mercoledì 3 marzo 2010

Le università europee contro Israele. Cronaca e analisi di una settimana di lotte riuscite e tentate: la sesta «Israeli Apartheid Week».

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Premessa. – Credo che sia inevitabile trovare differenze e sfumature di posizioni in un fenomeno complesso che si lega alla moderna guerra dei Cento Anni, il cui inizio supera gli anni di ogni attuale uomo vivente sulla terra, se prendiamo come inizio del processo l’anno 1882. Un’uomo che fosse nato in quell’anno avrebbe oggi 128 anni, ma ponendo che possa ricordare consapevolmente qualcosa almeno a partire dai 10 anni di età, dovrebbe perciò avere 138 anni ed avere avuto nella sua vita un interesse costante per l’insediamento coloniale sionista che inizia appunto nel 1882. Rabkin ci dice che in quell’anno gli ebrei residenti in Palestina notarono subito la “novità” dei nuovi venuti, il loro diverso approccio al giudaismo, anzi la loro sostanziale estraneità alla religione dei padri. Quando i Neturei Karta dicono che il sionismo è la negazione e l’opposto del giudaismo non è un modo di dire, non è una posizione polemica, ma è una profonda consapevolezza dottrinale e teologico-politica che non al momento non riuscimo ad approfondire oltre una certa soglia. Pertanto che nell’opposizione al sionismo via sia una vasta gamma di contrapposizioni non è cosa che debba sorprendere. Se mai si tratta di riuscire a distinguere in un groviglio di ambiguità spesso pericolose. Per quanto riguarda il problema delle università e del boicotaggio accademico io preferisco cominciare con un’immagine che si trova nel libro di Ilan Pappe, La pulizia etnica della Palestina, dove egli ci fa sapere che l’università di Tel Aviv, non importa se e quanto prestigiosa, sorge di fatto su un villaggio palestinese raso al suolo e cancellato dalla carta geografica. Addirittura, l’unico edificio di pregio sopravvissuto è diventato la sala dei professori, ma senza che una targa indichi l’origine storica del manufatto ed il nome dei suoi antichi proprietari. Le università non sono istituzioni separate dalla storia e dalle vicende politiche del paese in cui si trovano. Non vivono in un limbo al di fuori della storia e del tempo. Possono essere e spesso lo sono luoghi della guerra, dove anzi la guerra assume i suoi aspetti scientifici e più devastanti: bomba atomica, guerra chimica e batteriologica, intelligence, etc. Potremmo perfino dire che senza le università le guerre moderne non avrebbero assunto la potenza distruttiva su scala globale che oggi esse anno. Quindi, l’idea di un boicottaggio accademico delle università isrealiane non mi sembra affatta insensata da parte di chi vuole contrastare la cento e più anni di consapevole politica razzista e genocidaria da parte del colonialismo sionista. Cercheremo però nei paragrafi che seguono di distinguere le differenti posizioni nell’ambito della sesta «Israeli Aparteid Week», cui è data la partecipazione di tre università italiane, e se possibile cercheremo di fare la storia delle precedenti cinque edizioni, di cui nulla personalmente in questo momento sappiamo. La televisione e la grande stampa non ci hanno mai informato ed anzi cercano di fare in modo che nulla sappiamo.

Vers. 1.8/17.3.10
Sommario: Premessa. – 1. Non tutti son d‘accordo. – 2. Sommario: 1. Il modello anglosassone e i suoi epigoni italiani. – 3. Le amenità di Teodori. – 4. Non uno schiaffo, ma un insulto all’intelligenza. – 5. Sharansky? Io quello l’ho visto una volta. – 6. Yakov Rabkin nella bocca di Giorgio Israel. – 7. Su Danilo Zolo. – 8. Eurolaurea.com” e “Notizie su Israele” ma farina tratta da “il Foglio”. – 9. Brusadelli che riflette su “Fare Futuro”. - 10. La Lobby che non esiste. – 11. Senti chi parla. – 12. Chi puzza di marcio e fete? – 13. Sconcezze logico-semiologiche. – 14. Risposta su Gaza a Giorgio Israel. – 15. Supplemento di risposta a Giorgio Israel. – 16. Sul concetto di apartheid. – 17. Le regole del gioco del cosiddetto Popolo delle Libertà. –

1. Non tutti son d’accordo. – L’articolo di Carioti sembrerebbe un tentativo di gettare zizzania nel fronte di guerra, giacché di questo si tratta: di una guerra “ideologica” non meno virulenta della guerra con il fosforo bianco. La qui la risposta è semplice: chi non vuole, non è obbligato a schierarsi. Purtroppo se sono tre le universit che vengono date come presenti all’appello, è da dire che sono ben poche su una cinquantina in Italia. Meglio poco che niente. Possiamo sperare che alla prossima edizione ve ne sarà qualcuna in più. Se la guerra è durata già oltre cento anni, possiamo supporre che durerà ancora oltre le nostre esistenze. Passeremo il testimone alla generazione che ci succede. Si tratta non solo dei palestinesi che vivono in Gaza e in Cisgiordania o in condizioni di apartheid nell’«unica democrazia del Medioriente», come insulsamente viene presentata Israele dagli Uffici dell’Hasbara e dalle sue Filiali europee nonché dei suoi agenti propagandisti, letteralmente a libro paga ovvero per elezione e libera convenienza. La parte più insidiosa della guerra ideologica in atto è il suo grado di consapevolezza nei partecipanti. È da qui che partono le differenziazioni, ma non sono per nulla statiche. Il problema costituito dal sionismo nel panorama non solo mediorientale, ma soprattutto europeo vede giungere ognuno in tempi diversi. In genere, dopo qualche tempo si acquista una maggiore consapevolezza, una migliore informazione e su una diversa conoscenza maturano diverse posizioni. Non disaccordo, dunque, ma posizioni dinamiche all’interno di uno stesso fronte di opposizione e resistenza. A ben vedere, le posizioni di Zolo, Baracca, Gallo, Forti, Morano non confliggono necessariamente con quanto affrontana la questione in negativo proponendo un aperto boicottaggio accademico, in se non scandaloso, o più scandaloso di altre forme di boicottaggio. È del tutto considivisibile che si promuovano azioni «a favore degli undici atenei palestinesi, che sono in condizioni tragiche, attraverso iniziative di cooperazione didattica e scientifica». Se le università palestinesi sono in queste condizioni, è infatti da chiedersi quanto siano responsabili gli atenei israeliani, dai quali Ilan Pappe si è dovuto allontanare in seguito a minacce ricevute. Come dice un vecchio adagio, si può marciare divisi per colpire uniti. È probabile che Carioti con il suo articolo abbia inteso fare opera di disinformazione e manipolazione.

