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I passaggi teorici attraverso i quali si giunge alle odierne posizioni riguardo l’atteggiamento della chiesa cattolica davanti all’ebraismo o giudaismo, secondo un terminologia sinonimica che sarebbe bene cambiare, tenuto nel corso dei secoli partono dalla recezione di concezioni di taluni autori “israeliti” come Jules Isaac (1887-1963), la cui opera Jésus et Israël, ha avuto una traduzione italiana. Non sappiamo al momento - per nostra ignorantia - se da parte dei “dottrinari” della chiesa cattolica – assistiti o no dallo Spirito Santo – il corpo dottrinale del giudaismo – termine che noi usiamo distintamente dal suo strato sociologico che chiamiamo ebraismo – sia stato considerato come un tutto unitario e armonico, privo di sfaccettature e persino di contraddizioni o siano state considerate posizioni come quelle di Neturei Karta, certamente “quattro gatti”, come vengono dileggiati da parte ebraica, ma forse più autenticamente ancorati alla tradizione religiosa giudaica. Il Saggio di Spadafora è del 1987, non dimentichiamolo. Da allora sembrerebbe che le “concessioni” da parte cattolica alla parte ebraica non siano parse sufficienti e si chieda e pretenda sempre di più. Non ho purtroppo il link o il video di una visita di papa Ratzinger alla Sinagoga, dove veniva interrotto nel suo discorso e corretto se non reguardito dal rabbino, per non ricordo o non importa quali affermazioni. Ancora più di recente si è andato a censurare e criticare la visione che nei Vangeli si ha comunemente dei “farisei”... Insomma, il rischio è che si conducano in massa i cattolici a convertirsi al giudaismo, avendo rinunciato a qualsiasi conato o velleità di convertire i “giudei”, o “preghiera”, quasi rubricata a reato di antisemitismo. Ma lasciamo la parola a Francesco Spadafora che sintetizza la figura e la dottrina di Jules Isaac nelle pagine 19-22, che qui estraiamo e riportiamo, anche se poi la trattazione prosegue qua e là in passi non facilmente estraibili, dal libro, al quale comunque si rinvia. In rete, si trova anche una diversa sintesi nel sito “Nostre radici”, con titolo: «Jules Isaac e le origini di Nostra Aetate», del prof. Marco Morselli, dove sono elencate più estesamente, ma non integralmente, le 21 proposizioni citate nel testo di Spadafora da noi riportato:
Sempre tra gli Israeliti che hanno scritto sul nostro tema occupa un posto preminente Jules Isaac, che, ben può dirsi, l’instancabile patrocinatore del dialogo dei Cristiani con gli Ebrei. Abbiamo accennato all’udienza concessagli da Giovanni XXIII e ai suoi rapporti col Card. Agostino Bea; e come così ebbe inizio l'iter del documento conciliare «Nostra aetate » per quel che attiene al giudaismo.
Nato a Ronnes in Bretagna nel 1887, professore di storia per oltre trenta anni nei licei e all’università, dopo la tragedia che colpì la sua famiglia: la moglie e la figlia uccise in un campo di concentramento nazista, si dedicò al problema giudaico e concretò il suo studio, le sue ricerche nel libro Iésus et Israël, in 8°, 585 pp., Paris 1984. Continuò quindi a perorare con grande tenacia, le sue tesi, in esso calorosamente sostenute, fino alla sua morte avvenuta ad Aix-en-Provence nel 1963.
I1 libro fu tradotto in italiano dalla signora Ebe Finzi Castelfranchi: Gesù e Israele, Nardini, ed., Firenze 1976, pp. 461 ; dalla nuova edizione francese del 1970.
I1 grosso volume dopo la Premessa de L’Amicizia ebraico-cristiana di Firenze (p. 5) reca la Presentazione dell’edizione italiana (p. 7-10), ad opera del domenicano P. Pierre-M. de Contenson, segretario della Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo; e la Introduzione (p. 11-16) del prof. Albert Soggin (1926-2010) della Facoltà Valdese di Teologia.
