giovedì 27 settembre 2007

La Civiltà Cattolica: Le tesi storiche vanno fissate per legge?

Versione 1.3
qui trasferito da:
Club Tiberino

In Italia il caso Teramo è diventato la migliore esemplificazione di un problema che non può essere eluso da quanti hanno per davvero a cuore gli articoli della costituzione che proclamano la libertà di pensiero e di ricerca. Nel nostro paese a parole sono tutti “liberali”, ma in concreto gli spazi di libertà sono quanto mai chimerici. Da cosa ciò dipenda non è facile dire. Con la decisione di trasferire in Roma il disciolto Master Mattei un gruppo di ostinati della libertà concreta si propone come segno di contraddizione all’interno di una società strutturata in lobbies e caste da una parte e dall’altra parte costituita da cittadini al di fuori delle consorterie del potere e del privilegio. È proprio delle battaglie la divisione in vinti e vincitori. Hanno esultato per la loro vittoria quanti hanno considerato un fatto meritorio l’aver ridotto al silenzio chi chiedeva di poter parlare e la chiusura di un corso gestito da chi pensava di poter seriamente considerare ed applicare quell’art. 21 della costituzione che almeno sulla carta riconosce ad ognuno il diritto al pensiero. Non si sentono però sconfitti quanti hanno potuto riconoscersi ed unirsi proprio nel segno della libertà negata. In un recente libro sul terrorismo degli anni di piombo il suo autore ha sostenuto che in realtà l’Italia non ha mai cessato di essere divisa a far data dall’8 settembre 1943. Erano divisi i padri e restano divisi i figli. L’Editoriale dell’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica” giunge quanto mai opportuno non dopo gli eventi, ma mentre una battaglia decisiva per la libertà è ancora in corso ed i suoi sviluppi incerti. Tenterò di seguito una riflessione sul testo dell’autorevole rivista, pubblicandone integralmente il testo e corredandolo di links ed immagini. Svilupperò quindi tutti gli spunti possibili. Le parti in corpo normale sono il testo dell’Editoriale di “Civiltà Cattolica”. Il corpo piccolo sono mie considerazioni, commenti, annotazioni.

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LA CIVILTA’ CATTOLICA
Anno 158
2007
Volume Terzo
quaderno 3769
7 luglio 2007


Editoriale


LE TESI STORICHE VANNO FISSATE PER LEGGE?


Ha fatto molto discutere la proposta del ministro della Giustizia tedesco, Brigitte Zypries, di applicare a tutti gli Stati dell’Unione la legislazione contro il negazionismo della Shoah vigente in Germania. Tale proposta, presentata durante un incontro tra ministri della Giustizia a Dresda (14-16 gennaio 2007), è stata accolta dal nostro guardasigilli, Clemente Mastella, il quale ha anche annunciato la presentazione nel successivo Consiglio dei ministri italiano del 27 gennaio, in coincidenza con la celebrazione della Giornata della Memoria, di un disegno di legge contro il negazionismo. Tale provvedimento, disse Mastella, ha come fine principale di combattere ogni «rigurgito di antisemitismo»; in particolare esso «assume un rilievo fondamentale per tutte le minoranze. Negare che quei fatti sono avvenuti significa che quello che è stato documentato è falso. E quindi un’offesa alla memoria e alla storia».

Links:
1. Brigitte Zypries: curriculum;
Ricerche:
- Andrebbe fatta una riflessione sulle condizioni spirituali della Germania all’indomani della disfatta del maggio 1945. Le umiliazioni inflitte alla Germania ed al popolo tedesco hanno forgiato il carattere e plasmato la mente di tutta la classe politica del dopoguerra, non solo tedesca. Dal libro di Tom Segev, Il Settimo Milione, sono quanto mai deprimenti le pagine che narrano dei rapporti fra il neo Stato di Israele e la Germania sconfitta, costretta alle riparazioni e salassata all’infinito: la nazione tedesca doveva essere umiliata per l’eternità. L’evidente mancanza di dignità nazionale da parte dei tedeschi del dopoguerra è un libro che è difficile da scrivere, ma certamente esiste una letteratura al riguardo ed esistono pensatori politici in grado di portare a consapevolezza il problema. Sono però emarginati, quando non addirittura imprigionati.
Riflessioni:
- Onestamente, come può darsi dignità di pensiero a ciò che dice Clemente Mastella? Cosa devo commentare? Il cinismo e l’arroganza del potere di cui danno sfacciata prova i nostri governanti richiederebbe un’insurrezione popolare. Ma ormai i popoli europei sono stati ridotti all’obbedienza e di essi si può fare ogni cosa. Le sevizie materiali, spirituali ed intellettuali che gli si possono infliggere hanno certezza dell’impunità. Ed è per questo, tornando a Teramo, che diventa estremamente pericoloso ogni tentativo di pensiero indipendente. Deve essere perciò stroncato sul nascere ed i suoi caporioni subito dispersi, se proprio non li si può togliere di mezzo fisicamente e ridurre per sempre al silenzio.
- Il termine negazionismo non può essere considerato scientificamente. Si tratta di un concetto denigratorio appositamente costruito per combattere e stroncare qualsiasi possibilità di un pensiero critico applicato all’interpretazione complessiva della storia del XX secolo, che non si potrà mai comprendere senza la concatenazione causale di eventi infiniti e che perciò richiedono una pluralità di interpretazioni variabili a seconda del problema che di volta in volta occorre analizzare. Fissare tutta la storia in un’unica interpretazione, imposta per legge, significa uccidere non la memoria, ma il pensiero stesso senza il quale la memoria è solo un riflesso condizionato alla Paulov, quello dei cani ammaestrati ad agire in un certo modo a seconda degli input che ricevevano.

