L’IMPERATORE CLAUDIO ERA IL NONNO DI
MACRON?
L’autunno scorso
un ex Presidente del Consiglio – e un mese fa l’attuale – si sono rallegrati
per l’apertura dei Romani ai “provinciali”; onde già Claudio era stato fatto
imperatore, malgrado nato a Lione. Da tale esempio ne hanno ricavato conforto
per le politiche d’accoglienza, d’integrazione e, verosimilmente, forse anche
per lo jus soli (?), maccheronicamente inteso.
A chi conosce la
storia e i costumi di Roma la vicenda non sta così: Claudio era romano, anzi di
una delle più antiche gentes.
Svetonio riporta che i Claudii immigrarono in Roma ai tempi di Romolo, ad
avviso di alcuni; secondo altri, subito dopo la caduta della monarchia. Alla
Repubblica la gens Claudia dette
centinaia di magistrati, tra cui ben ventotto consoli. Il fatto che Claudio
fosse nato a Lione non vuol dire che fosse gallo. Era nato in Gallia perché il
padre guidava le legioni romane nelle guerre contro le tribù germaniche. La
circostanza della nascita lontano da Roma non significa per nulla che non fosse
romano: lo era per jus sanguinis.
Ancor più il rilevante ruolo della gens
Claudia nella storia romana rende un po’ comica la tesi del Claudio gallico o
non-romano.
È interessante
chiedersi perché sia stato diffuso da persone di buona cultura. Sembra di
escludere che i due credano che Claudio non era civis romanus perché nato in Gallia.
Piuttosto, nella
propaganda diretta ad elettori i quali neppure sanno chi era Claudio (e forse
cos’era l’impero romano) devono propinarsi argomenti semplici e comprensibili
da parte dei meno acculturati. E
quale argomento migliore del luogo di nascita, accompagnato dalla completa de-contestualizzazione,
onde la Gallia provincia romana appare “uguale” alla attuale Francia, stato
sovrano?
In altre parole
dire che Claudio è nato a Lione (che allora i romani chiamavano Lugdunum) significa quindi che era
gallo, quasi francese. Il fatto che la Gallia fosse una provincia di Roma, che
erano – specie nel primo secolo dell’Impero – i magistrati romani a governarla,
questo è probabilmente ignorato da tanti onde cede di fronte all’argomento tele-anagrafico, alla portata di tutti.
Certo sarebbe
stato sicuramente più in linea con la tesi cara ai due leaders politici, ricordare, di Claudio, lo splendido discorso
fatto per l’ammissione al Senato delle grandi famiglie galliche, riportato da
Tacito, che è, a un tempo, spiegazione della capacità di Roma di integrazione
di popoli diversi, e della stessa integrazione quale mezzo della politica.
Disse Claudio che i romani, da Romolo in poi, non avevano mai considerato gli
altri popoli, anche se un tempo nemici (e vinti) come alienigeni (cioè diversi da loro); per cui con chi si era fatta la
guerra era possibile costruire insieme e vivere in pace.
L’inconveniente di
quel discorso è che non è immediatamente
comprensibile (soprattutto) e che
comunque l’integrazione richiede tempo (i Galli ammessi l’avevano aspettata
circa un secolo) e non verificata da un esame d’italiano (o giù di lì).
A proposito di
altri esami (e d’istruzione): non vorremmo che, anche complice l’emergenza da
Coronavirus, il distanziamento scolastico e così via, non si desse un ulteriore
“taglio” allo studio della storia, che, a quanto si legge, ne ha già subiti. In
particolare di quella antica giudicata – a torto – di scarsa utilità.
Il che non è vero:
a leggere il libro italiano che sarebbe il più conosciuto al mondo, cioè il
Principe, Machiavelli lo scrive prendendo gran parte del materiale dalla storia
antica.
Perché, dopo certe
lezioni, c’è da aspettarsi che gli studenti, disabituati a conoscenza e
valutazione storica, rispondano agli esaminatori che l’imperatore Claudio era
il nonno di Macron.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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