sabato 3 maggio 2008

Diaconi: 13. Dimitri Buffa partigiano “senza se e senza ma”


Dimitri Buffa è uno dei giornalisti più amati dai «Corretti Informatori». I suoi articoli trasudano una tale faziosità da far sorgere il dilemma se dovergli prestare attenzione e quindi perdere il proprio tempo oppure se non prestarvi attenzione ritenendoli non rappresentativi del campo di appartenenza. Ho però considerato che questa Sezione del Blog è come una specie di monografia dedicata alla letteratura sionista. Avrei potuto decidere di scrivere un libro al riguardo. Non ho però nessuna voglia di impiegare carta e cellulosa per un simile soggetto. Inoltre in questo mio blog intendo contrastare il giudizio corrente secondo cui la forma non si presta agli approfondimenti, per i quali occorre sembra andare al libro tradizionale. Sto tentando di dimostrare che ciò non è necessariamente vero. Ho già sperimentato (Vedi Mattogno) che in un singolo post è possibile pubblicare un libro di oltre 200 pagine. Naturalmente tutto ciò presuppone un lettore interessato, magari di nicchia, ma interessato al progetto e disposto ad aver attitudine e passione per l'uso della rete. È ancora da aggiungere che anche se il numero dei lettori ad un simile progetto fosse limitato resta però la validità oggettiva di una ricerca che come tale è disponibile per ognuno, ma è anche un occasione per chi la intraprendere di acquisire consapevolezza e conoscenza di alcuni aspetti della nostra realtà quotidiana che ci resterebbe altrimenti estranei: il conoscerli aiuta ad affrontarli.

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Sommario: 1. Dimitri Buffa sulle tracce del Mossad. – 2. La buffa islamofobia di Dimitri. – 3. Le posizioni di Dimitri. – 4. Nessuna ambiguità in Dimitri: è sempre Buffa. – 5. L’«onestà» di Dimitri. – 6. In un paese normale…. – 7. La stupidità torna alla carica. – 8. Una lettera aperta di Dimitri. – 9. Dimitri Buffa e Marco Taradash. – 10. I buffi servizi di Dimitri. – 11.L’odio di Dimitri. – 12. I “bassi istinti” di Dimitri. – 13. Bestialità dimitriane. – 14. Mancanza di confutazione. – 15. Buone notizie. – 16.

1. Dimitri Buffa sulle tracce del Mossad. – Questa recensione al libro dell’ex agente del Mossad Victor Ostrovsky, risalente ormai a diversi anni orsono, è stata redatta dal “giornalista” Dimitri Buffa, che nel frattempo è diventato una delle firme di punta del variegato panorama sionista del nostro paese. Egli ha scritto e scrive regolarmente su testate come “Libero”, “Il Giornale”, “Il Foglio” e “L’Opinione”, sempre e incodizionatamente a favore dell’entità sionista, qualsiasi cosa essa faccia. Leggerla dunque è estremamente utile perché, a prescindere dal “ruolo” svolto attualmente da questo scribacchino, viene evidenziato con chiarezza che cos’è il Mossad e come funziona la sua tanto famigerata “organizzazione” segreta. Organizzazione che, da quando è stato scritto il libro recensito, ha ulteriormente ampliato il suo raggio d’azione e raffinato ancor di più le sue modalità operative, che già all’epoca ne facevano probabilmente il più efficiente servizio segreto al mondo. Una testimonianza che non può dunque esser tacciata di faziosità o “antisemitismo”, vista la penna da cui proviene. Quali siano gli “argomenti” che abbiano poi convinto il Buffa a offrire i suoi servigi a Sion, ce lo suggerisce forse involontariamente lui stesso riferendosi alle motivazione che hanno portato Victor Ostrovsky a scrivere il libro: “Ha semplicemente badato al sodo. Voleva far soldi. Come spesso li vuole chi ragiona come lui, compresi coloro che lo hanno allevato nello Stato d’Israele”...

P.S.

VICTOR OSTROVSKY e CLAIRE HOY, By Way of Deception. The making and unmaking of a Mossad officier, St. Martin’s Press, New York 1990; trad. it. Attraverso l’inganno, Interno giallo, Milano 1991 (nuova ed. Marco Tropea Editore, Milano 1996)

Recensione di Dimitri Buffa comparsa su “Invarianti”, a. IV, n. 16, primavera 1991, pp. 74-76 (e-mail: buffa@opinione.it)

“Quando un agente del Mossad sta a pranzo con un amico, l’amicizia non si può certo definire reciproca”. Una premessa che è tutto un programma. Anzi un vero e proprio leitmotiv che accompagna ossessivamente questo interessante viaggio nel pianeta Mossad. Un libro che il servizio segreto israeliano ha inutilmente tentato di non far pubblicare e che invece è puntualmente divenuto un best seller.

