovuto essere due: Israele e Palestina, con pari dignità. Ma chi ha spinto affinché il Consiglio Direttivo della Fiera del Libro di Torino decidesse di invitare Israele proprio quest'anno, ha anche rifiutato con determinazione ogni ipotesi che prevedesse pari opportunità e spazio per la cultura israeliana e palestinese.
Vogliamo, infine, denunciare da subito chiunque ricorra alla pretestuosa accusa di antisemitismo per negarci il diritto a dissentire da una decisione dettata unicamente da esigenze politiche, con l'obiettivo di gettare fumo negli occhi dell'opinione pubblica. La cultura millenaria dell'ebraismo non è, per fortuna, rappresentata solo dallo Stato di Israele. Sono forse antisemiti quegli intellettuali e scrittori israeliani come Aaron Shabtai, Ilan Pappe e tanti altri, che per primi hanno considerato sbagliato l'invito a Israele
proprio in occasione dell'anniversario dell'inizio della tragedia del popolo palestinese? Sono forse antisemiti i movimenti che nello stesso Stato di Israele lottano coraggiosamente contro la politica del loro governo, o i giovani militari israeliani che preferiscono il carcere all'obbedienza cieca verso chi li vorrebbe strumenti del martirio di un altro popolo?
Facciamo dunque appello al Consiglio Direttivo della Fiera del Libro di Torino perché revochi questo invito inopportuno e perché respinga le pressioni politiche che vorrebbero trasformare la Fiera del Libro, da occasione di crescita culturale e formativa, a vetrina per la propaganda del volto umano di un paese colonialista e che pratica l'apartheid anche nei confronti dei cittadini arabi residenti in Israele.
Milano, 28/02/2008
Primi firmatari e adesioni al 03.03.2008:
Zambon EditoreEdizioni "La Città del Sole"
Manni Editori
Edizioni Clandestine
Casa Editrice Filema
Achab Edizioni
Casa Editrice Rapporti Sociali
Chimienti Editore - Taranto
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Sergio Cararo spiega le ragioni del boicottaggio
Fonte: Forum Palestina
“Perché il mondo permette ad Israele di fare quello che fa?” Polemiche e boicottaggio sulla prossima Fiera del Libro di Torino |
di Sergio Cararo * |
L’edizione 2008 della Fiera del libro di Torino sarà dedicata ad Israele. Questa è la decisione presa dal consiglio di amministrazione dell’evento in programma per la metà di maggio.
La decisione ha suscitato prima preoccupazioni e poi la messa in campo di iniziative di controinformazione e boicottaggio da parte di diverse associazioni di solidarietà con il popolo palestinese (Forum Palestina, International Solidarity Movement, UDAP etc.)
In discussione – ovviamente – non è la Fiera del Libro nè la presenza di scrittori e autori israeliani. Tenendo conto che gli attivisti e gli intellettuali solidali con i diritti storici dei palestinesi appartengono a quella ristretta “nicchia sociale” di frequentatori di librerie e lettori di libri, difficilmente possono essere accusati di prevenzione ed ostilità verso la più importante – anche se appare sempre più ipotecata dal marketing che dalla qualità delle proposte editoriali – manifestazione italiana del settore.
A essere contestata è la decisione di dedicare questa edizione ad uno stato come Israele in occasione dei sessanta anni dalla sua nascita, cioè di un evento che nessuno può omettere nelle sue ricadute concrete sui diritti dei palestinesi che la definiscono appunto come Nakba (la catastrofe). Ma non è questa l'unica ragione di "inopportunità". Occorre infatti tenere conto anche di un contesto odierno in cui la politica di oppressione coloniale, di discriminazione razziale e di “politicidio” (per usare le parole di Kemmerling) contro i palestinesi è diventata ancora più spietata e “normale” di quanto lo fosse anni fa.
Il quotidiano stillicidio di palestinesi ammazzati dai soldati, dagli aerei o dai droni israeliani a Gaza dovrebbe già di per sè far riflettere e indignare. Solo la sistematica subalternità delle agenzie di stampa ai bollettini ufficiali delle forze armate israeliane riesce a trasformare in “terroristi” pastori palestinesi o coppie di fidanzati uccisi perchè si sono avvicinati troppo al confine israeliano o bombardati nelle loro case. Il progetto di strangolamento e annientamento militare, economico, umano dei palestinesi di Gaza da parte delle autorità israeliane è evidente e non si può accettare alcuna impossibile simmetria con il lancio dei rudimentali razzi palestinesi che producono più rumore che danni. Non esiste e non può esistere nessun paragone al riguardo, i fatti non lo consentono. Ma il silenzio e la complicità politica ed intellettuale consente queste ed altre aberrazioni.
