martedì 7 ottobre 2008

Islamofobi: 39. Henryk M. Broder, la più rilevante figura del sionismo antislamico tedesco

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Cosa si intende qui per Israel Lobby?
«Una coalizione informale di individui e gruppi che cerca di influenzare la politica estera americana in modo che Israele ne tragga beneficio».
Ed in Italia come stanno le cose?
Stiamo cercando di scoprirlo!
«Esistono due distinti meccanismi che impediscono alla realtà del conflitto israelo-palestinese di essere giustamente divulgata, e sono i due bavagli con cui i leader israeliani, i loro rappresentanti diplomatici in tutto il mondo, i simpatizzanti d’Israele e la maggioranza dei politici, dei commentatori e degli intellettuali conservatori di norma zittiscono chiunque osi criticare pubblicamente le condotte dello Stato ebraico nei Territori Occupati, o altri aspetti controversi della storia e delle politiche di quel Paese. Il primo bavaglio è l’impiego a tutto campo dei gruppi di pressione ebraici, le cosiddette lobby, per dirottare e falsificare il dibattito politico sul Medioriente (negli USA in primo luogo); il secondo è l’accusa di antisemitismo che viene sempre lanciata, o meglio sbattuta in faccia ai critici d’Israele» (P. Barnard, Perché ci odiano, p. 206).
Come «Informazione Corretta» e altri media denigrano quanti criticano il sionismo, Israele, e gli Stati Uniti: Arbour - Blondet - Burg - Caio - Cardini - De Giovannangeli - D’Orsi - Facci - Finkelstein - Giorgio - Morgantini - Odifreddi - Paci - Pappe - Romano - Sabahi - Sand - Spinelli - Stabile - Storace - Tizio - Vattimo -

Ricerche correlate:

1. Monitoraggio di «Informazione Corretta»: Sezioni tematiche. – 2. Osservatorio sulle reazioni a Mearsheimer e Walt. – 3. L’11 settembre: misteri, dubbi, problemi. – 4. Rudimenti sul Mossad: suo ruolo e funzione nella guerra ideologica in corso. – 5. Free Gaza Movement: una sfida al blocco israeliano di Gaza. – 6. La pulizia etnica della Palestina. – 7. Studio delle principali Risoluzioni ONU di condanna a Israele. – 8. Cronologia del conflitto ebraico-palestinese. – 9. Boicottaggio prossimo venturo: la nuova conferenza di Durban prevista per il gennaio 2009. – 10. Teoria e prassi del diritto all’ingerenza. – 11. Per una critica italiana a Daniel Pipes. – 12. Classici del sionismo e dell’antisionismo: un’analisi comparata. – 13. Letteratura sionista: Sez. I. Nirenstein; II. Panella; III. Ottolenghi; IV. Allam; V. Venezia; VI. Gol; VII. Colombo; VIII. Morris; – 14. La leggenda dell’«Olocausto»: riapertura di un dibattito. – 15. Lettere a “La Stampa” su «Olocausto» e «negazionismo» a seguito di un articolo diffamatorio. – 16. La sotterranea guerra giudaico-cristiana dei nostri giorni. – 17. Jürgen Graf: Il gigante dai piedi di argilla. – 18. Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – 19. Analisi critica della manifestazione indetta dal «Riformista». – 20. Controappello per una pace vera in Medio Oriente. –