Bisogna dire che l’autore trasuda sionismo da tutti i pori. Più che raccontare fatti, si vanti delle imprese proprie o altrui. Disprezza solo i propri nemici interni al Mossad (che per la cronaca vuol dire “Organizzazione”) e rivela di aver agito solo per i prevedibili lauti guadagni, non certo perché folgorato sulla via di Damasco (ma questa è una cosa che accadde solo ai gentili come Saulo, ossia San Paolo). Anzi proprio la premessa del libro, la “captatio benevolentiae” iniziale del tipo: “L’ho scritto perché non riuscivo proprio più a digerire il male fatto dal Mossad”, fa pensare ad una “excusatio non petita”. Che notoriamente è parente stretta del lapsus freudiano.
Fin qui le puntualizzazioni necessarie per non farsi prendere in giro dall’ex capitano del Mossad Victor Ostrovsky. Che non ci appare destinato a passare alla storia per la propria onestà e dirittura morale. In compenso, il libro è un’antologia di fatti e di aneddoti (alcuni dei quali esileranti nella loro veste tragicomica), che la dicono lunga sul funzionamento del più efficiente servizio segreto del mondo. Un florilegio talmente ricco che non si sa letteralmente da che parte cominciare.

Forse dal sesso. Che per i caporioni del Mossad è una vera e propria droga. Quanti sanno che almeno una volta a settimana, nella piscina di un palazzo di Tel Aviv (dove è quasi impossibili accedere se non si fa parte della confraternita) si svolgono orge che farebbero impallidire i disegnatori di pornofumetti, e al cui confronto il “Caligola” di Tinto Brass sembrerebbe un film da parrocchia?

Il nostro Ostrovsky racconta quasi scandalizzato di quando, lui giovane cadetto del Mossad, è rimasto di sasso nel vedere in questa mitica piscina un alto colonnello del servizio trastullarsi allegramente con due giovani reclute. Pare, a sentire sempre Ostrovsky, che questo del sesso sia l’unico diversivo ammesso all’interno dell’organizzazione. Niente droghe, niente superalcolici, esami settimanali contro ogni tipo di malattie veneree e soprattutto contro l’Aids, ma in quella piscina, tra esseri umani di un mondo a parte, poteva e può succedere di tutto.

Il sesso è anche una costante della ‘deception’ usata dal Mossad per intrappolare le proprie vittime. Lo stesso motto dell’organizzazione è un inno al tradimento: “By way of deception thou shalt do war”, che significa più o meno “vincerai la guerra attraverso l’inganno”. La frase è presa in prestito da Shakespeare, ma gli israeliani gli hanno dato un significato incontestabilmente più reale.

Ostrovsky racconta, con compiacimente neppure velato, che per il Mossad tutto il mondo al di fuori di Israele è un bersaglio possibile. Un ‘target’, per la precisione. L’agente segreto non ha amici: ha solo Israele da difendere. In cambio, può praticare tutti i più loschi traffici che crede sia per arricchirsi (l’etica del Mossad non lo proibisce), sia per evitare qualsivoglia danno (anche solo ipotetico) per lo stato di Israele.

Questo spiega il grande livello di infiltrazione di agenti segreti sionisti nei traffici d’armi e di droga e soprattutto nella compravendita di materiale radioattivo.

Possono ingannare, quindi, avendo qualcuno da tradire. Per questo gli scapoli sono mal visti all’interno del servizio. Sesso sì, ma salvando le apparenze. Tanto, per i week-end fuori Tel Aviv con l’amante è lo stesso Mossad che assicura la discrezione con le consorti tranquillizzandole e facendole sentire fiere delle presunte responsabilità dei mariti così spesso in missione speciale.
Il sesso è stata l’arma con la quale gli Israeliani sono arrivati ad abbindolare lo scienziato irakeno che lavorava alla bomba atomica per Saddam. A Parigi con la moglie, conducendo una vita apparentemente ritirata, Butrus Eben Halim stava progettando una sezione del reattore nucleare di Tuwaitha (vicino a Baghdad) che sarebbe stata riempita con uranio acquistato dai francesi e in seguito adibita alla costruzione della bomba atomica irakena.

