Sezioni tematiche: A: Iraq: origini, cause e risultati odierni di una guerra “preventiva”. - B: Iran: una guerra di aggressione programmata. – C D E F G H I: Apartheid - J K: Palestina - L M N O: Questioni di storia. Passato e presente. - P Q R S T U V W X Y Z: bombe a grappolo -
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1. Il vivo desiderio di sanzioni all'Iran. Nel libro di Mearsheimer e Walt, La Israel lobby e la politica estera americana, che ho appena finito di leggere con vivo interesse in tutte le sue 400 e passa pagine, è ben descritto e documentato tutto il lavorìo che da anni è in atto per indurre non solo il popolo americano, ma anche i popoli europei ad una nuova sanguinosa guerra a tutto beneficio della follia bellica israeliana. I Corretti Informatori non sono altro che un'agenzia regionale di un politica ben descritta dai due studiosi americani, non per nulla ostracizzati da gracili articoli fabbricati per la bisogna dalla stessa lobby. Raccolgo qui tutta la serie “corretta" dai nostri Informatori proisraeliani. Mi riservo di ritornare sul merito e del singolo articolo con “corrett" commento e sulla problematica generale racchiusa in questa sezione volta allo studio della questione iranica.
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2. Due articoli interventisti di Emanuele Ottolenghi. – Eccolo l’uomo della Lobby. È il giovane Ottolenghi, che si frega le mani al pensiero che si desume dalla sovratitolazione di «Informazione Corretta», ossia corretta secondo gli intendimenti di Angelo Pezzana: Sanzioni europee all’Iran; ka visita di Putin a Teheran dimostra che il momento è [finalmente] arrivato, e lo si desume da “due articoli di Emanuele Ottolenghi”, maestro della corretta informazione nello stile gradito al governo israeliano. Si preoccupa Emanuele del contenimento delle «ambizioni nucleari iraniane». Ad una comune testa che non abbia avuto il beneficio della “correzione” riesce normale pensare perché non siano state frenate e contenute le ambizioni nucleari di Israele che è dotato di un arseneale nucleare superiore a quello di Francia ed Inghilterra. Cosa se ne faccia è domanda superflua che nessuno mai si pone e meno che meno i nostri Corretti Informatori che strombazzano in giorno sì e l’altro pure sugli armamenti nucleari dell’Iran come prima avevano fatto per l’Iraq. Il dente di Emanuele batte sulle basi americane che dal Caspio dovrebbero colpire l’Iran: già pensa alla guerra come un fatto compiuto oltre che lungamente desiderato. Per il resto la sua analisi geopolitica vale quanto il conto dell’impresario di pompe funebri. Per conto della sua lobby di appartenenza Emanuele sentenzia che: «è giunto il momento di adottare sanzioni europee contro l'Iran senza ulteriori indugi e senza contare su Mosca». Sul Riformista Emanule ci impone le sue considerazioni:
«Non c'è dubbio che più si amplia il sostegno e l'adesione internazionale al regime delle sanzioni, più chances ci sono che le sanzioni ottengano gli scopi che si prepongono. Tessere pazientemente la tela di un tale consenso vale la pena».Vale la pena per chi? La domanda è retorica. Per Emanuele gli interessi strategici dell’Europa coincidono con quelli di Israele. Alla prospettiva di recare “gravi danni all’economia iraniana”, che ovviamente ricadono su tutto il popolo iraniano, Emanuele Ottolenghi va in evidente visibilio, al quale con generosità intende farci partecipare. Mi viene da pensare agli alti insegnamenti morali della Torah: “ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico”, senza esclusione di mezzi. Emanuele, di cui non si sa a quale terra appartenga, decide pure per l’Italia.
«In questo senso, l'Italia dovrebbe escludere delegazioni iraniane da qualsiasi evento fieristico di rilevanza con il programma nucleare - per esempio la Samoter di Verona a marzo 2008, maggior evento internazionale sulle macchine per lo spostamento terra - e con l'apparato repressivo del regime: vendiamo gru all'Iran, e l'Iran usa gru per impiccare la gente in piazza. Non c'è ragione che compagnie europee forniscano tali strumenti al regime».Se vi siano ragioni lo stabiliscono le Israel lobbies in Usa ed in Italia. La scienza talmudica di quest’uomo è impressionante:
Accanto a queste misure economiche ce ne sono altre, simboliche, che meritano d'esser vagliate. Intanto, si possono rendere più complicate, lunghe e gravose le procedure di visto per diplomatici, rappresentanti d'industria e commercio iraniani che desiderano visitare l'Europa. Si potrebbero persino negare i diritti aeroportuali alla compagnia aerea iraniana, complicando le cose per la classe dirigente iraniana. Ogni parlamento nazionale intrattiene rapporti con le controparti estere, invitando delegazioni e visitando parlamenti stranieri. Non c'è ragione che il parlamento europeo e i parlamenti degli stati membri - c'è una delegazione parlamentare iraniana in visita a Praga questa settimana ad esempio - continuino questa pratica con il parlamento iraniano, specie visto che alcuni membri del Majlis, quali il presidente della commissione esteri, hanno un ruolo attivo nel programma nucleare iraniano: non dovrebbero più esser degni dell'onore d'un invito, o di ricevere nostre delegazioni. In questo senso, val la pena segnalare alla leadership iraniana che quando ministri iraniani vengono in visita ufficiale in Europa, lascino a casa le delegazioni di uomini d'affari iraniani di solito al seguito. Il dialogo va bene, ma non è nostro interesse promuovere rapporti commerciali con un paese il cui programma missilistico e nucleare minaccia le maggiori capitali europee.La perfidia compete nel giovane Emanuele con la sua mancanza di pudore. Si preoccupa dei diritti umani in Iran ed ignora le bombe a grappolo israeliane lasciate in ogni metro quadrato del Libano meridionale. Ma ciò che più irrita è il suo “noi”, quasi che il suo ignobile punto di vista sia il punto di vista di ogni italiano. Mi correggo. Probabilmente sa che non è così: erano presenti alla manifestazione pubblicitario del suo libro gli onn. Politi e Fini. A lui interessano pezzi grossi come questi, di sicura fede israeliana. I comuni italiani non vale neppure la pena di tenerne conto, secondo l’alta moralità talmudica. Perché l’Iran che non ha armanenti nucleari dovrebbe costituire una minaccia per le capitali europee, mentre Israele che ha già simili armamenti non sarebbe invece una minaccia, è un dettaglio sul quale Emanuele non ritiene di soffermarsi. E mi pare che basti con Emanuele Ottolenghi di certo un “Corretto Informatore”.
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3. Ma perché non incominciare a disarmare Israele?. – Poco si parla dell’esistenza da tempo di un un vero e prorpio arsenale nucleare israeliano. Certamente, non vi è da stare allegra all'idea di un mondo disseminato di bombe atomiche. Ma intanto sono stati gli USA i primi a costruire ed usare simili ordigni di morte. Poi ne hanno fornito anche Israele. Eccetto un mio Commentatore, che mi ha risposto che ad Israele la bomba atomica serve per lanciarla sulla mia testa, non trovo nella rete nessun dibattito sull'atomica israeliana. Se Bush volesse essere credibile nel chiedere che l'Iran non si doti dell'£atomica – ammesso e non concesso che sia così -, il presidente americano diventerebbe più credibile se chiedesse al suo pupillo israeliano di smantellare il suo arsenale. Né sul piano del diritto né sul piano della logica si può pretendere che l’Iran non disponga di quelle armi che Israele già possiede. Quanto alla Terza Guerra mondiale non si capisce quali sarebbero i soggetti. L’Italia dovrebbe partecipare ad una simile guerra? Non lo impedisce la sua costituzione? E quale interesse avrebbe l’Europa ad un conflitto che serve solo a sancire le occupazioni colonialistiche ed imperiali di Israele? Se vi è stata guerra in tutta l'area mediorientale, se la pace non è mai stata possibile in quasi un secolo, le ragioni vanno cercate nella colonizzazione ebraica, non altrove.
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4. Il disastro mediorientale ed il coinvolgimento israeliano. – Le analisi di Mearsheimer e Walt fanno scuola, anche se i due autori americani non sono citati nell’articolo di Zucconi che i Corretti Informatori riportano, opponendo una più “equilibrata” (!) che is trova nel Foglio, il giornale di Giuliano Ferrara organizzatore di manifestazioni davanti all'ambasciata iraniana in Roma e forte propugnatore di un attacco all'Iran analogo a quello condotto contro l’Iraq. Nel loro libro la Israel lobby e la politica estera americana i due politologi sostengono che a condurre gli USA ad un disastro militare e diplomatico riconosciuto da tutti è stata proprio la Israel lobby. Nel “corretto” commento dei Corretti Informatori non si riesce a nascondere un evidente imbarazzo:
Da parte nostra osserviamo che le tensioni in Medio Oriente non sono certo un effetto della risposta americana all’11 settembre, come cerca di farci credere Zucconi [dobbiamo invece credere a Pezzana?]. Derivano dal peso dell’ideologia islamista [ed il sionismo dove lo metti, o Angelo?], dal ruolo destabilizzante delle dittature [E la democrazia ora instaurata in Iraq è forse più stabile della dittatura di Saddam?], da conflitti etnici e religiosi secolari. [se i sionisti non avessero mai messo piedi in Palestina probabilmente ci saremmo risparmiati un secolo di guerre!]In fondo, Israele ne lucra ancora i vantaggi e che gli Usa vadano alla malora poco importa. Si potranno trovare nuovi alleati se che gli Usa non capiscono che in fondo devovo ringraziare Israele. M riportiamo per intero il lucido articolo di Zucconi, che secondo Angelo Pezzana “distorce la cronaca e non conosce la storia", parola di Pezzana:
La chimera del “nuovo secolo americano” che gli ideologi della dottrina Bush ci avevano promesso, si decompone e si sfascia attorno a un presidente smarrito e agitato che vede apririsi, proprio sul fronte centrale del progetto, l´Iraq, una spaventosa crisi con l´unica nazione musulmana democratica e alleata dell´Occidene, la Turchia. Non è più questione di guerre al terrore, di jihad, di estremismo islamista e di formule sull´islamofascismo: la decisione turca di prendersi mano militare libera per intervenire contro gli storici nemici curdi e sconfinare in quel troncone dell´ex Iraq ormai disfatto, è la durissima rivincita della realtà sulle fantasie ideologiche, il risveglio di uno di quei tanti demoni che gli apprendisti stregoni del «cambio di regime» avevano preferito ignorare e che ora ritornano puntuali a chiedere il conto dell´inettitudine e della miopia.La fanfaronata della Terza Guerra mondiale, che nella stessa Newsletter i Corretti Informatori enfatizzano nel loro desiderio di un nuovo disastroso attacca all'’Irano, appare a Zucconi per quella che è: una fanfaronata volta a creare allarmismo ed a compattare alleati che hanno invece ben chiaro il baratro che si offre loro a volersi legare al potente alleato americano invischiato negli infimi interesse di una Lobby che ha sempre tratto il suo lucro dalle tragedie altrui e che ha barattato la pace dell’umanità per le sue ambizioni territoriali e la sua sete di sangue.