I1 Padre Domenicano tesse l’elogio di « questa opera . . . un vero e proprio ‘classico’ fra quelle opere che hanno contribuito all’instaurazione del dialogo ebraico-cristiano ». E ne fa espressamente la fonte « degli insegnamenti di Nostra Aetate e degli Orientamenti del 1° dic. 1974 da parte delle autorità centrali della Chiesa Cattolica ».
La fonte comune al Baum e al Card. Bea è appunto questo libro di Jules Isaac.
I1 prof. A. Soggin, invece, fa anche cenno, nella sua Introduzione ad « elementi meno positivi » presenti nel libro: « La problematica dell’Autore - scrive ad es. a p. 13 ss. - è quella della guerra e parte quindi dalla spinta traumatica, sul piano generale come su quello personale, prodotta dai campi di sterminio »; . . . nei quali « si trovavano anche migliaia di cristiani ».
Per comodità dei lettori, riportiamo qui brani significativi del lungo accurato esame critico fatto dal ben noto esegeta il P. Pierre Benoit (1906-1987) nella recensione al libro dell’Isaac, nella prestigiosa Revue Biblique 56 (1949) 610-613.
« Israele - sintetizza P. Benoit - non ha rigettato Gesù; Gesù non ha riprovato Israele; l’idea di un “deicidio” commesso dalla massa del popolo giudaico e che l’avrebbe votato al castigo di una vita errante tra i popoli, è un mito inventato dalla teologia cristiana e che non è conforme alla realtà della storia; disgraziatamente essa è all’origine di un antisemitismo secolare e sarebbe tempo che la Chiesa reprimesse queste affermazioni che han causato e causano le persecuzioni di giudei innocenti ...; questa è la tesi difesa in questo libro da Jules Isaac. Egli la sviluppa in 21 proposizioni distribuite in quattro Parti ».
Quindi passa all’analisi dei punti più significativi.
Le prime proposizioni « sfondano una porta aperta »; tutti sono d’accordo: Gesù è nato giudeo, da una madre giudea . . . La nona proposizione (o nono argomento della ed. it., pp. 68-89) invece afferma che Gesù non ha mai sognato di abrogare la legge mosaica. « Col sacrificio della Croce - conclude il P. Benoit la sua risposta - Gesù ha soppresso la Legge, come insegna magnificamente san Paolo (particolarmente cf. Gal. e Rom.), e, quando la Chiesa primitiva ha sancito tale affermazione per la sua universalità, l’ha fatto sotto l’azione dello Spirito Santo, che non è altro che lo Spirito di Gesù: que M. Isaac veuille bien accepter cette vue « théologique », essentielle à la foi chrétienne » .
Ancora: non è vero che « la massa del popolo giudeo » ha rigettato Gesù, per la buona ragione che la maggioranza di questo popolo si trovava fuori della Palestina e che quelli che si trovavano in Palestina, nella maggior parte, sentirono parlare di Gesù in maniera indiretta e molto vaga (undesimo argomento, p. 107-1 11). Furono i capi i componenti del Sinedrio, che vollero la morte di Gesù a dispetto della simpatia delle folle per Lui (pp. 112 e ss.). Cf. L’art. del Card. Bea e la Dichiarazione Conciliare.
Ma questi capi - chiede il Benoit - non rappresentavano Israele? Il Sig. Isaac lo nega. A torto. « Essi di fatto detenevano l’autorità spirituale d’Israele (Mt 23,2). La fable, si fable il y a, - continua a ragione e con forza il P. Benoit - n’est-elle pas dans cette histoire qu’on veut nous faire croire d’un peuple juif conquis et enthousiasmé par Jésus, mais dépouillé malgré lui de ce Prophète par une clique de politicards et de faux dévots, agissant sans mandat et contre ses intentions? Ma come spiegare allora che il popolo giudaico una volta passato il primo momento di sorpresa, non abbia aderito a questo caro Profeta che aveva ora l’aureola del Martire? Come spiegare che egli abbia ratificato, completamente, in pieno, la sentenza dei suoi capi, opponendo dappertutto, e questa volta mediante la massa dei suoi membri, in Palestina e nella Diaspora, questa resistenza feroce alla Chiesa nascente, continuando nei discepoli di Gesù l'opera di persecuzione a morte?» (p. 610 S. della Rev. B.).