Più rilevante è la figura di Henryk M. Broder in quanto esponente tedesco di un «antiislamismo sionista». Noi usiamo l’espressione “sionismo antiislamico” a significare una differente ottica di ricerca. Così abbiamo già fatto con riferimento a Udo Ulfkotte, altrimenti indicato come un “giornalista evangelico esperto in servizi segreti”. Non sono io un grande esperto di sionismo, ma in effetti sembrerebbe ultroneo dire “sionismo antiislamico” in quanto il sionismo può essere fondatamente e fondamentalmente solo antiislamismo tout cour se si considera che l’insediamento di coloni ebrei nei territori mediorientali comportava di per sé la “pulizia etnica” delle popolazioni indigene. Se i padri di Sion ovvero i “Savi di Sion” avessero scelto altri territori su cui insediarsi dopo averli ripuliti etnicamente forse la connotazione antiislamica sarebbe venuta meno. Ma storicamente può dirsi che il sionismo sia già in origine molto più antiislamico di quanto gli islamici siano stati e siano oggi antiebraici. E ciò per semplici ragioni cronologiche nel rapporto di causa ed effetto: i coloni si insediano in territori abitati da palestinesi che ne vengono espulsi e che comprensibilmente non gradiscono il trattamento loro riservato. Da qui un giustificato risentimento. Il sionismo combatte su due fronti: uno della guerra guerreggiata in Medio Oriente, l’altro della guerra mediatica e ideologica in Europa e negli USA. Il secondo fronte non è meno importante del primo. Se venisse meno, mancherebbe il flusso continuo di finanziamenti e armamenti dall’Occidente verso Israele. Cesserebbe anche una politica di ostilità dei governi europei verso i paesi islamici, ai quali violando la loro sovranità si vorrebbe imporre con ricatti e sanzioni il riconoscimento di Israele con l’accettazione di uno statu quo contrario ad ogni senso del diritto, della giustizia, dell’umanità. Personaggi come Broder, Ulfkotte ed altri che via via andremo individuando sono dichiaratamente o meno tasselli di una guerra ideologica globale contro la quale gli amanti della pace fra i popoli possono combattere e vincere acquisendo conoscenza e consapevolezza.

Versione 1.2
Status: 9.11.08
Sommario: 1. Affinità ideologiche. – 2. La libertà di ridere. – 3. Talkshow con Broder sulla conversazione all’Islam in Germania. –


1. Affinità ideologiche. – Il cospicuo archivio di «Informazione Corretta» non contiene tutto, ma costituisce una traccia utile per una mappatura ideologica di correnti che operano in diversi paesi e che sono uniti nella loro matrice e nei loro scopi. Agli esordi di IC, quando Angelo Pezzana si era appena prefisso uno strumento di lobbying mediatica e di linciaggio dei diversamente pensanti, si trova una scheda su Henryk M. Broder. A noi qui interessa rilevare l’affinità ideologica con il sionismo operante in Italia. I contenuti corrispondono al consueto canovaccio: gli israeliani si insediano con la violenza e l’inganno nei territori palestinesi, i palestinesi che hanno subito e continuano a subire violenza devono scegliere la via del negoziato e della protesta platonico o del collaborazionismo. Considerando che il processo in atto si estende su decenni se non oltre il secolo e richiede una memoria storica che supera la durata di una generazione si insinua per questa via la pretesa del fatto acquisito, il principio di usucapione dei territori conquistati con la violenza. Il diritto di conquista è del resto un principio del diritto internazionale, almeno del vecchio diritto internazionale, oggi incompatibile con un mondo che pretende di regolare le relazioni fra i popoli sui principi del diritto e nel fermo ripudio della guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali.