La conferenza stampa che Bush ha convocato ieri, a sorpresa, poco prima di incontrare il Dalai Lama e aggiungere così anche la sempre permalosa Cina alla lista dei problemi, è stata tutta un tentativo ansimante di sbracciarsi a tamponare le falle che si stanno aprendo a est e a ovest, sui fronti asiatici e mediorientali, tra i quali ormai l´agonia dell´Iraq e le fanfaronate di «vittoria su al Qaeda» passano inosservate. Per ormai cinque anni, la Turchia ha portato pazienza, dopo avere tuttavia rifiutato di prestarsi a essere la rampa di lancio per l´invasione dell´Iraq, avendo intuito subito quali conseguenze per sé stessa avrebbe avuto la decomposizione del Paese vicino.
I suoi militari, chiave di volta dello stato e barriera contro l´islamizzazione del Paese, hanno finto di ignorare la crescita ai proprio confini di un nuovo stato, di fatto un Kurdistan autonomo e protetto proprio dagli Stati Uniti, divenuto il faro di quel popolo curdo che da generazioni nutre il sogno della ribellione e di una propria entità statale attraverso almeno tre nazioni limitrofe. Bush ha un bel raccomandare adesso «moderazione» ad Ankara, e sconsigliare «azioni militari massicce» nel Kurdistan ex iracheno. La dinamica della storia etnica, dei genocidi, degli odi secolari di clan e popolazioni, è stata rimessa in moto dal «cambio di regime» organizzato senza pensare alle conseguenze. E dopo avere perduto l´Iraq abbandonato alla spartizione fra clan, ayatollah e sceicchi, ora Washington, e con essa l´Occidente, rischia di perdere anche la Turchia, che promette di negare le proprie basi alla Nato, della quale fa parte.
Bush ci informa di essere in contatto con tutti i bracieri di crisi in un mondo che prevedibilmente rifiuta i semplicismi di «male» e «bene», di «libertà» contro «tirannide», così cari alla sua visione elementare. Ha parlato con il presidente turco, per tamponare questa che è la falla più grossa e minacciosa, e sta spingendo alle stelle anche il prezzo del petrolio, che ha in Kurdistan importanti giacimenti e pozzi. Ha promesso di chiedere spiegazioni a quell´«amico Putin», compagno di barbecue texani, che sta ricostruendo una politica di potenza imperiale neo zarista cacciando il dito nell´occhio proprio dell´«amico George», quando annuncia che l´Iran canaglia, l´Iran di Ahmadinejad, il negatore dell´Olocausto e di Israele, sarà d´ora in poi sotto il protettorato del Cremlino e degli altri stati del Caspio.
È una sorta di dottrina Monroe in salsa russa che taglia le gambe ai progetti di attacco contro gli impianti nucleari iraniani e rilancia la posta di un blitz aereo, sullo stile di quello condotto da Israele in Siria (e che Bush rifiuta di commentare, approvare o condannare) alle stelle. «Se l´Iran diventasse una nazione nucleare, sarebbe la Terza Guerra Mondiale», vede e rilancia Bush, che ha capito come ormai sia la Russia, e non più l´Iran, il vero avversario.
Potrà chiedere e ottenere spiegazioni da Putin, tornare a guardarlo negli occhi come fece in un famoso incontro nel Texas concludendo che «era un uomo del quale poteva fidarsi», ma se la Russia concede a Teheran la propria protezione, piegare Teheran a miti consigli diviene infinitamente più arduo.
Il caso del Dalai Lama, l´inoffensivo profeta della pace premiato con la medaglia dal Congresso e brevemente incontrato da Bush con qualche imbarazzo, diventa quasi soltanto "colore", curiosità irritante di poche ora fra Cina e Usa, in un giorno nel quale il disastro politico dell´Iraq si metastatizza e si estende a una Turchia che sente, nella crescita dell´irredentismo curdo (ricordate Ocalan?) una minaccia fondamentale alla propria esistenza e alla propria autorità nazionale. Perdere definitivamente la Turchia, che già l´Unione Europea ha umiliato e offeso con il balletto grottesco dell´adesione promessa, negata, rimandata, sarebbe l´effetto più catastrofico di una strategia pur disastrosa, ma almeno contenuta finora nel mezzo insuccesso afgano e nella cronicizzazione della patologia irachena.
L´Europa, il Medio Oriente, l´Asia Minore, si troverebbero a dover affrontare una Turchia esasperata e a sostenere contro di essa un proprio alleato, un Kurdistan cresciuto a cavallo dei confini turchi, rinchiuso dentro la regione e senza precisi limiti territoriali.
Una sorta di seconda Palestina in Asia Minore, ma con il combustibile che alimenta le nostre economia sotto il proprio suolo e che dunque non si potrebbe ignorare, come questa Presidenza ha sostanzialmente ignorato la miserabile Palestina. Se a un anno dalla sua destituzione costituzionale George Bush deve telefonare a Mosca, a Pechino, ad Ankara, ai suoi generali e ambasciatori in quella capitale di sé stessa che è Bagdad, per tamponare le crepe, ed è costretto a parlare di possibile «Terza Guerra Mondiale», la sua inquietudine di fronte al mondo che lui stesso ha creato è ben giustificata, come lo è la nostra.
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5. Il solito commento bellicista. - Non credo che valga la pena soffermarsi su tutti i commenti di normale corretta ottusità. Mi costringere ad una continua polemica ed anche ad una perdita secca di tempo: mi limiterò ad individuarne le tipicità ed averne monitorato uno varrà per tutti i casi della stessa specie. In realtà, ciò che su indicazione del governo israeliano interessa qui ai nostri Corretti Informatori è che si soffi su una nuova guerra contro l’Iran e si cerchi di influenzare l'opinione pubblica italiana, per fortuna non tutta succube della Israel Lobby. Eccone il corretto testo:
Giulietto Chiesa su EPOLIS del 20 ottobre 2007 (pagina 7) sostiene che l'Iran non è una minaccia. [per chi?] Ancora per molti anni non avrà nè la bomba nè i missili intercontinentali (Chiesa è certo che le stime più ottimistiche siano corrette), [Ed Israele una bomba atomica in virtù di quale diritto la possiede e per farci cosa?] dunque potremmo tranquillamente aspettare che riesca a procurarseli (e poi cosà accadrà? Chiesa non lo spiega di certo). [Cosa è accaduta dal 1948 ad oggi lo sappiamo: Israele è stata fonte continua di guerre e conflitti ed è anche ora istigatrice di una nuova guerra contro l’Iran]Al quale segue in chiusura:
A essere sull’orlo del baratro è invece l'economia americana, e le guerre servono alla superpotenza a evitare che le vengano fatti "i conti in tasca". Come, Chiesa non lo spiega,
Oscurare e minimizzare una la realtà della minaccia del fondamentalismo [Che roba è? l'ebraismo cui si informa lo stato ebraico di Israele non è fondamentalismo al pari di quello musulmano?], del terrorismo [Israele non ha mai fatto ricorso al terrorismo e non ne fa tuttora uso?] e degli Stati canaglia è [Nei manuali di diritto non esiste la definizione di stato canaglia. Se esistono “Stati canaglia” è perché questo grazioso appellativo viene dato loro dai Corretti Informatori o meglio dai loro ispiratori], intorbidando le acque con infondati scenari complottisti.
E ormai la specialità di questo giornalista. [Non mi interessa il giornalista, ma conosco le psecialità dei Corretti Informatori]
Che confusione tra Gerusalemme e Gaza! Ma i collaboratori e i redattori di EPOLIS hanno mai visto una cartina di quelle zone? [Ed i Corretti Informatori hanno mai letto un Atlante di cartine storiche? Anno 1900, 1914, 1948, 1967 e simili?]Quasi che la distinzione fosse di chissà quale rilevanza. Sarebbe interessante sapere dai Corretti Informatori come gli arabi di Gerusalemme sono controllati dagli israeliani, o per essere più precisi dagli ebrei. Proprio ieri, un mio amico, non prevenuto verso lo Stato ebraico, mi ha raccontatato una piccolissima scena di vita quotidiana. Ad un “controllo”, dove viene chiesto a dei palestinesi in Gerusalemme i documenti, il mio amico ha potuto vedere con i suoi occhi come questi stessi documenti non venissero restituiti ai loro proprietari, ma dopo il controllo venissero invece gettati per terra, umiliando gli arabi che dovevano chinarsi a raccoglierli. Questo è appunto il territorio di Gerusalemme “controllato dalle autorità locali”, pardon cosiddette “autorità locali”.
