giovedì 30 luglio 2020

fb17: A proposito di un'associazione radicale.

fb17: 30-07-2020
«NESSUNO TOCCHI CAINO», di cui la Elisabetta del Video, conduttrice della giornata, è Tesoriere... Una strana associazione, di cui cerchiamo di intendere l'oggetto e il senso alla luce dei fatti, qui riconosciuti nel Video stesso e durante la Conferenza Stampa, in un'aula del Senato. Non sono date le domande che la Stampa avrebbe dovuto fare, se mai sono state fatte, e senza che nessun dibattito vi sia stato. Proviamo a ragionarci sopra alla luce di ciò che se ne può desumere da quanto dice una Elisabetta, in nome e per conto della Associazione di cui è Tesoriere. Paradossalmente sembra che una siffatta associazione esiste e sia stata costituita per essere tutta dalla parte di Caino, nel senso assurdo e inaccettabile che ne patrocina tutela promuove giustifica difende tutti gli efferati omicidi assassini crimini che i Caini della storia hanno via via commessi... Ben sappiamo che la giustificazione di facciata è l'opposizione alla pena di morte nel mondo, una morte che però viene ampiamente data in quel Paese che - com si dice - sta nel cuore di Elisabetta, e dei suoi sodali in un'aula infelice del Parlamento italiano.

Piombo Fuso - per intenderci - è stata una grande azione di Caino! Ed ogni giorno in Palestina lo «stato di Israele», fondato sulla Pulizia Etnica del popolo palestinese, rinnova le sue gesta, qui esaltate e difese in un'aula del Senato italiano, rappresentato dai parlamentari presenti che verosimilmente ne hanno chiesto la disponibilità e l'uso, cosa che non viene concessa non a ogni cittadino che ne faccia richiesta, ma solo aogni Senatore che lo chieda...

L'Iran un "regime”? No! È una democrazia di un paese sovrano, il cui eroe nazionale, il generale Solemaini, ha visto ai suoi funerali tutto il popolo in lutto... Io stesso, italiano, in nome e per conto degli italiani che si riconoscono in questo mio gesto (non certo in nome di Elisabetta, Fiammetta e gli altri del ristretto gruppo), ho firmato in Roma il libro di condoglianze, riconoscendo nell'Iran un democrazia, espressione di un popolo sovrano, che ha una sua piena dignità nazionale.

Dignità a che purtroppo manca a un paese come l'Italia, che è un “regime” imposto agli italiani 75 anni fa, con una costituzione farlocca, con 130 basi americane che occupano il territorio nazionale, un paese funestato da “giornalisti di regime, giuristi di palazzo, mass media asserviti”, con parlamentari che per tutta la durata del mandato altro non hanno mai che gli interessi di uno stato straniero, Israele, dove adesso risiedono e da cui mandano ordini alle loro lobbies.

Proprio ieri, leggendo, mi è stato di conforto, apprendere che i libici, il popolo libico, considera responsabili di 10 anni di guerra funesta, non l'Italia, che ha tradito un Patto di Amicizia appena firmato, ma la Francia di Sarkosy.

Ed infatti l'Italia è un "regime” che non esprime in nessun modo la volontà dei suoi cittadini, ma solo quella dei suoi occupanti e delle lobby che la stanno massacrando e conducendo alla rovina. Un'Italia libera e sovrana semplicemente non esiste e per questo ognuno di noi italiani si può dichiarare innocente: non contiamo nulla, non abbiamo mai contato nulla e tutte le colpe ricadono sui governi stranieri, al soldo dello straniero che si sono succeduti. Noi siamo innocenti e dobbiamo ancora lottare per risollevarci, per la nostra Liberazione che non è mai neppure cominciata!