Era il 1978. Il Mossad aveva già messo gli occhi addosso ad Halim, ma non sapeva come agganciarlo. Allora ricorse all’espediente più antico. Cherchez la femme. Che nella fattispecie era un’agente del servizio segreto. Lei faceva di tutto per farsi notare da Halim vicino alla fermata del metrò che lo scienziato usava per andare al lavoro nel centro di ricerca nucleare di Parigi. Un travet della bomba atomica, un Fantozzi irakeno, che alla fine fu irretito da questa bionda bellissim ed appariscente che aspettava tutti i giorni davanti la fermata di Villejuif un misterioso accompagnatore in Ferrari.

Qualcuno, si potrebbe obiettare, avrebbe anche mangiato la foglia. Ma Halim non lo fece. Anzi chiuse gli occhi, o, per meglio rendere l’idea, li sgranò davanti a tanto fascino. L’uomo della Ferrari se lo fece amico lasciandogli intendere che la donna non era altro che una disponibile entreneuse. Il resto venne da solo. Coinvolto in un losco traffico d’uranio con il Sudafrica, Halim venne ricattato e accettò di cedere anche le piantine del reattore irakeno. Un bel giorno il carico di uranio che doveva arrivare in Irak fu fatto saltare in aria da agenti del Mossad in piena Parigi. Grazie alle indicazioni di Halim, infatti, erano riusciti a sapere quando e come il prezioso carico avrebbe preso il volo per l’Irak. Il camioncino venne bloccato da un finto incidente (tipica tattica da agguato terrorista) e, mentre le guardie di scorta tentavano di soccorrere la falsa vittima, qualcuno molto lestamente fece esplodere il furgone con il suo preziosissimo carico appena acquistato da Saddam per svariati miliardi, grazie al gentile interessamento di un non meglio identificato gentiluomo di campagna francese.

Ormai Halim aveva mangiato la foglia e sicuramente non si bevve la favola dell’attentato rivendicato dagli “eco-terroristi”. Il Mossad gli offrì un salvacondotto e una via di scampo all’estero. Ma sua moglie Shamira nel frattempo era tornata in Irak e lo aveva anche denuciato, come sospetto collaborazionista, alla polizia segreta di Saddam Hussein. Ciononostante, Halim volle a tutti i costi tornare a Baghdad. Per amore. Non si sa (ma non dovrebbe essere difficile immaginarlo) che fine abbia fatto una volta tornato in patria.

Il 7 giugno 1981, due dozzine di bombardieri israeliani, con simbili arabi dipinti sulla carlinga, mimetizzati dietro un Boeing di linea che in realtà conteneva tecnologia di disturbo radar (come gli Awacks che sono stati determinanti per accecare la contraerea di Saddam nella guerra del Golfo), scaricarono il loro esplosivo precisamente sui punti disegnati nelle cartine estorte ad Halim. Il reattore irakeno venne così messo fuori uso e il sogno nucleare del raìs di Baghdad si infranse. Per nostra fortuna. Un classico caso di fine che giustifica i mezzi.

In certi altri casi narrati da Ostrovsky anche il fine lascia a desiderare. Ma i mezzi sono sempre gli stessi. Ricatto sessuale. “È impossibile trovare una persona che non abbia almeno un segreto inconfessabile”, insegnano nella “stimata” accademia del Mossad a Tel Aviv.

I maestri degli “007” israeliani insegnano anche a prendersi gioco dei servizi segreti alleati, sempre a sentire questo capitano ormai transfuga. Ad esempio, spesso inglesi ed americani hanno mandato nuovi congegni di spionaggio (laser o tecnologia) in Israele perché venissero collaudati dai rinomatissimi esperti del Mossad. Peccato che questi ultimi, oltre a collaudarli, li aprivano e ne fotografavano i meccanismi segreti. Poi li risigillavano e li restituivano, apparentemente intatti, al mittente.

Probabilmente qualcuno già sapeva o aveva qualche sospetto su tali stratagemmi. Certo è che Ostrovsky li ha spiattellati a tutto il mondo con questo volume. Intuibile il disagio dei dirigenti del servizio segreto israeliano. Non si trattava più di vanterie o dei tanti “rambismi” pure contenuti nel libro, ma di vere e proprie gaffe al limite dell’incidente diplomatico.