E poi, non sanno che Gerusalemme è governata da Israele, dove sì ci sono anche gli arabi, ma la situazione è sotto controllo [trattasi di eufemismo] dalle autorità locali mentre a Gaza c'è l'inferno creato da Hamas e Fatah? [E' noto che Israele a far dato dal XIX secolo ad oggi ha creato il paradiso, l'Eden, in Medio Oriente].
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6. Negare l’evidenza: che «Informazione Corretta» faccia propaganda per una guerra all’Iran. – Non lasciano i dubbi trafiletti anonimi con cui si incitano i lettori abituali di “Informazione Corretta” a scrivere ai giornali che pubblicano articoli non favorevoli ad una guerra, o che almeno la considerano un male da evitare a tutti i costi. Sconcerta come gli IC in evidente obbedienza a ordini provenienti da Israele non avvertano altro che un insano desiderio di guerra, falsando tutte le possibili inetrpretazioni dei fatti, ovvero giudicandoli non nell'ottica del paese Italia ma in quello dello Stato ebraico d’Israele. Ne riportiamo i folli e demeziali trafiletti:
L'Iran è disposto a "negoziare con forza", l'Europa a negoziare comunque, gli Stati Uniti sono pronti all'uso della forza e hanno dunque la posizione più intransigente ed estrema. L'Iran è un paese "democratico" e dunque la soluzione della crisi nucleare potrebbe venire da un'evoluzione interna del regime degli ayatollah...Il tenore degli articoli, nella cui analisi non ci addentriamo, esprime in fondo una comprensibile ed umanissima preoccupazione di evitare la guerra, una guerra che sarà certamente ancora più disastrosa di quella contro l’Iraq, della cui insensatezza non vi è più nessuno – eccetto le quinte colonne di casa nostra - che non se ne renda conto. Vi siamo stati trascinato dentro con bugie come quelle che ancora una volta si tenta di mettere in circolazione, con i Corretti Informatori in prima lilea. Per costoro la guerra è musica per le loro orecchie. L’espressione “stato canaglia” - di alto contenuto scientifico – la dice lunga. Ma quale canaglia maggiore può esservi più di Israele che l’atomica la possiede già da un bel pezzo e che costituisce essa già oggi per l’Europa ed il mondo quel pericolo che invece si attribuisce all’Iran. Perché Israele non interviene nelle trattative dicendosi disponibile a rinunciare al suo arsenale nucleare? Forse questo potrebbe essere un buon argomento per indurre l’Iran a fare altrettanto, ammesso e non concesso che l’Iran voglia davvero dotarsi di un arsenale nucleare offensivo. Dopo le bugie passate di Bush e di Blair perché dovremmo dar loro credito? E se anche l’Iran possedesse l’Atomica non vi sarebbe la deterrenza reciproca? In realtà Israele, al cui servizio sono i nostri Corretti Informatori, vuole essere la sola potenza in Medio Oriente a poter disporre di una minaccia nucleare. Israele vuole una nuova grande guerra convenzionale per lucrarne nuovi vantaggi, ma ciò non è in alcun modo negli interessi dell’Italia e dell’Europa. A lasciarci coinvolgere faremmo solo il gioco e gli interessi di Israele che con coincidono con i nostri, anzi vi si contrappongo nettamente, come hanno dimostrato Mearsheimer e Walt nella loro accuratissima analisi.
E' il quadro, irrealistico [in fatto di realismo i nostri IC sono maestri] a dir poco, disegnato dagli articoli di Vincenzo Nigro e Vanna Vannuccini pubblicati da REPUBBLICA del 24 ottobre 2007.*
Intervistato da De Giovannangeli ijjan Zamardili sostiene che la sostituzione di Larjiani sarebbe stata provocata dall'unità di Usa, Francia e Gran Bretagna sulla questione nucleare. Maggiori divisioni nella controparte, fa capire il giornalista, renderebbero l'Iran più flessibile...
Una tesi che è una mancanza di rispetto per l'intelligenza di chi legge. [Di intelligenza ne hanno da vendere gli IC]
La posizione iraniana nella sostanza non è cambiata con la sostituzione di Larijani. Se la forma, viceversa, diventa sempre più intransigente, è perchè l'escalation di Ahmadinejad non ha ancora provocato conseguenze negative di rilievo per il regime. L'Iran conta proprio sulle divisioni dell'Occidente [l’unità deve essere invece mantenuta a beneficio di Israele e delle sue mire espansioniste: pensare il contrario è un insulto all'intelligenza di chi legge] per proseguire indisturbata nei suoi progetti.*
EUROPA pubblica un articolo interesante sulle ipotesi di sanzioni all'Iran. [E a israele a quando le sanzioni?]
Ma disinforma presentandole come contrapposte alla strategia dell'amministrazione Bush.[bel campione che ha prodotto un disastro di cui difficilmente si ricorda l'eguale: un bell'olocausto di 600 mila vittime in Iraq!]
In realtà, anche quest'ultima per ora punta sulle sanzioni, ostacolata da Russia, Cina e anche Italia.
Inoltre, è certo che non si potrà ottenere nulla dall'Iran presentandosi ai negoziati con l'esclusione assoluta dell'opzione nucleare.
E' sempre preferibile evitare la guerra, ma la disponibilità ad utilizzare lo strumento bellico è indispensabile nelle trattative con gli Stati canaglia. 8a fronte di uno Stato nazista come Israele]
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7. Eccola, donna Fiammetta la guerrafondaia! – Dopo aver, per così dire, in uno stesso numero criticato i facitore di pace, i Corretti Informatori danno al mondo la corretta versione, indicando al nostro plauso un articolo di donna Fiammetta Nirenstein, che appare come al solito su “il Giornale”, arruolato sul fronte della guerra all'Iran. Meritano di essere evidenziate due frasette uscite dal sen di donna Fiammetta:
…Certo, fra strette di mano e sorrisi, tutti hanno negato qualsiasi riferimento all’eventualità di un intervento militare per distruggere i siti. Ma Olmert avrebbe piazzato di fronte ai suoi amici le immagini e le informazioni del Mossad e avrebbe detto ai suoi interlocutori: «Attenzione, siamo alle porte della produzione dell’atomica. Ahmadinejad sta per farcela, se in Siria era già in funzione una piccola struttura atomica nordcoreana all’insaputa di tutti, l’Iran è certamente ben oltre; e le informazioni sulle centrifughe in funzioni sono molto allarmanti»…Abbiamo sentito bene, il Mossad, al cui servizio aveva forse lavorato in gioventù quello stesso che nella sua maturità è oggi soggetto ai ricatti degli errori giovanili. Israele – come si legge in Mearsheimer e Walt – già si era distinta per aver fornito notizia deliberatamente false per spingere alla guerra contro l’Iraq. Sembra che il gioco si ripeta. Si tratta di vedere chi è deve partire in guerra. Ancora Bush turlupinando un poco già poco contento delle cose iraquena, o questa volta imbracceranno per primi il fucile Sarkozy e Brown con Prodi in coda. Per l’Italia ho qualche dubbio, salvo a veder volentieri partire i Pezzana, gli Israel, le Fiammette e gli Orefici del ghetto. Con l’auguro – se partono – che non ritornino. Eccola la saggezza di donna Fiammetta:
È meno paradossale di quel che sembra: le poche chance del processo di pace risiedono nella decisione che il mondo prenderà di combattere l’Iran guerrafondaio di Ahmadinejad. [di combatterlo nel nome e nell'interesse di Israele, che finalmente realizzerà il sogno della Grande Israele ed avrà popolato tutto il Medio Oriente di piazze monumentali in memoria dell'Olocausto israelistico: appunto nel senso che milioni e milioni, non 6 ma almeno 60, saranno offerti in sacrficio al dio isralitico Javeh!]La guerra per ottenere la pace dei cimiteri, quella che tanto piace ai cultori della religio holocaustica. Vi hanno fatto sopra tanti di quegli affari da far impallidire tutte le agenzie di pompe funebri di questo mondo.
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8. Mamma li curdi! – Nella fregola di guerra che anima la Israel lobby di stanza in Italia si allinea da tempo l'Opinione, uno di quei fogli di regime che vivacchia con i soldi dei contribuenti e forse riuscendo a vendere qualche copia in edicola, quanto per dire che il giornale va in edicola. Merita di esser rilevato il calcolo su un'azione scatenante dei curdi, che sono presenti in Iraq, Iran, Turchia. L'augurio dell'articolista che inneschino una guerra civile per la gioia di Israele che da quando ha messo piede in Terra Santa non ha fatto altro che produrre guerre su guerre. Ed il bello è che si indica nell’Iran la causa di una guerra prossima ventura quanto a soffiarci sopra è proprio Israele, come già fece per l’Iraq, arrivando perfino a fabbricare documenti falsi. Certamente, nella preparazione della guerra esiste anche l’aspetto mediatico. L'«Opinione» fa parte di questa rete mediatica che spinge alla guerra non nell’interesse dell'Italia, ma di Israele, ossia contro gli interessi di Italia, Europa ed America. Peccato che i contribuenti italiani debbano pagare un foglio che incita a quella guerra che ci sarebbe preclusa dall’art. 11 della costituzione. Ci occuperemo dettagliatamente dell’«Opinione» in altra sezione di questo Monitoraggio.