mercoledì 29 luglio 2020

«Lo strano caso Italia», TK recensisce Luciano Barra Caracciolo


Luciano Barra Caracciolo, Lo strano caso Italia, Eclettica Edizioni, pp. 233, € 18,00
Escono da qualche anno sempre più libri che non “cantano in coro” e sottolineano, anzi, come la globalizzazione e l’euro siano stati, per l’Italia (soprattutto) un cattivo affare.
Questo saggio si distingue già dal titolo e dal sottotitolo. Quanto al primo l’aggettivo strano avrebbe dovuto essere scritto tra virgolette: perché – tanto strano il caso Italia non è (e il libro lo conferma), ma anzi era voluto e prevedibile.
Per il sottotitolo questo è “Breviario di politiche economiche nella crisi del globalismo istituzionale aggiornato all’emergenza coronavirus”; e il libro è – in gran parte – la dimostrazione che le politiche di austerità hanno provocato – o almeno aggravato decisamente – la crisi in atto (almeno) dal 2008, precipitata ulteriormente con la pandemia.  E così il breviario serve a riportare sulla “retta via”, ben nota agli economisti (non di regime), e a ritrovare le condizioni di compatibilità tra il modello economico-sociale delineato dalla Costituzione e quello emergente dai trattati europei.
L’autore rileva che a seguito dell’adesione all’euro “derivante da trattati e fonti di diritto internazionale (privatizzato) -, e avendo subito la conseguente ristrutturazione del proprio modello industriale e sociale derivante dalla correzione Monti (in poi), l’Italia registra una crescita zero”; questo perché “Le regole pattizie sovranazionali che impongono la globalizzazione, poi, sono regole di liberoscambio, cioè di affermazione del dominio del mercati sulle società umane, i cui bisogni, - l’occupazione, la dignità del lavoro, la solidarietà sociale espressa nella cura pubblica dell’istruzione, della previdenza e della sanità – divengono recessivi e subordinati alla scarsità di risorse… La globalizzazione è quindi un sistema di regolazione sovranazionale mirato a rafforzare le mire dei paesi (Stati nazionali) che la propugnano, da posizioni iniziali di forza politica ed economica, nel conquistare i mercati esteri”. E questo già lo scriveva Friedrich List quasi due secoli fa. E proprio per questo l’economista tedesco, che aveva assai presente funzione, carattere (e primato) del politico, sosteneva che la differenza essenziale tra quanto da lui sostenuto e il pensiero di Adam Smith era che la sua economia era politica cioè in vista dell’interesse, volontà e potenza delle comunità (organizzata – per lo più – in Stati), mentre quella dello scozzese era cosmopolitica (avendo come criterio-base l’interesse individuale).
Una delle conseguenze dell’economia cosmopolitica – nella versione contemporanea di Eurolandia - è di essere, per l’appunto, come sostiene l’autore in contrasto col modello delineato dalla Costituzione “più bella del mondo”.
Scrive Barra Caracciolo “a voler essere benevoli, a partire dal trattato di Maastricht, il modello costituzionale non sia stato rispettato; per espressa previsione delle norme inviolabili, e non soggette a revisione, della nostra Costituzione (artt, 1, 4, 36, 38, 32, 33… quantomeno), l’economia italiana segue il modello keynesiano… sicché esso non tollererebbe (cioè, non contemplerebbe come costituzionalmente legittime) politiche che, sempre per attenersi alle classificazioni e schematizzazioni di questi ultimi, implichino apertamente”, il di esso costante sacrificio. Accompagnato da salmi di giubilo alle regole europee degli eurodipendenti.
La venticinquennale stagnazione italiana è, in senso economico, determinata dalla crisi strutturale della globalizzazione da un lato, e dall’altro dall’impedimento di quelle politiche di sviluppo, dettate dalla nostra Costituzione, ma rifiutate dall’U.E.. Anche se, a quanto pare, dalle trattative sul recovery fund correzioni delle politiche d’austerità (sostanzialmente dannose per l’Italia), è in corso. Ma non si sa quanto efficaci, almeno nel medio periodo, per il nostro paese.
In questo saggio c’è molto, onde non è facile sintetizzarlo. I profili più evidenti ne sono: a) il contrasto tra quanto si sostiene – dagli euro dipendenti – che da un lato si atteggiano a numi tutelari della Costituzione “più bella del mondo”, dall’altra nelle politiche euroasservite ne tradiscono il modello economico sociale, nei suoi caratteri fondamentali, a cominciare dalla tutela del lavoro, che è, secondo l’art. 1 il fondamento (reale prima che normativo) della Repubblica.
Ma questo si comprende bene: élite in decadenza si affidano all’astuzia più che alla forza (Pareto). Come scriveva il segretario fiorentino, il principe deve badare a parere più che ad essere. E il metodo più seguito per farlo è predicare in modo opposto al praticare. La sconnessione tra detto e fatto, tra intenzioni esternate e risultati conseguiti è voluta e tutt’altro che casuale.
La seconda – connessa alla precedente – è la sostanziale assenza (od oscuramento) del dibattito su crisi, cause e responsabilità della stessa. Silenzio assordante fino a qualche anno orsono, un po’ meno dopo che i successi  elettorali dei partiti sovranpopulidentitari hanno certificato che la consapevolezza popolare di cause e responsabilità della crisi, malgrado tutto, determina crisi politiche di livello globale, con sempre più Stati retti e condizionati da maggioranze (o quasi-maggioranze) elettorali sovran-populiste. Economisti di regime, giuristi di palazzo, mass media asserviti l’hanno solo ritardata. Come scrive Barra Caracciolo “tutta la problematica (della crisi)… è completamente assente dalle dichiarazioni programmatiche e dal dibattito politico attuale… Si ha come l’impressione di essere in una realtà parallela, fatta di miopi polemiche di parte e di slogan ripetuti senza comprenderne appieno il significato… E l’Italia non può permettersi di essere raccontata e guidata ignorando la sua natura, la sua vocazione, ben collocata in questa terra, interconnessa con i problemi di una globalizzazione che è stata concepita dai progettisti di Elysium, da spietati Malthusiani, e che ora, nella sua fase discendente, rischia di trascinarsi nel suo “cupio dissolvi”… Parliamone: non lasciamo che discorsi “lunari”, ipostatizzati su un pensiero unico e irresponsabile verso il popolo sovrano, ci facciano suonare, come comprimari, nell’orchestra del Titanic…”. E questo libro è un’ottima occasione per cambiare musica (e orchestra).
Teodoro Klitsche de la Grange

giovedì 23 luglio 2020

Teodoro Klitsche de la Grange: «La carica dei monatti»