In Cisgiordania – ad esempio – mentre tutte le diplomazie e i mass media si sforzano di presentare una situazione tranquilla e normale dovuta alle buone relazioni e ai negoziati tra l’ANP e il governo israeliano, la cronaca ci regala ogni giorno notizie di arresti, soprusi, raid israeliani contro le città palestinesi. Sulla base di quale presupposto la comunità internazionale dovrebbe accettare questa “normalità”?
Dedicare la Fiera del Libro ad Israele nel 2008 significa legittimare uno stato di cose inaccettabile da ogni punto di vista, ma soprattutto significa accettare il tentativo di rendere Israele uno stato “normale” mentre non lo è e difficilmente appare in grado di diventarlo, ostaggio com’è dei circoli sionisti e oltranzisti che ne determinano le scelte strategiche e il rapporto verso i palestinesi e il resto dei paesi circostanti.
A maggio dunque la Fiera del Libro di Torino dovrà fare i conti con una iniziativa di contestazione forte e dispiegata a tutti i livelli. Dalle pressioni sul marketing al boicottaggio delle case editrici che accetteranno di esporre alla fiera senza prendere una posizione decente sulla inopportunità di dedicarla ad Israele, dall’allestimento di un contro-salone del libro alternativo a quello ufficiale a manifestazioni all’interno e all’esterno del padiglione della Fiera.
Da qualche parte la coscienza civile ed internazionalista di questo paese dovrà pure cominciare a darsi e a fare coraggio a tutti coloro per i quali vale la domanda con cui lo storico israeliano Ilan Pappe concluse una sua conferenza a Tokio nel marzo 2007: “Perché il mondo permette ad Israele di fare quello che fa?”.
* (co-fondatore del Forum Palestina)
N.B. Da richiesta della redazione, il presente articolo uscirà sul settimanale "La Rinascita della sinistra" della prossima settimana.
Una scelta vergognosa
Fonte: Forum Palestina
Dare risposta alla decisione scellerata della Fiera del libro di Torino |
di Maurizio Musolino * |
La scelta di dedicare l’edizione 2008 della Fiera del Libro di Torino ad Israele è semplicemente vergognosa. Credo che sia del tutto inutile usare giri di parole per esprimere quello che si può dire in maniera semplice: scelta vergognosa, appunto!
Eppure non sorprende. Sappiamo bene che non sarà la sola iniziativa che dalla prossima primavera proporrà la nascita dello Stato di Israele come momento centrale di dibattiti e iniziative culturali. Siamo pronti ad un vero e proprio bombardamento mediatico. Mentre altri bombardamenti, quelli con le armi, purtroppo li fanno in loco e lo sanno bene i cittadini palestinesi di Gaza e Cisgiordania.
Israele verrà presentato come baluardo della libertà nella regione e come campione della democrazia. Nessuno invece racconterà dei milioni di palestinesi sradicati dalle proprie case e costretti a vivere da decenni come profughi. Nessuno spiegherà perché 400 mila palestinesi che vivono in Libano non possono ritornare nelle loro terre. Nessuno darà notizia dei cittadini arabo-israeliani che vivono in una sorta di apartheid. Nessun cenno ai piccoli e grandi soprusi quotidiani che l'occupazione dei Territori palestinesi da parte di Israele impongono. Su tutto questo e su molto altro calerà, se mai possibile, ancor di più una cortina di silenzio.
Per questo la decisione presa dalla Fiera del Libro di Torino è ancora di più vergognosa. La kermesse piemontese avrebbe potuto tenere al centro dell'edizione 2008 le mille sfaccettature e ricadute di quanto avvenne sessanta anni fa. Certamente la nascita dello Stato di Israele, ma anche l'inizio della tragedia palestinese, la nakba. Avrebbe potuto, ma non lo ha fatto.
Bene quindi tutte le iniziative ricordate da Sergio Cararo nel suo articolo, benissimo le prese di distanza dei Comunisti italiani di Torino.
