giovedì 29 ottobre 2015

Letture: 6. Benny MORRIS, Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001, Rizzoli BUR 2005.

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È la storia raccontata da parte sionista. I miei detrattori non potranno certo accusarmi del fatto che io non legga e studi i loro libri. Anzi direi che come metodo prediligo i libri e le tesi contrapposte a quelli che potrebbero essere i miei naturali orientamenti. Vado perfino ai loro convegni e seminari, se ciò non riesce pericoloso per la mia incolumità. Non ci vado né per provocare né per animosità, ma perché credo che il principio del contraddittorio, onesto e non prevenuto, sia il solo metodo con cui ci si può avvicinare a ciò che si ritiene “vero” o “falso”, “giusto” e ingiusto”. Il libro è di 940 pagine e dopo averne iniziato la lettura, giaceva da tempo in uno scaffale. Lo riprendo per il piano di letture che ho già descritto in precedenti introduzioni. Una prima osservazione sul sottotitolo: il termine “conflitto”. Il termine è stato criticato da un collega di Morris, pure lui annoverato fra i “nuovi storici” israeliani. Mi riferisco a Ilan Pappe che in un seminario tenutosi a Roma, e che avrebbe dovuto svolgersi alla Sapienza, ebbe a dire che respingeva il concetto insito nella parola “conflitto” perché esso rinviava a una “dualità”, che è invece assente nella intenzionalità, nella programmazione, nella disparità di forze e armamenti, della invasione della Palestina, nella programmazione concettuale della “pulizia etnica”. Si ha “conflitto” con un “nemico”, al quale si dichiara “guerra” per l’insorgere di un “casus belli” e con il quale alla fine si potrà concludere una “pace”, sancita da un “trattato”, riconosciuto da ambo le parti. Niente di tutto ciò è mai esistito “arabo-sionista”, dove almeno è importante che si usi il termine “sionista” anziché “israeliano” o “ebraico” o “giudaico”. Addirittura per i sionisti i palestinesi semplicemente non esistevano, essendo la Palestina un territorio senza popolo, che aspettava giusto un popolo per abitarlo, cioè quello “ebraico” guadagnato al “sionismo”. Ricordo qui en passant una citazione tratta da un libro di Ghada Karmi, cui verrà dedicata apposita scheda. Si narra di un gruppo di rabbini che avevano inviato in Palestina un loro delegato, agli inizi del secolo scorso, per valutare la fattibilità del progetto sionista di popolamento della Palestina. Il delegato trovando non un territorio deserto e disabitato, ma al contrario pienamente popolato, mandò un telegramma a Vienna dove si diceva che la sposa, cioè la Palestina, era sì bella, ma “sposata a un altro uomo”, cioè i palestinesi. La tesi della terra disabitata circolava moto negli USA in un libro di cui non ricordo il nome, ma di cui ha fatto giustizia Norman G. Finkelstein. La tesi però continua a circolare e ha una sua estremizzazione nella pretesa che i palestinesi “non” esistano e non siano mai esistiti in quanto non sarebbero un “popolo”... Assurdità di cui ci occuperemo in altre specifiche letture. Intanto, ai fini della protezione dei “diritti umani” osserviamo che in nessun caso si ha il diritto di massacre donne, uomini, bambini, qualunque sia il modo in cui siano sociologicamente strutturati.