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2. Il modello anglosassone ed i suoi epigoni italiani. – Contro i docenti e i sindacati inglesi della docenza era stata avviata da parte delle lobbies israliane una lotta legale alla quale vi è stata in Italia un appello di docenti contro i sindacati inglesi in quanto essi discriminerebbero le università israliane. La liste di questi docenti italiani è stata poi ripresa tale e quale, per darne un giudizio negativo. Di quella che era una lista pubblica, redatta da altri, ne è stata fatta una “lista nera” sulla quale si è imbastita la solita campagna al grido del “dagli all’antisemita”. Per dirla con Di Pietro, proprio non ci azzeccava nulla, ma il controllo sionista della stampa italiana, e non solo italiana, è tale che son capaci di farti vedere lucciole per lanterne e per bianco ciò che è nero. È stata una posizione ipocrita quanto mai senza che si sia trovato nessuno capace di contrastarla: è una dimostrazione della debolezza e dell’arretratezza italiana. Sarebbe sufficiente una buona documentazione del coinvolgimento delle università israeliane nella costruzione dell’apartheid e nella politica genocidiaria per far cadere riserve e prevenzioni nella legittimità di un’azione di boicottaggio contro le università israeliane in quanto istituzioni, facendo salve le posizioni dei singoli docenti, che rispondono a titolo individuale di ciò che fanno o non fanno nelle loro condizioni di esistenza e di lavoro. Ognuno p responsabile per se stesso nella sua sfera privata e per la società in cui vive per le posizioni che assume. Si potrebbe obiettare a Giorgio Gallo, se veramente dice e intende le cose che gli si attribuiscono, che le sue “perplessità” possono esserse sciolte dalla considerazione che molti studenti e docenti israeliani si sono già aspressi, partecipando alla guerra nei ranghi dell’esercito, che è pienamente integrato con il mondo della scuola e dell’università. Hanno già assunto le loro posizioni e sarebbe ingenuo e illusorio da parte nostra pensare di potergliele far mutare. Possiamo solo contrastarle, sia pure simbolicamente e certamente in modo non violento, come è il boicottaggio. Non adottiamo certo i metodi del Mossad, che è pure strettamente collegata alle università israeliane.

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3. Le amenità di Teodori. – A riprova della manipolazione mistificatoria dell’articolo di Carioti è l’intervista a Massimo Teodori, che non è certo un partecipante alla sesta “Israeli Apartheid Week”. Tanto valeva andare in Israele e chiedere a qualcuno cosa ne pensa dei boicottaggio. Bisognerebbe che Teodori che è un “accademico” ci spiegasse per lo meno di cosa pintende quando dice “democrazia”: che i ladri di terre, di case, di identità altrui dividono poi in parti uguali? Certo può esistere democrazia fra ladri ed assassini. Anzi forse questa è la più efficace democrazia perché chi sgarra paga amaro. Ma è appunto una democrazia di brigant contro terzi. Per una seria considerazione dei fondamenti di legittimità dell’odierno stato israeliano basta considerare che gli odierni cittadini israeliani, spesso ebrei russi immigrati da pochi mesi, occupano terre, i cui abitanti furono espulsi per il 50 per cento nel 1948. La maggior di quanti oggi vivono in Gaza o nei campi profughi sono i loro discendenti. Quelli che sono stati scacciati reclamano un ben diverso diritto al ritorno di quello “regalato” agli immigrati russi. E qui si parla di “democrazia”. Ma chi crede di poter prendere in giro l’americanista Teodori? I suoi colleghi non sono sprovveduto come egli crede e possono facilmente ridere delle sue sciocchezze, per non esprimersi in modo più pesante, come sarebbe doveroso e conme lui stesso non esita a fare verso altri.

4. Non uno schiaffo, ma un insulto all’intelligenza. – Merita scarsa attenzione e poca analisi l’articolo di tal Paolo Lepri sul “Corriere di Sion”, presso la cui redazione pare lo stesso amabasciatore israeliano passa a dar lezioni di Hasbara, cioè la speciale disciplina – forse prodotta dalla università israeliane – con la quale si promuove l’immagine di Israele all’estero, negli spazi lasciati liberi dal Mossad o da altre istituzioni sioniste. Per quanto riguarda la “libertà di pensiero” – assai a sproposito chiamata in causa dall’articolosta hasbarotico, basta ricordare la legge antirevisionista che nel 1986 fu prima varata in Israele e poi ad incominciare dalla Francia passata in 13 paesi europei, in ultimo in Ungheria. Nella sola Germania, per questa legge di importazione israeliana, ogni anni 15.000 persone vengono incriminate per meri reati di opinioni. Gli abituali delatori dei cittadini europei sono sionisti con il doppio passaporto, israeliano ed europeo. Quindi, è un vero e proprio insulto all’intelligenza di chi ha un’informazione sia pur minima quanto assai a spropositi l’agit-prop del Corriere di Sion oppone al legittimo boicottaggio di quanti questa settimana si oppongono al più bieco e sordido regime della nostra epoca, come nessun altro mai fondato sulla menzogna e sulla nuda e cruda violenza per la quale non sarà mai possibile nessuna sanatoria. Certo, si può ben essere minoritari – ammesso che così sia –, ma verità e giustizia non hanno mai avuto bisogno di venire messe ai voti.

Non credo che Antonino Amato, direttore di “Europa Informazioni”, se l’avrà a male se riporto integralmente una sua distinta ed autonoma riflessione sullo stesso articolista del Corriere della Sera:
M’illumino d’immenso.

