mercoledì 25 maggio 2011

La libertà propria e quella degli altri. – Lettera aperta di un “goy” in solidarietà agli “ebrei” Giorgio Gomel e Moni Ovadia

Testo in elaborazione

Premetto che non sono un ebreo e che non voglio intromettermi in questioni interne alla comunità ebraica, tralascio anche altre mie connotazioni personali, presenti in una precedente redazione, ma non posso fare a meno di sottolineare che l’occasione di questo mio intervento è data proprio dalla circostanza di aver partecipato ad uno dei tanti convegni di studio che si svolgono alla Sapienza, dove sono docente. Ricordo che la mia posizione è quella del Filosofo del diritto che riconosce a tutti, soprattutto agli avversari, la piena libertà di pensiero ed espressione.

Sto appena leggendo di un “attacco” ovvero “trattamento” che a Giorgio Gomel è venuto non da parte di “goym”, ma da appartenenti alla stessa comunità ebraica, per vicende nei cui dettagli non mi addentro. Ho conosciuto, ho visto, Giorgio Gomel solo nell’unica occasione di un seminario all’Università di Roma “La Sapienza”, dove in un certo senso io ero padrone di casa. Gomel era uno dei relatori nel convegno svoltosi presso la Facoltà di Studi Orientali, diversi mesi addietro, su un tema riguardante la situazione nel Medio Oriente. I relatori erano diversi e fra questi Giorgio Gomel, di cui apprendevo e sentivo il nome e vedevo la persona per la prima e unica volta. Non sapevo neppure che fosse “ebreo”, fatto per me assolutamente irrilevante ai fini di quella discussione piuttosto animata. Se ricordo bene egli ha fatto riferimento ad un’associazione Martin Buber, di cui fa parte.

Ebbene, intervenendo dalla parte del pubblico, io mi sono trovato con Gomel in un dissenso radicale su un punto che qui non riporto. Ma non fui il solo. La sua relazione fu attaccata e criticata più di ogni altra. Esagerando però. Infatti, mi sono sentito a disagio, quando mi è parso che il “legittimo dissenso” toccasse il piano personale. Cogliendo l’opportunità mi sono quindi avvicinato a Gomel, per chiarirgli che il mio netto dissenso con lui era di carattere tutto intellettuale e concettuale, ma che assolutamente non aveva nulla di personale. E ci siamo stretti la mano, non ritenendosi lui per nulla da me offeso… E la cosa mi ha confortato. A disturbarlo erano stati altri interventi, tanto da costringerlo a lasciare l’aula prima della fine. Ritengo però che in termini critici il mio dissenso con lui fosse il più rigoroso ed il più radicale. Io stesso non ho apprezzato altre critiche, gratuitamente offensive, che a Gomel venivano rivolte. Ricordo che subito dopo di me parlò uno che disse di essere sì “ebreo”, ma “ateo” oltre che “anti-sionista”. E poi vi furono parecchi altri interventi, fra loro assai diversi. In effetti, questo mondo ebraico è per me piuttosto complicato ed ho bisogno della lettura di autori come Jacob Rabkin o Gilad Atzmon, per orientarmi e familiarizzarmi con distinzioni concettualmente fondamentali.

Fatta questa ampia premessa, necessaria per spiegare le ragioni del mio intervento, vengo al fatto di cronaca consistente in una scritta apparsa sui muri di una scuola ebraica romana: «Ogni ebreo è nostro fratello… Moni Ovadia e Giorgio Gomel NO!» Veramente, pensavo che “tutti gli uomini fossero...fratelli”, che non vi fossero né greci né romani, né ebrei né palestinesi, né figli o figliastri di Dio, né eletti né non eletti. Almeno questo era il messaggio cristiano, prima del Concilio Vaticano II. Lungi da me qualsiasi intromissione in un mondo che non mi appartiene e mi riesce estraneo, non posso tuttavia non provare un senso di disagio davanti a una palese forma di discriminazione ed intolleranza… Esattamente quella stessa “discriminazione” – nessun “negazionista”, ch’io sappia, lo ha mai disconosciuto –, poi seguita da una “persecuzione” verso gli “ebrei” nella Germania nazista. Tema questo assai delicato e difficile da trattare.