Non ci piace l’esordio: «Il conflitto tra arabi e sionisti dura ormai da oltre un secolo [meno male che lo riconosce pure lui, NdR], Quasi dal primo momento, è stato trattato con manifesta da commentatori e storici di entrambi gli schieramenti, oltre che dagli osservatori stranieri» (p. 9). La migliore replica è data da Ilan Pappe quando respinge la “dualità” implicita nella nozione di “conflitto” secolare fra arabi e sionisti. Vi è solo l’aggressione unilaterale e secolare da parte del sionismo. La richiesta fatta a chi legge di essere “neutrale”, “obiettivo”, significa innanzitutto chiedergli a priore di accettare una interpretazione storica impostata sulla “dualità” del conflitto anziché sulla “unilateralità” dell’aggressione, della pulizia etnica, del genocidio. Le prospettive cambiano come il giorno e la notte. Qui non si tratta di “partigianeria” ma di accettare o meno la tragedia storica di un lungo “genocidio”, quello del popolo palestinese, che inizia nel 1882 quando i primi sionisti mettono piede in Palestina, avendo chiaro in testa ciò a cui puntavano, e continua ancora oggi nel 2016. Il libro comunque con le sue 800 pagine è inferiore, non solo per pagine, ai tre volumi di Alan Hart, con i quali confronteremo le tesi di Benny Morris, forse il principale storico dichiaratamente sionista, della stessa generazione di Ilan Pappe: insieme vengono annoverati fra i “nuovi storici” israeliani, ma sono alquanto diversi l’uno dall’altro. Sulla critica al “dualismo” mi accorgo di averne prima accennato... Ho già spiegato alla noia le caratteristiche di questa scrittura in progress, del tutto diversa dalla scrittura tipografica... Quando e se riterrò concluso questo post (articolo, voce, saggio... con lo si vuol chiamare, per non usare l’inglesismo “post”), mi riservo una revisione formale complessiva.

Intanto, osservo che è alquanto fastidioso doversi alzare dal divano per venire qui alla tastiera e annotare ogni volta ciò che mi urta nel proseguire la lettura del libro. Non lo farò sempre, sperando di ricordare poi nella scrittura le obiezioni al testo sorte in corso di lettura. Dico ora che Morris già inganna nel momento in cui traccia richiami storici ai tempi biblici. La storia che qui unicamente ci deve interessare è quella dal 1882 in poi, cioè da quando sorge la pretesa sionista di scacciare dalla loro terre quelle popolazioni della regione che allora si chiamava Palestina (per la denominazione Israele occorre aspettare il 1948) ed era parte integrante dell’Impero Ottomano, che per quanto possa ora giudicare trattava e governava meglio quella terra e con più giustizia che non durante il Mandato britannico o la diretta occupazione israeliana, dal 1948 in poi.

No!... Proprio non mi vuol lasciare riposare Morris, sul mio divano, a fare la siesta leggendo di solito un libro... Qui Morris sarebbe proprio da bocciare all’esame di storia, quando scrive o lascia intendere, sappiamo perché, scrive che: «Il periodo dell’indipendenza ebraica ebbe fine con l’invasione romana e la repressione di due ribellioni...» (p. 14). Non è così e Morris opera una deliberata falsificazione. Gli rispondo a mente con un brano di Ilan Pappe, suo collega, un brano che trascriverò di seguito integralmente quando con un poco di lavoro ne avrà ritrovato la pagina. Per ora cito a mente. Anche Pappe, in altro libro diverso da quello sua più noto sulla “Pulizia etnica della Palestina nel 1948”, ricostruisce per sommi capi la storia della Palestina antica del millenni prima di Cristo, facendo l’elenco delle potenze che sulla Palestina hanno esercitato quello che noi oggi chiamiamo la “sovranità”... Assiri, babilonesi, egiziani... In questa successione di Imperi il periodo in cui la Palestina o Giudea come a seconda dei tempi la si debba chiamare ebbe una sua propria e autonoma sovranità territoriale si riduce a poche decenni, forse una cinquantina d’anni. Il brano di Pappe era molto efficace ed era evidente che si trattava di una risposta polemica alla mitologia storica che collega la storia odierna della potenza coloniale occupante, lo Stato di Israele, ancora sostenuto dall’Impero americano, alla storia antica del popolo biblico... Una bufala storica della quale ha fatto giustizia un altro ebreo israeliano, Shlomo Sand. La questione però è trattata dalla propaganda, Hasbarà, sostenuta con ogni mezzo dai media, dalla politica, dagli eserciti degli agit-prop, ed il massimo di cui ci si può appagare e accontentare è di restare immuni da questa propaganda...