Un’altra ragione addotta dallo Isaac, per cui il popolo giudaico non ha potuto rigettare il Messia Gesù e commettere un « Deicidio », è che esso non ha visto in Lui il Messia e ancor meno il Figlio di Dio, (vedi ed. it., pp. 147-189).
Lo sostiene contro tutti i più autorevoli esegeti cattolici e protestanti, usando degli evangeli sinottici
“ad usum delphini” e negando ogni valore all’evangelo di san Giovanni.
Pur limitandosi ai Sinottici, il P. Benoit così conclude: ‘ Ce que personne ne peut ignorer, c’est qu’il (Gesù) se dit Envoyé de Dieu, qu'il le prouve par ses oeuvres... La folla giudaica che l’ha conosciuto non ha potuto ignorarlo, ma volendo seguirlo quando ne aspettava un trionfo, l’ha abbandonato quando ha visto la croce. Ciò non hanno ignorato soprattutto i capi giudaici, ma non hanno voluto saperne di un Maestro nuovo e di una via nuova aperta a tutti. Abbandonato dalla folla, rigettato dai capi, Gesù è stato veramente respinto dal suo popolo, il popolo giudaico, anche se, o, piuttosto perché, questo popolo non ha voluto rinunciare a sé per credere in lui » (p. 612).
L’incomprensione dell’Autore ebreo, a proposito del « segreto messianico » particolarmente nell’evangelo di Marco, e per il dramma dell’opposizione a Gesù dei capi e del popolo giudaici, è davvero totale.
Per la responsabilità piena dei Giudei per la condanna e l’esecuzione di Gesù, con la revisione critica delle fonti giudaiche e l’esegesi accurata dei quattro Evangeli, in particolare del IV di san Giovanni, del quale rivendico positivamente l’esattezza, il valore storico, vedi F. Spadafora, Pilato, Ist. Pad. Arti Graf., Rovigo 1973, pp. 215. Altro che « scritti parziali e tendènziosi », come li maltratta J. Isaac, per addossare la colpa ai Romani.
« Il ressort bien des quatre évangeles que, si les Romains ont ratifié et exécuté la sentence de mort de Jésus, c’est bien du coté des Juifs qu’elle est venue » (Benoit, p. 612).
Concludendo, il P. Benoit rileva che J. Isaac « parla di Gesù con un rispetto e una ammirazione che toccano il cuore cristiano ». E fa voti che i cristiani ripetino le parole di Gesù: « Padre, perdona loro, essi non sanno quello che fanno ». Mais cette prière meme maintient en toute justice que leurs pères ont « fait » quelque chose de mal et qu’ils on besoin de « pardon ». Ce pardon consistera pour eux à retrouver, par la misericorde du Père, cette giace du vrai Messie Jdsus qu’ils ont refusée quand elle leur était offerte » (p. 613).
Del P. Benoit ancora sono le critiche sostanziali al libro del P. Gregory Baum, Jews and Gospel, 1961 - già cit. - nella lunga recensione in Revue Biblique 71 (1964) 80-90.