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9. Bufale e desiderata: stanno impazzendo! – Da questa notiziola si desume un segreto desiderio, che albergo nell'animo dei nostri sionisti: che dopo l'Iraq il fuoco della guerra arda anche in Iran, per la maggior gloria di Israele e del suo diritto all’esistenza, ossia del suo diritto all’invasione ed all’occupazione di terre altrui nonché del duo diritto a scacciarne gli abitanti originari, cancellando dalla carta geografica i loro villaggi. Il rapporto dell'apposita agenzia CIA specializzata nel valutare l’esistenza di una pericolosità atomica da parte dell’Iran sta sconvolgendo tutta la campagna forsennata condotta dai sionisti italiani per far accettare all’opinione pubblica italiana l’idea di una guerra contro l’Iran, allo stesso modo e con la stessa tecnica con la quale si era proceduto contro l’Iraq. È comico e disgustoso al tempo stesso vedere come i nostri Informatori si affannino a dare del bugiardo al mondo intero. I "corretti" commenti redazionali sono numerosi e si succedono ogni giorno. Dicono all'incirca la stessa cosa: vi sbagliate, l’Iran ha l’atomica ed è pronta a sganciarla su di noi, cioè su Israele, che peraltro l’atomica la possiede già da parecchio tempo, ma non si deve dirlo e si deve far finto che non l’abbia. Infatti, nelle mani di Israele l’atomica puntata contro il mondo intero è cosa giusta e buona, in altre mani è invece consa ingiusta e cattiva. Ma ecco una selezione di simili “corretti” commenti, in numero corrispondente alle ventisei lettere dell'alfabeto:
a) Le conseguenze del rapporto CIA, sgradite per i Corretti Informatori. «A chiedere «sanzioni più efficaci contro Teheran» è invece il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, secondo cui la visita di Bush a Gerusalemme in gennaio servirà proprio per discutere di Iran.» La Stampa: Molinari). «Nessuno si è mai dotato di armi del genere per imbarcarvi sopra 500 o 1.000 chili di esplosivo convenzionale. Non a caso tutti i paesi che hanno messo a punto missili balistici a medio raggio dispongono di testate atomiche. E’ il caso di Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del nord. » (Il Foglio)
b) Gli iraeliani si sentono abbandonati. Scopro che Anna Momigliano è una donna. Cosa c’entra? Ha lasciato un commento a questo mio post, firmandolo A. Momigliano. Rettifica: la a.momigliano che ha lasciato un commento nel mio monitoraggio sul “Giorno della Memoria” non è la stessa persona che scrive l'articolo di cui al link. Prendo atto da corrispondenza intercorsa e che si trova riportata nello spazio commenti del post indicato e soprattutto che non ha inteso muovermi nessun appunto (diffamatorio) di antisemitismo. Colgo qui occasione per ribadire che una simile accusa nei miei confronti oltre che essere infondata è un miserabile stratagemma per impedire a me insieme ad una miriade di altre persone l’esercizio legittimo della critica. Per giunta è assurda una simile contestazione perché ad essere semiti non sono soltanto gli ebrei ma tutti gli arabi. Paradossamente considerando la politica del governo israeliano verso gli arabi ed i musulmani si può fondatamente sostenere che ad essere antisemiti sono proprio gli ebrei israeliani e pure nostrani. Purtroppo, le varie Israel lobby presenti nei vari paesi sono riuscite ad ottenere una legislazione protettiva che però si risolve in abuso e discriminazione a danno di altri fondamentali diritti di tutti i cittadini.
A rettifica eseguita resta perciò utile il precedente rinvio al Monitoraggio sul Giorno della Memoria, fissato per legge il 27 gennaio, ma in realtà già incominciato almeno fin dai primi di dicembre, sempre che non duri tutto l’anno. La Anna Momigliano del Riformista invece così commenta il rapporto della CIA:
L’amministrazione americana ha le mani legate. L’attacco all’Iran, quello che forse Bush avrebbe voluto per chiudere in bellezza il proprio mandato, sembra sempre più improbabile. Certo, il presidente americano insiste a dire che tutte le opzioni sono aperte, ma la National Intelligence Estimate (il dossier degli 007 sul “programma atomico che non c’è più”) è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: senza le risorse economiche, e con una credibilità tanto ridotta, il margine di manovra è davvero minimo. Resta da chiedersi che sarà della questione iraniana, che cosa faranno gli americani, ora che l’attacco sembra un’opzione da scartare. La vera incognita, e su questo concorda la maggior parte degli osservatori, è Israele.Ho riportato per intero l’articolo di Anna Momigliano in quanto significativo di una guerra ideologico-mediatica in pieno svolgimento: non la si combatte con i bazooka ma con un’informazione volta a far accettare ai comuni ed ignari cittadini la guerra che uccide ed affama. Segue su “l’Unità” nello stesso link un’intervista al viceministro degli esteri israeliano, dal cui testo si evince senza ombra veruno di dubbio lo “shok” israeliano per la mancata guerra all’Iran. Naturalmente, si tratta di una “corretta” politica e di una “corretta” analisi, che costituisce il retroterra culturale sulla cui base i nostri “Corretti Informatori” conducono il loro monitoraggio della stampa italiani, incitando sistematica i loro ascari lapidatori a scrivere alle redazioni secondo le direttive ricevute. Vale la pena per il suo carattere esemplare di riportare qui l’intero testo dell’Intervista:
A Gerusalemme sono infuriati, si sentono abbandonati dagli americani, colpevoli di avere permesso che il senso di urgenza si abbassasse su una questione che per Israele è di vita o di morte. Ieri, scrive Yediot Ahronot, il ministro degli Esteri Tzipi Livni ha chiamato i suoi a raccolta, ordinando di lanciare un’offensiva diplomatica per convincere gli Usa e la comunità internazionale che l’allarme c’è, eccome. Ma se questa linea, come sembra possibile, dovesse fallire? C’è chi crede che Israele potrebbe andare avanti per la sua strada, attaccare da solo, se necessario anche contro il parere degli States. Altri credono invece che Gerusalemme stia chiedendo una contropartita agli Stati Uniti: maggiori garanzie militari difensive, uno scudo antimissile di ultima generazione, come risarcimento dell’“abbandono” sull’Iran. A guardare i fatti, ci sono alcuni elementi che fanno pensare in questa direzione. Chi si aspetta un’apertura diplomatica di Washington a Teheran potrebbe però rimanere deluso: «Con gli iraniani si può fare solamente un accordo di tutto campo», commenta il direttore di Limes Lucio Caracciolo, «non si può trattare su un dossier unico, per esempio l’Iraq». Condi Rice docet: è dal 2005 che tenta un dialogo sottotraccia sull’Iraq, e non ha ottenuto molto. «Ma questo gli americani non se lo possono permettere», prosegue Caracciolo, «per loro il problema è il regime, non la bomba, non possono legittimare Teheran come unica potenza del golfo. Del resto, non possono neanche attaccare. Adesso si sta aprendo un periodo di riflessione, ma per il momento Washington ha le spalle al muro, il dossier passerà al prossimo presidente». Per Israele, la questione è diversa: «L’Iran rappresenta un rischio talmente grande che potrebbero decidere di attaccare da soli». Se fosse l’ultima spiaggia.
Il problema è che la marcia indietro americana ha bruciato la carta di un attacco preventivo: l’aviazione israeliana, per quanto efficiente, «non è in grado di compiere uno strike aereo da solo», spiega Giampiero Giacomello, docente di Studi strategici a Bologna che in questi giorni si trova negli Usa. Infatti: «Un attacco preventivo serve solamente se si è certi di colpire tutti gli obiettivi. Gli iraniani, che non sono degli sprovveduti, si sono difesi creando un programma ampio (si parla di almeno 20-30 siti) e molto distribuito sul territorio. Se si calcola che per colpire un sito servono almeno 10 o 20 aerei, basta poco a fare il calcolo che Israele non ce la può fare senza un aiuto esterno». Ma la preoccupazione resta, e a ragione: «Israele è un paese piccolo, un attacco a sorpresa ben riuscito potrebbe raderlo al suolo». Restano due risorse: la minaccia di una ritorsione nucleare devastante nel caso l’Iran attacchi e distrugga Israele («Muoia Sansone con tutti i Filistei», scriveva Seymour Hersh proprio sull’atomica israeliana), nel contempo si può rafforzare la difesa.
Sono anni che Israele tenta di lavorare a uno scudo antimissilistico stratificato, un progetto ambizioso che doveva coinvolgere gli Usa e pure l’Italia, anche se poi il ministero della Difesa non ha sbloccato le procedure: «Immaginatevi uno scudo stellare in scala ridotta», spiega al Riformista uno degli italiani che ha seguito il progetto nelle prime fasi. Finora gli Stati Uniti sono stati parchi, in termini di fondi ma soprattutto di travaso tecnologico. Del resto, è un momento di crisi per la cooperazione tra le difese americane e israeliane: Gerusalemme non ha molto gradito che Washington sta aumentando il finanziamento delle difese di alcuni paesi arabi. Così come ora non ha gradito l’ammorbidimento sull’Iran: lo sblocco dello scudo anti-missile potrebbe aiutare a inghiottire il boccone amaro. Il ministro della Difesa Ehud Barak è già stato a Washington per battere cassa.
Da L'UNITA', un' intervista Matan Vilnai, vice ministro della Difesa israeliano:E pensare che per l’Iraq era bastato far mandare dai servizi israeliani un falso rapporto per fare abboccare il Pentagono! Ma come diceva un filosofo, non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua! Il trucco è riuscito una volta ed in America, dove la Lobby è più potente della Presidenza, dopo quel che è costata la guerra in Iraq, da cui ancora non si vede uscita, sembra prevalga il buonsenso. Dico sembra perché non mi sento di azzardarmi in analisi previsoni. Mi basta soltanto – cara Anna – esternare i miei sentimenti, che sono sentimenti di pace.
