sabato 10 ottobre 2015

Gilad Atzmon: «Si accoltellano l’un l’altro». - Riflessioni sul sionismo alla prova dei fatti

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Non sono purtroppo bravo con l’inglese come lo è Egeria. Mi metto però senza indugio a leggere e tradurre in tempo reale questo post (articolo) di Gilad Atzmon che mi giunge per email, ma è già presente nel suo blog per chi preferisce direttamente il testo originale. Tradurre un testo nella propria lingua è un modo per ripensarlo e renderlo proprio. Esso mi appare come una sorta di pronta e tempestiva replica alla conferenza di David Sheen che si è tenuta mercoledì scorso. Intanto, divampa «l’intifada dei coltelli”. Può essere questa l’occasione, ahimé tragica, per una maggiore consapevolezza di quale pericolo il sionismo rappresenti per la pace nel mondo.  Anche dalle interviste fatte a David Sheen, in margine alla sua conferenza e testimonianza, sembra che non si sia inteso o non si voglia o non si sia in grado di intendere la reale questione del sionismo. Non è qualcosa che si possa aggiustare con un poco di buona volontà, che buona non si è mai dimostrata dal 1948 ad oggi, per non voler risalire ancora più indietro nel tempo. Dice Atzmon del sionismo: è “primatismo razziale a carattere globale”, dove “globale” significa che oltre ad essere “originario” la sua presenza, i suoi effetti, la sua origine, la sua forza si trova tanto a Londra quanto a Roma. A David Sheen, citando Gilad Atzmon, ho fatto una domanda sulla natura del sionismo, ma la risposta non è stata per me soddisfacente. Il problema del “razzismo” – che pure si riconosce come indubbiamente esistente nella società israeliana odierna – non si risolve facendolo semplicemente “conoscere”: chi deve e vuole sapere, già sa tutto quel che c’è da sapere. Si tratta di sapere se questo “razzismo” è un fatto sostanziale, ideologia fondativa dello «Stato ebraico di Israele» oppure se è un fatto accidentale, marginale, riformabile come forse credono gli attivisti del BDS, di cui anche David Sheen è componente. È davvero curioso come politici alla Netanayu non comprendano che un movimento riformista quale il BDS è un estremo tentativo di salvare lo «Stato ebraico di Israele»: per simili inguaribili e implacabili fanatici i nemici non sono mai abbastanza nemici e gli amici mai abbastanza amici. Quindi, per il resto di noi goym non si tratta non tanto di conoscere e far conoscere ciò che è, ma di decidere cosa si vuol fare, se si vuole non solo accettare ciò che è, ma se addirittura si vuole o non vuole essere complici degli accoltellamenti in corso per un verso e della progressiva distruzione della nostra identità di “goym” (esseri inferiori, come riferisce David Sheen) e del nostro sistema di diritti. Trattandosi di concetti assai delicati, dove le minime sfumature sono importanti, la nostra traduzione e introduzione può essere rivista ad ogni momento. Intanto però lasciamo la parola a Gilad:

GILAD ATZMON
Si accoltellano l’un l’altro
(Fonte)

Quanti erano così ingenui da accettare l’idea che la lotta israelo-palestinese sia un “conflitto politico”  dovrebbero riconsiderare la loro percezione di questa materia. Le immagini di israeliani e palestinesi che, motivati da ragioni religiose, si accoltellano l’un l’altro con coltelli e cacciaviti rivelano una verità semplice e innegabile: stiamo assistendo a un colossale conflitto etnico e religioso. A differenza delle “dispute politiche” quelle raramente si risolvono, se va bene. Simili controversie possono essere momentaneamente sospese. L’attuale conflitto in Israele è violenza ad un livello sommamente personale. Tragicamente, questo fenomeno è un tema persistente nel corso della storia ebraica.

Lo Stato Ebraico era nato, in parte, per fornire un rifugio sicuro agli ebrei. Negli anni 1930-40 gli ebrei europei furono brutalmente molestati per le strade e uccisi impunemente. Il sionismo prometteva di porre rimedio a questa situazione; ma promise anche di reinventare l’ebreo, per farlo diventare un essere amabilmente civilizzato tramite un “ritorno a casa”. Il fallimento del sionismo è però diventato sempre più evidente. Non solo Israele ha omesso di fornire la merce; Israele è oggi il solo luogo nel mondo, dove gli ebrei sono inseguiti per le strade e accoltellati per il solo fatto di essere ebrei. Oltretutto, Israele, che ha promesso di fare omaggio al mondo di un caso primario ed esemplare di ebraica esistenza etica collettiva, ha dimostrato di essere esattamente il contrario. Israele è una manifestazione radicale del razzismo ebraico. È un’amplificazione mostruosa del sintomo ebraico. Il sistema legale israeliano è orientato sull’idea della razza ed è intrinsecamente primatista. Le politiche israeliane sono spesso criminali ed equivalgono al genocidio. Gli orientamenti politici dei laici israeliani sono in linea con l’interpretazione più radicale dello sciovinismo tribale giudaico.

Mentre il comportamento politico è comunemente strutturato come un tentativo istituzionalizzato per far avanzare idee o obiettivi particolari, in Palestina vediamo in questo momento l’opposto: un’espressione finale di stanchezza della politica e dei politici. I giovani, ebrei e arabi, si accoltellano l’un l’altro.  Mentre la politica mira a incanalare aspirazioni personali in un modo di pensare collettivo, l’individualizzazione della violenza è un sintomo dell’esasperazione contro la politica. Il giovane o la giovane palestinese shaid (martire) sacrificano il loro futuro e talvolta la vita sull’altare della liberazione finale, cioè l’emancipazione dalla realtà senza speranza imposta dal razzismo ebraico.

Gli esponenti della Scuola di Francoforte e i mercanti della politica identitaria possono intervenire a questo punto e offrire il loro cliché preferito: “ciò che è personale è politico”. La realtà in Palestina suggerisce il contrario. Per il palestinese l’ambito strettamente personale è un vicolo cieco e un fine a se stesso. Il semplice atto privato di violenza è tanto il fine quanto il mezzo e ha poco a che fare con la politica. Si tratta di un ripudio totale della politica; la violenza offre un’eroica redenzione dalla politica futile che non conduce da nessuna parte.

Dal punto di vista palestinese l’accoltellamento procura il martirio. È tanto eroico quanto letale. Ma gli israeliani e gli ebrei dovrebbero essi stessi chiedersi come questo è potuto succedere di nuovo? Perché vengono pugnalati nelle loro strade? Perché hanno fallito l’obiettivo di diventare amabili? Perché l’antisemitismo è di nuovo in ascesa?

La risposta è semplice. Il sionismo poteva riuscire nel suo intento (così come espresso in origine) solo se glie ebrei si fossero emancipati dalla propria “ebraicità”. Ma ne sarebbero in grado? Sarebbero capaci di formare un’entità giudaica priva di ebraicità? Sarebbero capaci di liberarsi da se stessi? A quanto pare, la risposta è categoricamente negativa. Israele era votata al fallimento dal giorno in cui ebbe inizio, e tutte le altre forme di raggruppamento politico ebraico – il sionismo quanto l’antisionismo – non se la passano bene neanche loro.

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