Stavo leggendo il “Corriere della Sera”, quando… Quando mi sono imbattuto in un pistolotto di Paolo Lepri:
«Quello che sta accadendo nella “Settimana contro l’apartheid di Isaele” a Roma, Pisa, Bologna, Amsterdam, Toronto, Londra, è però un insulto alla dialettica culturale, uno schiaffo immeritato a quella libertà di pensiero che uomini come Oz, Abraham Yehoshua, David Grossmann hanno sempre difeso con forza e con coerenza. Come hanno nello stesso tempo difeso senza esitazioni la loro patria da tutti quelli che la volevano e la vogliono distruggere».
Cerchiamo di tradurre:
  1. Israele pratica l’apartheid e pare che Lepri non contesti questo “dato di fatto”;
  2. Lepri contesta il fatto che le Università europee indicono una “settimana di boicottaggio contro l’apartheid d’Israele”;
  3. Lepri contesta il boicottaggio in nome di alcuni scrittori israeliani che, “nei loro scritti, hanno sempre difeso con forza e con coerenza la libertà di pensiero”; ma, nei fatti, difendono Israele che opprime ed uccide i Palestinesi;
  4. Lepri vorrebbe che si tenesse conto della “libertà di pensiero” degli intellettuali israeliani, trascurando i “fatti criminali” di Israele.
Mi chiedo e vi chiedo: si può fare un elogio più sperticato dell’impostura e degli impostori? No, non si può. E allora mi taccio. Ammirato.
Antonino Amato
Ho trovato nella mia posta la mailing-list di Antonino Amato e vedo che in forme diverse ed in modo del tutto indipendente ed autonomo, senza reciproca influenza, abbiano pensato la stessa cosa. E dunque si tratta di oggettiva impostura e di insulto alla comune intelligenza.

5. Sharansky? Io quello l’ho visto una volta. – Era esattamente in Roma ad un convegno organizzato da Fiammetta Nirenstein prima che la mettessero in lista, in posizione sicura, per farcela trovare in parlamento. Non so se il convegno fu un “titolo” per la messa in lista, ma si trattava di una preparazione alla guerra contro l’Iran, come da allora e prima tutti i santi e non santi giorni ci si spinge ad accettare mentalmente. Un’operazione più ostentate e sporca non poteva immaginarsi. Sharansky era appunto uno degli ospiti di questo “festino”. La sua fisionomia mi è rimasta impressa. Adesso leggo nella crona di Michele Giorgio che egli in veste di presidente dell’Agenzia ebraica si pronuncia sulla settimana di opposizione all’apartheid. Abbiamo detto che questa è una guerra ideologica e non vi è nulla di strano. Ha naturalmente tacciato di “antisemitismo” quanti fanno «il paragone tra Israele e l’apartheid israeliano». In un certo senso, bisogna dargli ragione: l’apartheid israeliano è peggiore di quello sudafricano. Che non vi sia fondamento lo dice comprensibilmente lui, ma non è la verità, cosa che non le appartiene neppure per sbaglio. Se l’obiettivo dell’Agenzia ebraica «è quello di impedire che i nemici possano allontanare gli ebrei da Israele», bisognerebbe attaccare sui muri delle strade le pagine del libro di Rabkin, dove è spiegato assai bene come secondo l’ortodossia giudaica l’ebraimo è il contrario di Israele e del sionismo. Anzi, mai come oggi, direi, l’ebraismo ha corso pericolo maggiore nella misura in cui si identifica con Israele. La gravità di questa identificazione, che non voglio qui, illustrare è estrema, assoluta. Poco importa che lo stato di Israele sia oggi forte in armi. La partita si gioca, nel lungo periodo, su un altro piano. Un’altra ambiguità ricorrente per definire la cosiddetta “democrazia” israeliana discenda dalla stessa composizione etnica della maggioranza israeliana. Si tratta di una maggioranza, per così dire innaturale, perché ottenuta nel tempo con una contemporanea politica premiale di immigrazione di “ebrei” ed una parallela politica di espulsione, di pulizia etnica e di apartheid. Parlare di “democrazia” in questo contesto, anche da parte di presunti giuristi, è cosa assolutamente priva di senso.

6. Yakov Rabkin nella bocca di Giorgio Israel. – Conoscendo bene il libro di Jakob Rabkin per avrlo letto un paio di volte ed accingendomi alla terza lettura e conoscendo abbastanza bene il modo di pensare di Giorgio Israel mi sembra veramente grottesco all’inverosimile che Yabkin potesse aspettarsi proprio da Giorgio Israel una diffusione delle sue opere in Italia. Non conosco personalmente Rabkin, evidentemente non avendo le possibilità di viaggio di Giorgio Israel, avrebbe potuto ben spiegare io a Rabkin come si fosse rivolto alla persona più sbagliata che potesse incontrare. A Giorgo Israel bisogna riconoscere una grande abilità discorsiva nell’esporre con candore le più abiette posizioni sioniste che si possono concepire. Il suo nome è argomento da non trattare, ripagandoli della loro stessa moneta: “io non parlo con uno che…”. Anche questa mattina mi sono imbattuto in una nuova ricorrenza di questo genere di argomentazione che sembrerebbe un fatto genetico, se non dovessi credere più razionalmente che è una consapevole concertazione, un conventio ad escludendum insito nello stesso sionismo, la forma di maggior successo del razzismo sorto nella seconda meta del XIX secolo. Leggendo Edward Said accanto a Rakkin si vede come la “negazione” del palestinese in quanto tale abbia sempre accompagnato la storia del sionismo. Sarà un risultato apprezzabile se questa settimana di “Israel Apartheid Week” servirà ad allargare di un poco la consapevolezza della natura del sionismo. Per un momento, nella lettura, avevo creduto che Rabkin fosse in Italia: sarei andato fino a Pisa o Bologna per ascoltarlo. Ma Città del Capo mi è un poco fuori di mano e non ho le possibilità di Giorgio Israel. Potremmo dire: destino cinico e baro! Rabkin che incontra proprio Israel e non me che lo avrei volentieri conosciuto, dicendogli quanto mi è piaciuto il suo libro e le innumerevoli citazioni che ne faccio.

7. Su Danilo Zolo. – Sono piuttosto stanco ed è troppo tardi per dirne qualcosa, ma conosco già la sua Lettera aperta da alcuni giorni. Aspetto che mi dia lui il via, fissato per la prossima settimana, per pubblicarne il testo, al quale ho già inviato la mia adesione. Aggiungo soltanto che respingo il modo il cui certa stampa va presentando l’iniziativa di Zolo. A mio avviso, non vi è nessuno contrapposizione con le forme di boicottaggio accademico di Israele: si tratta di due cose diverse. È assolutamente vero che con la distruzione delle istituzioni culturali ed educative palestinesi lo stato di Israele ha perseguito una consapevole, premeditata scientifica politica di etnicidio: hanno loro quella scientificità del genocidio che noi sappiamo attribuiscono ad altri. Se “Piombo Fuso” non ha aperto gli occhi a chi ha un poco di informazione e spirito critico, allora vuol dire che questi è dalla parte del giaguaro.