«Il mondo non può accettare che l’Iran divenga una potenza nucleare. Di certo, non potrà accettarlo Israele». Un messaggio lanciato alla Comunità internazionale e, in particolare, agli Stati Uniti. «Abbiamo apprezzato le parole del presidente Bush ma resta il fatto che quel rapporto può ingenerare l’idea che la minaccia iraniana non è poi così preoccupante. Quel rapporto è già è servito al regime iraniano per cantare vittoria». A parlare è il vice ministro della Difesa israeliano, Matan Vilnai, eroe di guerra ed esponente di primo piano del partito laburista.
Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad canta vittoria dopo la pubblicazione del rapporto delle 16 agenzie di intelligence Usa. E Israele?
«Israele non può che ribadire preoccupazioni che non dovrebbero essere solo nostre. Perché un Iran fondamentalista in possesso dell’arma atomica è una minaccia per l’intero Medio Oriente. Detto questo, ritengo che su quel rapporto si stia facendo una confusione voluta, dettata da motivazioni che nulla hanno a che fare con la questione di merito…».
Su quale punto occorre a suo avviso ristabilire la corretta lettura del rapporto?
«Il punto è che non è affatto smentito, anzi è confermato che l’Iran può pervenire all’arma nucleare. È su questo che la Comunità internazionale deve riflettere ed esprimere una linea di condotta chiara».
Per Israele quale dovrebbe essere questa linea?
«Quella delle sanzioni. Coloro che leggono quel rapporto come "il pericolo non esiste", ne traggono la conseguenza che non c’è ragione per nuove e ancor più efficaci sanzioni. Per noi, è vero l’esatto opposto: la politica delle sanzioni ha mostrato la sua efficacia. Questa linea non solo non va sconfessata ma al contrario va rafforzata. Guai ad allentare la presa proprio adesso. Anche perché lo stesso rapporto non smentisce il fatto che l’Iran può raggiungere un’alta capacità tecnologica nucleare entro il 2009. È questo un punto chiave, discriminante. L’acquisizione di tecnologia nucleare rappresenta un passaggio cruciale, a partire dal quale l’Iran sarà in grado di produrre segretamente armi nucleari, senza essere sottoposto a ispezioni».
Cosa chiede Israele alla Comunità internazionale, in particolare agli Stati Uniti e all’Europa?
«Ciò che ribadiamo con forma è che un’azione coordinata e determinata è necessaria per indurire le sanzioni non scartando alcuna opzione…».
Neanche quella militare?
«Lo ripeto: nessuna opzione deve essere scartata a priori».
Resta il fatto che il rapporto del NIE ha provocato, per dirla con il titolo di un grande quotidiano di Tel Aviv, uno "shock" in Israele. Condivide questo sentimento?
«Certo che sì. Quel rapporto contraddice tutti i precedenti rapporti americani che riguardavano l’Iran. Siamo tutti nelle nebbie, ma ciò che è chiaro è che l’Iran sviluppa un programma militare nucleare di cui il 75% è nascosto e solo il restante 25% è pubblico. Basta e avanza per ritenere l’Iran una minaccia per l’intero mondo libero. Di certo, lo è per Israele».
Cosa significherebbe per Israele un alleggerimento della pressione su Teheran?
«L’Iran è una minaccia non solo per la volontà acclarata di dotarsi dell’arma atomica ma per il sostegno attivo fornito a gruppi terroristi come Hamas, Jihad islamica e agli Hezbollah libanesi. Mollare la presa significa concedere mano libera a coloro che puntano a destabilizzare il Medio Oriente facendone una immensa trincea jihadista dall’Iraq ai Territori al Libano».
c) La segreta speranza. Il pensiero dei Corretti Informatori, o per meglio dire le loro pulsioni ed i reconditi o inconfessabili desideri si rintracciano nella titolazione. Occorre osservare la titolazione originale, che i nostri Corretti Informatori non possono fare a meno di riportare e la titolazione propria degli stessi. Insomma, l’arte del titolo che nei giornali giustifica un’apposita professione: quella del titolista.
La minaccia nucleare iranianaL’articolo originale di Robert Kagan, apparso sul “Corriere della Sera” è: «Trattare con Teheran? Meglio farlo subito!» che diventa corretto in «La minaccia nucleare iraniana», che è il vero argomento che conti e sul quale si è tanto puntato che come già per l’Iraq fosse la molla, vera o falsa poco importa, capace di scatenare la guerra. A far capire al “corretto” lettore/lapidatore che in fondo si tratta di una chimera nella sola testa di Kagan si precisa in apposito sottotitolo: «L’opinione di Robert Kagan», cioè in fondo una fesseria. In realtà, se si legge l’articolo ben si capisce che per l'analista americano è ormai del tutto tramontata l’ipotesi della guerra, tanto cara ai nostri Corretti tanto amanti della pace. Il cinico americano suggerisce l’arma dei “diritti umani” e l’appoggio ai dissidenti come arma destabillizante in mancanza della possibilità di una guerra in senso proprio. A proposito di “dissidenti” nei prossimi giorni, in Roma, si terrà in Roma con partecipazione del Correttore Capo Pezzana in veste di Moderatore (!) un convegno di sostegno ai dissidenti islamici. Per comodità dei nostri Lettori riportiamo qui integralmente l'interessante articolo di Rober Kagan:
L'opinione di Robert Kagan
Testata: Corriere della Sera
Data: 08 dicembre 2007
Pagina: 44
Autore: Robert Kagan
Titolo: «Trattare con Teheran ? Meglio farlo subito»
Sul CORRIERE della SERA di oggi, 08/12/2007, a pag.44, l’opinione di Robert Kagan sulla minaccia nucleare iraniana, dal titolo: “Trattare con Teheran ? Meglio farlo subito”.
Comunque si giudichino le conclusioni del National Intelligence Estimate (Nie), per cui l’Iran avrebbe interrotto il suo programma di armi nucleari nel 2003 — e svariati punti del rapporto sono tutti da chiarire —, i loro risvolti pratici sono indiscutibili. L’amministrazione Bush non potrà intraprendere un'azione militare contro l'Iran in questi ultimi mesi del suo mandato, né minacciare di farlo salvaguardando la sua credibilità, se non in risposta a un'iniziativa iraniana eccezionalmente provocatoria. La via dell'attacco militare contro presunti impianti nucleari iraniani è sempre stata molto rischiosa. Per l'amministrazione Bush, quest’opzione è ormai scaduta. Né, tuttavia, essa potrà mettere a segno ulteriori conquiste nella ricerca di sostegno internazionale per inasprire le sanzioni contro il regime iraniano. Il timore di un'azione militare Usa è sempre stata la principale ragione per cui gli Europei hanno fatto pressioni su Teheran. La paura per l'imminente minaccia della bomba iraniana era secondaria. Compattare il fronte europeo a sostegno di dure sanzioni era un compito difficile già prima della diffusione del rapporto del Nie. Ora è impossibile.
Con i suoi strumenti strategici in frantumi, l'amministrazione Bush può scegliere l’isolamento e temporeggiare per i prossimi dodici mesi. Oppure può lanciare l'iniziativa, e fare un favore alla prossima amministrazione, aprendo negoziati diretti con Teheran. Sedersi al tavolo negoziale apparirà, all'inizio, un segno di debolezza. Gli iraniani potrebbero avvalersi delle trattative per sfruttare a proprio vantaggio le crepe sia tra gli Stati Uniti e i suoi alleati, sia all'interno del sistema politico Usa. Ma esistono ottime ragioni per sedersi a quel tavolo. È opinione diffusa, negli Stati Uniti e non solo, che a ostacolare un comportamento più saggio da parte dell'Iran sia stata l'indisponibilità dell'America al dialogo. Non è che una leggenda, la quale tuttavia intralcerà le iniziative americane oggi e per diversi anni a venire. Prima o poi, gli Stati Uniti dovranno compiere il grande passo, com'è già avvenuto in tanti altri conflitti nel corso della loro storia. Questo è il momento migliore per farlo. Gli Stati Uniti non si trovano in una posizione di debolezza. L'imbarazzo che ha fatto seguito alla diffusione del rapporto del Nie svanirà ben presto: le realtà strategiche hanno vita più lunga. L'America mantiene la sua potenza nel mondo e in Medio Oriente. Il successo del surge militare in Iraq implica che gli Stati Uniti potrebbero trovare una posizione sostenibile in quella regione; nessuno l'avrebbe detto un anno fa, quando sembrava che l'America stesse per essere cacciata. Se l'Iraq è sulla via della ripresa, ecco che l'ago della bilancia si sposta a sfavore dell'Iran, peraltro già isolato.
Ma esistono anche altre ragioni per muoversi in questa direzione. Anche se il Nie prevede che l'Iran non potrà dotarsi della bomba atomica prima del 2010, il tempo a nostra disposizione resta limitato. La prossima amministrazione, specie se democratica, vorrà probabilmente tentare la via del dialogo con Teheran. Ma i negoziati difficilmente partirebbero prima dell'estate 2009, proprio quando, se l'analisi del Nie è corretta, l'Iran potrebbe apprestarsi alle fasi finali dello sviluppo della bomba. Meglio dunque avviarli già ora: in tal modo, quando la prossima amministrazione si insedierà potrà valutare i progressi, o riscontrarne l'assenza, dopo un anno di trattative. Se deciderà che è necessario ricorrere alla forza, farà meno fatica a dimostrare che tutte le altre opzioni sono scadute. Avviando ora i negoziati, gli Stati Uniti avrebbero maggiori possibilità di definire i termini del dialogo, sia in patria che all'estero. Attraverso i negoziati, qualunque forma essi assumano, si dovrebbe convincere gli iraniani a chiarire una volta per tutte le numerose questioni sollevate dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), e tuttora insolute, circa il programma nucleare del regime; consentire ispezioni intrusive nonché il monitoraggio dei loro impianti, e conformarsi alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che impone la sospensione dell'arricchimento dell'uranio.