Ma non basta. Credo che i media progressisti, quelli che si sono sempre battuti per le libertà dell'informazione debbano in questa occasione fare la loro parte. Alzare la testa. Noi siamo un piccolo giornale, ne siamo coscienti, ma abbiamo la presunzione di non aver mai abbassato la testa di fronte a questi fatti. Per questo, senza primogeniture di sorta, ma con la convinzione che una risposta sia non solo doverosa ma obbligata, lanciamo un appello a Liberazione, il manifesto, Left, Aprileonline, Radio Città Aperta, Radio Popolare, e a quanti in questi anni non hanno mai smesso di denunciare quello che accade in quell'area del mondo, affinché ci si possa incontrare per organizzare nei giorni della Fiera una grande iniziativa a Torino in grado di mettere al centro quegli aspetti che la kermesse degli
editori vorrebbe celare, dimenticare.
* Direttore de “La Rinascita della sinistra”
4.
Il rifiuto di Aharon Shabtai, poeta israeliano
Una importante intervista uscita sul quotidiano di Valentino Parlato quinidici giorni fa. Ma Valentino Parlato legge e apprende dagli articoli del giornale che ha fondato e che contribuisce a dirigere? |
Intervista ad Aharon Shabtai * |
Per le sue traduzioni dei “Tragici”, dal greco classico all’ebraico moderno, gli fu attribuito nel 1993 il Premio del primo ministro israeliano. Era il periodo del processo di pace di Oslo e Aharon Shabtai credeva che il governo fosse intenzionato a fare la pace con i palestinesi. Accettò l’ambìto riconoscimento. Qualche settimana fa invece il poeta, uno dei più famosi nello Stato ebraico, ha declinato l’invito rivoltogli a partecipare al Salone del libro di Parigi. Nato nel 1939 a Tel Aviv, autore di una ventina di raccolte di poesie e conosciuto all’estero soprattutto per “J’accuse” - in cui si scaglia contro il governo e la società del suo paese - è uno dei più radicali nella pattuglia di intellettuali “dissidenti”. Secondo Shabtai, che ha risposto al telefono alle domande del manifesto, lo Stato ebraico sarebbe in preda a una deriva di destra che potrebbe essere arginata solo da un intervento dell’Europa, il Continente dei Lumi che dovrebbe aiutare “l’apartheid israeliana” a compiere una svolta come quella impressa al Sudafrica dall’ex presidente De Klerk.
Aharon Shabtai, perché ha rifiutato l’invito di Parigi a partecipare al Salone del libro ?
Perché ritengo che si tratti di un’occasione di propaganda, in cui Israele si metterà in mostra come uno Stato con una cultura, dei poeti, ma nascondendo che in questo momento sta compiendo dei terribili crimini contro l’umanità. Lo stesso presidente Shimon Peres, responsabile del massacro di dieci anni fa a Kfar Kana (in Libano), parteciperà. Per me sarebbe stato impossibile andare a leggere i miei testi a Parigi.
Qual è l’immagine dell’altro - del palestinese - riflessa dalla letteratura israeliana?
Nel sionismo - uno dei frutti del nazionalismo dell’800 - c’erano elementi positivi: l’idea che gli ebrei, reduci dalle persecuzioni in Europa, venissero qui in Israele acquistando libertà e indipendenza. Ma ora ci siamo trasformati in uno stato coloniale, con i giornali che fanno propaganda razzista contro gli arabi e i musulmani. Siamo un popolo avvelenato da questa propaganda. La maggior parte della letteratura “mainstream” completamente egocentrica: non è interessata all’altro, rappresenta la vita della borghesia e si occupa di problemi psicologici. La nostra letteratura non ha a cuore i problemi morali cruciali di questo momento storico. Si configura soprattutto come intrattenimento borghese. In questo contesto la maggior parte degli scrittori si dichiara in termini generali “per la pace”, ma quando c’è da prendere una decisione per fare qualcosa di
“aggressivo” si schiera col governo, come durante l’ultima guerra in Libano, quando Yehoshua, Grossman e Oz hanno scritto sui giornali che si trattava di un conflitto giusto. All’estero dipingono l’immagine di un Israele liberale, ma sono parte integrante del sistema.
Ma il governo israeliano è ufficialmente impegnato in colloqui di pace con l’Autorità nazionale palestinese e ammette l’urgenza di dare ai palestinesi una stato, anche se solo in una parte del 22% della Palestina storica.
