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Il volume, del 1987, di Francesco Spadafora è ricco di dottrina per chi è interessato a seguire i passaggi dottrinali e pastorali attraverso è mutato nella chiesa cattolica la considerazione e l’atteggiamento verso gli ebrei. È materia più politica che teologica. Il cardinale tedesco Agostina Bea ebbe una parte determinante in questa operazione e potrebbe materia avvincente come quella di un romanzo seguirne i passi e le trame. Per secoli, anzi millenni, si è predicato che Cristo è morto in croce, sappiamo come e per chi. Poco ci manca che si venga a insegnare che è morto sì in croce, ma a causa di un banale raffreddore, e che i Vangeli stessi vengano censurati in quanto “antisemiti”. Chiaramente, nessuna persona di sano buon senso, soprattutto oggi, si sogna di addossare responsabilità penali a nessuno per un fatto religioso che per quanto ci riguarda consideriamo metastorico. In un’epoca determinata del mondo antico si è voluto passare da una forma religiosa più antica che ormai appariva barbara, rozza e feroce, oggi si direbbe “fondamentalista”, ad una nuova forma religiosa, il cristianesimo, che superava e lasciava dietro di sè, una forma arcaica, il giudaismo, improponibile per i nuovi tempi nel clima universalistico del mondo ellenistico, una nuova forma che recepiva quanto possibile della cultura politica, filosofica, religiosa dei greci e dei romani. In epoca recente, dopo gli esiti della seconda guerra mondiale, i mutati equilibri di forza e di potenza degli Stati, si facevano sentire nel corpo dottrinale della chiesa cattolica, solo in apparenza immutabile. Il dotto libro di Francesco Spadafora, pur fermo al 1987, segue con perizia tutti questi passaggi, o almeno fornisce una traccia al profano che voglia addentrarsi in questi studi. Noi noi, perché questi studi ci porterebbero lontano dai nostri interessi attuali e soprattutto perché il nostro approccio a questa problematica è diverso da quello dell’uomo di fede, del pio e praticante cattolico. Troviamo però utile alla comune riflessione estrarre una serie di citazioni contenute nel libro di Spadafora e tentare su di essi una riflessione. Per uno studio più attuale, ossia corrente e aggiornato al presente, ci sembra che il nome più adatto che possiamo fare, a nostra conoscenza, sia quello di don Curzio Nitoglia, ai cui numerosi scritti in rete rinviamo. La prima citazione che ha particolarmente attratto la nostra attenzione nel libro di Spadafora è dell’«ebreo» Raymond Aron, ben noto agli studiosi di argomenti sociologici e politici. Che egli sia “ebreo” è cosa ai più ignota e del tutto indifferente e ininfluente, ma nel brano che segue egli si pronuncia, in quanto ebreo, sui fondamenti di legittimità dello Stato di Israele, autoproclamatosi tale, poco curandosi di quella “unilateralità” che invece è opposta alla creazione di uno Stato palestinese. Ma ecco il brano, di cui ci riserviamo nel tempo ulteriore commento:
1.
Raimond Aron
Raimond Aron
(1905-1983)
Uno Stato nato con la spada
Raymond Aron |
«Lo stato laico d’Israele, costituito e mantenuto con la spada, non è meno paradossale della Diaspora. Sarebbe un errore riconoscere al sionismo un valore religioso. La costituzione, in Palestina, di uno Stato che si dichiara laico e la cui popolazione viene in maggioranza dalle comunità giudaiche della diaspora, non è un elemento della storia sacra, essa non può essere interpretata come il compimento delle profezie escatologiche. Qualunque siano le citazioni dalla Bibbia o dal Talmud sarebbe prostituire la fede interpretare lo Stato d'Israele in rapporto alle promesse millenaristiche. Tutti i Giudei, credenti o non credenti, cittadini d’Israele o di un altro paese, devono riconoscere che la creazione dello Stato d’Israele è un episodio della storia tutta umana, non una fine o una svolta della storia del popolo giudaico in rapporto a Dio»*.
La citazione è tratta da Les Juifs et l’Etat d’Israël, uno studio che si trova nel Figaro littéraire del 24 fev et 17 mars 1962, p. 478. Spadafora lo cita a pag. 16-17, ponendola in relazione al Cardinale Charles Journet (1891-1975), il quale interpretando le profezie messianiche, “realizzate in Gesù N.S.”, in relazione al «ruolo» “religioso” del risorto Stato d’Israele, citava appunto il «rifiuto» di Raymond Aron, ebreo, davanti a una siffatta rappresentazione religiosa, anzi pseudo-religiosa, che poche righe sopra era invece fatta propria dalla III Conferenza dei rabbini europei (Parigi, 14-16 nov. 1961), i quali riaffermando 6 principi fondamentali del giudaismo, così formulavano il 4°: «La Terra Santa ha un ruolo capitale nei destini dei giudaismo e la resurrezione dello Stato d’Israele deve essere considerato come il segno manifesto della Provvidenza» (Spadafora, p. 16).
Da profani qual siamo, i segni che noi vediamo in questi giorni sono giovani, poco più che bambini, i quali privati spesso dei loro genitori, uccisi senza troppi scrupoli, vanno incontro a morte certa contro feroci gendarmi, soldati, poliziotti, coloni armati di tutto punto brandendo nient’altro che un coltello, più che strumento di offesa, mezzo per affermare una volontà, legittima, di resistenza ad una occupazione, ad una pulizia etnica, che risale a molti anni prima delle loro nascita. Se questo è un «...segno manifesto della Provvidenza», vuol dire che la sensibilità religiosa, almeno nella bocca dei suoi ministri, è davvero degradata alla più feroce barbarie.