8. “Eurolaurea.com” e “Notizie su Israele” ma farina tratta da il Foglio. – La notizia di una convenzione fra La Sapienza e l’università di Tel Aviv mi giunge nuova e non gradita. Mi limito a registrarla. Nulla sapevo di “eurolaurea”, una delle tante realtà che vive sulla Sapienza. Chi sia Joseph Klafter (se una persona fisica o il nome stesso della università di Tel Aviv: entrambi!) non ho idea, pur vivendo da sempre alla Sapienza, davvero tanto grande da poter succedere di tutto ed il suo contrario, ma senza che mai una “parte” sia il “tutto”. Dell’università Tel Aviv basta ricordare che sorge su uno dei villaggi palestinesi distrutti durante al pulizia etnica del 1948 e che la sala di rappresentanza dei professori è costituita da uno dei pochi edifici di pregio “sopravvissuti”, cancellandone la memoria storica. Ne parla Ilan Pappe, docente israeliano fautore del boicottaggio di Israele e con minacce costretto ad emigrare. Vi è da augurarsi che quei colleghi della Sapienza che sceglieranno Tel Aviv sappiano almeno questo. È improprio legare il nome di tutta La Sapienza all’iniziativa in questione. Ne rispondono quel gruppo di docenti che l’hanno patrocinata ed i cui nomi cercherò di conoscere, per onorarli degnamente. Non so chi siano. Per quanto possa essermi lecito, mi dissocio sotto il profilo politico e culturale da questa iniziativa della Sapienza. Avevo chiesto dia suo tempo, prima che gli israeliani la bombardassero, di poter stabilire contatti con l’università islamica di Gaza: rinnoverò la richiesta ed avvierò con altri colleghi disponibili analoga procedura seguita da chi ha voluto gemellare Tel Aviv con La Sapienza. Le amenità del “Foglio” servono per la propaganda. Quanto a Biagini è da dire che è il naturale destinatario di iniziative assunte da singoli docenti. Mi auguro che fra Colleghi della Sapienza ci si sappia presto organizzare per iniziative nel senso indicato da Danilo Zolo. Certo, è assai probabile che non avremo gli stessi finanziamenti di cui dispone Israele. Le frasi di Frati, da buon Rettore, sempre sempre di circostanza. Resta solido il significato politico della settimana antisraeliana, accordo o non accordo fra la Sapienza e Tel Aviv. Anzi, se organizzano qualcosa a Roma lor signori di Tel Aviv sarò ben lieto se mi consentiranno di chiedere loro consa intendono esattamente quando dicono che Israele è «l’unica democrazia del Medio oriente». Per fortuna! Insomma, l’accorda siglato potrà essere un punto di contestazione. Quanto ipocrisia!

Per quanto mi riguarda personalmente non accetterò mai nessuna forma di collabirazione e di scambio con università israeliane. La burocrazia ha tutto il diritto di fare il suo corso, ma non può certo disporre della mia persona oltre gli obblichi contrattuali di lavoro. Se poi esiste, una mia sfera autonoma, alla quale ho diritto, saprò bene come impiegarla. La “delegittimazione del diritto all’esietzna d’Israele” è nei fatti: non può nascere nessuna legittimazione dallo spossessamento del popolo autoctono, dalla pulizia etnica, dal genocidio. Chi alla Sapienza ha inteso dare di queste coperture, se ne assume lui le responsabilità. Non altri. La Notizia di “eurolaurea” è farina di altro sacco: il Foglio. Di quel Ferrara cui si devono parole pesanti sulla Sapienza ed in particolare contro un bel gruppo di suoi docenti: adesso da Tel Aviv muoveranno alla “pulizia etnica” della Sapienza, un campo dove hanno una grande maturata e prolungata esperienza, proprio nel Campus di Tel Aviv che sorge sulle ceneri dei villaggi distrutti dei palestinesi, e dunque anche sui loro cimiteri.

9. Brusadelli che riflette su “Fare Futuro”. – Un monitoraggio può seguire due criteri: quello della completezza o quello della rilevanza. Qui seguiamo il primo cercando di dare la più completa rassegna dell’informazione che viene data su un evento qui costituito dalla settimana di boicottaggio universitario. Che vi sia stata visibilità al punto da attirare l’attenzione di soggetti pregiudizialmente ostili può essere un metro con cui misurare la riuscita della manifestazione. La qualità delle argomentazioni può essere tale da far riflettere – come vorrebbe Brusadelli – o invece da far riconfermare con maggior forza le proprie posizioni. Brusadelli e con lui Fini, D’urso e quanti hanno dato vita alla fondazione (un Think Tank!) “Fare Futuro” ci fanno soltanto capire da che parte si sono messi dopo aver abbandonato i “valori nazionali”, con i quali erano venuti al mondo. Non stanno più Lorsignori dalle giustizia, dell’umanità, della libertà. E si sono accodati per un piatto di lenticchie. Non sono degne di confutazione argomentazioni che ripetono le veline della propaganda israeliana, magari del Simon Center Wiesenthal, sotto riportato. A Brusadelli, che parla di libertà di pensiero e simili, basta qui ricordare il ruolo delle legislazioni liberticide importate in Europa proprio da Israele. Quale sia la libertà nelle nostre università credo sia noto alla Fondazione Fare Futuro: non c’è peggior sordo di chi non vul sentire. Eccola dove è finita la destra nazionale! Il potere corrompe ogni cosa e non vi è tempra umana che possa resistere alle sue seduzioni. Non riesco a restare sereno quando leggo espressioni insipide e prive di significato linguistico come “processo di pace”: un’espressione che tutti usano ben sapendo che non significa nulla ovvero significa il contrario della pace, ovvero un lento processo di genocidio, che significa anche la distruzione di tutti gli istituti culturale ed educativi del popolo palestinese. La nostra epoca ha superato di gran lunga i peggiori crimini che vengono attribuiti ad Hitler e di cui non abbiamo difficoltò di accettare la narrazione, proprio per poter replicare: signori, voi fate di peggio. Anche Brusadelli suona la grancassa al gemellaggio Tel Aviv- La Sapienza. Sarà il caso di andare a vedere su 5000 docenti della Sapienza quali sono quegli begli spiriti che hanno avuto questa iniziativa, che potrà venire sfruttata. Non sarà necessario andare a Tel Aviv per protestare, ma basterà farlo contro gli ideatori di un simile accordo vergognoso, e per altro verso vi sarà un ottimo motivo per chiedere l’applicazione della stessa normativa per un gemellaggio con la distrutta e bombardata (dagli israeliani) università islamica di Gaza e altri centri educativi palestinesi. Il Rettore non potrà dire di no agli uni e si agli altri, per la costituzione che non consente. La normativa è identica. Basta chiederne l’applicazione anche per le università palestinesi, che hanno maggior bisogno di assistenza, per reggere ai “democratici” bombardamenti che vengono dalle università israeliane, strettamente imparentate con l’esercito ed il famigerato Mossad, che da sempre ha i suoi tentacoli sulle nostre istituzioni.