Questo spiega e giustifica i tanti e vani tentativi che Israele ha messo in atto per cercare di evitare l’uscita del libro. Ma stavolta la stessa logica utilitaristica si è ribaltata contro i caporioni del Mossad. È la legge del taglione: “Chi di spada ferisce, ecc.”.

Ostrovsky, non è certo un idealista né un pentito (per quanto riesca difficile dare un significato decente a questo termine). Ha semplicemente badato al sodo. Voleva far soldi. Come spesso li vuole chi ragiona come lui, compresi coloro che lo hanno allevato nello Stato d’Israle.

Dimitri Buffa

ALLEGATI
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2. La buffa islamofobia di Dimitri. – I temi sono quelli consueti e vi è poco di aggiungere alle analisi già fatte ed al giudizio dato sul personaggio. Abbiamo dato poco sopra un pezzo meno recente dello stesso articolista e ne diamo uno recentissimo dello stesso: una linea di continuità nel tempo.

3. Le posizioni di Dimitri. L’indecenza non ha limiti. Cliccando sul link l'ineffabile Dimitri Buffa pone questione inedite, tentando di attaccare Sergio Romano, analista non prono agli interessi sionisti. Vi è poco da commentare se non da rilevare l’impudenza “senza se e senza ma” (espressione di moda ma che io trovo insulsa) di un giornalista, iscritto all'albo e solo per questo giornalista, di nessun credito. Mi auguro che presta venga abolito l’ordine dei giornalisti. Sergio Romano resterà Sergio Romano e Dimitri Buffa sarà un’assoluta nullità senza più una patente di giornalista che gli faccia credere di essere qualcosa.

4. Nessuna ambiguità in Dimitri: è sempre Buffa. – Fare un’analisi dell’articolo di Dimitro Buffa, significativamente apparso su l’«Opinione» di Diaconale, ma pagato di tasca nostra, ci porterebbe a confermare ciò che già sappiamo. Articoli come questi fanno parte della rete propagandistica del regime israeliano in Italia. La notizia che viene inopinatamente dalla Francia corrisponde al comune buon senso. Se si vuol cercare la pace, questa pace bisogna farla con il nemico, cioè Hamas. Invece, l’«odio sionista» ha deciso e vuole imporre che con i “terroristi” non si deve parlare, quasi che il terrorismo non sia un qualcosa di profondamente connaturato allo stato ebraico. I politici quanto sono statisti e non megafoni per la propaganda sanno come comportarsi. La strategia sionista, comunicata agli agenti della propaganda, è un progressivo genocidio etnico, culturale e politico del popolo palestinese. In questa strategia rientra la delegittimazione della vera dirigenza politica del popolo palestinese (Hamas) e la sua sostituzione con dei moderni Quisling o stati fantocci. Ma sembra che questa strategia sia fallita e Dimitri Buffa esprime il disappunto israeliano.

5. L’«onestà» di Dimitri. – Nella cronaca di cui al link si capisce ciò che ai sospettosi era chiaro fin dall’inizio, e cioè che Abu Mazen avrebbe dovuto essere un Quisling mediorientale, al quale far firmare tutto ciò che Usa e Israele avrebbero deciso in merito al cosidetto “processo di pace”, un eufemismo per indicare soluzione imposte alle popolazioni occupate. Tutto ciò è finora fallito perché le popolazioni palestinesi hanno resistito eroicamente e perché non è venuta meno la solidarietà del mondo arabo, anche se la loro unità politica non è altissima. Quando poi a Gaza che per Dimitri Buffa sarebbe una centrale di terrorismo è questione di punti di vista. Lui sposa unicamente il punto di vista di Israle. Altri riconoscono invece in Gaza una Auschwitz peggiore di quella storicamente nota.

6. In un paese normale.... – La Lobby si è passata la voce per un’alzata di scudi contro i due militari italiani che hanno salutato delle bare coperte da bandiere libanesi. Si pretendeva evidentemente che ci sputassero sopra. Gli unici che hanno sollevato un problema che per altri non esiste sono gli israeliani ed i loro supporter operanti in Italia. In un paese normale non capiterebbe di dover leggere articoli indecenti come quali al link, per giunta pagati dal contribuente italiano.