Noi figli e nipoti di “goym”, usciti dalla seconda guerra mondiale, veniamo ancora oggi incarcerati e messi alla gogna per “colpe” che non abbiamo commesso e che neppure riusciamo a comprendere. La sensibilità degli ebrei è però tale che non si può mai stare tranquilli nel trovarsi in loro compagnia. In un suo recentissimo post, appena uscito, sempre Atzmon pubblica un video sulla psico-patologia, utile – dice lui – per comprendere lo stato di Israele ed i suoi supporter nel mondo. Mi appare perciò grottesco che siano ora gli “ebrei” stessi ad attaccare con virulenza un loro “correligionario”, attuando esattamente quelle stesse discriminazioni di cui ogni santo giorno la propaganda sionista incolpa noi poveri “goym”, facendo tintinnare manette e rumor di catene e di sbarre!

I testi qui da me considerati, quel tanto che basta, sono presi da una testata cristiano-sionista che ogni giorno in lingua italiana tenta di importare anche in Italia quel vero e proprio assurdo teologico che è l’evangelismo sionista americano. Pensate: costoro sponsorizzano, praticamente, quella che un diverso “ebreo”, pure silenziato in Roma, ed a Monaco, Ilan Pappe, ha definito come “pulizia etnica” ovvero “genocidio” dei moderni “cananei”, cioè la popolazione autoctona palestinese: in questo modo, secondo le loro incredibili superstizioni, si realizzerebbe la “profezia” del ritorno degli Ebrei in Palestina, quindi la seconda venuta del Cristo, la conversione degli Ebrei e finalmente il Giudizio Universale. In Israele, naturalmente, apprezzano tanta stoltezza e se ne avvantaggiano. Tutte cose che in un normale cattolico, nutrito di razionalità oltre che autentica religiosità e senso del sacro, suscitano ilarità, ma che fanno assai comodo ad un feroce sionismo, che altrimenti dovrebbe basarsi in America solo sull’appoggio di pochi milioni di ebrei, benché potentissimi in quanto situati ai vertici del potere finanziario.

Ciò che in America è il sionismo cristiano quale potente fattore di sostegno di quella politica estera che gli studiosi Mearsheimer e Walt (uno dei due mi pare sia ebreo, non ricordo quale) giudicano nettamente contraria agli interessi del popolo americano, da noi, in Europa, è l’innominabile «Olocausto», per il quale solo a nominarlo senza la riverenza che si deve al nome di Dio, nella sola Germania, io ho stimato che dal 1994 ad oggi vi siano stati ben 200.000 persone penalmente perseguite per meri reati di opinione. Da noi un certo signor Qualcuno, che conta assai ed è ricevuto dalle più alte autorità civile e religiose, pur non rappresentando altro che una ristrettissima comunità di ebrei, a fronte ad esempio di 400.000 calabresi, che in Roma contano poco o nulla in quanto comunità – sta facendo di tutto per introdurre una simile legislazione anche in Italia: invocando, anche in questo caso, solo per sé e per i suoi quella stessa libertà di pensiero, di opinione, di critica senza freni che invece nega con veemenza e sfrontatezza ai restanti cittadini italiani.