10. La Lobby che non esiste. – Ho letto da qualche parte che sono ben 51 le Associazioni che solo negli USA esercitano pressioni, anche pesanti, di ogni genere nell’attaccare quanti sono lievamente critici verso Israele e nel fare invece opera di promozione degli interessei israeliani. Una ramificazione capillare che fa invidia a ben altre associazioni che in genere non godono di buona stampa. Nei limiti del possibile “Civium Libertas” conduce ormai da anni un monitoraggio di questa Lobby che non esiste, nel senso che si viene tacciati di “antisemitismo” – accusa strumentale con valenza penale – appena se ne individua l’esistenza e la funzione. Solo a titolo di esempio si riporta questo brano, relativo proprio alla settimana di protesta contro Israele.

Israeli Apartheid Week 2010
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Right now, Israeli Apartheid Week (IAW) is taking place in more than a dozen cities and on many college campuses. In past years, IAW has been marked by extreme anti-Israel rhetoric, including accusations of Israeli racism and apartheid, and calls for boycott and divestment campaigns against Israel. We anticipate similar efforts to delegitimize Israel at this year’s events.

Your college student may encounter demonstrations or hear extreme anti-Israel protests in conjunction with IAW. To help students, parents and grandparents respond to these demonstrations in strategic yet powerful ways, ADL experts have developed and distributed resources on dealing with anti-Israel rallies on campuses.

We are closely monitoring the events and ADL Regional Office staff are available if your student needs help creating a response or is not receiving appropriate support from college administration officials.

Find your ADL regional office.

ADVICE TO STUDENTS

  • While anti-Israel protests are protected by free speech rights, protestors can’t obstruct access to school buildings or physically intimidate or threaten students. When protests violate these standards, students should ask administrators to act.
  • Students should be vigilant in responding to anti-Israel articles, op-eds and letters-to-the-editor in campus papers. ADL Regional Offices can help create an appropriate response.
  • If anti-Semitic materials appear on campus, students should publicly condemn the materials and ask the administration to combat the atmosphere of hate on campus.
  • Students should use social networking tools like YouTube, Facebook, Twitter and campus blogs to post positive messages about Israel.

Visit our site to download "Fighting Back," a comprehensive handbook for strategically responding to demonstrations on campuses. You will also find a range of resources on how people can support Israel.

IAW is scheduled to continue until March 14 and ADL will closely monitor events. You can stay up to date on IAW activity by visiting our Web site.

ADL regional staff are also here to help students respond to anti-Israel rallies on campuses. This is an example of the expertise and "on-the-ground" work of the Anti-Defamation League.

At ADL, we monitor, we advocate and we work to protect the Jewish people, but we cannot do so without your help.

Please consider donating to the Anti-Defamation League to help us always be ready to respond.


In fondo, gli articoli di stampa che precedono sono un’applicazione di direttive che partono da questo genere di associazionismo. Non bisogna prendersela, o dare loro eccessiva importanza o rilievo. È sufficiente sapere le cose ed andare avanti per la proprio strada.

11. Senti chi parla. – Fiamma Nirenstein per nostra disgrazia e per malcostume politico siede non nel parlamento israeliano, alla Knesset, ma nel parlamento italiano, che lei ha scambiato per una sottocommissione della Knesset. Non ricordo che si sia mai occupata di un problema “italiano”. Chi usa espressioni come “malafede” o “repugnante” deve aspettarsi, ha già messo nel conto di essere ripagata con la stessa moneta. Ma non è uno sport che ci conviene, non prendendo gli stessi soldi che prende madonna Fiammetta, soldi ahimé prelevati dalle nostre tasche, per renderci sempre più e sempre meno liberi. Se ci tratteniamo dall’uso di immagini e metafore che ci vengono spontanee e cerchiamo qualche argomentazione oggettiva, come al solito in costei non ne troviamo traccia. Se il paragone con l’apartheid del Sud Africa può essere improprio, nel senso che non si tratta di due fenomeni storici esattamente uguali, si deve dire che in Israele le cose stanno assai peggio che nel Sud Africa. La delegitttimazione e la criminalizzazione di Israele è nei fatti: gli uni che vengono dal mare e cacciano chi in quella terra ci stava a pieno titolo e diritto. Se madonna Fiammetta con le sue bugie, pensa di voler ingannare se stessa, faccia pure. Ma non ha altro pubblico se non se stessa ed i suoi accoliti. In pratica, quegli stessi che sono responsabili dei crimini qui accennati. Quanto gli ebrei israeliani amini i palestinesi è cosa che ognuno sa. L’immensa anfgheria di proibire per legge ai palestinesi la memoria della Nakba supera quanto i nazisti potessero anche lontamente immaginare supera ogni racconto che di quella barbarie ci è stato fatto finora. Che vuol dire “multietnico”? Che ci sono anche “ebrei” che vengono dall’Africa nera? E gli omicidi mirati? E le strade separate per ebrei e palestinesi? Ed i check-points? Ed il Muro? Ed un’infinità di altre cose che sappiamo esistono? Ma costei chi crede di prendere per i fondelli? Una simile buguarda Fini e Cicchitto l’hanno voluta in parlamento. Cascano le braccia! Non è possibbile fare un’analisi logica di tanta illogica ed immorale inconsistenza. Et de hoc satis.