Nostro commento. Dal sito sopra citato, “Nostre radici”, dove è riportato l’elenco degli “argomenti” o “proposizioni” che vengono discusse nell’esteso volume di Isaac, ciò che a noi subito salta agli occhi è il loro impianto più storico che teologico. Che la religione cristaina si sia sviluppata dalla religione ebraica può essere più un demerito che un merito. Se diventa tale da poter poi essere abbracciata dalle “genti” che vissero nel mondo unificato (o globalizzato?) dell’ellenismo, doveva necessariamente lasciarsi alle spalle tutta la “barbarie” che lo rendeva inviso al mondo antico. Che Gesù fosse “ebreo” è meno rilevante della sua storicità, contestata da autori come Tranfo, Cascioli e chissà quanti altri che non accettano i vangeli come fonte storica. Del pari non vi è nessuna storica per la quale si possa gettare sui romani la colpa della condanna e crocifissione di Gesù. Una religione, in definitiva, non è un evento storico la cui fondazione possa essere certificata da un atto notarile, aver avuto una data di inizio, uno “scopo” dichiarato nell’atto costitutivo, una durata e un termine. Una religione è un evento “metastorico”. In questa accezione, il cristianesimo ha senso e nasce in quanto opposizione irriducibile e superamento definitivo del giudaismo. La narrativa, la metafora, i Vangeli, indicano chiaramente tutto questo. Pretendere oggi di insegnare il contrario di quanto si è detto e fatto credere in due millenni, significa affossare il cristianesimo quale è stato sempre riconosciuto e renderlo un optional, un “accordo” fra gerarchie religiose e lobbies politiche. I nemici di ogni credo religioso non potevano aspettarsi di meglio del “dialogo” inter-religioso “ebraico-cristiano”. Ed a questo punto, tradito il senso della “Buona Novella”, i “gentili” avrebbero tutto il diritto di richiamare in vita i loro antichi dei, se mai ciò fosse possibile. Quanto all’insulto di “idolatri”, di provenienza giudaica, se ne potrebbero facilmente liberare, rivendicando per se stessi lo status giuridico che è oggi è d’obbligo riconoscere a ogni religione, qualunque sia il suo contenuto e fintantoché si mantenga in un ambito strettamente religioso. Insomma, le proposizioni di Jules Isaac ci appaiono ci appaiono di una grande superficialità, da non richiedere per una critica radicale una profonda cultura teologica o biblica. Se sono state queste le basi “teologiche” che hanno minato alle radici i fondamenti teologici della dottrina cattolica, non doveva trattarsi di un edificio molto solido nella sua costruzione. Chiaramente, non è nostra intenzione, in alcun modo, di entrare in beghe e polemiche interpretative, ma è nostro diritto in un siffatto dominio tentare di capirci qualcosa, con i nostri mezzi e per i nostri fini e con la nostra testa, armati di ragione e non di fede - fatto privato che rispettiamo in chi ne possiede e per come la possiede, se ne ha per davvero –. Purtroppo, ciò che ci sembra più evidente è una crescente strumentalizzazione della “fede” o della “religione”, che nulla hanno a che fare con fede o religione, alle quali - ripeto - non irrido. Al momento, ciò che possiamo osservare sul campo è un vero e proprio genocidio di un popolo, quello palestinese, sulla base di motivazioni religiose: si veda al riguardo Atzmon che invita anche la nostra riflessione ad analizzare gli eventi politici di questi giorni con le interpretazioni che tratte dal corpo dottrinale del sionismo religioso sono chiare ispiratrici della prassi politica dello «Stato ebraico di Israele», negato ab imo, come abbiamo detto, dai rabbini di Neturei Karta, ma sostenuto dalla stragrande maggioranza dello strato sociale identificato con il nome di “ebrei” o “ebraismo”. Insomma, si tratta qui di politica o di religione? I periodici massacri di Gaza hanno a che fare con la religione? e quale religione? oppure no, e sono altra cosa? La “pulizia etnica della Palestina” la si deve intendere come l’istigazione al genocidio dei Cananei già contenuta nel Vecchio Testamento, sulle cui “radici” dovrebbe innestarsi il cristianesimo? Termino con interlocuzioni per prevenire interpreti in mala fede e maligni fin nel profondo del loro animo.
3.
Jules Isaac
(1887-1963)
Gesù e Israele
Jules Isaac (1887-1963) |
Nato a Ronnes in Bretagna nel 1887, professore di storia per oltre trenta anni nei licei e all’università, dopo la tragedia che colpì la sua famiglia: la moglie e la figlia uccise in un campo di concentramento nazista, si dedicò al problema giudaico e concretò il suo studio, le sue ricerche nel libro Iésus et Israël, in 8°, 585 pp., Paris 1984. Continuò quindi a perorare con grande tenacia, le sue tesi, in esso calorosamente sostenute, fino alla sua morte avvenuta ad Aix-en-Provence nel 1963.