Una direttiva del Consiglio dei ministri della Giustizia della Ue ha stabilito, lo scorso 19 aprile, che sono puniti con una pena da uno a tre anni di reclusione i responsabili di «incitazione pubblica alla violenza e all’odio razziale» o di «pubblica apologia, negazione o grossolana banalizzazione di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra». II testo quindi non fa riferimento a nessun episodio concreto e lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità circa l’applicazione.

L’iniziativa del Governo italiano, mentre è stata accolta positivamente da alcuni intellettuali e dai rappresentati delle comunità ebraiche, è stata al contrario duramente criticata da altri. Il 23 gennaio appariva in diversi quotidiani un «Manifesto contro il negazionismo per la libertà della ricerca storica», proposto da M. Flores, S. Levis Sullam, E. Traverso e firmato da oltre 200 storici e opinionisti, appartenenti a diversi orientamenti ideologici, in cui si esprimeva la preoccupazione che un problema così grave e preoccupante, come la crescente diffusione tra i giovani dell’antisemitismo e delle pseudo-teorie storiche di negazione o riduzione dell’Olocausto, fosse affrontato attraverso la pratica giudiziaria e la minaccia di condanna e di reclusione. Proprio negli ultimi tempi, recita il Manifesto, il negazionismo è stato fin troppo propagandato dai media, provocando alcuni comportamenti imitativi. «Sostituire a una necessaria battaglia culturale, a una pratica educativa e alla tensione morale necessaria per fare diventare coscienza comune e consapevolezza etica introiettata la verità storica della Shoah, una soluzione basata sulla minaccia della legge ci sembra particolarmente pericoloso». E ciò, dicono gli autori del testo, per diversi motivi.

Links sul tema trovati in modo casuale e senza nessuna preferenza:
1. Una motivazione in rete a favore del Manifesto contro il negazionismo etc..
2. Claudio Magris: Il bugiardo che dice la verità.


Innanzitutto si darebbe ai negazionisti l’opportunità di ergersi a difensori della libertà di espressione, che è uno dei diritti fondamentali della moderna democrazia e una delle conquiste storiche più significative in ambito politico-culturale. Si stabilirebbe, inoltre, «una verità di Stato in fatto di passato storico», che rischierebbe di delegittimare quelle stesse verità che si vogliono proteggere o incoraggiare. In realtà, una verità storica «sotto tutela» o, per così dire, «ufficiale» o «legale», sarebbe a nostro avviso una sorta di pseudo-verità, in quanto poggerebbe non sull’autorevolezza della ricerca e sulla sua capacità di fare verità sul passato anche recente, ma sulla forza autoritativa e livellatrice della legge. Mentre un’autentica ricerca storica ha bisogno soprattutto di libertà di espressione e di un metodo rigoroso, aperto al confronto. Nell’accennato Manifesto si fa anche riferimento all’idea assai discussa tra gli storici «sull’unicità della Shoah», in quanto evento singolare e non confrontabile con ogni altro evento storico, ponendolo così «al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo».