Le trattative non devono essere circoscritte alla questione nucleare, bensì includere anche il sostegno dell'Iran al terrorismo, la protezione accordata a diversi leader di Al Qaeda, la sponda offerta ad Hezbollah e Hamas, oltre al rifornimento di armamenti a violenti estremisti in Iraq. Dovrebbero inoltre contemplare la violazione dei diritti umani e la repressione politica asfissiante del governo iraniano. Qualcuno sostiene che non sia possibile dialogare con un Paese e, al contempo, caldeggiare una sua svolta politica dall'interno. Ma è un'obiezione del tutto insensata. Gli Stati Uniti, ad esempio, sono riusciti contemporaneamente a contenere la minaccia sovietica, negoziare con i dignitari dell'Urss e promuovere una svolta politica in quel Paese. Come? Sostenendo i dissidenti, mantenendo contatti diretti con il popolo russo via radio e altri mezzi di comunicazione, e vincolando il governo sovietico al rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti umani, come gli Accordi di Helsinki. Non si vede perché gli Stati Uniti non possano dialogare con l'Iran e, al contempo, puntellare le strategie di contenimento nella regione e caldeggiare una svolta all'interno del Paese.
E la posta in gioco per l'Iran? Se Teheran rispetterà i vincoli sul nucleare, smetterà di spalleggiare la violenza terroristica, e inizierà a trattare il suo popolo con giustizia, umanità e tolleranza, verrà accolta con favore nella comunità internazionale, con tutti gli importanti benefici sul piano economico, politico e della sicurezza che ciò comporta. Questa proposta è sempre stata sul tavolo, e gli Stati Uniti non hanno alcunché da perdere nel formularla esplicitamente. Avviare le trattative ora non significa vincolare le future opzioni dell'America. Se gli iraniani risponderanno con l'ostruzionismo o con un rifiuto a dialogare — eventualità tutt'altro che remota —, un simile primato dell'intransigenza potrà ritorcersi contro di loro oggi e nei cruciali anni a venire. È possibile che la proposta stessa dell'America crei spaccature in Iran. Resta difficile, ad ogni modo, scorgere altre opzioni strategiche disponibili. Le carte in mano all'amministrazione Bush sono queste. Si tratta ora di dimostrare una certa astuzia e creatività, e giocarle nel modo giusto.
Risparmiamo così al nostro Lettore di andarsi a ricercare il testo e nell’archivio di IC o in quello del Corriere. Il nuovo editing ed il corsivo del testo è nostro. Chiaramente Robert Kagan è nella sua analisi totalmente indipendente dai “Corretti Informatori”, ammesso che ne conosca l’esistenza. Non è un qualsiasi giornalista italiano che possa ricevere una telefonata o un sasso lanciato dai Corretti Lapidatori nella rubrica lettere della testata. Proprio non lascia speranza ai desideri di guerra coltivati febbrilmente negli ultimi mesi dalla Israel lobby nostrana. E non è neppure detto che la Israel lobby USA non riesca a spuntarla in una nuova guerra contro l’Iran, come già l’Iraq insegna.
d) Fomentare disordini interni. Sfumata la possibilità di un attacco militare diretto ed imminente, i segreti desideri dei nostri “Corretti Informatori” si orientano ora nel dare risalto ad ogni munimo sussulto in una paese più grande di qualsiasi stato europeo e con una popolazione di circa 70 milioni di abitanti. Uno starnuto diventa una sommossa. Sarò un caso, ma è strano come proprio in questi giorni si affollino sul Corriere della Sera articoli che mettono in risalto quanto in Iran non vada bene secondo i nostri criteri occidentali. Come è ben noto, con Clemente Mastella abbiamo la migliore Giustizia che mai si possa desiderare. Lo stesso Mastella è il vero simbolo vivente dell’idea stessa di Giustizia. Diventa perciò comprensibile come non dovendoci preoccupare dei problemi della Giustizia di casa nostra possiamo ben interessarsi della giustizia iraniana e del suo sistema delle pene, secondo quanto si può leggere in questo articolo, prontamente individuato da quelle anime candide e sensibili dei nostri “Corretti Informatori”.e) La cocente delusione e la voglia matta di guerra. – Gli analisti ormai sempre più considerano caduta l'ipotesi di un attacco imminente all'Iran. I “Corretti Informatori” sono costretti a registrare queste analisi, ma tentano di mascherare con nobili motivi l'obiettivo di una guerra all'Iran. Addirttura titolano in modo folle “Liberateli, o ci distruggerano!” e simili nel corso di psedoconvegni, orditi dal ministero della propaganda israeliano. Diamo qui di seguito il solo commento redazionale dei Corretti Informatori, sufficiente a capire come girano le rotelle del loro cervello. Gli articoli di stampa cui si riferiscono possono essere attinti cliccando sul link.
L'"unilateralismo", cioè la determinazione degli Stati Uniti a rispondere alle minacce anche senza il consenso della comunità internazionale, è finito.Veramente esilarante il “principio morale della difesa della libertà”! È da chiedersi a chi possano essere rivolte simili espressioni. I Corretti Informatori parlano a se stessi in una forma di autoinganno o pensano di poter ancora ingannare qualcuno sulla loro vera natura e sui loro scopi? L’articolo di Frum è interessante, anche se non nel senso dei nostri Corretti Informatori.
Il National Intelligence Estimate sui progetti nucleari iraniani pone fine all'ipotesi di un intervento militare contro il regime degli ayatollah, che comunque non è mai stato un serio pericolo. E' il trionfo della politica estera dalemiana, che il presidente della Repubblica Napolitano sarebbe andato a spiegare direttamente a Bush.
E l'interpretazione proposta da L'UNITA' e dal RIFORMISTA.
[omissis]
Dal FOGLIO un articolo di David Frum che riporta alla realtà della minaccia rappresentata dal regime iraniano. E al principio morale della difesa della libertà, anche per i popoli del Medio Orie
Le nuove stime dei servizi segreti sull’Iran non cambiano nulla e allo stesso tempo cambiano tutto. La scorsa settimana l’amministrazione Bush ha reso note ampie parti dell’ultima National Intelligence Estimate sul programma nucleare iraniano. La conclusione raggiunta è la seguente: l’Iran ha interrotto il suo programma di armamento nucleare nel 2003. Secondo il Nie, tuttavia, rimangono ancora molte ragioni per essere preoccupati. L’Iran potrebbe rimettere in funzione il programma in qualsiasi momento. Inoltre, si continuano attività di arricchimento dell’uranio fino a livelli che potrebbero servire come carburante per la costruzione di un ordigno atomico. Comunque, il Nie si è spinto troppo oltre nel suo tentativo di placare l’atmosfera di minaccia suscitata dalla prospettiva di un Iran dotato di bombe atomiche. Il problema del nucleare iraniano rimane, anche se può non essere di urgenza immediata. Alcuni hanno posto in dubbio il valore delle valutazioni del Nie. Lo spionaggio, naturalmente, è un’arte molto imperfetta. Le agenzie di intelligence spesso hanno pregiudizi istituzionali. La Cia, in particolare, ha condotto un’insurrezione prolungata contro l’amministrazione Bush lasciando trapelare una serie di notizie negative nei momenti più opportuni. Ma il Nie non è un prodotto della Cia. Il Nie rappresenta l’opinione consensuale delle sedici agenzie nazionali di intelligence. I dati presenti in questo rapporto sembrano fare grande affidamento sulle informazioni fornite da Ali Reza Asgari, il viceministro della Difesa iraniano fuggito in esilio negli Stati Uniti nel febbraio 2007. Sarebbe davvero poco saggio e addirittura irresponsabile considerare questo rapporto come l’opera di seccati oppositori politici interni. Il Nie costituisce un fatto politico fondamentale che renderà impossibile all’amministrazione Bush lanciare un attacco contro gli impianti nucleari iraniani. Ora, in un certo senso, questo non cambia nulla. Lasciando da parte la retorica delle parole, l’amministrazione Bush (come io stesso ripeto ormai da diciotto mesi) non ha mai avuto alcuna vera intenzione di attaccare gli impianti nucleari iraniani. Il nuovo rapporto dell’intelligence non fa quindi che rendere politicamente impossibile qualcosa che non sarebbe comunque mai accaduto. Ciononostante, il Nie cambia tutto. Finché il mondo continuava a credere che gli Usa potessero lanciare un attacco contro l’Iran, nessuno dava molto peso al fatto che l’amministrazione non ha quasi mai messo in campo una seria politica non militare per affrontare il problema della Repubblica islamica. Ma ora che l’opzione militare è stata levata dal tavolo, il mondo si accorge improvvisamente che su questo tavolo non c’è praticamente nient’altro. Per colmare questo vuoto sono fioccate migliaia di proposte politiche. Però, ben poche di queste proposte contengono una chiara visione di ciò che l’occidente deve ottenere in Iran.Diventa chiara una politica tutta orientata sulla propaganda e su forme di destabilizzazione interna. Vi è da credere che i dissidenti del convegno Praga-Roma-Madrid otterranno il miliardo di dollari che hanno chiesto pubblicamente al convegno romano. È però da chiedersi fino a che punto le opinioni pubbliche e dei paesi mediorientali e di quelli occidentali saranno disposti a prendere sul serio formule propagandistiche quali difesa della libertà, democrazia, diritti umani? Se anche vi fossero dei creduloni disposti a farsi infinocchiare, vi è pure una controinformazione che può avere facile gioco di fronte a bugie così grossolane. Non si vede poi perché il controspionaggio ed i servizi dei paesi minacciati debbano starsene inoperosi. Temo che la guerra indiretta possa produrre un nuovo genere di guai. Non so quanto quanto sia corretto considerare i paesi islamici alla stessa stregua dei paesi dell’Est e ritenere che le tecniche adottate nell'un caso possano essere efficaci anche nell'altro. Le analogie gratuite possono essere pericoloso e riservare sorprese.