E veniamo alla conclusione, essendo il tema scottante ed avendo io una causa in corso contro un quotidiano nazionale, che pensava di aver trovato in me il “capro espiatorio” necessario per condurre a porto un’operazione, che immancabilmente viene ritentata ogni anno, dal mese di ottobre in poi. Non posso non trattenere il riso quando leggo di “legittimo dissenso” che sarebbe riconosciuto a Giorgio Gomel all’interno della stessa “comunità ebraica” in merito a fatti su cui non voglio entrare, mentre ogni “legittimo dissenso” è ferocemente negato a mezzo miliardo di cittadini europei, anzi possibilmente a sei miliardi di persone. Dicono, in sostanza, per abbreviare, sia pure in forma grottesca: la “libertà di espressione e di pensiero” è un nostro diritto. Le vostre non sono “opinioni”, non sono “pensiero”, ma solo “crimini” da perseguire con la galera, la gogna, la discriminazione, l’emarginazione, il licenziamento… e quanto più se ne può caricare.

Quando leggo brani come il seguente:
«…Su questo argomento il confronto è aperto e non saranno singoli episodi, per quanto gravi, che potranno impedirne lo svolgimento nella maniera più aperta e democratica. Sarebbe inaccettabile se non si potesse discutere in piena libertà di uno dei problemi più importanti per la sicurezza di Israele…»
o quest’altro:
«Sul rispetto delle regole democratiche e sulla difesa del diritto di tutti a esprimere civilmente le proprie idee l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si è sempre impegnata a fondo e continuerà a farlo non in maniera teorica o astratta, ma con interventi forti e puntuali nella millenaria tradizione di libertà d’opinione [???!!! E Spinoza? e David Irving? e tanti altro che languono in carcere?] che ci è stata tramandata come valore irrinunciabile».
O altre perle, come queste, di cui non diamo né il nome dell’autore né la fonte, per evitare inevitabili polemiche:
«…Ma ognuno, in un paese libero, è libero di solidarizzare con chi solidarizza con questi e con quelli…

…E il presidente dell’Ucei Gattegna ha ritenuto bene fare un comunicato per dire che ci vuole la libertà di parola…»
mi chiedo per un verso per quale deformazione mentale la “piena libertà” debba essere negata e tolta ai goym, e per l’altro chi sono mai costoro che, stando in Italia, sembrano preoccuparsi molto più di uno stato estero, dalla nascita e dalla politica quanto mai discutibile, che non di quella Italia di cui pure sono cittadini, godendone più di altri tutti i vantaggi, e che in questo momento è travagliata da gravissimi problemi.

I conti non ci tornano. Ma il discorso deve essere qui chiuso, dove è iniziato, dicendo a Giorgio Gomel – se mai leggesse queste righe – che lui per me in quanto cittadino italiano gode tranquillamente di tutti gli stessi identici diritti di cui godo io in quanto italiano. E stigmatizzo chiunque (ebreo, non ebreo, musulmano, esquimese…) volesse attentare a questi diritti ed alla dignità che deve essere riconosciuta ad ogni cittadino, qualunque sia il suo pensiero, quali che siano le sue opinioni, giuste o sbagliate. Se come “ebreo” sarà (idealmente) scacciato dalla sua comunità può essere certo di poter vivere, restando “ebreo” o qualunque religione voglia abbracciare, nell’Italia in cui mi riconosco e che sembra essere diversamente percepita dal signor Qualcuno. Se resta “ebreo”, cioè “circonciso”, vorrei che nutrisse verso i “non ebrei” un eguale rispetto e riconoscesse ad essi il pieno diritto di dissentire pienamente con lui sui temi più disparati, compresi quelli della “ebraicità”, del “sionismo”, della fondazione e del senso di uno Stato di Israele, che si qualifica come “ebreo e democratico”, poco curandosi di ciò che ne pensano gli altri. Naturalmente, lo stessa comprensione e solidarietà che esprimo per Giorgio Gomel vale anche per Moni Ovadia. Solo che non ho mai conosciuto o visto Moni Ovadia e so appena chi sia. E se per avventura non avessi conosciuto, cioè visto e sentito in occasione di un convegno, lo stesso Giorgio Gomel, questo mio intervento non vi sarebbe stato.