7. La stupidità torna alla carica. – Andando al link si trova ad opera dei “Corretti Informatori” un nuovo ignobile tentativo di denigrare ancora una volta Sergio Romano, riportando in un cattivo contesto una pregevole corrispondenza fra due personaggi d’eccezione sulle pagine del “Corriere della Sera”: Francesco Cossiga che scrive come un comune lettore a Sergio Romano e questi che risponde. Trattano il tema del “terrorismo”: argomento quanto mai difficile e spinoso ad incominciare dalla sua definizione. In genere, con il termine terrorismo si vuole svilire e delegittimare la parte verso cui si è in lotta. Si può ricondurre il discorso alla voluta confusione fra nemico e criminale invalsa da Norimberga in poi. e sulle quali esistono pagine fondamentali di Carl Schmitt. Mentre il “nemico” tradizionalmente cessava di esser tale nel momento in cui si stipulava la pace, il criminale non perderà mai la sua squalificazione di carettere morale. Le guerre odierne ormai non si chiudono più con un trattato di pace, ma con un processo penale, dove chi perde è dichiarato criminale di guerra. Se poi andiamo a guardare i fenomeni nel loro concreto manifestarsi vediamo che spesso quegli stessi che criminalizzano i loro avversari come “terroristi” hanno fatto e fanno le stesse cose. Ad esempio, l’attentato sionista del King David Hotel – forse per l’epoca l’equivalente delle Torri Gemelle – è l’atto di nascita dello stato di Israele, che prima e dopo di allora praticò e e continua a praticare il terrorismo. I «Corretti Informatori» si inseriscono nella notevole corrispondenza Cossiga-Romano proprio con i piedi. Mandano avanti un Dimitri Buffa che ritorna alla carica con una enormità diffamatoria per la quale era stato già zittito da Antonio Polito, nel corso della «ipocrita» (Cossiga) manifestazione capitolina anti-Ahmadinejad, quando si riteneva imminente un’aggressione militare all’Iran.

8. Una lettera aperta di Dimitri. – Ammiro Sergio Romano per l’equilibrio e lo stile che lo contraddistingue. Io sono invece molto più portata alla passionalità e alla gestualità. Trovo irritante la seguente lettera aperta di Dimitra Buffa pubblicata in un degno giornale, cioè “L’Opinione” di un Arturo Diaconale. Ecco l’assurda lettera aperta:
'Opinione Informazione che informa
04.10.2008 Sergio Romano ed i rapporti Eni-Iran
lettera aperta di Dimitri Buffa

Testata: L'Opinione
Data: 04 ottobre 2008
Pagina: 5
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Romano lascia la rivista dell'Eni»

Dall'OPINIONE di oggi, 04/10/2008, a pag.5 una lettera aperta di Dimitri Buffa a Sergio Romano:

caro Sergio Romano,

qualche tempo fa l’agenzia Italia ci dette notizia della sua presenza, non a titolo gratuito, nel board di una nuova prestigiosa rivista Eni. In buona compagnia con Lucia Annunziata.
Adesso io mi domando, quando lei dà risposte salomoniche a Cossiga sulla definizione del terrorismo internazionale, quando parla continuamente male di America e di Israele, lo fa per le sue convinzioni o perchè è l'Eni a chiederglielo?
[Ma quali interessi avrebbe l’Eni ad una simile richiesta? Si può essere così imbecilli? Si può ritorcere a Dimitri la stessa domanda: quando scrivi quel che scrivi è perché lo pensi o perché qualcuno ti paga? Chi ti paga? Ovvero pensi spontaneamente secondo i desideri di chi ti paga? Di recente è apparso, ma non dovuto a Sergio Romano, il giudizio secondo cui Bush sarebbe il peggiore presidente che l’America abbia mai avuto in 200 anni. Con la crisi in pieno svolgimento questo giudizio su Bush e sull’America è ormai vox populi. Il ruolo di Israele nella guerra all’Iraq ed a quella programmata contro l’Iran è ormai di pubblico dominio. Non vi è nessun bisogno di Sergio Romano. È l’ENI che ci paga tutti? Io lo penso autonomamente e lo vado dicendo da tempo, ma non ho visto una lira. Devo dunque passare dall’ENI a riscuotere quel che mi spetta?]
L'Eni, tutti lo sanno,
[tutti sanno che il presidente dell’ENI morì di morte misteriosa. Quanto poi a determinare la politica estera italiana io guarderei altrove]
da sempre determina la politica estera italiana, ambigua quanto basta in materia di terrorismo e nei rapporti con i paesi arabo islamici. Compresi quelli sotto sanzioni Onu come l'Iran.
[Pensa piuttosto alle oltre 70 risoluzioni di condanna pronunciate nei confronti di Israele. Sanzioni di che e per cosa? Per quella bomba atomica che l’Iran non ha e invece Israele possiede senza render conto a nessuno e senza che nessuno chieda conto? Due pesi due misure? Mah! Si può essere così impudenti? Nella bottiglia che nella foto si vede uscire dalla tasca di Dimitri alla manifestazione di Polito e Pacifici in Campidoglio, dove Buffa andò per dire le stesse cose della lettera aperta, siamo sicuri che vi sia dell’acqua? Cosa disse allora Polito a Buffa? Che Sergio Romano può scrivere e dire tutto quello che vuole! Polito non è meno filoisraeliano di Buffa, ma è certamente più intelligente ed ha il senso delle proporzioni tanto da essersi sentito in dovere di contraddire Buffa, piovuto lì per incarico di chi sa chi e per dire le uniche cose che sa dire.]

