RESPONSABILITÁ E POTERE
Benjamin Constanr |
Si dice che nel
decreto-legge sulla “semplificazione” amministrativa di cui (al momento in cui
scrivo) si è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, vi sia una
modifica (per un anno) del regime di responsabilità amministrativa dei
funzionari, che escluderebbe quella per “colpa grave”, limitandola al dolo; per
lo più, pare, inteso in senso penalistico.
Questa norma era,
per così dire, “nell’aria”, perché confermativa della tendenza a ridurre la
responsabilità dei funzionari che connota la prassi legislativa della
repubblica: anche se, bisogna dire, altre norme annunciate – tese a limitare
gli atteggiamenti omissivi e lentezze procedurali, sono condivisibili e semmai tardive
perché avrebbero dovuto essere poste in essere da decenni.
Già agli albori
dello “Stato di diritto” nel continente europeo la responsabilità dei
funzionari (sia verso i cittadini per i loro atti che dello Stato) era oggetto
di dibattito tra posizioni contrastanti. Così ne discutevano già Constant
(oltre due secoli orsono) e Tocqueville (a metà dell’ottocento) con argomenti
tuttora illuminanti.
Scriveva Constant
nei Principes de politique (del 1815)
che “Non basta aver stabilito la
responsabilità dei ministri; se questa responsabilità non comincia nell’esecutore
immediato dell’atto che ne è oggetto, essa non esiste: deve pesare su tutti i
gradi della gerarchia costituzionale. Quando non è tracciata una via legale per
sottoporre tutti gli agenti all’accusa che essi tutti possono meritare, la vana
apparenza della responsabilità non è che una insidia funesta per coloro che
saranno tentati di credervi. Se punite soltanto il ministro che dà un ordine
illegale e non lo strumento che l’esegue, collocate la riparazione tanto in
alto da non poterla spesso conseguire”, all’obiezione che “se gli agenti inferiori possono essere
puniti in una circostanza qualsiasi per la loro obbedienza, li si autorizza a
giudicare le misure del governo prima di parteciparvi. Per ciò stesso ogni sua
azione è impedita. Dove troverà il governo degli agenti se l’obbedienza è
pericolosa? in quale impotenza mettete tutti coloro che sono investiti del
comando! in quale incertezza gettate tutti coloro che sono incaricati
dell’esecuzione!”, il pensatore di Losanna replicava che “Questa obbedienza, quale ci viene esaltata e
raccomandata, è, grazie al cielo, del tutto impossibile. Persino nella
disciplina militare l’obbedienza passiva ha dei limiti tracciati dalla stessa
natura delle cose a dispetto di tutti i sofismi… Un soldato dovrebbe forse,
dietro ordine del suo caporale ubriaco, sparare al suo capitano? Egli deve
dunque distinguere se il suo caporale è ubriaco o no; deve riflettere che il
capitano è un’autorità superiore al caporale. Ecco che al soldato si richiede
intelligenza e discernimento”. Per cui “Mai
però si potrà far sì che l’uomo possa divenire totalmente estraneo all’esame e
fare a meno dell’intelligenza che la natura gli ha dato per guidarsi e di cui
nessuna professione può dispensarlo dal fare uso”.
Dato che
proponeva, come giudice delle responsabilità, collegi di giurati, sosteneva che
ciò non avrebbe incentivato troppo la disobbedienza perché la tendenza naturale
dei funzionari “favorita altresì dal loro
interesse e dal loro amor proprio, è sempre l’obbedienza. I favori
dell’autorità hanno questo prezzo. Essa dispone di tanti mezzi segreti per
compensarli degli inconvenienti del loro zelo!”.
Quanto a
Tocqueville scriveva che le costituzioni francesi succedutesi dal 1789 avevano
tutte confermato di sottrarre l’attività dei funzionari al controllo
giudiziario, confermando così quello che, nell’ancien régime era una prassi consolidata “l’articolo parve così ben concepito che abolendo la costituzione di cui
faceva parte si ebbe cura di estrarlo dalle rovine e dopo lo si è sempre
conservato accuratamente al riparo dalle rivoluzioni. Gli amministratori lo
considerano ancora una delle grandi conquiste del 1789, ma in ciò sbagliano
ancora, perché sotto la vecchia monarchia, il governo non aveva meno cura nell’evitare
ai funzionari il disagio di rispondere al giudice come capita ai semplici
cittadini”.
Sono quindi due
secoli che lungo la “linea di faglia” che congiunge i principi di forma
politica a quelli dello Stato borghese – e che comprende (anche) le garanzie
del corretto esercizio della funzione pubblica - si riproduce il dibattito
nelle medesime posizioni e quasi sempre, argomenti.
E la ragione è
chiara: in ogni forma statale insistono due regolarità potenzialmente
confliggenti: il rapporto tra governanti e governati (comando/obbedienza) e quella
della classe politica, che Miglio estensivamente denominava aiutantato. In ogni regime politico le
due regolarità devono essere tenute in equilibrio:
perché nessuna classe dirigente può rinunciare a una certa misura di consenso
dei governati e neanche ad un certo tasso d’obbedienza dell’aiutantato.
Sicuramente però
eliminare la colpa grave come causa di responsabilità – anche se
temporaneamente, ma in Italia spesso il contingente diventa duraturo – appare
improponibile. Significa assicurare l’irresponsabilità per ogni errore
provocato da negligenza, imperizia, imprudenza grave.
Se fosse applicato
nei rapporti privati, renderebbe non sanzionabili le inadempienze più evidenti,
compresa l’inadeguatezza a esercitare il ruolo per cui si è retribuiti.
Anche l’obbedienza
dell’aiutantato ha un prezzo per l’autorità: ma, l’irresponsabilità per colpa
grave è un costo troppo alto da pagare.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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