Secondo alcuni storici, tali posizioni, sebbene sensate e in parte anche condivisibili, non sarebbero però sufficienti a contrastare la necessità di una legge volta a sanzionare, anche con pene detentive, la negazione dell’Olocausto e di altri importanti genocidi compiuti nel secolo appena concluso. A tale riguardo, ricordiamo che recentemente l’Assemblea Nazionale francese ha approvato una legge — criticata da alcuni intellettuali, che non credono all’efficacia di tali provvedimenti, e che si è attirata le più vive proteste del Governo turco — che punisce la negazione del genocidio degli armeni. Secondo B.-H. Lévy, non sarebbe tale tipo di legislazione a

limitare o discreditare la ricerca storica, bensì il lavoro disonesto dei negazionisti: «Sono loro che, con falsificazioni e follie, confon¬dono le piste e complicano le cose». Lo spauracchio spesso agitato per combattere tale tipo di interventi, continua l'intellettuale fran¬cese, è quello della moltiplicazione di leggi di questo tipo, di leggi cioè che impongono verità di Stato. «Dove arriveremo [dicono co¬loro che si oppongono a tali provvedimenti]? Perché, visto che ci siamo, non fare leggi sul colonialismo, la Vandea, la notte di San Bartolomeo, le caricature di Maometto, il delitto di bestemmia? Non ci stiamo dirigendo verso il politicamente corretto che vieta le espressioni delle opinioni non conformi? Non ci stiamo orientando verso decine, se non centinaia di leggi della memoria, il cui unico risultato sarà di giudiziarizzare lo spazio del discorso e del pensie¬ro?» (Corriere della Sera, 19 gennaio 2007).
Tali domande in apparenza sensate — scrive Lévy — in realtà oltrepasserebbero il segno per due motivi. Innanzitutto non si tratterebbe di leggi sulla memoria, a volte realmente discutibili e non sempre efficaci sul piano della creazione di una mentalità o cultura storica condivisa; in secondo luogo, tale tipo di provvedi¬menti riguarderebbe esclusivamente i genocidi, e di questi ce ne sono soltanto «tré, forse quattro, al massimo cinque, con il Ruan-da, la Cambogia e il Darfur». Tale posizione, sebbene sollevi pro¬blemi di grande interesse, appare un poco generica. Chi decide, infatti, se un massacro o una pulizia etnica è un genocidio oppu¬re no? Su tale materia ogni Parlamento nazionale deve fare per conto proprio, oppure si deve attenere alle dichiarazioni o alle sentenze emesse dagli organismi internazionali? E ancora, esiste (oltre la Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la repressione dei genocidi) una normativa sufficientemente specifica e immune da strumentalizzazioni politiche su tale delicata materia? E me¬glio legiferare sui singoli atti di genocidio, secondo il modello francese, oppure in generale, per prevenire, condannare e punire tale tipo di delitto contro l'umankà? insomma i problemi solle¬vati non sono di poco conto e neppure facilmente risolvibili.
Ritornando al dibattito storico suscitato dall'iniziativa del mini¬stro della Giustizia, C. Mastella, qualcuno ha sottolineato che in un provvedimento di questo tipo non ci si dovrebbe limitare sol¬tanto a punire la negazione dell'Olocausto, quale forma dichiara-
6 LE LEGGI SUL NEGAZIONISMO DELL'OLOCAUSTO
ta e militante di antisemitismo, e quindi fermarsi soltanto al fatto giuridico-formale, ma in esso si dovrebbe far riferimento anche a precise responsabilità dello Stato monarchico-fascista prima e del¬la Repubblica di Salò dopo, nella persecuzione e nello sterminio degli ebrei d'Italia: «Allora anche la norma giuridica potrà dare un contributo e far diventare questo Paese un poco più consapevole» delle proprie responsabilità storiche, sulle quali troppo spesso si è cercato di stendere un velo di omertà (cfr B. Mantelli, La Stampa, 26 gennaio 2007). Secondo altri osservatori, inoltre, tale provvedi¬mento si iscriverebbe bene nel nuovo corso della politica comuni¬taria dell'Ue. L'apertura a Est dell'Unione ha portato recentemen¬te in Europa nuovi Stati mèmbri, dove l'antisemitismo ha radici antiche e nei quali non c'è stata negli ultimi tempi, come in altri Paesi dell'Europa occidentale, una riflessione storica sufficiente¬mente attenta a tali temi. Sarebbe quindi opportuno — è stato det¬to — che tutti gli Stati europei si munissero di una legislazione ca¬pace di far fronte al pericolo del negazionismo o del riduzionismo della Shoah, e in questo modo combattere ogni forma di antisemi¬tismo; questo sarebbe un passo importante in dirczione di un'i-dentità europea basata sui valori condivisi, di cui finora si lamen¬ta, e a ragione, la mancanza. Tanto più che anche a livello interna¬zionale il negazionismo ha assunto valore di propaganda politica, tanto da diventare una sorta di verità o dottrina di Stato. L'assen-za di un segnale forte e chiaro su questo punto da parte dell'Eu¬ropa, che è il luogo dove si è consumato l'Olocausto, può essere interpretata da Stati negazionisti come un segno di debolezza e di divisione, avallando così indirettamente l'atteggiamento aggressi¬vo nei confronti degli ebrei e, in particolare, dello Stato di Israele, che vorrebbero cancellato dalle carte geografiche.