6 commenti:

Karla Orlowsky ha detto...

ciao Professore. Sono andata a fare un giro su Romaebraica e vedi un po' il Pacifici che scrive?
"A questo punto rivolgo a voi tutti una domanda: perché un arabo può vivere con pieni diritti a Yafo, a Haifa, a Yerushalaim, Nazareth, ecc,ecc e un israeliano non può vivere in Palestina? Le risposte ce le daremo serenamente in un convegno al quale sarà invitato Gomel, e dove Gattegna, l’ambasciatore d’Israele e un abitante di Itamar hanno dato loro disponibilità a confrontarsi. L’appuntamento è a giugno nel cortile delle Scuole ebraiche"
Sarebbe interessante se a questo convegno si potesse andare anche noi Goym e portare qualche documento, per esempio queste, gravissime, di marzo:
http://www.bocchescucite.org/?p=6574
O queste altre, meno gravi, ma recenti:
http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o27487:e1

Questa strage di Itamar poi...non ho capito perchè il neonato di tre mesi morto ad Itamar debba avere MOLTA piu' considerazione (almeno a leggere le parole di pacifici o di nirenstein) di uno qualsiasi dei 700 minori morti nel gennaio 2009 per piombo fuso. Questo, premesso che il rispetto verso i morti sia un concetto democratico.

Ciao
B

Antonio Caracciolo ha detto...

Tipico strabismo. È facile rispondere che un "arabo", cioè un "palestinese" (termine “rimosso" su cui esiste una letteratura) non ha in Israele eguaglianza di diritti: esistono addirittura le strade separate e proibite ai palestinesi. Ma la risposta più generale, senza perdersi in singoli momenti, in singoli fotogrammi (= 23 al secondo in una pellicola cinematografica), la si coglie nel quadro di una storia che inizia dal 1882, quando le prime tribù di Biluim si insediano in Palestina con nella zucca un’ideologia (il sionismo) che contiene in nuce pulizia etnica e genocidio. Il disegno si potenzia con la prima guerra mondiale (Balfour) e la seconda (Nakba) ed è in attesa della terza (Grande Israele), per ridurre tutto il Medio Oriente nella condizione di soggezione e addomesticamento al quale è stata messa l’Europa... Ma la soluzione a problemi annosi, senza rivangare il passato, è semplice. La si trova ad esempio nel libro di Gada Karmi, dove si parla di Stato Unico di Palestina, dove tutti (ebrei, islamici, cristiani, atei..) hanno eguali diritti senza distinzione di sorta. Lo vogliono i Signori del Ghetto? No! Non possono rinunciare alla loro “essenza ebraica”... È razzismo? Giudichi lei.

Ma l’afferrmazione del signor Qualcuno è priva di senso e non si presta ad un commento razionale. Vorrei vederlo adesso chiedere se Gomel può continuare a lavorare alla Banca d’Italia, allo stesso modo in cui per me chiedeva se posso continuare ad insegnare “nella più grande università d’Europa”...

Antonio Caracciolo ha detto...

"un israeliano non può vivere in Palestina"
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E che vuol dire?
Provo a decifrare.
Già una volta lo stesso Personaggio, un grande Signor Qualcuno, ebbe così a spiegare il problema degli insediamenti illegali nei “territori OCCUPATI”:
- la famiglia cresce ed ha bisogno di stanze in più! Tutto qui il problema: “perché un israeliano non può vivere in Palestina”, scacciandovi i legittimi abitanti autoctoni?

Si noti l’uso del termine “Palestina”, che già in bocca al signor Qualcuno è una novità rivoluzionaria. Per costoro il termine “Palestina” è in genere vietato. Si deve dire “Israele”. Forse per “Palestina” si intende ancora la Cisgiordania, o i territori “OCCUPATI”, che diventeranno “Israele”, appena formalmente “annessi”...

Non bisogna mai perdere di vista l’uso ed il senso dei termini.

Antonio Caracciolo ha detto...

Itamar...