I1 libro fu tradotto in italiano dalla signora Ebe Finzi Castelfranchi: Gesù e Israele, Nardini, ed., Firenze 1976, pp. 461 ; dalla nuova edizione francese del 1970.
I1 grosso volume dopo la Premessa de L’Amicizia ebraico-cristiana di Firenze (p. 5) reca la Presentazione dell’edizione italiana (p. 7-10), ad opera del domenicano P. Pierre-M. de Contenson, segretario della Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo; e la Introduzione (p. 11-16) del prof. Albert Soggin (1926-2010) della Facoltà Valdese di Teologia.
I1 Padre Domenicano tesse l’elogio di « questa opera . . . un vero e proprio ‘classico’ fra quelle opere che hanno contribuito all’instaurazione del dialogo ebraico-cristiano ». E ne fa espressamente la fonte « degli insegnamenti di Nostra Aetate e degli Orientamenti del 1° dic. 1974 da parte delle autorità centrali della Chiesa Cattolica ».
La fonte comune al Baum e al Card. Bea è appunto questo libro di Jules Isaac.
I1 prof. A. Soggin, invece, fa anche cenno, nella sua Introduzione ad « elementi meno positivi » presenti nel libro: « La problematica dell’Autore - scrive ad es. a p. 13 ss. - è quella della guerra e parte quindi dalla spinta traumatica, sul piano generale come su quello personale, prodotta dai campi di sterminio »; . . . nei quali « si trovavano anche migliaia di cristiani ».
Per comodità dei lettori, riportiamo qui brani significativi del lungo accurato esame critico fatto dal ben noto esegeta il P. Pierre Benoit (1906-1987) nella recensione al libro dell’Isaac, nella prestigiosa Revue Biblique 56 (1949) 610-613.
« Israele - sintetizza P. Benoit - non ha rigettato Gesù; Gesù non ha riprovato Israele; l’idea di un “deicidio” commesso dalla massa del popolo giudaico e che l’avrebbe votato al castigo di una vita errante tra i popoli, è un mito inventato dalla teologia cristiana e che non è conforme alla realtà della storia; disgraziatamente essa è all’origine di un antisemitismo secolare e sarebbe tempo che la Chiesa reprimesse queste affermazioni che han causato e causano le persecuzioni di giudei innocenti ...; questa è la tesi difesa in questo libro da Jules Isaac. Egli la sviluppa in 21 proposizioni distribuite in quattro Parti ».
Quindi passa all’analisi dei punti più significativi.
Le prime proposizioni « sfondano una porta aperta »; tutti sono d’accordo: Gesù è nato giudeo, da una madre giudea . . . La nona proposizione (o nono argomento della ed. it., pp. 68-89) invece afferma che Gesù non ha mai sognato di abrogare la legge mosaica. « Col sacrificio della Croce - conclude il P. Benoit la sua risposta - Gesù ha soppresso la Legge, come insegna magnificamente san Paolo (particolarmente cf. Gal. e Rom.), e, quando la Chiesa primitiva ha sancito tale affermazione per la sua universalità, l’ha fatto sotto l’azione dello Spirito Santo, che non è altro che lo Spirito di Gesù: que M. Isaac veuille bien accepter cette vue « théologique », essentielle à la foi chrétienne » .
Ancora: non è vero che « la massa del popolo giudeo » ha rigettato Gesù, per la buona ragione che la maggioranza di questo popolo si trovava fuori della Palestina e che quelli che si trovavano in Palestina, nella maggior parte, sentirono parlare di Gesù in maniera indiretta e molto vaga (undesimo argomento, p. 107-1 11). Furono i capi i componenti del Sinedrio, che vollero la morte di Gesù a dispetto della simpatia delle folle per Lui (pp. 112 e ss.). Cf. L’art. del Card. Bea e la Dichiarazione Conciliare.
