Luciano
Barra Caracciolo,
Lo strano caso Italia, Eclettica
Edizioni, pp. 233, € 18,00
Escono da qualche
anno sempre più libri che non “cantano in coro” e sottolineano, anzi, come la
globalizzazione e l’euro siano stati, per l’Italia (soprattutto) un cattivo
affare.
Questo saggio si
distingue già dal titolo e dal sottotitolo. Quanto al primo l’aggettivo strano avrebbe dovuto essere scritto tra
virgolette: perché – tanto strano il caso Italia non è (e il libro lo conferma),
ma anzi era voluto e prevedibile.
Per il sottotitolo
questo è “Breviario di politiche economiche nella crisi del globalismo
istituzionale aggiornato all’emergenza coronavirus”; e il libro è – in gran
parte – la dimostrazione che le politiche di austerità hanno provocato – o
almeno aggravato decisamente – la crisi in atto (almeno) dal 2008, precipitata ulteriormente
con la pandemia. E così il breviario serve a riportare
sulla “retta via”, ben nota agli economisti (non di regime), e a ritrovare le
condizioni di compatibilità tra il modello economico-sociale delineato dalla
Costituzione e quello emergente dai trattati europei.
L’autore rileva
che a seguito dell’adesione all’euro “derivante
da trattati e fonti di diritto internazionale (privatizzato) -, e avendo subito
la conseguente ristrutturazione del proprio modello industriale e sociale
derivante dalla correzione Monti (in poi), l’Italia registra una crescita zero”;
questo perché “Le regole pattizie
sovranazionali che impongono la globalizzazione, poi, sono regole di
liberoscambio, cioè di affermazione del dominio del mercati sulle società
umane, i cui bisogni, -
l’occupazione, la dignità del lavoro, la solidarietà sociale espressa nella
cura pubblica dell’istruzione, della previdenza e della sanità – divengono
recessivi e subordinati alla scarsità di risorse… La globalizzazione è quindi
un sistema di regolazione sovranazionale mirato a rafforzare le mire dei paesi
(Stati nazionali) che la propugnano, da posizioni iniziali di forza politica ed
economica, nel conquistare i mercati esteri”. E questo già lo scriveva
Friedrich List quasi due secoli fa. E proprio per questo l’economista tedesco,
che aveva assai presente funzione, carattere (e primato) del politico,
sosteneva che la differenza essenziale tra quanto da lui sostenuto e il
pensiero di Adam Smith era che la sua economia era politica cioè in vista dell’interesse, volontà e potenza delle comunità (organizzata –
per lo più – in Stati), mentre quella dello scozzese era cosmopolitica (avendo come criterio-base l’interesse individuale).
Una delle
conseguenze dell’economia cosmopolitica – nella versione contemporanea di
Eurolandia - è di essere, per l’appunto, come sostiene l’autore in contrasto
col modello delineato dalla Costituzione “più bella del mondo”.
Scrive Barra
Caracciolo “a voler essere benevoli, a
partire dal trattato di Maastricht, il modello costituzionale non sia stato
rispettato; per espressa previsione delle norme inviolabili, e non soggette a
revisione, della nostra Costituzione (artt, 1, 4, 36, 38, 32, 33… quantomeno),
l’economia italiana segue il modello keynesiano… sicché esso non tollererebbe
(cioè, non contemplerebbe come costituzionalmente legittime) politiche che,
sempre per attenersi alle classificazioni e schematizzazioni di questi ultimi,
implichino apertamente”, il di esso costante sacrificio. Accompagnato da
salmi di giubilo alle regole europee degli eurodipendenti.
La
venticinquennale stagnazione italiana è, in senso economico, determinata dalla
crisi strutturale della globalizzazione da un lato, e dall’altro dall’impedimento
di quelle politiche di sviluppo, dettate dalla nostra Costituzione, ma
rifiutate dall’U.E.. Anche se, a quanto pare, dalle trattative sul recovery fund correzioni delle politiche
d’austerità (sostanzialmente dannose per l’Italia), è in corso. Ma non si sa
quanto efficaci, almeno nel medio periodo, per il nostro paese.
In questo saggio
c’è molto, onde non è facile sintetizzarlo. I profili più evidenti ne sono: a)
il contrasto tra quanto si sostiene – dagli euro dipendenti – che da un lato si
atteggiano a numi tutelari della Costituzione “più bella del mondo”, dall’altra
nelle politiche euroasservite ne
tradiscono il modello economico sociale, nei suoi caratteri fondamentali, a
cominciare dalla tutela del lavoro, che è, secondo l’art. 1 il fondamento (reale
prima che normativo) della Repubblica.
Ma questo si
comprende bene: élite in decadenza si affidano all’astuzia più che alla forza
(Pareto). Come scriveva il segretario fiorentino, il principe deve badare a parere più che ad essere. E il metodo
più seguito per farlo è predicare in
modo opposto al praticare. La
sconnessione tra detto e fatto, tra intenzioni esternate e risultati conseguiti
è voluta e tutt’altro che casuale.
La seconda –
connessa alla precedente – è la sostanziale assenza (od oscuramento) del
dibattito su crisi, cause e responsabilità della stessa. Silenzio assordante
fino a qualche anno orsono, un po’ meno dopo che i successi elettorali dei partiti sovranpopulidentitari hanno certificato
che la consapevolezza popolare di cause e responsabilità della crisi, malgrado
tutto, determina crisi politiche di
livello globale, con sempre più Stati
retti e condizionati da maggioranze (o quasi-maggioranze) elettorali
sovran-populiste. Economisti di regime, giuristi di palazzo, mass media asserviti l’hanno solo
ritardata. Come scrive Barra Caracciolo “tutta
la problematica (della crisi)… è completamente assente dalle dichiarazioni
programmatiche e dal dibattito politico attuale… Si ha come l’impressione di
essere in una realtà parallela, fatta di miopi polemiche di parte e di slogan
ripetuti senza comprenderne appieno il significato… E l’Italia non può
permettersi di essere raccontata e guidata ignorando la sua natura, la sua
vocazione, ben collocata in questa terra, interconnessa con i problemi di una
globalizzazione che è stata concepita dai progettisti di Elysium, da spietati
Malthusiani, e che ora, nella sua fase discendente, rischia di trascinarsi nel
suo “cupio dissolvi”… Parliamone: non lasciamo che discorsi “lunari”,
ipostatizzati su un pensiero unico e irresponsabile verso il popolo sovrano, ci
facciano suonare, come comprimari, nell’orchestra del Titanic…”. E questo
libro è un’ottima occasione per cambiare musica (e orchestra).
Teodoro Klitsche
de la Grange
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