12. Chi puzza di marcio e fete? – Basta leggere senza bisogno di confutare chi si dimostra per ciò che appare. Un solo dato ci bastà qui per considerazioni a prescindere, Il 20 per cento dell’attuale popolazione, rimasta ancora palestinese o araba nell’attuale stato “ebraico” dell’apartheid. Non mi si venga a dire che “ebraico” è il corrispettivo di “islamico” che compare in indicazioni ufficiali come “Repubblica islamica...”. Qui si tratta di una religione di stato allo stesso modo in cui fino a pochi anni addietro e forse fino ad oggi si può dire che l’Italia è uno stato “cattolico”, anzi le sede “sopravvissuta” del cattolicesimo, se ancora esiste un cattoicesimo. Stato “ebraico” significa stato “etnocratico” che nega l’esistenza dell’elemento indigeno ed autoctono. Paradossalmente a Peppina si può ritorcere contro proprio quel 20 per cento. A distanza di poche generazioni quel 20 per cento è ciò che rimane se non del 100 per cento di popolazione autoctona, certamente era il 90 e tot per cento. Durante la sola Nakba del 1948 la popolazione palestinese fu ridotta in un colpo solo del 50 per cento. Come a dire che in Italia circa 25 milioni di italiani vengano fatti sloggiare dalle loro case e dai loro paesi in un colpo solo: è ciò successe nel 1948 in un evento la Nakba, la cui commemorazione è oggi impedita per legge ai superstiti 20 per cento, che devono esser lieti, ridere e cantare per essere stati cacciati, come popolo ed etnia nel 1948. Ma è poi risaputo che il restante 20 per cento vive in regime continuo di ricatto. Il “collaborazionismo” è il prezzo da pagare per ogni cosa si chieda: un ricovero in ospedale, una patente, una concessione amministrativa qualsiasi. Peppina ripete la solita solfa del nazismo, che neppure lei ha visto con i suoi occhi, non avendone l’età. Per noi oggi il nazismo è una “narrazione”, una brutta narrazione. Ma ciò che noi possiamo oggi sapere e vedere, come prodotto degli eredi delle “vittime”, è di gran lunga più orribile delle peggiori narrazioni che del nazismo vogliono farci. Neppure il nazismo aveva preteso che le loro vittime sorridessero e venissero multate se nel giorno della Indipendenza/Nakba osano avere il volto triste. Dovevamo arrivare all’anno 2010 per sentire tanta disumana barbarie e ferocia. Non è però più possibile che una simile inciviltà e disumanità possa avere la nostra copertura morale e la nostra complicità intellettuale. Peppina racconti a se stessa riflessa nello specchio le sue menzogne: le appartengono!

13. Sconcezze logico-semiologiche. – Io non so bene cosa sia la semiologia, ma Ugo Volli risulta nell’elenco dei dipendenti del ministero della pubblica istruzione per l’insegnamento della Semiologia, come io vi risulto per la filosofia del diritto. Non mi risulta neppure che la ministra Gelmini abbia chiesto conto al Rettore di Torino di ciò che Volli va facendo fuori dell’università, da cui è pagato. A me lo ha chiesto. A lui no. Ma lasciamo perdere e cerchiamo di esaminare ciò che scrive Volli in denigrazione della settimana che si è appena conclusa, non è la prima volta. Qui il filosofo del diritto interroga il semiologo per misurare la sua scienza. Vado contestando come filosofo del diritto un insanabile deficit di legittimità per quello che riguarda la fondazione dello stato di Israele. Che in Palestina il sionismo si sia imposto con la forza delle armi, con un sapiente e scientifico gioco diplomatico che risale a ben prima che Hitler nascesse, che sulla base del mero diritto positivo Israele stia dove stia e vi starà fintantoché il potente alleato americano e la minaccia atomica che Israele possiede per diritto olocaustico, di questo non discuto. Nel diritto internazionale vige il principio di effettività: ciò che è, esiste. Quindi Israele sta lì e non è certo in potere di chi organizza settimane di protesta poterlo sloggiare. Volli il semiologo se la può ridere e sbeffeggiare, finché vuole. Non sarà lui a farci perdere il sonno ed il lume della ragione. Appunto! La ragione che si interroroga sui fondamenti di legittimità di un’occupazione coloniale che mai, a mio avviso, ha offeso il comune senso morale, ma dove ne “comune” non è incluso il semiologo Volli, che appartiene evidentemente ad una diversa umanità, beninteso superiore, non inferiore. Siamo noi poveri goym che non ci arriviamo a certe finezze cabalistiche e talmudiche. Veramente, quelli che qualcosa se ne intendono di giudaismo, dicono che neppure un Volli ha niente a che fare con il giudaismo. Con il sionismo certamente si, ma con il giudaismo in senso proprio sembrerebbe di no, a sentire un Rabkin e con lui tutta la dottrina citata nel suo denso libro, fatto di fonti lette e meditate, non di chiacchiere semiologiche.

Già, la Bibbia. Non può essere un titolo di legittimazione per la pulizia etnica, a meno che non si interpreti lo stesso testo come un’opera di incitamento all’omicidio e al genocidio. Un sionista può rivendicare il possesso della Palestina, basandosi sulla Bibbia, allo stesso modo in cui io dichiarandomi etrusco, mi metta a rivendicare tutta quella parte dell’Italia centrale che fu sede della civilizzazione etrusca. Visto che il semiologo Volli cita il “grande giurista”, pare teorica della tortura, Alain Dershowitz, sarebbe il caso che si facesse dare una lezione sui tempi della prescrizione estintiva di ogni diritto. Si tratta in genere di pochi decenni, non certo di due o tremila anni, su un territorio dove l’antico stato di Israele esercitò una sua propria sovranità per un tempo limitatissimo, essendo stato quel territorio sempre sotto la dominazione di altri. In ultimo i Romani che le diedero il nome attuale di Palestina, che per noi resta valido. I Romani che hanno creato il diritto e che ai giudei dell’epoca avevano concesso non pochi privilegi, ma evidentemente non bastava loro e probabilmente volevano essere loro a dominare i Romani de iure e de facto.

Il ricorso all’antichità non può costituire nessun titolo di legittimazione all’occupazione coloniale, ad un progressivo spossessamento di un popolo, quello palestinese, ed all’intromissione nei loro territori. Il semiologo, che a questo punto abbandoniamo al suo brodo primordiale, non può fondare nessun titolo di legittimazione per il genocidio, la pulizia etnica, il possesso di quell’atomica che si nega ad un Iran che non la possiede, per l’apartheid, che esiste ed è assai più grave di quello sudafricano. È puerile il ricorrente argomento che invita a rivolgere lo sguardo ad altre situazioni non idialliache nel mondo. Noi volgiamo il nostro sguardo in Palestina, giudicando che ciò che succede qui offende in misura maggiore il nostro senso etico.