Lei sa che in America un editorialista a libro paga di una grande industria difficilmente terrebbe una rubrica fissa sul Washington Post.
[Anni addietro fu reso di pubblico dominio l’elenco dei giornalisti pagati dalla CIA per orientare l’opinione pubblica a favore della guerra in Vietnam. Non possiamo saperlo, ma è assolutamente normale ipotizzare ingenti finanziamenti dei servizi israeliani per addomesticare la stampa europea. Conosceremo i nomi degli iscritti a libro paga forse fra mezzo secolo, se saremo ancora tutti vivi.]
Lei invece pontifica ogni giorno dalle colonne del Corriere della Sera. Le sembra serio? Le appare credibile? Non l'ha mai sfiorata l'idea di dimettersi e di scrivere solo per la rivista dell'Eni?

con cordialità

Dimitri Buffa
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diaconale@opinione.it
L’assurdo è che il buffo personaggio, di nome e di fatto, suppone che per “parlar male di Israele e degli USA” occorra essere collaboratori di una rivista dell’ENI, da me mai letta. Mi vergogno quasi di commentare una lettera così idiota. Ma esiste in natura e si trova pubblicata sull’«Opinione di Arturo Diaconale» ed è significativa ripresa da «Informazione Corretta»: tutta una stessa famiglia.

9. Dimitri Buffa e Marco Taradash. – L’archivio di «Informazione Corretta» non offre sufficiente materiale per un’apposita scheda su Marco Taradash, uomo di sicura fede sionista, presente all’adunata capitolina di Polito e Pacifici. Il link porta a conoscenza un divertente episodio di qualche anno addietro. Il fanatismo di Dimitri era già ben noto agli organizzatori del convegno che avevano pensato di farne a meno, invero in modo forse illiberale, ma certamente Buffa non aveva nessuna intenzione di fare professione di liberalismo. Del fanatismo impresentabile di Dimitri Buffa si è accorto Antonio Polito che alla manifestazione capitolina lo ha fatto parlare per ultimo, muovendogli addebiti per ciò che aveva detto nei confronti di Sergio Romano. Il fatto è che Dimitri Buffa non può essere definito un giornalista in senso proprio, cioè un professionista della notizia in quanto tale e senza colori di parte. Certamente, Buffa non è un giornalista del tipo “i fatti separati dalle opinioni”. È invece un fanatico propagandista che con la sua aperta, sfacciata e acritica partigianeria fa fortunatamente più danno a Israele e alla sua politica di quanto possa essergli di utilità. Vi è da augurarsi che i «Corretti Informatori» siano tutti come Dimitri Buffa.

10. I buffi servizi di Dimitri. – Il personaggio è del tutto prevedibile e dalla prima riga si può esser certi di ciò che scriverà. Questa volta scrive per far sapere che Sarko non ha simpatia per Obama e preferisce McCain. De gustibus... Ma visto che è questo il giornalismo di Dimitri, varrebbe la pena ricordargli un’altra notizia di fonte giornalistica da commentare. Quella apparsa tempo addietro su “le Figaro”, secondo cui Sarko sarebbe stato al soldo del Mossad o qualcosa di simile. Avevo provato a commentare la notizia ancora fresca con alcuni ecclesiastici francesi in Roma proprio lo stesso giorno in cui Sarko si trovava in Laterano. Il sacerdote francese diceva che non era possibile perché gli uomini che lavorano nei servizi segreti sono in genere uomini intelligenti mentre Sarko non lo era affatto.