Ma questi capi - chiede il Benoit - non rappresentavano Israele? Il Sig. Isaac lo nega. A torto. « Essi di fatto detenevano l’autorità spirituale d’Israele (Mt 23,2). La fable, si fable il y a, - continua a ragione e con forza il P. Benoit - n’est-elle pas dans cette histoire qu’on veut nous faire croire d’un peuple juif conquis et enthousiasmé par Jésus, mais dépouillé malgré lui de ce Prophète par une clique de politicards et de faux dévots, agissant sans mandat et contre ses intentions? Ma come spiegare allora che il popolo giudaico una volta passato il primo momento di sorpresa, non abbia aderito a questo caro Profeta che aveva ora l’aureola del Martire? Come spiegare che egli abbia ratificato, completamente, in pieno, la sentenza dei suoi capi, opponendo dappertutto, e questa volta mediante la massa dei suoi membri, in Palestina e nella Diaspora, questa resistenza feroce alla Chiesa nascente, continuando nei discepoli di Gesù l'opera di persecuzione a morte?» (p. 610 S. della Rev. B.).
Un’altra ragione addotta dallo Isaac, per cui il popolo giudaico non ha potuto rigettare il Messia Gesù e commettere un « Deicidio », è che esso non ha visto in Lui il Messia e ancor meno il Figlio di Dio, (vedi ed. it., pp. 147-189).
Lo sostiene contro tutti i più autorevoli esegeti cattolici e protestanti, usando degli evangeli sinottici
“ad usum delphini” e negando ogni valore all’evangelo di san Giovanni.
Pur limitandosi ai Sinottici, il P. Benoit così conclude: ‘ Ce que personne ne peut ignorer, c’est qu’il (Gesù) se dit Envoyé de Dieu, qu'il le prouve par ses oeuvres... La folla giudaica che l’ha conosciuto non ha potuto ignorarlo, ma volendo seguirlo quando ne aspettava un trionfo, l’ha abbandonato quando ha visto la croce. Ciò non hanno ignorato soprattutto i capi giudaici, ma non hanno voluto saperne di un Maestro nuovo e di una via nuova aperta a tutti. Abbandonato dalla folla, rigettato dai capi, Gesù è stato veramente respinto dal suo popolo, il popolo giudaico, anche se, o, piuttosto perché, questo popolo non ha voluto rinunciare a sé per credere in lui » (p. 612).
L’incomprensione dell’Autore ebreo, a proposito del « segreto messianico » particolarmente nell’evangelo di Marco, e per il dramma dell’opposizione a Gesù dei capi e del popolo giudaici, è davvero totale.
Per la responsabilità piena dei Giudei per la condanna e l’esecuzione di Gesù, con la revisione critica delle fonti giudaiche e l’esegesi accurata dei quattro Evangeli, in particolare del IV di san Giovanni, del quale rivendico positivamente l’esattezza, il valore storico, vedi F. Spadafora, Pilato, Ist. Pad. Arti Graf., Rovigo 1973, pp. 215. Altro che « scritti parziali e tendènziosi », come li maltratta J. Isaac, per addossare la colpa ai Romani.
« Il ressort bien des quatre évangeles que, si les Romains ont ratifié et exécuté la sentence de mort de Jésus, c’est bien du coté des Juifs qu’elle est venue » (Benoit, p. 612).
Concludendo, il P. Benoit rileva che J. Isaac « parla di Gesù con un rispetto e una ammirazione che toccano il cuore cristiano ». E fa voti che i cristiani ripetino le parole di Gesù: « Padre, perdona loro, essi non sanno quello che fanno ». Mais cette prière meme maintient en toute justice que leurs pères ont « fait » quelque chose de mal et qu’ils on besoin de « pardon ». Ce pardon consistera pour eux à retrouver, par la misericorde du Père, cette giace du vrai Messie Jdsus qu’ils ont refusée quand elle leur était offerte » (p. 613).
Del P. Benoit ancora sono le critiche sostanziali al libro del P. Gregory Baum, Jews and Gospel, 1961 - già cit. - nella lunga recensione in Revue Biblique 71 (1964) 80-90.