14. Risposta su Gaza a Giorgio Israel. – Riesce difficile non essere polemici con Giorgio Israel. ma ci si deve sforzare di conservare la calma di fronte ad una facile indignazione di fronte a tesi enunciate con grande sfacciataggine ovvero con assoluta chiusura etica. Forse è la sua natura. È fatto così. Ma questo non significa che noi dobbiamo essere come lui o condividerne l’ideologia sionista. Non apprezzo la linea politica dell”«Occidentale» di Loquenzi, che pure si colloca nella mia stessa area elettorale. Pur deciso a non leggerlo, per lo meno sistematicamente, non mi riesco sempre di evitarne le provocazioni, che qualche volta come in questo caso raccolgo. Ho così mandato il seguente commento al testo di Giorgio Israele, che attacca la sesta IAK, a cui ho dedicato questa rassegna stampa:
Il primo insediamento sionista in Palestina è del 1882. Come scrive Jakob Rabkin, gli ebrei autoctoni, poche migliaia, già allora non videro di buon occhio l’arrivo dei sionisti. Vi è stata da oltre un secolo a questa parte una crescente immigrazione clandestina di ebrei sionisti e una politica di espropriazione e aggressione verso i palestinesi autoctoni. Nel 1948 vi fu la pulizia etnica, descritta da Pappe, con distruzione e cancellazione dalla carta geografica di metà dei villaggi palestinesi: altro che Ahmadinejad! Furono cacciati dalle loro case 750.000 palestinesi, pari al 50 per cento della popolazione. Quelli che rimasero sono i “sopravvissuti” ad una “pulizia etnica” che è oggi equiparata dall’ONU al genocidio. Vivono in regime costante di angherie, costretti allo spionaggio, sotto ricatto. Le strade separate, i check points, il Muro, le discriminazioni sono note a chiunque sappia e voglia documentarsi. In ultimo, una legge pare impedisca ai palestinesi perfino il ricordo della Nabka: diritto alla Memoria per gli ebrei e imposizione dell’Oblìo per i palestinesi. Non possono apparire tristi nel giorno della loro umiliazione nazionale. È vero: è improprio parlare di apartheid sudafricano. Si tratta di qualcosa di molto peggio: un genocidio scientificamente programmato. E. Said ben descrive come l’attitudine del sionista verso il palestinese è di semplice ed assoluta “negazione”: il “processo di pace” è stato sempre una ipocrisia, un eufemismo, una presa per i fondelli. Non è Giorgio Israel un sostenitore del diritto al ritorno di ebrei che mai hanno messo piede in Palestina ed al tempo stesso un fervido negatore del diritto al ritorno dei palestinesi che ne sono stati espulsi? L’«eccelso sionista» chi crede di poter ingannare? E perché Gaza non dovrebbe essere peggio di Auschwitz?
Non so se il mio commento sarà pubblicato da Loquenzi, ma poco mi importa. Mi premeva di più scriverlo per questo mio blog e per i miei lettori. Il testo di G. Israel è stato ripreso anche da una testata cristiano-sionista da me monitorata. Israel crede di aver dimostrato qualcosa per il fatto che esistono alla Knesset deputati palestinesi, o che questi possono recarsi in giro da qualche parte. Si possono concedere parvenze di diritti per meglio negarne la sostanza: l’ora d’aria nel carcere. Sarebbe facile mandare a Giorgio Israel, se già, in Italia, io e lui, non vivessimo in regime di aparthedi culturale, di non-comunicazione, un lungo elenco di ebrei israeliani che possono ben confutarlo, da Avraham Burg a Shulamit Aloni, ma evidentemente Giorgino si rivolge ad un pubblico di non informati o ai suoi stessi sodali che hanno bisogno di rinserrare le fila. È monotona la solfa della “sicurezza”. Proprio qui si può restiture l’accusa di razzismo a chi quando parla di “sicurezza” intende sicurezza per i sionisti stessi, non certo per i palestinesi che non ne hanno mai avuta e sono fatti oggetto di esercitazione per il tiro a segno, senza parlare dell’uso di organi. Di onesta è meglio che l‘autore di un testo così “indecente” non parli affatto, lui che nega il diritto al ritorno a chi ancora conserva le chiavi della casa da dove fu scacciato. Ha memoria corta, distorta e diversiva questo signore: vuole che guardiamo la pagliuzza altrui per non indicargli la trave che ha nel suo occhio. Ne aveva già parlato 2000 anni fa un certo Gesù Cristo che di ebrei o meglio di farisei se ne intendeva.

15. Supplemento di risposta a Giorgio Israel. – Avevo appena spento questo computer, terminando la giornata. Riprendendo una vecchia lettura, manco a farlo apposta, capito in alcune righe di Edward W. Said, Le questione palestinese, che ha per sottotitolo: La tragedia di essere vittima delle vittime, dove vi si trova un commento decisamente pertinente. A pag. 248-249 leggo:
«…Inoltre poche settimane fa il ministro della Difesa israeliano ha rinnovato per altri tre mesi la chiusura dell’Università di Bir Zeit, una delle più importante istituzioni di istruzione superiore della West Bank, il cui funzionamento è bloccato dalle autorità israeliane dal lontano 1988. Quanti sono stati gli intellettuali e gli accademici occidentali che hanno protestato contro tale pratica repressiva? Avete forse notizia di una qualche campagna di solidarietà con gli studenti ed i professori di Bir Zeit ai quali da quattro anni un governo che, dal 1967 ad oggi ha ricevuto 77 miliardi di dollari di aiuti dagli Stati Uniti, nega il diritto di imparare e di insegnare? Diversamente dal Sudafrica, Israele non ha subito alcun boicottaggio o pressione economica, nonostante le sue pratiche a Gaza e nella West Bank eguaglino e superino anche, quelle usate dal governo di Pretoria nei peggiori momenti dell’apartheid».
Faccio subito un copia e incolla di questo testo di Said e lo mando a Loquenzi a commento del testo di Giorgio Israel, che se la prende con il vescovo Desmond Tutu, quando di apartheid parlano proprio tutti.