NOTA
* La citazione sopra data di Raymond Aron, ebreo, nato nel 1905, morto nel 1983, ci sembra assolutamente chiara e decisiva per quello che riguarda i fondamenti di legittimità dello Stato di Israele. Il libro di Spadafora è del 1987. La citazione era stata fatta dal card. Journet, nato nel 1891, morto nel 1975 e risaliva al 1962. Non ho una conoscenza approfondita dell’opera di Aron e non saprei se il giudizio sopra dato su Israele nel 1962 sia stato ribaltato nei successivi 20 anni di sua vita. Al momento non mi è noto in Aron un ribaltamento di giudizio e a quanto pare non risultà agli autori che lo hanno citato, card. Journet e Spadafora. Perché questa premessa? Perché in data odierna trovo una nuova citazione di Aron, direi a sproposito, fatta da un rabbino (vedi qui), che suon così:
* * *
Card. Charles Journet |
Da profani qual siamo, i segni che noi vediamo in questi giorni sono giovani, poco più che bambini, i quali privati spesso dei loro genitori, uccisi senza troppi scrupoli, vanno incontro a morte certa contro feroci gendarmi, soldati, poliziotti, coloni armati di tutto punto brandendo nient’altro che un coltello, più che strumento di offesa, mezzo per affermare una volontà, legittima, di resistenza ad una occupazione, ad una pulizia etnica, che risale a molti anni prima delle loro nascita. Se questo è un «...segno manifesto della Provvidenza», vuol dire che la sensibilità religiosa, almeno nella bocca dei suoi ministri, è davvero degradata alla più feroce barbarie.
NOTA
* La citazione sopra data di Raymond Aron, ebreo, nato nel 1905, morto nel 1983, ci sembra assolutamente chiara e decisiva per quello che riguarda i fondamenti di legittimità dello Stato di Israele. Il libro di Spadafora è del 1987. La citazione era stata fatta dal card. Journet, nato nel 1891, morto nel 1975 e risaliva al 1962. Non ho una conoscenza approfondita dell’opera di Aron e non saprei se il giudizio sopra dato su Israele nel 1962 sia stato ribaltato nei successivi 20 anni di sua vita. Al momento non mi è noto in Aron un ribaltamento di giudizio e a quanto pare non risultà agli autori che lo hanno citato, card. Journet e Spadafora. Perché questa premessa? Perché in data odierna trovo una nuova citazione di Aron, direi a sproposito, fatta da un rabbino (vedi qui), che suon così:
«Per dirla con le parole di Raymond Aron: “Il fenomeno decisivo è quello rappresentato dalle forme di odio astratto, l’odio per qualcosa che non si conosce e sul quale vengono proiettate tutte le riserve di odio che gli uomini sembrano possedere nel fondo di loro stessi”» (Fonte).E ci risiamo con questa storia dell’«odio»! Non a breve, ma mi riservo fra qualche anno uno studio rigoroso e approfondito su quanto Spinoza diceva a proposito di odio e di cultori dell’odio. Di certo ognuno è in grado di vedere quante attestazioni di amore verso i palestinesi e i goym in genere viene erogato da chi si professa vittima dell’odio altrui. La beffa è poi in un abominio legalizzato per cui se io odio te mi mandi in galera, se invece sei tu a odiare me, non ti viene rimproverato nulla, ma al contrario ti si riconosce un diritto e ti assegnano nuovi privilegi e garanzie. Orwell non era giunto ad immaginare tanto... Tornando ad Aron, ci sembra un chiaro rovesciamento della frittata ed una pessima filologia del pensiero e della posizione fondamentale di un autore rispetto al punto della questione. Quanto al “qualcosa” da conoscere o non conoscere, se si tratta dello Stato di Israele, Aron nel brano citato dimostra di sapere bene di cosa si tratta. Quanto poi all’«odio» - sappiamo da Spinoza – essere una malattia, passeggera, dell’animo umano, che in quanto persegue la pienezza dell’essere è spinto a liberarsi dalle malattie che lo insidiano. Ma anche stando a una singola malattia, quella dell’«odio», è difficile, arduo, impossibile immaginare un “odio” che non abbia un ben preciso e determinato oggetto ed anche una causa, giusta o ingiusta che sia. Inoltre, immaginare che una “vittima” non solo non debba provare più che giustificato “odio” per il suo “carnefice” debba poi anche “amarla”: mi pare si chiami rapporto “sadomasochista” fra il carnefice che gode nel torturare la sua vittima e la vittima stessa che perversamente gode nell’essere torturata e umiliata... In realtà, tutti i discorsi sull’«odio» sono una creazione della propaganda di un «Occidente», di cui - a sentire il rabbino – Israele e/o l’ebraismo è la parte più caratterizzante. Sarà saggezza ed abilità talmudica, di quel Talmud che dovrebbe essere tradotto in italiano per giunta a spese del contribuente italiano, ma è una saggezza che non invidiamo affatto e che non osserviamo come modello da raggiungere e cui ispirarci. Lungi dall’essere e dal voler diventare un esperto di ebraismo, mi oriento quanto basta, attingendo da ciò che della loro religione dicono i rabbini di Neturei Karta, che considerano appunto lo Stato di Israele una bestemmia davanti a Dio. Il restante “ebraismo” – lo strato sociale comunemente indicato con questo nome – è per me “qualcosa” che attiene alla politica con le cui categorie concettuali unicamente può e deve essere considerato: né un popolo né una religione, ma qualcosa che attiene alla politica degli stati.
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