Non sto seguendo il “caso” su cui ferve il dibattito “interno” a Lor signori. Fermo restando, che respingo l’omicidio anche del mio peggior nemico, trovo davvero una grande sproporzione tra le innumerevoli stragi e omicidi per le quali non esiste un “Memoriale”, ma che risalgono agli Eletti Signori, e fra questi “omicidi mirati" anche quello di Vittorio Arrigoni (la favola salamita non mi interessa, non la bevo) e pochi singoli casi che riguardano i “loro”... A proposito dei quali, nel fatto di specie, la polemica infuria se li si dovesse chiamare “coloni” (come pare abbia fatto Gomel) o in altro modo: che siano morti, per quale ragione, chi li abbia uccisi, il perché di tutta la storia... è un dettaglio trascurabile di nessuna importanza. Tipico strabismo che interessa più la psico-patologia che non l’oculistica.

Antonio Caracciolo ha detto...

Per comodità copio e incollo il documento citato da “Palazzo Grazioli”:
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Roma, 28 marzo 2011, Nena News

– Pubblichiamo il comunicato diffuso da Gush Shalom, una storica organizzazione pacifista israeliana, riguardo le leggi approvate nei giorni scorsi dalla Knesset (Parlamento) che colpiscono duramente la minoranza palestinese (arabo-israeliana).La tirannica maggioranza della destra nella Knesset ha lavorato duro fino a notte fonda per macchiare le nostre leggi di vile razzismo.Questo e’ un giorno (il 23 marzo, ndr) di infamia nella storia della nostra legislatura, un passo in avanti nel processo di rendere il nostro paese oscuro e razzista. Proprio oggi i nostri tribunali hanno rivelato la forza della democrazia e mostrato come nemmeno un ex presidente della repubblica sia al di sopra della legge, condannando Moshe Katzav a sette anni di carcere per violenza carnale. Tuttavia nello stesso giorno la Knesset ha promulgato leggi che violano i principi basilari della uguaglianza e della democrazia su cui lo Stato di Israele dovrebbe fondarsi.La Admissions Committees Law (Legge sui Comitati di Ammissione) mira a creare “comunita’ esclusivamente ebraiche” da cui gli arabi dovrebbero essere esclusi con la scusa che “non sono in grado di inserirsi nel tessuto sociale della comunita’”. Andrebbe ricordato che queste non sono soltanto semplici “comunita’”, bensi’ entita’ giuridiche a cui vengono affidate terre statali. La nuova legge quindi fornisce una ratifica legale alla esclusione degli arabi da terre che dovrebbero essere di proprieta’ comune dell’intera popolazione. Cinquant’anni dopo che Martin Luther King ha messo fine alla segregazione razziale in America, questa legge conduce Israele nella direzione opposta, in diretta continuazione della legge razzista sulla Lealta’ allo Stato Ebraico (“Loyalty Laws’) del ministro Lieberman.Riguardo alla Legge sulla Nakba (che taglia i fondi statali alle organizzazioni che rifiutano il carattere ebraico dello Stato di Israele), il suo unico scopo e’ di limitare la liberta’ di espressione. Simile alla legge (ancora in discussione) che vorrebbe criminalizzare i movimenti di boicottaggio di istituzioni israeliane, in pratica mira a ridurre al silenzio l’opposizione al regime di destra attraverso penalizzazioni economiche. Questa legge non impedisce ai cittadini arabi di Israele di ricordarsi che la creazione dello Stato di Israele ha provocato una grave ingiustizia al loro popolo. Ne’ impedira’ ai cittadini ebrei critici del loro governo di esplorare e mettere in luce gli angoli oscuri del passato del loro Paese. Avra’ invece l’effetto di rendere l’espressione di una opinione critica un’offesa punibile con una pesante multa pecuniaria, oltre a pregiudicare ulteriormente la posizione di Israele nell’arena internazionale.http://zope.gush-shalom.org/home/en/channels/press_releases/1301121533/ 23-3-2011

Antonio Caracciolo ha detto...