11. L’odio di Dimitri. – «L’Italia è una paese di Santi»: ho scritto così ad Arturo Diaconale commentando questa ultima bestialità di Dimitri Buffa. Che sia “propaganda” non vi è dubbio e non lo dobbiamo ripetere. Qualche cenno sullo sfruttamento del concetto di “odio”. Leggendo il libro di Burg mi viene da pensare che al di là della strumentalità della propaganda l’«odio» è l’essenza stessa dell’ebraismo olocaustico: quello stesso odio che è nella loro natura lo attribuiscono al mondo che li circonda. Hanno bisogno di sucitare odio verso loro stessi per costruire la loro identità. Il problema è di come i nostri politici permettano ciò.

12. I “bassi istinti” di Dimitri. – Quello di Dimitri Buffa è un giornalismo specializzato. Leggendo la sua firma e il titolo si può già sapere cosa si trova scritto. Tuttavia, anche in mezzo alla mondezza è possibile ricavare qualche informazione grezza che ci riserviamo di sviluppare altrove e in seguito.

13. Bestialità dimitriane. – Di tutti i propagandisti sionisti Dimitri Buffa è certamente il più screditato, anche nel suo stesso campo, come ho potuto vedere quando Antonio Polito prendeva le distanze da un buffo attacco a Sergio Romano da piazza del Campidoglio nella manifestazione antiraniana. Dimitri Buffa è però una penna dell’«Opinione» di Arturo Diaconale, che può contare solo su questi calibri no da 90, ma da 0,90. Pur avendone assai poca voglia, ho mandato alla Redazione il seguente testo:
Chi sarebbe l’Italia?
Dimitri Buffa?
Diaconale?
- Non me ne ero accorto!
Non se se per scrupolo filologico debbo leggere tutte le cazzate che scrive Dimitri. Ne ho lette altre. Non credo che nell’articolo appena giuntomi dalla testata squadristica di IC vi siano elementi di novità.
Ho comunque avviato un’ampio studio “da Durban I a Durban II”, dove saranno registrati tutti i documenti giornalistici della campagna di sabotaggio in atto. Questa volta ad essere sabotato non sarà la Fiera del Libro da parte di pacificisti, ma addirittura l’ONU, forse pure da parte dell’Italia, che come ai tempi di Vittorio Emanuele Orlando si distingue per "cupidigia di servilismo”, sempre che il servilismo alla fine paghi.

Non se la prenda se le mando mio malgrado queste lettere e le consideri in contradditorio a quelle di beneplacito che riceve dalla Mailinglist di IC, la cui azione vado monitorando. Ho imparato qualcosa sul sistema lobbistico italiano.

Antonio Caracciolo
Ho poi voluto leggere l’articolo, per scrupolo filologico, ma potevo risparmiarmi il tempo. Il giudizio formulato sull’intuitus personae resta lo stesso. Da un punto di vista generale la partita che resta da giocare non è se effettivamente i promotori riusciranno a sabotare Durban II ma chi ne resterà maggiormente delegittimato: i boicottati o i boicottatori? È quello che andremo ad indagare.

14. Mancanza di confutazione. – Mi sto sforzando di essere sereno. Mi limito all’essenziale, che ho scritto allo stesso Diaconale. L’articolo riporta cosa sacrosante, che lasciano sgomento il Buffa Dimitri, ma contro la verità delle quali o contro la legittimità della campagna di boicottaggio contro Israele il Tizio non sa dire nulla e nulla dice. È davvero un curioso modo di fare giornalismo. Il sionismo è una forma di colonialismo razzista? È vero! Non sei d’accordo? Prova a confutare la tesi. Il Tizio non si smentisce. È sempre lo stesso e ci dispiace di non piter apprendere nulla di utile, cosa che è possibile anche dai peggiori nemici, se appena un poco dimostrano intelligenza e professionalità nel loro mestiere con il quale presumo campino.