Il problema non sta nelle armi del regime iraniano ma nello stesso regime. Anche senza armi atomiche, l’Iran sostiene il terrorismo in tutto il mondo. Tra il 1992 e il 1996 ha scatenato una violenta offensiva terroristica, compiendo attentati che hanno provocato la morte di circa duecento persone in Argentina, Germania e in una base americana in Arabia Saudita. La campagna terroristica è stata interrotta dopo il 1996 e ripresa nel 2001, questa volta scegliendo come obiettivi prima Israele e poi l’Iraq e l’Afghanistan. L’idea che con questo regime si possa arrivare a un qualche genere di accordo appare del tutto irrealistica. L’obiettivo occidentale deve essere piuttosto quello di aprire una breccia fra il regime iraniano e la sua disaffezionata popolazione, come aveva fatto l’amministrazione Reagan allo scopo di isolare e screditare i regimi comunisti dell’est europeo negli anni Ottanta. Questo significa rassicurare la popolazione iraniana sul fatto che gli Stati Uniti non intendono in alcun modo attaccarla, esercitando allo stesso tempo forti pressioni economiche sul regime e sostenendo i movimenti politici dissidenti. Malgrado l’aumento dei prezzi petroliferi, il regime iraniano si trova in grave difficoltà sul piano economico (e questa potrebbe essere una delle principali ragioni per cui ha sospeso il proprio costoso programma di sviluppo nucleare). I salari sono ristagnanti, l’inflazione sta crescendo, la disoccupazione aumenta e mancano scorte di benzina. Gli investitori stranieri evitano di impegnarsi in Iran non soltanto a causa delle sanzioni economiche ma anche perché il paese non offre un ambiente sicuro e affidabile. Con il petrolio a cento dollari al barile, il regime iraniano può probabilmente permettersi di comprarsi un sufficiente sostegno per continuare a sopravvivere. Ma, una volta risultato chiaro che gli Usa non hanno alcuna intenzione di intraprendere una guerra contro l’Iran, questo prezzo dovrebbe scendere. Con il petrolio a 60, 50, 40 dollari al barile, anche il regime diventa meno stabile, la popolazione sempre più agitata e le prospettive di un cambiamento sempre più concrete. Il cambiamento dovrebbe essere l’obiettivo primario della politica americana. La pressione economica e la propaganda devono essere i suoi metodi. Un “grande accordo” è il binario morto che bisogna evitare. E la guerra dev’essere vista per quello che sempre è: il segno di un fallimento politico anziché una tattica da seguire per l’incapacità di immaginare soluzioni migliori.
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10. Israele ammazza quando e chi vuole alla faccia delle risoluzioni dell’ONu e di tutte le dichiarazioni dei diritti umani. La guerra ideologica in atto prosegue nelle sordide pagine de “L’Opinione” di Arturo Diaconale, pagate dalle tasche dei contribuenti insieme ad altri fogli di regime. Lo scopo che tutti li accomuna non è tanto l’informazione «corretta» o meno, quanto l’istupidimento del popolo italiano, ormai “in declino” ed incapace di invertire rotta. A denunciare l'ipocrisia dell'articolo, prontamente raccolto per i loro intenti diffamatori, basta ricordare i 350.000 bambini fatti morire dal civile ed umanitario occidente che aveva posto l’embargo anche sui vaccini per l’infanzia. Per il ruolo specifico di Israele a parte le periodiche mattanze e battute di caccia dentro il lager di Gaza, basta soltanto fare la conta di chi muore per il solo fatto di non potersi recare in ospedale o come conseguenza diretta delle restrizioni dell’embargo. Ma dove vanno i «Corretti Informatori» a guardare? Nel sistema penale iraniano! I nostri «Corretti Informatori» ed i loro sodali de «l’Opinione» in quanto supposti ebrei non sono tenuti a prendere in considerazione il brano evangelico sulla pagliuzza nell’occhio altrui e la trave nel proprio. Non se lo pongono neppure il problema perché se potessero oltre ad avere distrutto l’Iraq cancellerebbe – loro sì che lo farebbero e possono farlo, avendone i mezzi – l’Iran dalla carta geografica, lasciando soltanto un cumulo di macerie radioattive. Ma anche qui ritorna la parabola evangelica: si preoccupano dell’atomica che l’Iran nè l’Iraq hanno mai avuta e tacciono su quella che loro hanno, per diritto divino e graziosa concessione statunitense, che dopo aver terrorizzato dagli anni 60 agli anni 80 tutta l’America latina e l’Indonesia, adesso rivolgono il loro potenziale terroristico e mediatico al Medio Oriente.
11. Le speranze di guerra deluse. – Non pare ormai esservi dubbio che una guerra all’Iran era imminente e che era stata accuratamente preparata. Qualcosa deve essere andato storto negli equilibri di potere americano. Se consideriamo come è stato ridotto l’Iraq, doveva completarsi l’opera infliggendo lo stesso trattamento all’Iran e così Israele, per conto degli Usa, o meglio in associazione agli Usa, avrebbe potuto regnare incontrastato sulle macerie del Medio Oriente, dal Mediterraneo alle frontiere con l’India. Un vero e proprio disegno imperiale. I venti di guerra non si sono tuttavia sedati.
12. Desideri antiraniani. – Si legga al link l'articolo di Ottolenghi sul “Riformista” di Polito. Ciò che si legge conferma le analisi che abbiamo già fatto. Sarebbe ultronea una nuova confutazione del testo. A noi, del resto, ciò che interessa è di individuare dei filoni nella massa delle informazioni che si affollano nel ciberspazioe. Fare scienza e produrre conoscenza è in parte un lavoro di raccolta e di classificazione. I nostri scopi non sono altro che fini di conoscenza e la conoscenza è a sua volta il necessario presupposto per ogni saggia decisione.
13. Tam tam di guerra. – Sono ormai continui i richiami e le sollecitazioni alla guerra contro l’Iran. Diventa ultroneo e sfibrante confutare gli inconfutabili “embé” degli «eletti mentitori». Dal commento redazionale si apprende il metodo: non vogliono fare la fatica di comprare i giornali cartacei e raccolgono le notizie della rassegna stampa direttamente dalle versioni online dei quotidiani o delle notizie citate. Più che la cultura politica il nostro Monitoraggio finirà per riguardare la psicologia degli «eletti mentitori» alias «corretti informatori». Poiché le notizie di una guerra imminente all’Iran si succedono ogni giorno, dopo che sembrava scongiurata dal rapporto del NIE, ne darò qui di volta in volta una rapida elencazione con qualche nota in margine. Sembra ripetersi il canovaccio dell’aggressione all’Iraq: una volta deciso che l’attacco si doveva fare, diventava secondario la ricerca del pretesto. Berlusconi ha detto: «nessuno vuole un altro Iraq». Speriamo che sia di parola e prenda lui in mano la politica estera, togliendola ad un ministro degli esteri che più cretino non poteva scegliere. Se dovesse scoppiare la guerra e l’Italia dovesse venire coinvolta, non potrà illudersi di vendere più vino agli americani, ma dovrà fare una legge per offrire cravatte nere in dono ai parenti dei morti italiani. Quanto poi all’isolamento dell’Iran dall’Europa e dall’Italia, mi sembra più realistico parlare di isolamento dell’Italia dall’Iran, se è vero che in Europa siamo il principale partner commerciale dell’Iran. E dire che Berlusconi si presenta come un uomo d’affari che vuole rilanciare il made in Italy!
14. Le complicità di guerra. – È con un fremito di indignazione che registro il link qui a fianco. Non dimenticherò e considero aperta una guerra civile fra interventisti europei e nostrani e pacifisti. Considero molto negativamente tutto ciò e mi astengo da ulteriore commento. Non si parla più.
15. Le analisi del “Foglio”. – Il quotidiano di Giuliano Ferrara si era distinto per aver trasformato un quotidiano in un “Volantino” quando si trattò di organizzare una manifestazione davanti all’ambasciata iraniana. La nostra analisi è elementare. Israele vuole completare la sua politica facendo togliere di mezzo anche l’Iran: dopo l’Iraq deve cadere anche l’Iran. Ciò che il “Foglio” pubblica costantemente riflette queste desideri e queste segrete speranza. In questi giorni di inizio luglio 2008 un attacco all’Iran viene dato come imminente. In questo paragrafo verranno raccolti tutti i links ad articoli del Foglio, ripresi da IC, dove sono evidenti i desiderata. Ne offfriamo un’elencazione, a cui seguirà eventualmente una ulteriore analisi:
a) 5.7.08 dalla redazione, forse Giuliano Ferrara, con titolo originale «Chi attacca l’Iran deve temere il “Giorno del Giudizio”» rititolao da IC con «Le possibili rappresaglie di Teheran. Un rapporto del Washington Institut for Near East Policy»;
b) 3.7.08, Redazione, «Così la squadra di khamenei lavora al dopo Ahmadinejad - Risky business», rititolato da IC: «Velayati e Ahmadinejad: stili diversi, ma la sostanza è la stessa. Ed è tempo che l’ENI lasci Teheran»;
c) 4.6.08: due pezzi di cui uno firmato la redazione con titolo: «Perché a Teheran la repressione stalianiana contro gli intellettuali non funziona» ed un altro a firma Gulio Meotti con titolo: «L’altro volto dell’Iran», rititolati da IC con «Dissenso e repressione in Iran. Le tesi di Ramin Jahanbegloo e Mohsen Kadivar». A proposito di dissenso in Iran ricordo i costanti attacchi di IC in Italia per far chiudere siti italiani di dissidenti. Si rinvia ad apposita rubrica.