Il brano di E. Said che avevo mandato ieri sera sul tardi non è apparso. Basta però quello che ho già scritto e mi è stato pubblicato. Ne confermo il testo e seguirò la valentia di quanti saranno caparci di oppormi valide controargomentazioni. Cosa trovo dopo di me? Una esilarante «Difesa della Civiltà» in questi termini:
«Purtroppo l'anti-ebraismo non e' fenomeno provvisorio in via d'estinzione, ma emblema della permanenza di un problema permanente: il rancore del selvaggio contro l'ordine civile. Il paladino della civilta' sa da che parte stare».
Dove sta l’argomento? E chi sarebbe il “selvaggio”? Il palestinese sterminato dai sionisti? O l’indiano d’America sterminato dai bianchi venuti a portare la civiltà e l’ordine? E quale ordine portavano i sionisti che commisero attentati al David King Hotel o in Roma all’Ambasciata Britannica nel 1946? Ma non è questo un “razzismo” allo stato puro? Più abietto di ogni altro razzismo? E che vuol dire anti-ebraismo? Che ci si deve obbligatoriamente far incidere il prepuzio, se no si è anti-ebraici? E chi lo dice questo? In effetti, come dice Ilan Pappe ed anche Jacob Rabkin, il peggior servizio che si può rendere all’ebraismo è far credere che l’ebraismo/sionismo dalla Nakba a Piombo Fuso sia la “civiltà” ed il rapporto Goldstone la barbarie.

16. Sul concetto di apartheid. – Lucido e informato come sempre, Sergio Romano richiama l’attenzione al significato originario di “apartheid”, che in Sud Africa avrebbe dovuto consentire uno sviluppo separato di due etnie: quella bianca e quella nera. Le cose si rivelarono poi diversamente e l’apartheid ha assunto il significato corrente di una forma di discriminazione dove una parte prevaleva sull’altra. Orbene, senza andare a discettare se nella teologia ebraica esiste all’origine una forma di apartheid fra il popolo eletto, caro a dio, e tutti gli altri che al Dio Unico non sarebbero per nulla cari. Non affrontiamo l’ambito teologico. Abbiamo un apposito blog tematico per questi argomenti. Qui invece è se mai da considerare che nel progetto del sionismo non vi è mai stata un’ipotesi di convivevenza, o compresenza con la popolazione autoctona dei palestinesi, sia pure in regime di apartheid e di discriminazione. Si era cominciato con la finzione che la Palestina fosse una terra disabitata, popolata da pochi “selvaggi” (vedi sopra) che si potevano tranquillamente estromettere ed espellere. Il piano Dalet e la pulizia etnica del 1948 rivelano la profonda natura del sionismo, volto ad eliminare ed espellere ogni presenza “non ebraica”. Magari, si trattasse di “apartheid”! Si potrebbe adottare in tal caso la stessa terapia che ha avuto successo in Sudafrica. In realtà, abbiamo a che fare qui con qualcosa di assai peggio: un razzismo anacronistico, armato fino all’inverosimile e capace di condizionare gran parte dei media occidentali, un razzismo di cui è già prassi riconosciuta la pulizia etnica e l’apartheid, ma il cui obiettivo finale è il completamento del genocidio, ovvero del processo... di pace, che non è altro che la pace dei cimiteri o il completamento non solo dell’espulsione, ma l’allargamento della guerra all’Iran, per ridurre tutto il Medio Oriente sotto soggezione americana-israeliana. A tanta follia sembra che neppure Obama osi arrivare.

17. Le regole del gioco del cosiddetto Popolo delle Libertà. – Non fidandomi, pubblico qui di seguito il commento che ho appena mandato all’Occidentale di Loquenzi in calce ad un articolo di Giorgino Israel, su cui si sta producendo il solito giochetto, cioè lo sguinzagliamento di ascari che rispondono ed attaccano me che inserisco un commento all’articolo. Partecipo sempre di meno a queste risse, ma qui io mi sono rivolto espressamente a due soggetti: a) Giorgio Israel; b) il suo editore, credo Loquenzi. Ecco il testo inviato:
«Non rispondo ad altri che allo stesso Giorgio Israel, se ritiene di degnarsi nel rispondere a chi critica, aspramente ma civilmente, ciò che abitualmente scrive, deningrando ed offendendo l’universo mondo (ipocrisia, disonestà) e fuggendo davanti alle critiche di chi sentendosi chiamato in causa gli risponde. Ricordo bene, per averla seguita, la vicenda Odifreddi. In difesa di Giorgio Israel scese allora tutto il rabbinato della “Corretta Informazione”, gridando ad un inesistente quanto strumentale antisemitismo. La tecnica è quella classica del Pierino delle barzellette: fa la birbonata e poi si mette a chiamare la signora maestra, che se la prende e punisce quelli che Pierino ha offeso e molestato. Non raccolgo inviti alla rissa provenienti da altri soggetti. L’oggetto della discussione è l’articolo pubblicato, non un qualsivoglia commento all’articolo. Sulla materia della Sesta IAK ho redatto criticamente la più ampia e completa rassegna stampa che esiste in rete: vi ho dato il link. Per altro genere di discussioni ci sono altri spazi. Ritengo di aver letto quanto basta per poter facilmente demolire la propaganda sionista di Giorgio Israel e non ho soggezione nell’affrontarlo, beninteso sempre civilmente sul piano del discorso e degli scritti e chiedendo perfino anticipatamente scusa se la passione civile può farmi uscire dai corretti sentieri della discussione. L’editore Loquenzi nel pubblicare il testo di Israel si è rivolto al pubblico della rete: decida l’editore se vuole apertamente fare propaganda sionista, alla quale ha partecipato, se non ricordo male, in occasione della manifestazione in piazza Montecitorio; o se vuole suscitare e promuovere un dibattito politico. Gli ricordo che faccio parte dello stesso partito del PdL, dal quale non sono mai stato espulso, cosa che accetterei di buon grado, se ciò mi desse la possibilità di comparire davanti ad un collegio di probi viri, per parlare proprio di quella “libertà” e di quel “popolo” che alquanto pomposamente e demagogicamente compare nella intitolazione: POPOLO DELLE LIBERTA'. Quali libertà? dove sono? Il popolo dove sta? Quando mai vi è stata democrazia all’interno del PdL? Se i miei toni possono qui apparire accesi, ricordo che sotto i nostri occhi che non vogliono vedere e con le orecchie che non vogliono sentire, si consuma il Genocidio della nostra epoca, quello del popolo palestinese, a mio avviso più grave del topos Auschwitz, su cui non esiste peraltro libertà di ricerca storica e per il quale ogni anno nella sola Germania migliaia di persone vengono penalmente perseguite, di niente altri rei che delle loro opinioni. Dove stà il "popolo delle libertà"? Con i negatori della più elementare delle libertà: la libertà del pensiero?»
Non potendo intervenire nuovamente nell’editing del sito l’Occidentale, mi riservo di modificare qui il mio testo e quanto altro dovessi decidere di mandare all’Occidentale in relazione all’oggetto che resta la mia rassegna stampa sulla settimana di protesta contro l’Apartheid israeliano.

(segue: post in elaborazione)

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