Nell’ultimo quarto  del XIX secono «acquisti di  terreni degli effendi da parte dei sionisti» (p. 16) è già parte della storia della pulizia etnica che nel 1948 semplicemente getterà la maschera che aveva nel 1882. Non si tratta di uno sfratto dalla casa in cui per una vita si è abitata in affitto, come a Roma sanno molte famiglie di sfrattati. È qualcosa di ben diverso e di ben più grave... che la propaganda è ben lungi dal far capire. La strategia narrativa di Morris è ben chiara fin dalle prime pagine. Se dovessi qui metterne ad annotare ogni sua pagina ne verrebbe un libro di più pagine di quante Morris non ne abbia scritte: non ho il tempo né un finanziatore e soprattutto non ne ho la voglia. Cerhcerò quindi di arrivare alle fine del libro, come programmato, astenendomi il più possibile da commenti analitici. Un giudizio complessivo e riassuntivo verrà dato in corso di lettura.

Una rapida annotazione per porre all’attenzione che i pogrom in Russia sono successivi alla data del 13 marzo 1881, quando fu assassinato lo Zar e ne fu data la colpa agli ebrei... Uno solo degli attentatori pare fosse ebrei... ma non è questo il punto. Una delle ragioni fondative della dottrina politica del sionismo è stata l’esistenza dei pogrom e del relativo antisemitismo... Ma qui dobbiamo aprire un’altra scheda di lettura: i due volumi di Solgenitsin, Due secoli insieme... Li abbiamo già letti, ma sarà il caso di rileggerli, per avere una polifonia di voci fra loro collegate...Più tardi svolgerà analoga e più potente funzione l’«Olocausto»... Un’obiezione metodologica che si potrebbe fare è la seguente: un conto è il problema dell’equiparazione dei diritti e dei doveri, o della condivisione di una stessa identità politica (senza riserve, senza se e senza ma) all’interno di una stessa unità politica, dentro uno stesso concetto di popolo (anche distinto in diverse nazionalità); altro conto è che una minoranza, anche discriminata, si metta in testa di essere un “popolo” a sé stante, e vada a fare “piazza pulita” di un altro popolo, per occuparne il territorio... Utile la lettura di Bernard Lazare, da noi già letto e di cui appronteremo altra scheda di lettura ed analisi. In ultimo, sono poi da porre questioni di teologia politica e le relazioni nel tempo fra i tre monoteismo evolutosi dall’originario giudaismo (il più primitivo e antisociale, a suo volta importato dall’Egitto), dal cristianesimo (che tenta l’universalismo improntato all’amore del prossimo, senza “elezione” ed “esclusione”) fino all’Islam (che conosciamo poco ma che attinge dagli altri due, forse prendendo il meglio e correggendone i difetti). Non per nulla, oggi, il giudaismo si limita a poche migliaia di aderenti, se si considera autentico in quanto esclusivamente religioso il giudaismo dei Neturei Karta e spurio il giudaismo di Stato (pochi milioni) dell’ebraismo israeliano e relative appendici nella «Diaspora».