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2. La libertà di ridere. – Non credo che nell’immediato andrò a leggere l’edizione italiana di un libro di Broder, uscito presso Lindau, con titolo italiano Evviva! Ci arrendiamo. La resa dell’Europa di fronte all’Islam. Se però la scheda che informa sul contenuto del libro è attendibile sono possibili alcune osservazioni, cominciando dal titolo. L’Europa, ed in particolare la Germania, si è arresa senza condizioni nel maggio del 1945. La Germania non ebbe in pratica mai un trattato di pace ed in Italia il vecchio statista Vittorio Emanuele Orlando parlò di “cupidigia di servilismo” per il modo in cui la nuova classe politica si affrettò a firmare un trattat di pace che era l’accettazione di un Diktat. Ala Germania non venne concessa neppure questo onore. Fu divisa in zone multiple di occupazione. Le donne tedesche furono stuprate dalle armate sovietiche via via che avanzano e quando non erano stuprate si davana alla prostituzione per sopravvivere. Difficile immaginare una più grande umiliazione del popolo tedesco. Ma ad infliggere tanta umiliazione a tedeschi ed europei non furono gli islamici, ma gli angosassoni di religione cristiana per un verso ed i russi atei per l’altro. Se le vignette su Maometto aveva lo scopo di far ridere qualche idiota disposto a ridere sui sentimenti religiosi altrui, farebbe meglio a ridere prima sulle proprie convinzioni. In Germania non si può proprio ridere sui tabù imposti da vincitori non islamici. Basta fare l’anagrafe di tutti i tedeschi che rischiano fino a cinque anni di carcere se appena osano mettere in dubbio la verità di stato sull’«Olocausto». Se qualcuno ci ride sopra, patisce il carcere e viene socialmente emarginato. Quindi, è del tutto incomprensibile la “riflessione” dell’islamofobo Broder che riflette sulle vignette di Maometto e non riflette sulle faccende di casa sua. Se ha tanto coraggio, potrebbe darne prova difendendo i suoi connazionali che vengono messi in carcere per ricerche connesse al cosiddetto negazionismo oppure può provare lui stesso a ridere su Auschwitz e sperimentare di quanta libertà glie è garantita nella civillissima Germania. Ma potrebbe dirsi lo stesso per Francia, Austria, Svizzera e così via. Noi in Italia ancora resistiamo, ma troviamo poco da ridere su Maometto e molto da piangere su un’Europa che non si sa bene cosa sia. Corre voce che i servizi israliani stiano fomentando e finanziando campagne islamofobe n Europa per favorire i loro piani di guerra contro l’Iran ed il mondo islamico. È normale sospettare di ogni incitazione all’odio verso gli islamici, che non ci hanno mai attaccato in questi ultimi secoli, ma che sono stati invece da noi attaccati e invasi. Trovo molto da ridere per la vicenda del cane Adolf, colpevole di aver appresso il saluto nazista, scampato alla morte ad opera del suo padrone che non poteva più pagare le multe, salvato in extremis dalla società di protezione degli animali, ma mandato in un canile di rieducazione. Non è satira, ma l’odierna verità della Germania su cui ridere e piangere al tempo stesso. Test di libertà: l’editore Lindau pubblicherà questo mio commento al libro di Broder, il più rappresentativo islamofobo tedesco?

3. Talkshow con Broder sulla conversione all’Islam in Germania. – Il video dura 25 minuti e le conversazioni sono in tedesco. Broder è solo uno dei partecipanti. Il tema riguarda i convertiti all’Islam. Non riesco a comprendere perfettamente le conversazioni. Ascolterò più volte il video, anche a scopo di esercizio linguistico, e spero di poterne trarre qualche riflessione, non già un resoconto che non rientra nei miei fini. La conduttrice si chiama Claudia Roth. Partecipano: Hadayatullah Hübsch, Konvertite 1970 zum Islam; Günther Beckstein del CSU, Innenminister Bayern;

1 commento:

Anonimo ha detto...

Salve, ti segnalo il messaggio del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, sperando ti possa servire:
Scegliere di avere figli ebrei

Riccardo Di Segni - Rabbino capo di Roma
Nell'ora di Ne'ilà 5769 - 9 0ttobre 2008

Questo momento è decisamente speciale. Le nostre Sinagoghe sono già piene, al termine di una lunga giornata di preghiera, e ancora di più si riempiranno nei prossimi minuti. La preghiera di Ne'ilà va inziata poco prima del tramonto, quando il sole all'orizzonte sfiora la cima degli alberi. Corrisponde al momento in cui venivano chiuse le porte del Beth haMiqdash, in concomitanza simbolica con il momento in cui in cielo si chiudono le porte. Aldilà di queste porte, in questi momenti, viene firmato il decreto che ci riguarda. Per questo motivo, in tutta la preghiera diremo chotmènu, "fìrmaci", a differenza di come abbiamo fatto finora, con l'espressione kotvènu, "iscrivici" nel libro della vita. Come spiegava R. Moshe Soloveitchik, "il tramonto di questa sera non è un tramonto qualsiasi, è un tramonto che porta la cancellazione di tutte colpe". Ma in che senso?