15. Buone notizie. – Una volta tanto mi capita di leggere cose interessanti nella prosa di Dimitri, che chiaramente non immagina quanto mi faccia piacere che le vittime abituali della loro propaganda non siano state zitte e si siano avvalsi di quegli stessi strumenti (legge Mancino) che erano stati escogitati dal B’naï B’rith contro i loro avversari. Non immaginavano che dovendo tecnicamente formulare una legge un forma generale ed astratto gli islamici avrebbero ben potuto trovarsi loro nel ruolo storico dell’«ebreo». Su questa base credo si possano interpretare le disavventure giudiziare di cui apprendo nel testo che segue:
Il foglio, Libero, L’Occidentale, il Giornale, e L’opinione
[come dire il peggio del peggio]
sono da mesi sotto l’attacco di una vera e propria jihad a mezzo querela o citazione civile per danni e purtroppo in alcune città, soprattutto a Monza dove vengono incardinati (incerti casi inspiegabilmente) quasi tutti questi procedimenti, i suddetti giornali non godono in primo grado di una giurisprudenza molto favorevole e spesso arrivano bastonate sotto forma di provvisionali e condanne di prima istanza provvisoriamente esecutive anche di 30, 40 o 50 mila euro. Se ne è accorta da tempo anche la deputata del Pdl Souad Sbai
[buona costei!]
che ha scritto numerose interrogazioni parlamentari al proposito. Poco importa poi che i querelanti nei loro scritti ideologici inneggino agli attentati kamikaze in Israele o in Iraq piuttosto che in Afghanistan,
[si capisce qui quale sia la specializzazione delle suddette testate, che della crociata contro l’Islam si fanno vessilliferi, beninteso una crociata in nome di Israele…]
poco conta che questi signori pensino che le donne vadano trattate alla lettera come suggeriscono alcuni controversi passi del Corano
[E davvero più forte di qualsiasi barzelletta immaginare un Dimitri cavaliere senza ombra e senza macchia che lancia in resta parte in difesa di donne islamiche coperte di velo]
e poco importa che i paesi di provenienza li considerino alla stregua di Osama Bin Laen. Una volta in Italia diventano esuli, anche se sono ricercati per reati molto gravi.
[Commovente e peloso amore di legalità]
Si sta diffondendo infatti il modello di pseudo integrazione britannico che porta al diritto di burqa
[La guerra santa giudaico-cristiana contro il burqa!]
e fra un po’ anche alla sharia nei tribunali. E soprattutto a spese dei poveri cronisti che osano parlare male di loro.
[Io la chiamo sfrontatezza e diffamazione]
Ma su questo la Fnsi e articolo 21 tacciono, non propongono cauzioni per liti temerarie e men che meno manifestano in piazza. Da noi in Italia, in compenso, proprio loro, i querelanti della jihad, sono tutelati a scapito della libertà di stampa.
[Libertà di propaganda sionista che non ha nulla a che fare con la libertà di stampa e di pensiero e che se viene perseguita è solo a causa di una legislazione pensata a tutela privilegiata delle comunità ebraiche].
Anche nelle liti più assurde. E questo senza che alcun articolo 21, Fnsi o piagnucolanti anti berlusconiani vari abbia mai detto una parola. Non parliamo del Csm
[dove siede quel Mancino cui si deve la legge omonima, che sarebbe da abolire con beneficio perfino di Dimitri]
che ovviamente neanche si sogna di monitorare la giurisprudenza di primo grado di alcuni tribunali [cosa interessante che sottoscrivo in pieno] dove evidentemente gli accusati e i condannati per terrorismo, per non parlare dei semplici fanatici islamici, hanno permanentemente assunto lo status di resistenti e di perseguitati politici. Persino ora che c’è Obama e non Bush alla Casa Bianca. Il risultato pratico di tutto ciò però è che può capitare, a giornali piccoli
[e inutili oltre che interamente pagati dal contribuente]
come il nostro, di vedersi bloccato il conto in banca per rifondere persanaggi considerati alla stregua di terroristi e oppressori delle donne nei paesi loro ma come eroici paladini di non si sa bene che cosa qui da noi. Magari per una semplice condanna civile in primo grado. E magari può capitare non solo che ritardino gli stipendi,
[sta parlando del suo caso il povero Dimitri?]
e quindi il primo foraggio alla libertà di stampa dei cronisti,
[appunto i soldi come vero motore di giornalisti del genere]
a causa di questa jihad a mezzo querela, ma anche di diventare inevitabilmente e involontariamente, noi quotidiani moderati, i principali finanziatori dell’estremismo islamico dei Fratelli Mussulmani qua in Italia. Se non del terrorismo vero e proprio.
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[Questa sì che è una fisima quella del terrorismo. Non sarà mai che l’hasbara a furia di mandare veline finisce per convincere proprio e soltanto i suoi agenti propagandisti?]
Con riferimento alla manifestazione odierna del 3 ottobre 2009, alla quale per motivi distinti e opposti non ho partecipato, ritengo che in Italia e in Europa non esista libertà di pensiero e di espressione. Lo dimostrano le migliaia e migliaia di sentenze di condanna in Germania, Francia, etc. contro chi la pensa diversamente in materia storica.

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