LA CARICA DEI MONATTI
Sarà, ma non riesco a vedere del tutto negativo che i quattrini dell’U.E. arrivino, come dicono, nei prossimi anni.
Non sono un economista, e molti mi rimprovereranno di non tener conto dell’effetto shock che un’iniezione massiccia di liquidità ha su un’economia in recessione; ma credo di avere qualche esperienza della politica, di quella nazionale in particolare e questo mi induce a bilanciare, almeno parzialmente gli effetti positivi e quelli negativi del ritardo.
Molti pensano che il governo Conte sia prossimo al capolinea, probabilmente sostituito, entro l’anno, da un nuovo esecutivo, sorretto da una “scissione” di Forza Italia; altri (meno) pensano che si vada ad elezioni anticipate nel prossimo inverno (con altre probabilità di alternativa). Se è vero ciò, il vantaggio del ritardo è evidente: non sarà questo governo a spendere la massa di moneta – oltre 200 miliardi di euro – in arrivo dall’U.E.. Vantaggio che sarebbe modesto, ove il governo fosse comunque espressione del PD (e appendici), superiore se lo escludesse e fosse formato dall’attuale opposizione.
Il perché è semplice: il PD (nelle varie trasformazioni) è il maggiore (anche se non l’unico) responsabile della venticinquennale stagnazione economica italiana, che ne ha fatto l’economia più ferma sia dell’U.E. che dell’area euro (dopo essere stata, prima del 1993, una delle più dinamiche).Non c’è passaggio economico decisivo della “seconda repubblica” che non porti la firma di un boiardo di centrosinistra: dall’entrata nell’euro alle privatizzazioni, spesso farlocche e altrettanto spesso profittevoli per i privati, ma non per il pubblico (tra le tante – Autostrade); dal rigore a senso unico (quello sbagliato) alla tassazione a gogò. I protagonisti di questo quarto di secolo (abbondante) sono stati i vari Prodi, Ciampi, Amato, Padoa Schioppa, Monti, nessuno dei quali ha governato senza la fiducia del centrosinistra.
Con i risultati che abbiamo visto prima della pandemia. Per cui chiedersi perché gli italiani abbiano ridotto il PD (e connessi) da quasi la metà dei voti a poco più di un quinto dell’elettorato è sorprendente: a sorprendere – di fronte a tanto sfascio – sarebbe il contrario. Che poi a spendere i quattrini che l’U.E., (bisogna riconoscere, stavolta meno rigorosa del solito), mette a disposizione, debbano essere sempre coloro i quali da decenni ci hanno messo in questa situazione realizzando politiche “rigorose” (si fa per dire) è circostanza assai poco rassicurante. Da risultati passati così negativi non c’è da attendersi un futuro radioso.
E lo si vede già nelle normative per il rilancio: mentre tra le misure per il rilancio dell’economia post-Covid la “cattivissima” Merkel in Germania ha abbassato l’IVA di 3 punti (dal 19 al 16 per l’aliquota ordinaria), seguita dalla piccola Cipro, il governo PD-M5S ha inventato bonus, alcuni giustificati, altri surreali – quelli per bici elettriche e monopattini - , ma – a parte qualche breve rinvio di pagamento – nessuna riduzione d’imposta, tanto meno per quelle generali, gravanti su tutta la popolazione (come, tra l’altro, IRPEF, IVA, IMU). In realtà come al solito emerge la differenza sostanziale tra l’Italia e la maggior parte dell’Europa: che non è tanto il “rigore” ma il modo di governare (e governarlo).
Lì si prendono misure emergenziali che incidono per lo più a danno o a favore di tutti: hanno la stessa caratteristica positiva della legge di Rousseau: che viene da tutti e si applica a tutti.
In Italia viene da un governo di minoranza nella Nazione, nato per impedire alla maggioranza (Salvini e connessi) d’andare al governo e serve, in larga parte a fare favori a pochi, se non pochissimi. Quelli che stanno a cuore ai governanti minoritari. I quali hanno un consenso radicato tra i tax-consommers, ossia tra coloro che, sul bilancio dello Stato, ci campano, E non è solo la burocrazia; come scriveva un secolo fa circa Giustino Fortunato, il bilancio dello Stato è “la lista civile della borghesia parassitaria”. Quella che prospera grazie alle imposte, alle tasse, alle tariffe pagate da tutti. E che nutre grandi attese dalle conseguenze della pandemia. Ridurre le imposte (a tutti), profittando dei fondi europei significa ridurre i favori (a qualcuno); cosa improponibile a un governo che si “regge” sul consenso di quelli.
Tempo fa notavo che Manzoni narra come l’esclamazione dei monatti nella Milano appestata era “viva la moria”, perché i lutti di tutti erano occasione per i monatti di vivere (neppure tanto onestamente): e c’erano segnali in Italia che la situazione (e l’augurio) si stesse ripetendo con i monatti post-moderni.
Ne abbiamo avuto la conferma pochi giorni fa; il brindisi (completo) dei monatti nei Promessi sposi in effetti era: “Viva la moria. Moia la marmaglia”; un ministro l’ha completato dicendo che se i ristoratori non riescono ad adeguarsi, meglio che cambino mestiere. Il che vuol dire la morte economica di non poche imprese. Delle quali non molte (forse) propendevano per il partito del ministro e quindi lo “meritavano”. Ma chi spiegherà al ministro che se cessano di produrre le imprese, pochi pagheranno le tasse? E che se non pagano le tasse non solo i suoi elettori, ma persino lui sarà costretto a lavorare?
 Teodoro Klitsche de la Grange

martedì 21 luglio 2020

Francesco Borgonovo: «La malattia del mondo», recensito da T.K.