Sempre nel rispetti di TUTTI i morti, credo che a Itamar si possa ben opporre questa intervista di Silvia Cattori a Oberlin:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8354&mode=&order=0&thold=0,

da cui estraggo alcuni brani:

• "Cronache di Gaza 2001-2011" è uno di quei libri scioccanti che non lasciano indifferenti. In un susseguirsi di capitoli molto brevi, l'autore, il chirurgo francese Christophe Oberlin, rivela a poco a poco, con un linguaggio semplice e sobrio, la commovente umanità di un popolo e il coraggio con cui affronta l'assedio imposto dall'occupazione coloniale di Israele con la vile complicità della comunità internazionale e dei nostri principali mezzi d’informazione. Nessuna retorica, ma un ripetersi di fatti e di esperienze a contatto con le persone oggetto di violenza per rivelarci la loro terribile realtà quotidiana.

• Christophe Oberlin: Ciò che è cambiato è che oggi faccio una correlazione tra quello che vedo qui a Gaza e quello che ci dicono i nostri media e i nostri politici. Il loro modo con cui presentano i fatti corrisponde raramente a quello che vedo io. Tutto ciò mi ha irritato e poi ho disdetto l’abbonamento a certi giornali. Ho smesso di leggere e di ascoltare le informazioni alla radio e alla televisione. Preferisco l'informazione di qualità attraverso altre fonti.

• È molto chiaro, è per questo che da anni reagisco, scrivo piccole testimonianze e accetto di tenere delle conferenze. Per decenni sono andato in altri paesi a lavorare senza mai sentire il bisogno di esprimermi. Ma quando si scopre che gli eventi vissuti vengono totalmente distorti, allora mi arrabbio. Dopo l'aggressione israeliana del 2008-2009 sono stato invitato in una trasmissione televisiva di France 24 per parlare della mia esperienza a Gaza. La trasmissione era intitolata: “Ci sono stati crimini di guerra a Gaza?” La domanda era del tutto fuori luogo e portava a domandarsi se i morti e i feriti erano combattenti oppure no. Essendo sul posto ho potuto vedere che c’erano esclusivamente civili e intere famiglie. Questa è disinformazione che ci porta inevitabilmente a prendere la parola per dire quello che realmente è accaduto. È chiaro che per i mezzi di comunicazione la censura è la regola, un’autocensura e non sono interessati a quello che dicono o scrivono i testimoni.

• In realtà si dovrebbe sapere che i pochi giornalisti occidentali che si recano a Gaza hanno necessariamente l'accredito delle autorità israeliane. Per me il criterio per l'accreditamento [2] è chiaro: i giornalisti accreditati sono quelli che assicurano agli israeliani di denigrare tutto ciò che fa Hamas. Detto questo, ho avuto l’occasione di osservarli di nuovo. Non ho mai visto a tutt'oggi un giornalista, autorizzato a entrare a Gaza attraverso il valico di Erez, scrivere un articolo descrivendo con oggettività quello che è stato realizzato sotto l'amministrazione di Hamas.

– Nota 2: La tessera di stampa israeliana, che facilita gli spostamenti con i giornalisti in Cisgiordania, è rilasciata da un servizio stampa che si trova a Gerusalemme Ovest. Questo servizio dipende dalla propaganda militare, dai servizi segreti della difesa militare e dai servizi segreti israeliani. L'autorizzazione che permette di entrare a Gaza è rilasciata col contagocce. Nel giugno 2006, durante l'offensiva militare che ha provocato cento morti e centinaia di feriti nel nord di Gaza, gli ufficiali del servizio stampa ci hanno negato il permesso d’ingresso a Gaza , quando invece li abbiamo visti il giorno stesso rilasciarlo ai giornalisti addetti ai media la cui parzialità a favore di Israele era garantita.