Questo è il momento raro dell'anno in cui i rabbini in tutto il mondo hanno l'occasione di parlare dentro alle Sinagoghe a un pubblico quanto mai numeroso, che forse incontreranno in altri momenti e in altri luoghi, ma non nel Bet haKeneset. La tentazione di trasformare questa occasione in uno sfogo dai toni apocalittici o peggio in un'invettiva contro chi si affaccia solo ora è certamente alta. La letteratura in proposito è ricca di abbondanti esempi. Ma bisognerebbe cercare di uscire da questo gioco rituale in cui ognuno fa la sua parte, il rabbino si lamenta e tuona, il pubblico l'ascolta più o meno pazientemente e d'accordo, e domani tutto ricomincia come prima.

Da almeno 150 anni, tempo della libertà e dell'emancipazione, il tema ricorrente e ripetitivo per questi momenti è l'abbandono delle tradizioni, del cedimento ai modelli culturali esterni, insomma l'assimilazione. Invece di preparare nuovi discorsi per l'occasione, basterebbe prendere quelli di decenni fa o anche di un secolo e più fa, alcuni anche molto belli. Non so però quanto efficaci. Perchè il desiderio di fuga dalle proprie radici, la riduzione dell'impegno ebraico sociale, prima ancora che religioso, l'idea che le regole dell'ebraismo siano un accessorio non essenziale, roba da "fissati", "integralisti", peggio ancora "talebani" e che si possa tranquillamente rinunciare a buona parte di queste regole, o le si possa trasformare a proprio piacimento, insomma tutto questo non è per niente una novità e la capacità dei maestri di Israele o dei tanti osservanti di contrastare con argomenti convincenti la diffusione di questi pensieri e di queste scelte è piuttosto limitata. Per cui si va avanti da decenni se non da secoli in questa dinamica. Con quali risultati? Ce ne è sicuramente uno, evidente nelle comunità della Diaspora, ed è quello della contrazione numerica fino alla scomparsa di interi nuclei. Roma ebraica per ora resiste abbastanza a questo fenomeno, malgrado l'abbondante diffusione di ideologie e comportamenti disgreganti, contrastata da grandi fenomeni di riavvicinamento.

Nel calendario civile oggi è il 9 ottobre, una data che ricorda qualcosa di terribile nella storia della nostra Comunità, quando nel non lontano 1982 un commando terroristico fece fuoco su chi usciva alla fine della preghiera, uccidendo un bambino e facendo decine di feriti. Da allora la nostra Comunità è cambiata in molte cose, con un processo di presa di coscienza ebraica che ha investito molti, anche se ha lasciato molti altri impassibili e indifferenti. Non possiamo nasconderci l'esistenza di coloro che sono chiamati da taluni gli ebrei "invisibili", ma che sono, più precisamente, gli ebrei assenti a qualsiasi manifestazione, religiosa politica o sociale. Anche questa sera, se si potessero sommare tutte le presenze nelle Sinagoghe, potremo pensare che ancora qualche migliaio di ebrei romani, per quanto iscritti alla Comunità, manca all'appello. Se mancano o compaiono poco i motivi sono profondi e le invettive non servono a niente. Piuttosto bisogna riflettere sui modi in cui affrontare il problema. Nel mondo religioso ebraico, molto schematicamente ci sono ora due opposte concezioni. Ce n'è una che qualcuno ha definito il darwinismo ebraico. L'idea che solo i forti sopravvivono. E i forti sono coloro che sono totalmente impegnati nell'ebraismo. Solo loro studiano, osservano, si sposano e fanno tanti figli e la possibilità che i loro figli, educati in scuole ed ambienti chiusi, scappino dall'ebraismo, si sposino all'esterno insomma si allontanino e scompaiano per sempre è estremamente bassa. Su tutti gli altri, secondo questo pensiero, è inutile investire risorse. Se noi guardiamo a quello che succede in alcune comunità italiane e in molte altre dell'Europa e degli USA saremmo tentati di dare ragione a questa triste analisi. Ma per fortuna questa non è la sola opinione. Pensare ad un ebraismo chiuso e di pura elìte è veramente rischioso. Chissà chi è colui che ha i requisiti necessari per entrare nel club riservato. Già ce ne sono molti di questi piccoli club, e non si risparmiamo tra loro ostilità e antagonismo distruttivo.