Francesco Borgonovo, La malattia del mondo, Milano 2020, pp. 207, € 15,00
Questo libro è una riflessione sulla pandemia da coronavirus, che dall’evento risale alle condizioni ideali e materiali da cui è stato incentivato, in un’epoca in cui eventi del genere, che hanno funestato l’umanità per millenni, sembravano chiusi nell’archivio della storia. Archivio che a dispetto dei progressisti – e purtroppo non solo loro – si è riaperto.
La pandemia è stata frutto di due fattori fondamentali, ambo ideali: il primo è la ybris, il secondo è (la pretesa/aspirata) assenza di limiti (non solo fisici) che caratterizzano il pensiero della globalizzazione (e dei globalizzatori). Quanto alla prima scrive l’autore, la ybris è “prima di tutto superamento del limite, del confine. E se ci pensate, l’intera storia dell’epidemia di Covid-19 (esattamente come la storia della globalizzazione) è una faccenda di confini varcati e limiti infranti”. Il limite infranto è quello della natura “Della natura noi uomini siamo, al massimo, i custodi, come rivela il libro della Genesi. Quando veniamo meno al nostro ruolo, o quando tentiamo di farci creatori sostituendoci al Creatore, allora scateniamo l’epidemia, la pestilenza biblica”. Secondo gli scienziati il Coronavirus è nato – come altri agenti patogeni – da uno spillover da un “salto” tra specie (da animali selvatici all’uomo). Varcato il limite della specie è stato assai più agevole, dato il progresso tecnico e la permeabilità delle frontiere, diffondersi nel pianeta a velocità impressionante “Prigionieri come siamo dell’ideologia della dismisura, non abbiamo saputo chiudere tempestivamente i confini, non abbiamo voluto fermare il vortice della circolazione globale: la malattia, dalla Cina, è approdata in Germania, e da lì è giunta in Italia. Poi, il disastro. Quando il Covid-19 è calato nella nostra nazione, tutti i nostri limiti sono tornati prepotentemente a galla: quelli delle nostre strutture sanitarie, della nostra potenza industriale, della nostra indipendenza economica… Il confine, il limite, le barriere salvifiche che avrebbero potuto arginare l’avanzata del nemico occulto sono stati sbriciolati dal capitalismo selvaggio e dall’ideologia che impone: nessuna frontiera”.
Ricordando quanto scriveva Schmitt della contrapposizione tra terra e mare e le conseguenze che comporta sull’ordine, sul diritto e sull’economia, Borgonovo sostiene che non erra Zigmunt Bauman quando definisce la società post-moderna “società liquida” contrapposta alla solida terra che fonda società basate sul limite (confine delle proprietà, dei territori delle sintesi politiche, almeno di quelle stanziali, ossia, nella modernità, tutte). Per espandersi la “società liquida” necessita di superare se non di abolire i limiti.
Hegel lo aveva notato per l’industria nel paragrafo 247 dei Lineamenti di filosofia del diritto: “come per il principio della vita familiare è condizione la terra, cioè il fondo e il terreno stabile, così per l’industria l’elemento naturale che la anima verso l’esterno è il mare.
Nella brama di guadagno, esponendo al pericolo il guadagno stesso, l’industria si eleva a un tempo al di sopra di esso, e soppianta  il radicarsi nella zolla e nella cerchia limitata della vita civile, i suoi godimenti e desideri, con l’elemento della fluidità, del pericolo e del naufragio…”; il mare pertanto era l’ “ambiente” più favorevole al commercio e all’industria. Ancor più quando, venuta meno la scoperta di nuove terre (e mercati) l’espansione deve basarsi sull’abolizione dei residui confini.
Il libro è colmo di idee. Per restare nei limiti di una recensione, la sintesi – purtroppo limitata come tutte le sintesi – è che la post-modernità si fonda sulla ybris, ossia la superbia di superare i limiti della natura. Borgonovo ricorda come i greci notassero ciò: Erodoto ed Omero, cui occorre aggiungere Sofocle, in particolare nell’Antigone e nell’Edipo re. Come condanna della ybris come distruttrice dell’ordine terreno e divino è particolarmente significativo il canto del coro nell’Edipo rePossa io avere destino di serbare santa purezza di parole e di azioni, a cui sono preposte leggi sublimi, procreate nell’etere celeste, e l’Olimpo solo è loro padre; non natura mortale di uomini le generò, né mai l’oblio le sopirà: un dio potente è in esse, e non invecchia. La dismisura genera tiranni”. O nella profezia di Tiresia a Creonte nell’Antigone, nella quale l’indovino prevede la rovina del re per aver violato le leggi di natura “questo non è un potere tuo, né degli dei supremi, anzi essi soffrono questa violenza da te”. Indubbiamente una civiltà come quella greco-romana che Spengler riteneva basarsi sul senso del finito, cioè del limite è particolarmente utile per capire la degenerazione faustiana della post-modernità.
La quale trova la propria caratteristica fondamentale nel ritenere superabili realtà e leggi naturali. Lo stesso comunismo reale, rapidamente espanso e conclusosi, si fondava sull’illusione del giovane Marx di cambiare la natura umana, mutando i rapporti di produzione; alla fine della dittatura si sarebbe costruita la società comunista, senza comando né obbedienza, pubblico e privato, amico e nemico. Cioè senza i presupposti del politico – le costanti  che connotano ogni comunità politica umana. Risultato smentito dalla breve storia del comunismo. Il quale si è retto solo perché ha mantenuto anzi potenziato le costanti del politico nella dittatura sovrana del partito. Cessata la fede nella quale è imploso. Nella post-modernità questa ybris ha preso altre forme, immaginato altri idola: tutti accomunati dalla credenza di poter oltrepassare leggi e limiti naturali. Illusione sempre smentita e fondante, come cantava Sofocle, nuove tirannie.
Teodoro Klitsche de la Grange

domenica 19 luglio 2020

fb16: Non è una “storiella”: è il Vangelo!


fb16: 19-07-2020 - a
NON E' UNA "STORIELLA": E' IL VANGELO!  - Siamo di nuovo al "doppio standard". Io sono stato "crocefisso" perchè mi si è attribuito su una questione spinosa, il Tabù dei Tabù, di aver usato il termine "leggenda", che non è "favola" (cosa totalmente fantastica) e nemmeno una "storiella" che cosa blasfema se attribuita ai Vangeli, testi sacri delle Fede cristiana. Ogni bambini di fede cattolica sa ciò che il Vangelo dice, e cioè che a volere la condanna a morte e l'esecuzione della condanna furono gli ebrei descritti nei Vangeli. Si noti: ebrei che non sono gli antenati dei moderni ebrei, in buona e larga parte discendenti del Kazari (Crimea) del IX dopo Cristo convertitisi al giudaismo. I discendenti più diretti e verosimili degli ebrei dell'epoca di Gesù sono gli attuali palestinesi, che hanno seguito il destino delle dominazioni politiche che richiedevano e richiedono conversioni alla religione o ideologia del potere politico dominante. I palestinesi di epoca evangelico sono così diventati prima cristiani e poi musulmani: oggi si trovano loro in croce...
Quanto a Ponzio Pilato a me si insegnava in seconda media che fu quella la sentenza più ingiusta della storia: si riconosceva l'accusato innocente, ma lo si condannava. Anche il tentativo di graziarlo fu sventato dagli ebrei dell'epoca, che all'alternativa fra Barabba e Cristo, preferirono Barabba.
Difficile e penoso il tentativo di addossare la colpa ai Romani che crearono il sistema giuridico che è ancora oggi alla base del nostro diritto. Ma si sa che gli inquinamenti interni alla gerarchia cattolica stanno portando perfino alla "negazione" del Vangelo nella sua chiara lettera e nel suo spirito ancora più chiaro.
Quanto poi alla distinzione fra antisionismo e antisemitismo si tratta di cose del tutto distinte, a loro volta poi ancora distinte dalla conflittualità religiosa e sociale che durò dai primordi fino alla rivoluzione francese, che introdusse l'odierna equiparazione degli ebrei nei diritti degli altri cittadini. Questa equiparazione non fu gradita del corso del XIX secolo dai restanti concittadini, che non si fidavano degli ebrei. Il caso Dreyfus consiste certamente - a quanto appurato - nella condanna di un innocente dall'accusa di tradimento, ma è anche vero che questa accusa aveva come sua fondamento un pregiudizio che era all'epoca assai diffuso, e si potevano tranquillamente intitolare Associazioni Antisemite, intendendo che il loro oggetto era la contrarietà all'equiparazione giuridica introdotto dalla rivoluzione francese e poi adottato da tutte le legislazioni europee.
Il sionismo (e con esso l'antisionismo) nasce nella seconda metà del XIX secolo. Ne offre una mirabile esposizione Shlomo Sand nel libro: "Come fu inventato il popolo ebraico", alla cui lettura si rinvia. Il tentativo di equiparare antisemitismo e antisionismo è una chiarissima azione lobbistica per rendere penalmente sanzionabile tutte le critiche che possono fondatamente farsi alla pulizia etnica della Palestina, iniziata nel 1882 dai coloni "ebrei sionisti" venuti dall'Europa Orientale. Non possono esservi dubbi sui fatti e sui processi storici: la propaganda non può prevalere sulla scienza storica. E qui mi fermo.
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«Informazione Corretta»

giovedì 16 luglio 2020

Teodoro Klitsche de la Grange: «Responsabilità e potere»