16. Frenesia d’attacco. – Si noti: il senso del commento è Israele deve attaccare per prima! Una vera e propria psicopatologia della guerra, di una guerra da molto tempo programmata. Ciò che manca è il pretesto, in casus belli. Risalta anche il ruolo della stampa “amica”, che fin dall’inizio si è prestata come ad una sorta di campagna concertata per giungere alla guerra, facendola apparire come una guerra per la difesa dei diritti umani... degli iraniani stessi.
17. Se vince Obama. – Il link porta all’intervista fatta da Michele Giorgio ad un analista israeliano. Sono evidenti le opzioni militari del governo israeliano e della sua intellettualità. Ironia della sorte vorrebbe che Obama vincesse malgrado la volontà contraria della Lobby e che quindi non si sentisse per nulla vincolato a seguire la precedente politica estera USA. Ma non è bene fare pronostici ed è meglio aspettare il maturare degli eventi.
18. Duello Bush-Ahmadinenjad in sede ONU. – Si rinvia al link che offre sufficiente documentazione a quanto già sopra detto. La novità degli ultimi mesi è costituita dal mutamento dello scenario globale determinato dalla guerra in Georgia e dalla pesante crisi economica interna agli USA. Ciò sembra aggiornare una guerra contro l’Iran che era data come imminente. I sionisti si trovano ora spiazzati.
19. Non demordono. – La crisi finanziaria sembra aver allontano i pericoli di una prossima invasione dell’Iran da parte degli USA. A meno che qualcuno non pensi di rilanciare l’economia con il ricorso a nuove guerre: alla follia non c’è limite. Invece i «Corretti Informatori» non demordono dal cercare di orientare l’opinione pubblica italiana in funzione antiraniana. In questi giorni riveste grande significato – assenti i grandi media – la visita di Romano Prodi, ex presidente del consiglio – ad Ahmadinejad in Teheran. Vi è un riconoscimento implicito che disturba i propagandisti israeliani in Italia. Ma sono rimasti sempre gli stessi ed è possibile isolarli.
20. Dopo Prodi anche gli addetti militari di Germania e Italia. – Sembrano fortunatamente scongiurari i pericoli di una imminente invasione militare degli USA secondo un piano maturato contestualmente all’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq, dove la guerra non è ancora terminata e sembra essersi conclusa con una disfatta degli USA, ai quali la sola guerra in Iraq è costata – parrebbe – finora una somma colossale di 3.000 miliardi di dollari, pari ad un quarto della ricchezza americana. Se queste sono le cifrè è proprio una follia. Ad arricchirsi è solo l’industria militare e quella connessa al petrolio. Continua però la guerra mediatica. Ogni volta che qualche occidentale, sia un privato – come nel caso di Prodi – o un funzionario – come nei caso degli addetti militari italiani e tedeschi che hanno assistito ad una sfilata in Iran – il governo di Israele protesta presso i rispettivi governi, quasi che dove uno possa o non possa andare debba essere deciso in Israele, che per quanto riguarda l’Italia non può fornirci del petrolio e del gas di cui abbiamo bisogno.
21. Israele intendeva attaccare l’Iran dalla Georgia. – Andando al link si trovano notizie attendibili di estremo interesse. Del resto, lo si diceva e l’attesa di un attacco all’Iran era nell’aria. La manifestazione capitolina di Pacifici e Polito con Alemanno sponsor era una forma di appoggio mediatico. Sono da studiare attentamente le date e le occasioni. Ma i nomi dei partecipanti alla manifestazione non possono e non devono essere dimenticati perché li si ritrova prima e dopo la specifica occasione. (segue)
22. La logica di Vermilinguo. – Riprendo oggi 17 luglio 2009 l’aggiornamento dopo parecchio tempo, ma senza aver mai perso di vista le minacce continua di guerra all’Iran. Sembra che Israele sia in procinto di scatenare una guerra all’Iran. Sono ripetuti e sfacciati i tentativi in questo senso e sembrerebbe che abbia ottenuto luce verde per partire all’attacco. Non sono un profeta nè un indovino e non mi piace immaginare gli scenari possibili. Certo si può vedere il gioco a scacchiera: Iraq, Afghanistan con Egitto asservito ed altri addomesticati. Manca solo l’Iran per avere una situazione geopolitica del Medio Oriente analoga a quella europea del 1945. Qui Israele la farebbe da padrone, essendo il Kapo degli USA oltre che avere una propria notevole consistenza militare. La situazione è quanto mai deprimente. Di Europa è meglio non parlarne: ha perso libertà e dignità per sempre nel 1945.
23. I piani di attacco sono pronti da un bel po’. – Dalla prima redazione di questa sezione sull’Iran si sono succeduti ad un ritmo quotidiano le campagne mediatiche in favore di una nuova guerra contro l’Iran. Più volte la si è data come imminente e non vi è nessun dubbio di sorta che Israele la voglia. Se non è stata ancora scatenata, come già per l’Afghanistan e l’Iran, è stato solo perché i necessari alleati di Israele hanno avuto ed hanno perplessità ad aprire un nuovo fronte di guerra copo gli scenari per nulla chiusi dell’Afghanistan e dell’Iraq, scenari che convengono solo ad Israel, nata e cresciuta solo con la guerra. Incomincia a diventare per noi difficile raccogliere e selezionare le notizie, ma non già per archiviarle – non avrebbe senso – bensì per tentare di recuperare quella comprensione della nostra quotidianità che è organicamente offuscata dal potere costituito e dai suoi sistemi mediatici.
(segue)
3 commenti:
Io sarò ignorante ma le sue tesi mi paiono un mucchio di idiozie, fantasticherie farneticanti, buone per le chiacchere al bar e per dare la colpa di tutto, tanto per cambiare, agli ebrei.
Mi dia retta, non perda tanto tempo dietro a chi, come gli autori dei libri sulla lobby ebraica, lo fanno solo per guadagno, per me la loro è un'azione di marketing. La stessa cosa si potrebbe fare per la "Lobby degli Italiani in America", basti pensare alla mafia, al potere degli italiani nella moda e nella lirica. Il mio pensiero è che Israele è uno stato che lotta per la propria sopravvivenza contro il terrorismo ed è giusto che stia dove sta e agisca come agisce, anzi, dopo quasi 7.000 razzi lanciati dal 2.000 ad oggi non so chi gli impedisce di invadere Gaza e farla finita con la camice nere di Hamas. Forse la "lobby ebraica"?
Saluti.
Probabilmente la risposta giusta se l'è già data: lei è ignorante, e come tutti gl'ignoranti non trova modo migliore di criticare il prossimo che insultarlo ("mucchio di idiozie", "fantasticherie farneticanti", "lo fanno solo per guadagno", "terrorismo", "camice nere").
Se vuole criticare le tesi espresse dal prof. Caracciolo nel suo articolo può farlo liberamente: ha questo spazio a sua completa disposizione. Però la critica dev'essere argomentata logicamente, non può ridursi all'insulto puro, semplice ed immotivato, come fa lei nel suo risibile commento.
Presumo che lei non abbia neppure letto il libro di Walt e Mearsheimer che liquida in quattro righe, tra l'altro senza criticarne gli argomenti ma attaccando sul piano personale gli autori ("lo fanno solo per guadagno"... sì, certo, come no? Invece i vari Ottolenghi, Panella, Allam e compagnia ultrafilosionista bella, vivono nella miseria più nera...come direbbe Totò: "Ma mi facci il piacere!").
L'idea che si possano mettere sullo stesso piano la lobby ebraica statunitense e quella italo-americana si può facilmente confutare con un solo dato: la stima dei finanziamenti di provenienza ebraica ai politici statunitensi, compiuta da Jeff Blankfort (ch'è a sua volta ebreo). Secondo la sua ricerca, compiuta nel 2000, 7 dei 10 maggiori donatori erano ebrei. Le stesse organizzazioni ebraiche stimano che almeno il 50% dei finanziamenti a partiti e politici statunitensi venga da ambienti ebraici, laddove gli Ebrei sono il 2,3% della popolazione.
Per quanto concerne infine Israele, si tratta d'uno Stato fondato su basi razziali ("Stato ebraico"), che pratica una politica segregazionista (ispirata al regime razzista del Sudafrica, del resto vecchio alleato di Tel Aviv) ed è sorto sulla terra rubata con la guerra e col massacro (Deir Yassin) ai Palestinesi.
Ringrazio Daniele Scalea per la mia difesa, ma non ho proprio nessuna intenzione di cancellare le anonime contumelie nei miei riguardi. Le considero un utile documento di un modo indotto di pensare. Ho appena finito di vedere un film hollywodiano di grande successo (Indipendence Day). È un documento di ciò che si ottiene attraverso l’azione combinata di tutte le tecniche di condizionamento attraverso cui vengono sedimentati in menti anonime e standardizzate ideologismi come quelli espressi. Nel film ho notato un curioso e illuminante dialogo. Uno dice all’altro, ebreo, in procinto di fare preghiere all’uso ebraico, di non essere ebreo. Al che si sente rispondere, forse ironicamente: “non tutti sono perfetti!” Il Dio non ebraico ci salvi da quella perfezione che da cento anni a questa parte giunge fino alla pulizia etnica della Nakba e a quel lager a cielo aperto che è Gaza. Ci salvi dal milione di vittime civili che è costata al mondo la guerra illegale di Bush contro l’Iraq e da quella che la Israel lobby avrebbe voluto scatenare anche contro l’Iran (che non ha mai mosso guerra a nessuno) e che ancora caldeggia con ogni mezzo a sua disposizione.
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