Il disegno di legge presentato dal ministro Mastella però non fa riferimento diretto al negazionismo della Shoah, ma si riferisce in generale — recita il testo — «ai delitti di istigazione a commettere crimini contro l'umanità e di apologià dei crimini contro l'umani-tà». Ciò significa che alla prova dei fatti il Governo ha ritenuto di tenere in considerazione i rilievi fatti dall'accennato Manifesto.
Ma che cosa dice il provvedimento del Governo? Esso è com¬posto di sette articoli, tra i quali il primo è il più importante. Que¬sto prevede l'introduzione nel Codice penale degli articoli 414-
bis, 414-ter, 414-quater. Il primo punisce, con la reclusione da tré a 12 anni, la condotta di istigazione e apologià dei crimini contro l'umanità, il cui catalogo si trova all'interno dello statuto della Corte penale internazionale, ratificata dallo Stato italiano con la legge del 12 luglio 1999, n. 232. L'articolo 414-ter, intitolato «At-
|^ di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e reli¬giosi», invece, riproduce il contenuto dell'art. 3 della legge 654 del 1975, con l'incriminazione di ogni possibile forma di propa¬ganda di idee fondate sull'odio razziale nonché di istigazione a commettere atti di tal fatta e il divieto di costituire associazioni
; aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla
1 violenza. La pena prevista è la reclusione fino a un anno e sei me¬si per chi propaganda tali idee, e da sei mesi a quattro anni per chi istiga a commettere o commette egli stesso violenza o atti di provocazione alla violenza per i motivi su indicati. L'articolo 414-quater prevede una specifica aggravante alle ipotesi di reato sopra riportate, nel caso in cui la condotta venga posta in essere negan¬do o minimizzando Resistenza di uno di tali crimini, ma soltanto quando la presenza di essi è stata già acclarata da un tribunale na-
: zionale o internazionale. In base a tale provvedimento, basterà
•• semplicemente «diffondere», pur senza fare «propaganda», idee antisemite o sulla superiorità e l'odio razziale per essere persegui¬ti. In questo caso — fa notare un esponente del Ministero della
: Giustizia — dipenderà «dall'interpretazione che daranno i magi¬strati alle nuove norme se le idee o le esternazioni di storici o opi¬nionisti negazionisti della Shoah possono considerarsi o meno dif-^ fusione delle idee fondate sulla superiorità o l'odio razziale» [la
i Repubblica, 25 gennaio 2007).
In Europa numerose legislazioni prevedono la punibilità del¬le condotte di negazionismo. In Francia le legge Gayssot del 13 luglio 1990 punisce con la reclusione per un anno (e/o con l'am-menda di 45.000 euro) i soggetti che — per iscritto o per mezzo I della parola in luoghi o riunioni pubbliche— abbiano contesta¬to l'esistenza di uno dei crimini contro l'umanità, come definiti dallo statuto del Tribunale militare internazionale di Nonmber-r ga, commessi sia da un'organizzazione dichiarata criminale sulla i base dell'art. 9 dello stesso Statuto, sia da una persona ricono¬sciuta colpevole di tali crimini da una giurisdizione francese o in-ternazionale. Di receni,, . o -' !,; legge del 12 ottobre 2006, l'As-semblea Nazionale francese ha esteso l'applicazione delle norme penali sul negazionismo a coloro che contestano resistenza del genocidio armeno. Nell'ordinamento giuridico spagnolo, invece, il negazionismo è incriminato dall'art. 607 ultimo comma del Co¬dice penale, che punisce con la pena della reclusione da uno a due anni la diffusione di idee o dottrine che neghino o giustifi¬chino i delitti di genocidio, o pretendano la riabilitazione dei re¬gimi o delle istituzioni che si s< •^' ,';\ :;''(; ;ii pratiche generaliz¬zate di genocidio. Di particolare interesse su questa materia sono le legislazioni adottate dalla Germania e dall'Austria; esse