RESPONSABILITÁ E POTERE
Benjamin Constanr
Si dice che nel decreto-legge sulla “semplificazione” amministrativa di cui (al momento in cui scrivo) si è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, vi sia una modifica (per un anno) del regime di responsabilità amministrativa dei funzionari, che escluderebbe quella per “colpa grave”, limitandola al dolo; per lo più, pare, inteso in senso penalistico.
Questa norma era, per così dire, “nell’aria”, perché confermativa della tendenza a ridurre la responsabilità dei funzionari che connota la prassi legislativa della repubblica: anche se, bisogna dire, altre norme annunciate – tese a limitare gli atteggiamenti omissivi e lentezze procedurali, sono condivisibili e semmai tardive perché avrebbero dovuto essere poste in essere da decenni.
Già agli albori dello “Stato di diritto” nel continente europeo la responsabilità dei funzionari (sia verso i cittadini per i loro atti che dello Stato) era oggetto di dibattito tra posizioni contrastanti. Così ne discutevano già Constant (oltre due secoli orsono) e Tocqueville (a metà dell’ottocento) con argomenti tuttora illuminanti.
Scriveva Constant nei Principes de politique (del 1815) che “Non basta aver stabilito la responsabilità dei ministri; se questa responsabilità non comincia nell’esecutore immediato dell’atto che ne è oggetto, essa non esiste: deve pesare su tutti i gradi della gerarchia costituzionale. Quando non è tracciata una via legale per sottoporre tutti gli agenti all’accusa che essi tutti possono meritare, la vana apparenza della responsabilità non è che una insidia funesta per coloro che saranno tentati di credervi. Se punite soltanto il ministro che dà un ordine illegale e non lo strumento che l’esegue, collocate la riparazione tanto in alto da non poterla spesso conseguire”, all’obiezione che “se gli agenti inferiori possono essere puniti in una circostanza qualsiasi per la loro obbedienza, li si autorizza a giudicare le misure del governo prima di parteciparvi. Per ciò stesso ogni sua azione è impedita. Dove troverà il governo degli agenti se l’obbedienza è pericolosa? in quale impotenza mettete tutti coloro che sono investiti del comando! in quale incertezza gettate tutti coloro che sono incaricati dell’esecuzione!”, il pensatore di Losanna replicava che “Questa obbedienza, quale ci viene esaltata e raccomandata, è, grazie al cielo, del tutto impossibile. Persino nella disciplina militare l’obbedienza passiva ha dei limiti tracciati dalla stessa natura delle cose a dispetto di tutti i sofismi… Un soldato dovrebbe forse, dietro ordine del suo caporale ubriaco, sparare al suo capitano? Egli deve dunque distinguere se il suo caporale è ubriaco o no; deve riflettere che il capitano è un’autorità superiore al caporale. Ecco che al soldato si richiede intelligenza e discernimento”. Per cui “Mai però si potrà far sì che l’uomo possa divenire totalmente estraneo all’esame e fare a meno dell’intelligenza che la natura gli ha dato per guidarsi e di cui nessuna professione può dispensarlo dal fare uso”.
Dato che proponeva, come giudice delle responsabilità, collegi di giurati, sosteneva che ciò non avrebbe incentivato troppo la disobbedienza perché la tendenza naturale dei funzionari “favorita altresì dal loro interesse e dal loro amor proprio, è sempre l’obbedienza. I favori dell’autorità hanno questo prezzo. Essa dispone di tanti mezzi segreti per compensarli degli inconvenienti del loro zelo!”.
Quanto a Tocqueville scriveva che le costituzioni francesi succedutesi dal 1789 avevano tutte confermato di sottrarre l’attività dei funzionari al controllo giudiziario, confermando così quello che, nell’ancien régime era una prassi consolidata “l’articolo parve così ben concepito che abolendo la costituzione di cui faceva parte si ebbe cura di estrarlo dalle rovine e dopo lo si è sempre conservato accuratamente al riparo dalle rivoluzioni. Gli amministratori lo considerano ancora una delle grandi conquiste del 1789, ma in ciò sbagliano ancora, perché sotto la vecchia monarchia, il governo non aveva meno cura nell’evitare ai funzionari il disagio di rispondere al giudice come capita ai semplici cittadini”.
Sono quindi due secoli che lungo la “linea di faglia” che congiunge i principi di forma politica a quelli dello Stato borghese – e che comprende (anche) le garanzie del corretto esercizio della funzione pubblica - si riproduce il dibattito nelle medesime posizioni e quasi sempre, argomenti.
E la ragione è chiara: in ogni forma statale insistono due regolarità potenzialmente confliggenti: il rapporto tra governanti e governati (comando/obbedienza) e quella della classe politica, che Miglio estensivamente denominava aiutantato. In ogni regime politico le due regolarità devono essere tenute in equilibrio: perché nessuna classe dirigente può rinunciare a una certa misura di consenso dei governati e neanche ad un certo tasso d’obbedienza dell’aiutantato.
Sicuramente però eliminare la colpa grave come causa di responsabilità – anche se temporaneamente, ma in Italia spesso il contingente diventa duraturo – appare improponibile. Significa assicurare l’irresponsabilità per ogni errore provocato da negligenza, imperizia, imprudenza grave.
Se fosse applicato nei rapporti privati, renderebbe non sanzionabili le inadempienze più evidenti, compresa l’inadeguatezza a esercitare il ruolo per cui si è retribuiti.
Anche l’obbedienza dell’aiutantato ha un prezzo per l’autorità: ma, l’irresponsabilità per colpa grave è un costo troppo alto da pagare.
Teodoro Klitsche de la Grange

domenica 12 luglio 2020

fb15: Vae Victis!