Il problema non è lo Stato, ma la terra. Qui i giornali ne parlano apertamente, ogni giorno, molto più che in Italia e in Europa: gli insediamenti, la confisca di territorio, il controllo dell’acqua da parte delle autorità israeliane aumentano di giorno in giorno. Questi sono i fatti, molto diversi dalla propaganda utilizzata dal governo: i palestinesi non hanno più un territorio.
Che significato ha per lei il 60° anniversario della fondazione dello Stato ebraico ?
Dopo sessanta anni ci troviamo di fronte a un bivio: o continuare a essere uno stato coloniale e proseguire con la guerra, mettendo seriamente in pericolo il futuro d’Israele perché - non dobbiamo dimenticarlo - viviamo in Medio Oriente, non in California. L’alternativa è fare come (l’ex presidente sudafricano) De Klerk: invertire la rotta e provare a dare ai palestinesi pieni diritti sulla loro terra, cercando di creare un nuovo sistema di pace. Altrimenti non sopravvivremo né da un punto di vista morale, né come stato, perché la guerra si espanderà a tutto il Medio Oriente.
Alcuni gruppi della sinistra italiana sono pronti a boicottare la Fiera del libro di Torino, mentre la sinistra istituzionale si oppone perché, sostiene, il boicottaggio va contro i principi stessi della cultura, provoca reazioni negative e gli intellettuali non sono responsabili delle azioni dei loro governi.
Quello che affermano è assurdo: durante il periodo hitleriano o durante l’apartheid intellettuali come Brecht e tanti altri si univano per combattere il fascismo e il segregazionismo. Gli intellettuali, assieme alle organizzazioni di base, contribuirono alla fine dell’apartheid. Gli intellettuali - che devono essere liberi - dovrebbero partecipare al boicottaggio. Un aiuto dall’Europa, che boicotti Israele non in quanto tale, ma in quanto establishment politico militare che sostiene l’occupazione, è l’unica possibilità di salvare i palestinesi e noi, gli ebrei d’Israele.
Da dieci anni, dal tramonto del movimento pacifista, siete fermi a un migliaio di “dissidenti” che manifestano contro la guerra. Perché non riuscite a raggiungere un’audience più ampia?
Perché in Israele tutte le televisioni e tutti i giornali educano la gente al nazionalismo, con un lavaggio del cervello quotidiano. Ora sono seduto, qui nel mio appartamento, e posso sentire distintamente il mio vicino che sta dicendo: “Gli arabi non sono un popolo, sono barbari, avremmo dovuto colpirli con la bomba atomica”. Quello che afferma l’ha imparato dai mass media, che creano panico e rabbia mentre i politici collaborano con l’establishment militare. Viviamo in una situazione orwelliana: ogni giorno la tv ripete quanto sia terribile vivere a Sderot, dove quasi nessuno viene ucciso. A due passi dalla cittadina israeliana c’è l’inferno di Gaza, che è diventata un ghetto.
Ma cosa possiamo augurarci in un futuro prossimo?
Io spero nell’aiuto degli europei, che i discendenti di Voltaire e Rousseau aiutino Israele, perché Israele non finirà l’occupazione fin quando l’Europa non gli dirà “basta”, perché Israele dipende dall’Europa e dagli Stati Uniti. Solo una pressione da parte dei paesi civili e democratici può cambiare la situazione e riportarci la felicità. La situazione attuale - in cui a dettar legge è l’esercito - non può essere cambiata dall’interno. Per i dolori di cui è portatrice, l’Europa non può continuare a collaborare con Israele. Io spero che in un anno o due l’Europa possa cambiare rotta.
intervista di Michelangelo Cocco
* Fonte : Il Manifesto 05.02.08
5.
Gianni Vattimo: Perché boicotto Israele
Riporto qui integralmente un articolo di Gianni Vattimo sulla Fiera Torinese che vede Israele ospite d’onore. L'articolo di Vattimo è già stato proposto all’attenzione degli Iscritti alla Societas. Viene qui riproposto ad un pubblico più vasto. Condivido integralmente l’articolo di Vattimo, ma non mi limito ad una sua semplice riproduzione di quanto apparso su “La Stampa”. Ne faccio la base per un'ulteriore rassegna stampa commentata sull’evento e sulle posizioni che si vanno a delineare. In questa ed in altre vicende che riguardano Israele è palese l’adulterazione di una verità non difficile da attingere: lo Stato di Israele nasce con la violenza, si basa sulla violenza, si mantiene con la violenza ed è la negazione stessa di ogni principio di umanità. Quel che fa specie è che trovi, in ultimo in Torino, alla Fiera del Libro, complici in un'opera di falsificazione di media, spesso economicamente e politicamente dipendenti. Con appositi trattamenti mediatici è infatti possibile presentare il nero come bianco ed il bianco come nero. Ormai le idee di verità, giustizia, pace, diritti cosiddetti umani, ecc., sono un optional modificabili e adattabili a piacimento. La dissimulata contraddizione fra l’essere e l’apparire è del resto la caratteristica della nostra epoca.