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Nostro commento. Dal sito sopra citato, “Nostre radici”, dove è riportato l’elenco degli “argomenti” o “proposizioni” che vengono discusse nell’esteso volume di Isaac, ciò che a noi subito salta agli occhi è il loro impianto più storico che teologico. Che la religione cristaina si sia sviluppata dalla religione ebraica può essere più un demerito che un merito. Se diventa tale da poter poi essere abbracciata dalle “genti” che vissero nel mondo unificato (o globalizzato?) dell’ellenismo, doveva necessariamente lasciarsi alle spalle tutta la “barbarie” che lo rendeva inviso al mondo antico. Che Gesù fosse “ebreo” è meno rilevante della sua storicità, contestata da autori come Tranfo, Cascioli e chissà quanti altri che non accettano i vangeli come fonte storica. Del pari non vi è nessuna storica per la quale si possa gettare sui romani la colpa della condanna e crocifissione di Gesù. Una religione, in definitiva, non è un evento storico la cui fondazione possa essere certificata da un atto notarile, aver avuto una data di inizio, uno “scopo” dichiarato nell’atto costitutivo, una durata e un termine. Una religione è un evento “metastorico”. In questa accezione, il cristianesimo ha senso e nasce in quanto opposizione irriducibile e superamento definitivo del giudaismo. La narrativa, la metafora, i Vangeli, indicano chiaramente tutto questo. Pretendere oggi di insegnare il contrario di quanto si è detto e fatto credere in due millenni, significa affossare il cristianesimo quale è stato sempre riconosciuto e renderlo un optional, un “accordo” fra gerarchie religiose e lobbies politiche. I nemici di ogni credo religioso non potevano aspettarsi di meglio del “dialogo” inter-religioso “ebraico-cristiano”. Ed a questo punto, tradito il senso della “Buona Novella”, i “gentili” avrebbero tutto il diritto di richiamare in vita i loro antichi dei, se mai ciò fosse possibile. Quanto all’insulto di “idolatri”, di provenienza giudaica, se ne potrebbero facilmente liberare, rivendicando per se stessi lo status giuridico che è oggi è d’obbligo riconoscere a ogni religione, qualunque sia il suo contenuto e fintantoché si mantenga in un ambito strettamente religioso. Insomma, le proposizioni di Jules Isaac ci appaiono ci appaiono di una grande superficialità, da non richiedere per una critica radicale una profonda cultura teologica o biblica. Se sono state queste le basi “teologiche” che hanno minato alle radici i fondamenti teologici della dottrina cattolica, non doveva trattarsi di un edificio molto solido nella sua costruzione. Chiaramente, non è nostra intenzione, in alcun modo, di entrare in beghe e polemiche interpretative, ma è nostro diritto in un siffatto dominio tentare di capirci qualcosa, con i nostri mezzi e per i nostri fini e con la nostra testa, armati di ragione e non di fede - fatto privato che rispettiamo in chi ne possiede e per come la possiede, se ne ha per davvero –. Purtroppo, ciò che ci sembra più evidente è una crescente strumentalizzazione della “fede” o della “religione”, che nulla hanno a che fare con fede o religione, alle quali - ripeto - non irrido. Al momento, ciò che possiamo osservare sul campo è un vero e proprio genocidio di un popolo, quello palestinese, sulla base di motivazioni religiose: si veda al riguardo Atzmon che invita anche la nostra riflessione ad analizzare gli eventi politici di questi giorni con le interpretazioni che tratte dal corpo dottrinale del sionismo religioso sono chiare ispiratrici della prassi politica dello «Stato ebraico di Israele», negato ab imo, come abbiamo detto, dai rabbini di Neturei Karta, ma sostenuto dalla stragrande maggioranza dello strato sociale identificato con il nome di “ebrei” o “ebraismo”. Insomma, si tratta qui di politica o di religione? I periodici massacri di Gaza hanno a che fare con la religione? e quale religione? oppure no, e sono altra cosa? La “pulizia etnica della Palestina” la si deve intendere come l’istigazione al genocidio dei Cananei già contenuta nel Vecchio Testamento, sulle cui “radici” dovrebbe innestarsi il cristianesimo? Termino con interlocuzioni per prevenire interpreti in mala fede e maligni fin nel profondo del loro animo.
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