↓B. Home. - ACdaS - 14. ↔ 16.
fb15: 12-07-2020 - a
VAE VICTIS: GUAI AI VINTI! - Purtroppo, avendo i nostri padri perso la guerra mondiale, ci hanno consegnato un destino di servaggio... Non è difficile con un poco di buona volontà arrivare a comprendere che non avrebbe senso tenere eserciti americani di occupazione in ogni angolo d'Europa, se contemporaneamente gli invasori e ocupanti dal 1945 ad oggi non avessero a loro servizio tutti gli altri sistemi con cui si governa una popolazione: ad incominciare da giornali e televisioni e senza lasciare scoperto nessun anfratto attraverso cui si esercita il dominio di un popolo su di un altro popolo, fino al raggiungimento della morte "cerebrale" del popolo sottomesso e occupato: la testa di ognuno di noi è l'ultima trincea... I nostri governanti? Quelli che vediamo la sera in televisione? Quelli che fanno conferenze stampa? O i politici che lasciano dichiarazioni a ritmo di trombetta? Dobbiamo abituarci a vederli per quello che sono: agenti dell'esecito occupante che si avvalgono di una rete alquanto capillare di "collaborazionisti”... Riuscire ad averne la comprensione intellettuale e la persuasione morale è il primo passo verso una qualsiasi velleità di Liberazione, se non ancora rinunciato del tutto a ogni idea di libertà. A scuola abbiamo tutti studiato il "Vae victis”, ma non sembra che se ne sappiamo trarre le conseguenze ed attualizzarne il significato.

venerdì 10 luglio 2020

fb14: I "padroni del discorso”: ribellarsi loro è possibile, lecito, doveroso... vincente!

B. Home. - ACdaS - 13. ↔ 15.
fb14: 09-07-2020 - a
LO HANNO AMMAZZATO, per il gusto di ammazzare, come si vede in gran parte dei film americani di produzione hollywodiana: il gusto dell'omicidio, con lunga tradizione nella "civiltà” americana, ad incominciare dagli indiani (fucili e cannoni, contro frecce e coltelli: grandi eroi!), fino ai tempi odierni... le scene dei film sono realistiche e rivelano una psicopatia diffusa... Chi ha visto il film di Kubrik, Arancia Meccanica, ricorda i due amici del protagonista, tutti dediti a comune delinquenza e a un esercizio gratuito della violenza... Alla fine del film, gli amici del protagonista, li si ritrovano arruolati nella polizia: un posto tranquillo e sicuro per esercitare la libidine violenta che è nella loro natura, restando impuniti.

La tecnica poi dell'uso del ginocchio per il soffocamento è israeliana, come si legge dappertutto. Dai siti sionisti si risponde che si tratta di un "falso", ma non è chiarito in cosa consisterebbe il falso.... I poliziotti di cui si parla sono americani, non israeliani, e nessuno ha sostenuto questo. Si parla solo di "tenica" che è di matrice israeliana e che è da sempre in uso sui palestinesi, la cui contabilità dei morti ammazzati non è mai data... Israele esporta i suoi sistemi repressivi, ogni giorno collaudati sui palestinesi, in ogni parte del mondo ed ha relazioni più o meno segrete con tutti gli stati del mondo che hanno bisogno di esercitare sui loro cittadini l'arte della repressione.

Ma vi è una repressione quotidiana, incessante alla quale siamo tutti soggetti, spesso senza neppure rendercene conto: è la repressione che su di noi esercitano i "padroni del discorso”, che vediamo entrare nelle nostre tutte le sere dagli schermi televisivi, o anche attraverso i giornali che dalle edicole portiamo in casa, per chi ancora conserva l'uso della carta stampata. Ci dicono loro quello che dobbiamo pensare o non dobbiamo pensare, quello che dobbiamo o non dobbiamo fare. Non usano la tecnica del ginocchio sul collo, riservata a quelli che fisicamente si recano in piazza, ma inoculano nei nostri cervelli le loro menzogne.

Come posso dire che sono menzogne? Lo dico e lo dimostro perfino con un esempio concreto che ognuno può verificare, restando però poi a lui l'onere del trarne le conseguenze e per deduzione arrivare ai fondamenti di un sistema corrotto e corruttore, dove la prima violenza è di ordine morale: la menzogna su cui si regge il potere e l'oppressione.

Chi qui in facebook per avventura legge e guarda alla sua sinistra trova una medaglia con inciso il mio nome: Antonio Caracciolo. Non si tratta di una mia vanità, ma dell'attestazione certificata di oltre 50 anni di studi, ricerche, docenza... diciamo dal 1965, anno di mia iscrizione al prestigioso liceo-ginnasio Visconti in Roma fino al 2016, anno del mio pensionamento come docente ricercatore dall'Università La Sapienza di Roma: in tutti questi anni non ho mai avuto la benchè minima sanzione e come studente e come docente. L'Attestato di benemerenza certifica che ho "lungamente e lodevolmente" prestato servizio.

Ebbene, per il principale quotidiano italiano io sarei licenziato con infamia, per fatti che dicono loro, inventati di sana pianta e oggetto di una campagna di stampa che aveva fra l'altro lo scopo di impedire qualsiasi mia candidatura ad organi elettivi: il Campidoglio o il Parlamento.

Il fatto strano, sospetto, premeditato è che non abbiano neppure voluto accettare l'evidenza della falsità! Benchè condannati in prima istanza da un Tribunale insistono nella menzogna... Il resto è cronaca giudiziaria alla quale rinvio. Io stesso, ma del pari chiunque altro, partendo da questo dato elementare può risalire a quelli che sono i «Padroni del Discorso», e che ancora prima ed assai più di quanto non possano giudici e poliziotti, governano opprimendole le nostre menti: formano le nostre opinioni, alimentadole di menzogne.

Ribellarci possiamo: semplicemente pensando con la nostra testa, liberata dalle quotidiane menzogne di questi Signori, e guardando con i nostri occhi, finalmente capaci di vedere la realtà. Al pensiero segue la decisione che guidata dal pensiero non ha bisogno di nessun esercizio della violenza: il castello della menzogna cade come nella saga di Tolkien le torri di Sauron e di Saruman, con tutti i loro Orchi.
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giovedì 9 luglio 2020

Teodoro Klitsche de la Grange: «Non indurre in tentazione...»