Confesso: sono uno dei pochissimi che finora hanno firmato un appello per il boicottaggio dell’invito di Israele come ospite d’onore alla prossima Fiera del Libro di Torino. Se tutti i grandi giornali italiani fanno a gara nel deprecare questo boicottaggio, vuol dire che la minaccia dell’antisemitismo non è poi così incombente. Ma non di questo credo si debba discutere. L’invito a Israele - che, a quanto ne so ma forse sbaglio, ha sostituito improvvisamente quello che era già stato avviato per avere ospite quest’anno l'Egitto - è oggetto di un boicottaggio politico, perché politica è l’iniziativa della Fiera. Chi ci accusa, noi boicottatori, di voler «imbavagliare» gli scrittori israeliani, o è in mala fede o non sa quel che si dice.
Sono argomenti terribilmente simili a quelli usati nella recente polemica sull’invito al Papa a tenere la lezione magistrale alla Sapienza di Roma: anche qui sarebbe in gioco la libertà di parola, il valore supremo della cultura, il dovere del dialogo. Dialogo? Nel caso della Sapienza, si sa che razza di dialogo era previsto. Il Papa sarebbe stato ricevuto come il grande capo di uno Stato e di una confessione religiosa, in pompa magna, così magna che persino la semplice possibilità di una manifestazione di pochi studenti contestatori a molte centinaia di metri di distanza lo ha fatto desistere dal proposito. Questo caso di Israele alla Fiera è lo stesso.
Chi boicotta non vuole affatto impedire agli scrittori israeliani di parlare ed essere ascoltati. Non vuole che essi vengano come rappresentanti ufficiali di uno Stato che celebra i suoi sessant’anni di vita festeggiando l’anniversario con il blocco di Gaza, la riduzione dei palestinesi in una miriade di zone isolate le une dalle altre (per le quali si è giustamente adoperato il termine di bantustan nel triste ricordo dell’apartheid sudafricana), una politica di continua espansione delle colonie che può solo comprendersi come un vero e proprio processo di pulizia etnica. È questo Stato, non la grande cultura ebraica di ieri e di oggi (Picchioni e Ferrero hanno forse pensato di invitare alla Fiera Noam Chomsky o Edgar Morin?) che la Fiera si propone di presentare solennemente ai suoi visitatori, offrendogli un palcoscenico chiaramente propagandistico, certamente concordato con il governo Olmert (che del resto sta offrendo lo stesso «pacchetto» anche alla Fiera del libro di Parigi, due mesi prima che a Torino).
Nei tanti articoli che ci sommergono con deprecazioni e lezioni moralistiche sul dialogo (andate a parlarne a Gaza e nei territori occupati!) e la libertà della cultura, non manca mai, e questo è forse l’aspetto più vergognoso e francamente scandaloso, il richiamo all’Olocausto. Vergogna a chi (magari anche essendo ebreo, come quelli che si riuniscono nell’associazione «Ebrei contro l'occupazione») rifiuta di accettare la politica aggressiva e razzista dei governi di Israele. Chi boicotta la Fiera di Torino boicotta «gli ebrei» (PG Battista) e dimentica (idem) i rastrellamenti nazisti e lo sterminio nei campi. Uno studioso ebreo americano, Norman G. Finkelstein, ha scritto su questo vergognoso sfruttamento della Shoah un libro intitolato significativamente L’industria dell’Olocausto (in italiano nella Bur). Proprio il rispetto per le vittime di quello sterminio dovrebbe vietare di utilizzarne la memoria per giustificare l’attuale politica israeliana di liquidazione dei palestinesi. Nessuno dei «boicottatori» nega il diritto di Israele all’esistenza. Un diritto sancito dalla comunità internazionale nel 1948; proprio da quell’Onu di cui Israele, negli anni, non ha fatto che disattendere con arroganza i richiami e le delibere.
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