giovedì 14 luglio 2011

Verso Gaza 43: Dalla Freedoom Flotilla IIª alla Flotilla IIIª

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Si è tenuto questo pomeriggio in Roma, presente il vignettista Vauro, una prima riunione di bilancio dell’esito della Flotilla Two. Non vi è stato trionfalismo di nessun genere, ma un dato che è subito emerso dagli interventi è che non si intende per nulla disarmare e che già si pensa ad una Terza Flotilla. Le navi ancora sotto sequestro nei porti greci dovranno pur essere restituite, se il governo greco non vorrà continuare ad infrangere altre norme giuridiche sul diritto di proprietà. Inoltre, finché le navi restano bloccato, non si dovrà pagare il garage. Il dato nuovo che è emerso dalle notizie fornite durante il dibattito è che a far pressione sul governo greco è stato non solo Israele, come si poteva facilmente immaginare, ma anche il governo italiano, quello francese e addirittura quello turco, se ho ben inteso. A chi in una conferenza svoltasi in Atene con diplomatici greci obiettava che il governo francese aveva lasciato partire le due navi francesi, la risposta da parte greca è stata: “Certo, perché sapevano che le avremmo fermate noi!” Un ruolo certamente umiliante per il governo greco e di monito per i cittadini greci, che hanno un siffatto governo, ma anche tale da aprire un nuova voce del conto interno fra cittadini e rispettivi governi in Francia e in Italia.

Questo il gioco pesante della diplomazia e delle cancellerie, dalle quali d’ora in poi vi sarà di che fidarsi quanto ed al pari di organizzazioni malavitose. Ma vi è stato anche chi durante il bilancio ha trovato modo di fare dello spirito. All’epoca della Prima Flotilla Israele aveva un grande amico: Mubarak. Si può sperare in altri mutamenti significativi dello scenario politico per quando saranno maturi i tempi della Terza Flotilla. Realisticamente, nessuna si aspettava che una consapevole armata brancaleone potesse sconfiggere la più potente marina di guerra del Mediterraneo, ma sarebbe stato peggio non aver neppure tentato un’impresa avventuristica quanto si vuole, ma che ha gettato nel panico una potenza militare di prim’ordine. I cittadini in questi tempi di grande trasformazioni forse acquisteranno maggiore fiducia in se stessi.

Un dato che è emerso, facendo acquisire forse una nuova consapevolezza perfino agli “antisionisti sionisti”, probabilmente presenti anche nelle fila della Flotilla, è stata la violazione non semplicemente e soltanto dei palestinesi di Gaza, di Cisgiordania e nello stesso stato ebraico dei coloni, ma ormai anche dei cittadini americani, europei ed italiani. Cosa deve si deve pensare di un governo che trama con lo straniero contro i propri cittadini? La domanda è di quelle che fanno riflettere e scavano nel profonda. La talpa dovrà fare un buon lavoro e dovrà essere aiutata.

A mio avviso, urge più che mai non tanto la preparazione di una nuova Flotilla III, che parta questa volta magari da Alessandria d’Egitto – come era prima per tutti i viaggi che dall’Europa si dirigevano in Palestina –, quanto un lavoro profondo e radicale nel modo di informare la società civile e politica italiana sulla situazione del Vicino Oriente, del Nord Africa e della Palestina in particolare. La società italiana è narcotizzata da decenni di informazione pagata da Israele e intimamente corrotta. Non solo i giornalisti ma i politici stessi, bipartisan, si può dire in senso metaforico e non, che siano al soldo di Israele. Vale il motto che si legge nei libri di Chomsky: “meglio investire in un politico che in una carro armato”. Costa di meno e rende di più. Come giudicare il viaggio-premio che in questi giorni lo stato di Israele ha offerto ai gruppi giovanili di tutti i partiti in Parlamento?

Mentre uccidono ogni giorno in Gaza nuove persone, i nostri giovanotti in erba se la spassano nei locali di Tel Aviv. Questa la classica politica prossima ventura se non verrà posto il problema di rompere l’assedio non già di Gaza ma delle menti degli italiani. Vanno riviste profondamente e riconsiderate criticamente tutte le basi ideologiche, ancora presenti e radicate nella nostra cultura, che hanno reso possibile la cementificazione del sionismo nel nostro apparato politico-clientelare e nel sistema scolastico e istituzione. Il concetto di “antisionismo sionista” deve essere sviscerato e smascherato: l’equidistanza o l’equivicinanza fra genocidio palestinese e stato ebraico-sionista non deve più essere possibile. O si sta di qua o si sta di là! Il principio della libertà di pensiero e di critica politica deve essere posto come base dell’esercizio del diritto politico dei cittadini italiani, del loro diritto alla partecipazione politica sulla base di un articolo della costituzione, il 49, rimasto sulla carta, giusto per fare bella figura e nascondere il marciume della Repubblica nata da Yalta e dalla sconfitta militare.

Se vi era bisogno di una prova ulteriore di cosa è il CDEC e cosa sono i suoi cosiddetti ricercatori è sufficiente una scorsa a come e da chi sono stati puntati gli occhi sulla riunione del 14 luglio, dove mi trovavo come osservatore reale, non di seconda o terza mano. Non commentiamo il testo ostile, ma osserviamo quel mondo allo stesso modo in cui siamo osservati, per potercene difendere. Non è difficile leggere tra le righe un’attività denigratoria, diffamatoria e delatoria, in vista di una legislazione repressiva del dissenso, nella speranza di condurre a termine non solo la pulizia etnica della Palestina, ma anche quella dell’Europa e dell’Italia in particolare, dove mai dovrà essere possibile la più pallida critica e opposizione verso Eretz Israel, per il quale con buona pace dell’«osservatore» la “legalità internazione” è solo uno zerbino, sul quale depositare le proprie sporcizie, spacciandole per “diritto”, illudendosi di ingannare gli ignari. La comunità ebraica italiana, ovvero i suoi agenti, sono ben lungi dal comprendere i gravi crimini commessi dallo stato criminale di Israele, ovvero restio a dissociarsi dai crimini del sionismo, ben individuati dalle componenti più strettamente legate al contenuto religioso del giudaismo, secondo quanto si può apprendere da un libro istruttivo come quello di Jacob Rabkin, o dalle analisi di Gilad Atzmon e perfino dalle posizioni critiche di un Avraham Burg. Ma altro è il quadro, altra la statura e serietà intellettuale e perfino l’afflato autenticamente religioso. È ben vero che la posizione del sionismo all’interno delle istituzione, ma crediamo a cagione di un’attività lobbistica incessante, pare assai più solida che in passato. Ma è anche vero che questioni di coscienza e di verità non si va per voto di maggioranza o per “successi”. Ognuno di noi è singolo ed unico e può dire di sé: Et si omnes ego non! Il concetto in apparenza contraddittorio di “antisionismo sionista” può aiutare a comprendere ed a liberarsi dalle debolezze interne nel panorama della solidarietà palestinese.

(segue)

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