NON INDURRE IN TENTAZIONE…
Al fine di giudicare la complessa vicenda – o almeno la parte di essa più rilevante –Palamara – CSM non è inutile quell’invocazione del paternoster all’Onnipotente: non c’indurre in tentazione. Nei due fatti di “deviazione” della giustizia ai fini politici che occupano le prime pagine dei giornali: la sentenza contro Berlusconi di anni fa e la recente richiesta di processare Salvini, un ruolo di grande rilievo hanno le innovazioni legislative e costituzionali successive a Tangentopoli, in particolare, da ultimo, la legge “Severino” del non rimpianto governo Monti.
Presupposto delle quali è la pretesa lesione del diritto di uguaglianza, che avrebbe provocato o comunque incentivato il malaffare dei politici. Questo è difficilmente perseguibile perché la giustizia “politica” – cioè con oggetto e/o soggetto politico - è (per sua natura) derogatoria sia delle competenze che delle procedure ordinarie, onde le deroghe apparivano (e sono viste) come vulnera del principio d’uguaglianza dei cittadini. I quali così, anche ai fini penali, sono distinti in governati e governanti: i primi soggetti alla legge, i secondi alle di essa “eccezioni”. A cui si aggiunge anche la lesione dei principi dello “Stato di diritto”.
Non è così: sin dai primi teorici (e dalle disposizioni delle costituzioni) degli Stati borghesi – risulta che la giustizia politica non può che essere derogatoria di quella ordinaria.
Teodoro Klische de la Grange
Scriveva Constant circa due secoli orsono per sostenere, nelle accuse ai ministri, la deroga della competenza dei Tribunali ordinari a favore della pairie che “La messa sotto accusa dei ministri è, di fatto, un processo tra il potere esecutivo e il potere del popolo. Occorre dunque, per condurlo a termine, ricorrere a un Tribunale che abbia un interesse parimenti distinto da quello del popolo e da quello del governo e che tuttavia sia unito da un altro interesse sia a quello del governo sia a quello del popolo” che individuava nella camera dei pari; ciò perché “La Camera dei pari è dunque, per l’indipendenza e la neutralità che la caratterizzano, il giudice adatto dei Ministri”, e così a decidere della pubblica accusa (cioè di iniziare l’azione penale) i più adatti  sono i rappresentanti della Nazione (altra deroga); mentre i “tribunali ordinari, possono e debbono giudicare i ministri colpevoli di attentati contro gli individui; ma i loro membri sono poco adatti a pronunciare su cause che sono piuttosto politiche che giudiziarie; sono più o meno estranei alle conoscenze diplomatiche,, alle combinazioni militari, alle operazioni finanziarie: conoscono solo imperfettamente la situazione dell’Europa, hanno studiato soltanto i codici delle leggi positive, sono costretti dai loro doveri abituali a consultare soltanto la lettera morta e a chiederne soltanto la stretta applicazione”. Non aveva pensato Constant, al fatto che anche i tribunali ordinari possono essere sedotti dallo spirito partigiano, e giudicare secondo il medesimo, come rimproverato anche da alcuni magistrati nelle conversazioni intercettate. E se si considerano le opinioni dei giuristi negli ultimi due secoli, divergono poco o punto da quella di Constant.
Il carattere derogatorio è giustificato dai quei pensatori, sia dalla possibilità di sottrarre i ministri a vendette politiche, sia ad applicazioni di norme senza tener conto dell’interesse generale, sia all’indipendenza superiore di organi speciali rispetto ai tribunali ordinari. Non s’immaginava che gli organi giudiziari (ordinari) si trasformassero in soggetti politici, interloquenti e contrattanti con altri soggetti, politici a tutto tondo, come parlamentari, leaders, componenti del governo. E non solo per l’attività amministrativa del CSM, come la nomina dei dirigenti degli uffici o la giustizia disciplinare. Ma per la condanna o l’accusa giudiziaria di uomini di governo, cioè per la perversione del fine della giustizia, strumentalizzato ai fini della lotta politica.
Ma per riuscire compiutamente a ciò occorre che l’esito dell’azione giudiziaria intrapresa si traduca in risultato istituzionale: cioè nell’allontanamento/perdita delle cariche rivestite del politico condannato.
E questa è la prima tentazione alla perversione della giustizia e del pari il punto di frizione tra principi dello Stato borghese e principi di forma politica. Perché se da una parte trattare diversamente chi è giudicato è lesivo dell’isonomia, rimuovere dall’incarico chi è stato nominato dal potere politico  - in una democrazia dal popolo – è lesivo sia della distinzione dei poteri (cioè di uno dei principi dello Stato borghese) che dell’essenza e supremazia del “politico”. Come scrive Schmitt “la democrazia è una forma essenzialmente politica, mentre la giurisdizione invece è essenzialmente non politica, poiché dipende dalla legge generale… in uno Stato democratico il giudice è indipendente, se deve essere un giudice e non uno strumento politico. Ma l’indipendenza dei giudici non può mai essere qualcosa di diverso dall’altro aspetto della loro dipendenza dalla legge”.
Proprio il carattere derogatorio della giustizia politica serve a garantire sia la distinzione dei poteri che la superiorità del politico e l’indipendenza del giudice. Ma per far questo occorre che sentenze e altri  provvedimenti del giudice non incidano sulle decisioni politiche (e democratiche), in particolare sulle cariche elettive, e soprattutto degli organi rappresentativi. Se l’organo competente a mantenere (o esautorare) un eletto è un ufficio giurisdizionale (come nelle conseguenze alla legge Severino) questo diventa (quanto agli effetti) un organo di direzione politica. Come mi è capitato di scrivere tempo fa “Avendo il potere di carcerare chi governa – nei fatti rimuovendolo – a decider chi deve governare sarebbero i Tribunali e non i governati che li hanno eletti.
Per ovviare a questo evidente inconveniente un giurista francese, Duguit, riteneva che l’organo di governo (nella specie il Capo dello Stato) potesse continuare a svolgere le proprie funzioni pur in stato di detenzione.
A questa soluzione Orlando replicava ironicamente: come avrebbe fatto il Presidente detenuto a ricevere un ambasciatore o anche un altro capo di Stato invece che all’Eliseo, «in una cella della prigione della Santé»?
E il giurista siciliano continuava qualificando impostazioni come quelle “aberrazioni, contro cui resiste la forza delle cose” cioè la realtà dell’istituzione politica, nella quale, con riguardo al problema, occorre conciliare il principio di responsabilità con la necessità dell’inviolabilità (assoluta o relativa) di determinati organi dello Stato. Cosa che si realizza nella democrazia, rimettendo il giudizio sul governante ai governati, cioè al corpo elettorale, che come ha il potere di eleggerlo, così quello di rimuoverlo (direttamente o indirettamente)” (v. Giudici e governo, Italia e il mondo 19/02/2019).
Per questo incolpare solo i giudici o solo il dr. Palamara della “perversione” è parziale e…ingeneroso. La realtà è che, proprio a quel fine distorto, sono stati predisposti da tempo gli strumenti adatti. E i peccati di oggi sono le conseguenze di quelle tentazioni, predisposte proprio al fine di farli commettere. In nome dell’uguaglianza e dello Stato di diritto, per di più.
Teodoro Klitsche de la Grange