La narrazione di Morris è chiaramente di partigiana, ossia di parte sionista. Chi ha già una sufficiente conoscenza del tema non ha difficoltà a comprendere il “filo”, le tesi, le coperture, le apologie...  diciamo il gioco narrativo, non propriamente limpido e pulito. Ma questo non significativa che la lettura non sia istruttiva e che possano perfino apprendersi cose che si ignoravano. Ad esempio, ben sapevo che i primi coloni sionisti, nel 1882, erano denominati “Biluim”, ma non sapevo che dalle ambasciate turche all’estero era sorvegliati fin dalla loro partenza, dai luoghi di provenienza prima di sbarcare il Palestina, dove il loro ingresso era... illegale! Trascrivo il brano che segue:
«Le autorità ottomane sorvegliavano attentamente le attività dei sionisti sia nell'impero sia in Europa, in special modo in Russia. Il 28 aprile 1882, quando i primi biluim non erano ancora salpati da Odessa per la Terra d'Israele, il console generale turco fece affiggere un avviso in cui si dichiarava che nessuno di loro sarebbe stato autorizzato a rimanere in Palestina. Lo stesso giorno in cui il primo gruppo di 14 biluim s'imbarcò per Giaffa a Costantinopoli, cioè il 29 giugno 1882, il governatore della capitale ebbe l'ordine di impedire a qualsiasi ebreo russo, rumeno e bulgaro di sbarcare a Giaffa o Haifa. L’anno seguente gli fu ordinato di fermare la vendita di terre imperiali agli ebrei, anche se cittadini ottomani».
Dunque, non solo non erano graditi agli ebrei autoctoni, cosa che già sapevo, avendolo letto qua e là, ma erano addirittura una sorta di clandestini, di illegali. Fantastico! Non è stato un venirsene alla chetichella, di nascosto, senza dare nell’occhio, ma il disegno sionista era perfettamente chiaro fin dall’inizio alle autorità politiche, che non necessariamente erano mossi dai timori timori per il fatto che detti coloni provenissero dall’Impero zarista, “arcinemico della Turchia”, o potessero essere essere “agenti reali o potenziali dell’infiltrazione ed espansione straniera”. Queste sono soltanto congetture alla Morris, ma il fatto in sé prescinde dalla stessa esistenza dell’Impero ottomano e sarà la causa permanente, la maggior causa, del conflitto mediorientale, come possiamo apprendere da altra “scheda di lettura”, il libro di Mariantoni, “Gli occhi bendati sul Golfo”, alla quale si rinvia. Anche nel libro di Morris compare la celebre risposta del Sultano, con la quale si rifiutano i miliardi degli ebrei che pensavano di comprarsi la Palestina con in soldi, ma per Morris il Sultano diede la famosa, dignitosissima risposta, attraverso un soggetto terzo, per non cadere in tentazione davanti all’offerta dei soldi! Incredibile! Fantastico! Se queste sono le prime pagine della Narrazione di Morris, è facile prevedere cosa ancora possa aspettarsi il Lettore. Ma andremo avanti! La sola difficoltà, fastidiosa, è venire ogni volta qui alla tastiera, per rilevare la perla appena letta... Cercheremo di leggere di corsa senza fermarci troppo, come Dante nel suo viaggio infernale.

Che tipo, questo Morris! Per non dire di peggio...  Se la sciala mentre narra la pratica diffusa della corruzione, da parte ebraica, per eludere tutti i divieti e i controlli. Perfino la famosa visita di Herzl presso il sultano - apprendiamo, ma non lo sapevamo - era avvenuta grazie a una bustarella... Ed in effetti che il Sultano potesse degnare di una visita il signor Herzl, ci sembrava un poco strano... Ma se è così, e Morris dice che così è, allora dovrebbe accorgersi che anche che una certa lettura - che non citiamo per titoli - parlano della pratica della “corruzione”, beninteso sono delle falsità, ma la la falsità in cosa consisterebbe? Quando parlano di pratica ebraica della corruzione? Esiste o non esiste una simile prassi balsamica? Qui, Morris dice che esiste ed è alle origini della storia gloriosa del sionismo. Ho citato spesso, a memoria, una tabella demografica che per l’anno 1861 mi dava una percentuale del 3,5 % per misurare la consistenza della popolazione ebraica autoctona presente in Palestina quell’anno, a fronte del 5 % da arabi palestinesi e del 90 % di popolazione palestinese musulmana. Nella stessa tabella demografico - cito a memoria - ricordo come per l’anno 1915 risulta un incremento del 3,5 % a circa un raddoppio della popolazione ebraica, come dice Morris per gli anni dal 1882 al 1914. Ma nella Tabella non è però scritto che è un raddoppio, illegale, dovuto a una pratica diffusa della corruzione. Morris lo dice, a me sembra, con quella caratteristica che sembra peculiare del carattere ebraico: lo chutzpah, la cui migliore definizione penso sia quella data da un’ex spia del Mossad, in un libro, intitolato Attraverso l’inganno, di cui faremo apposita scheda di lettura, appena lo ritroveremo. Si può ben dire che Benny Morris esca fuori dalla tradizione di un Tacito, che narrando rivelava pur sempre un senso dell’etica, pur nella spietata oggettività della narrazione, ed introduca un nuovo genere storiografico: la narrazione chutzpah!

(segue)

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