Ma prima dell'analisi sociologica, valgono gli insegnamenti dei Maestri e la riflessione su quello che abbiamo letto e fatto in questa giornata e quello che attendiamo per quest'ultima ora. Kippur è il giorno in cui sono state date per la seconda volta le tavole della legge. Dopo la prima promulgazione, quella di Shavuot, ci fu il dramma del vitello d'oro e la messa alla prova di Mosè, a cui D. propose di distruggere il popolo ebraico esistente, facendone nascere uno nuovo dalla sua famiglia. Mosè rispose no, devi perdonare tutti, altrimenti comincia a cancellare me. Da qui nasce il Kippur. La risposta ai gravi problemi della nostra continuità non può essere elitaria, selettiva, dei cosiddetti forti. Deve essere collettiva. Questo è sempre stato l'orientamento del rabbinato italiano e questo è stato il senso della forma organizzativa delle nostre comunità, una casa comune per tutti. Questa sera dobbiamo pregare tutti per tutti, ciascuno per sé e per gli altri. I Maestri ci hanno insegnato che la nostra capacità di giudicare gli altri è limitata e fallace. Non spetta a noi il giudizio su chi è il buono. Ma tutto questo non ci esonera dalla responsabilità e dal dovere di chiederci cosa stiamo facendo per il nostro futuro. Perchè se la fuga dall'ebraismo non è una novità, l'emergenza della continuità, il rischio della sopravvivenza è una realtà di cui dobbiamo essere coscienti.Tenendo presente un dato tanto chiaro quanto non facile da accettare. Se questa è e deve essere, come si è detto, la casa di tutti, è attraverso l'obbligo dell'educazione e la scoperta delle nostre regole che si assicura continuità. Le regole sono quelle della solidarietà sociale, ma anche quelle che ci santificano, come il Sabato, e che stabiliscono come si è ebrei. I problemi non si risolvono cambiando le regole, ma rispettandole. Per spiegare meglio questo concetto vorrei usare le parole di rav Jonathan Sachs, rabbino capo del Regno Unito:

Essere ebreo significa essere membro del popolo del patto, essere erede di una delle fedi più antiche, durature e ispiratrici di rispetto. Significa ereditare un modo di vita che ha guadagnato l'ammirazione del modo per il suo amore della famiglia, la devozione all'educazione, la sua filantropia, la sua giustizia sociale e la sua dedizione infinitamente leale ad un unico destino. Significa sapere che questo modo di vita, trasmesso dai genitori ai figli fin dai tempi di Avraham e Sara, può essere sostenuto solo attraverso la famiglia; consapevoli di questo significa scegliere di continuare creando una casa ebraica e avere figli ebrei

Sempre rav Sachs ci propone quest'ultima considerazione: quando il patriarca Avram ricevette grandi promesse per il suo futuro, la sua risposta fu una domanda: "Signore D., cosa mi potrai dare se rimango senza eredi?" (Bereshit 15:2). Malgrado tutte le turbolenze economiche all'orizzonte, siamo, almeno politicamente, in un raro periodo di tranquillità, in cui dopo terribili eventi il popolo ebraico vive in relativa pace e prosperità; proprio ora la stessa domanda di Abramo si ripropone con forza e deve far pensare: cosa potremo avere se non avremo discendenti?
Riflettiamo su questi temi nel momento unico in cui si chiudono le porte del cielo, seguendo con attenzione la tefillà, ricevendo la benedizione e ascoltando il suono dello shofàr.

Che sia un anno pieno di benedizioni per tutti; chatimà tovà.

Riccardo Di Segni
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Kolòt-Voci - Newsletter di Morasha.it a cura di David Piazza
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