mercoledì 8 luglio 2020

fb13: Heidegger, un filosofo "monumentale" e "fondamentale".

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fb13: 08-07-2020 - b
HEIDEGGER è un grandissimo filosofo: i suoi critici fanatici, criminali "sionisti”, di gran lunga peggiori di quelli "nazisti”, appartengono alla categoria degli intellettuali di regime che non sanno distinguere fra Roma e Toma... Di Heidegger io ho l'opera completa, in tedesco, e in traduzione italiana, ma non posso dichiararmi un profondo conoscitore di questo importante filosofo... È alquanto ipocrita dare scandalo per delle statue abbattute qua e là, ma non rendersi conto della dimensione filosofica di Heidegger: la sua opera (100 volumi!) e il suo pensiero è un vero e proprio Monumento, che a differenza dei manufatti di calcestruzzo non può essere demolito...

Chi vuole e ne ha la capacità intellettuale non ha che da cimentarsi direttamente con la sua opera, senza doversi basare su imbrattacarte che scrivono sui giornali, per i quali deve restare un punto fermo un libro come «Giornalisti comprati», di Udo Ulfkotte. Sarà stato un grande progresso quando si imparerà a fare a meno di mediatori sempre troppo mediocri davanti a figure gigantesche: il barbiere o il lustrascarpe che pretende di innalzarsi al di sopra del suo cliente! Ogni filosofo è uomo del suo tempo e nessuno può andare oltre il proprio tempo. Chi pretende di giudicare un filosofo per le sue opzioni politiche, quali che siano e se poi effettivamente esistono, è luo stesso portatore di opzioni politiche che hanno finalità strumentali e non certo gnoseologiche. Costui se degno di interesse va a sua volta giudicato e valutato per le sue peculiari opinioni e posizioni che nulla hanno a che fare con l'oggetto che pretende di sovrastare. Non ci si lasci ingannare dalla fama, spesso costruita ad arte: transit gloria mundi.

Quanto alla Donatella, che adesso si trova contestata in casa sua, è una assoluta mediocrità accademica che su Heidegger ha pensato bene di farci su la sua carriera, senza fare i conti con gli ottusi fanatici di casa sua... Con questa signora ho avuto una resa dei conti... pubblica... E più non dico.

Link:
La Stampa, articolo ripreso da una rassegna sionista.

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fb12: Pensando al presente. Riflessioni sconsolate di un cittadino privo di potere e forse pure di speranze.

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fb12: 08-07-2020 - a
CAPISCO CHE... in determinate posizioni, politiche, sociali, economiche... processuali, si debba mantenere la posizione. Ma io che però sono io, e non l'altro che mi sta davanti, separato da uno schermo televisivo o dalla distanza di un palcoscenico, dove io sto sotto, posso però essere padrone del mio giudizio. Devo sono render conto alla mia coscienza e alla mia intelligenza della onestà e obbiettività del mio giudizio.

Vedendo Davide Casaleggio, in conversazione (sil più e meno) con il Presidente del Consiglio (mai votato da nessuno), il figlio erede di Gianroberto, mi pongo tante domande e si affacciano alla mia mente tanti ricordi, tante immagini... Ma chi è costui? E soprattutto quelli che gli reggono la coda? Almeno con il sistema monarchico avevamo un sistema di successione che si richiamava addirittura al diritto divino, ma qui siamo alla più sfacciata successione di ruoli, di proprietà.

Che questi uomini abbiano rovinato e depredato un intero paese, un popolo intero, mi sembra sia cosa ad ognuno manifesta. Capire però le cose, restando impotenti a porvi rimedio, fa soltanto aumentare il proprio avvilimento, o per non esacerbare il proprio animo produce un allontamento crescente dalla politica e con essa dal destino comune del Paese. È più che normale estraniarsi dalle cose a cui non si può porre rimedio alcuno, e cercare una via indiduale per affrontare le tempeste che si addensano all'orizzonte.

Intendiamoci: non sto facendo partigianeria o esprimendo risentimento. Il mio giudizio negativo e impietoso per tutto il ceto politico insediato nel dopoguerra dagli «Alleati» era già largamento consolidato e acquisito. Insieme ad altri undici milioni di cittadini che si erano recati alle urne avevamo tutti nutrito la speranza che si potesse voltar pagire, seguire un altro corso, senza imbracciare le armi o cose del genere, per il quale non abbiamo nè talento nè fegato. Ci avevano del resto detto e ridetto che tutto ciò che volevano fare, lo dovevamo fare con metodo "democratico", esprimendoci con un voto, con quello stesso voto con il quale è stato umiliato il vicino popolo greco.

Lo spettacolo quotidiano del tradimento e il progredire verso la rovina produce nel popolo - se ancora possiamo adoperare questo termine - sentimenti e reazioni contrastanti e insondabili: altro che sondaggi demoscopici! Qui si tratta di movimenti tellurici sotterranei che non si sa quando e come avranno la loro deflagrazione.

Io non posso fare altro che scrutare l'orizzonte e affinare l'udito, confidando nella Divina Provvidenza o come in qualsiasi altro modo si voglia dire per affidarsi allo spirito di un popolo.

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