riguardano in modo specifico l'Olocausto e tendono a condannare in modo severo chiunque tenti di negare la verità storica di questo fatto. Tale le¬gislazione risponde innanzitutto a un'esigenza di purificazione della m alla necessità di prendere le distanze da un pas¬sato non troppo lontano, che aveva visto le due nazioni tedesche, nelle quali nacque e si sviluppò il nazionalsocialismo, come le principali protagoniste (anche se in realtà non furono le sole) di una storia segnata dalla volontà di potenza e dal male assoluto, Nell'ordinamento austriaco la legge sulla negazione o riduzio¬ne dei genocidi nazionalsocialisti è stata introdotta il 26 gennaio 1992, In base a tale disposizione chiunque nega, minimizza forte¬mente, approva o cerca di giustificare il genocidio degli ebrei o al¬tri crimini nazionalsocialisti contro l'umanità è punito con la re¬clusione da 5 a 10 anni. La pena è elevata a 20 anni di reclusione nelle ip '.' ravate. Come è noto tale legge è stata applicata circa un annota allo storico D. Irving, il quale 16 anni prima ave¬va sostenuto in quel Paese tesi negazioniste sull'Olocausto. Oggi Irving ha scontato la pena (in realtà in parte condonata, poiché era stato condannato a tré anni di reclusione) e, a quanto pare, ha anche rivisto alcune sue posizioni radicali sostenute in passato; per molti antisemiti, però, egli è divenuto l'icona e il martire del¬la libertà di opinione e di pensiero. Per quanto riguarda l'ordina-mento tedesco il negazionismo è incriminato dal paragrafo 130.3 del Codice penale, che punisce con la reclusione fino a 5 anni o con una forte ammenda la condotta di chi •— pubblicamente o in una riunione — approva, nega e minimizza le azioni commesse ; sotto il nazionalsocialismo, rientranti nella fattispecie del genod-1 dio come delineato dal diritto internazionale. II disegno di legge recentemente approvato dal Governo italia¬no in materia di crimini contro l'umanità (e di apologià degli stes¬si) non prende come modello di riferimento la legislazione au¬striaco-tedesca in materia di negazionismo. La legislazione propo¬sta in Italia su tale importante materia — che si avvicina a quella del Portogallo, della Spagna e della Svizzera'— ci sembra molto opportuna ed equilibrata; in ogni caso preferibile a quella adotta¬ta in altri Paesi, ove, applicata con rigore, rischia, come si è visto per il caso Irving, di creare nuovi pseudo-campioni della libertà storica e di fare alla fine il gioco dei negazionisti megalomani, por¬tando sulla platea pubblica (a volte mondiale) tesi che altrimenti non avrebbero nessun peso e rilevanza nell'ambiente degli storici. Per combattere legalmente l'antisemitismo e ogni altro tipo di discriminazione per motivi «razziali, etnici, nazionali o religiosi», pensiamo siano sufficienti le norme previste dal disegno di legge a cui abbiamo accennato, il quale commina per tali crimini pene detentive piuttosto dure. Perciò l'adozione di nuovi provvedi¬menti contro il negazionismo dell'Olocausto o simili ci sembra del tutto inutile e anche controproducente. La negazione dell'O¬locausto va combattuta anzitutto con le armi della ricerca storica, che sono le più potenti e persuasive, e poi con il libero dibattito nelle aule scolastiche, nelle università, sui giornali, non nelle sta¬zioni di polizia e nei tribunali. «L'esperienza insegna — scrive in proposito l'ex-ministro della giustizia indiano Soli Sorabjee — che le norme penali che vietano l'incitamento all'odio razziale e religioso incoraggiano l'intolleranza, le divisioni e interferiscono con la libertà di espressione. Non servono leggi più repressive, ma più libertà di parola per combattere il fanatismo e promuovere, la tolleranza». Ciò vale per l'India, ma anche per l'Europa. La legislazione antinegazionista adottata in vari Paesi dell'Ue, oltre ad attentare, almeno dal punto di vista dei princìpi, alla li¬bertà di espressione e di ricerca in ambito storico, codificando una verità di Stato fissa e inattaccabile, risulta sul piano politico e psicologico non del tutto efficace. Sul piano politico, attual¬mente sono nove gli Stati mèmbri dell'Ue in cui è proibito per legge negare l'Olocausto: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia. Eppure in molti di questi Paesi sono presenti partiti politici tra i più xenofobi dell'Unione. Con questo non si vuole dire che l'an- (segue)
© La Civiltà Cattolica 2007 III 3 -11

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