Mentre mi accingevo a tradurre nel post precedente il documento che Marcello Pezzetti, forse in seguito ad una mia richiesta inoltrata agli organizzatori, ha finalmente esibito alla mostra sulla Shoah, in Roma, che chiude proprio oggi, dopo essere aperta e inaugurata il 27 gennaio. Evito a questo punto una mia traduzione e accolgo quella del massimo studioso di quel campo di studi storici, di cui lo stesso Pezzetti si occupa. Lascio a loro due il confronto ed il dibattito, sempre che Marcello Pezzetti accetti un confrono scientifico, nel quale io non mi considero parte. Il mio ruolo è stato fin dall’inizio quello del filosofo del diritto che inorridisce, apprendendo che in Germania ogni anno 15.000 persone vengono perseguite penalmente per semplici reati di opinione o per dibattiti, dove uno a ragione solo perché il suo contraddittore viene prelavato e messo in prigione. È incredibile e viene la pelle d’oca solo a pensarci, ma queste cose avvengono nel 2010 nella Mittleuropa, non solo in Germania, Austria, Cechia, ma complessivamente in circa 13 paesi europei. Vi è chi apertamente chiede una simile legislazione anche per l’Italia.
Sul merito del documento e con riguardo a mie precedenti affermazioni, scritte e verbali, preciso che ho bene inteso anche io che il documento citato ed esibito da Pezzetti è “autentico”. Ad essere erronea e financo falsa è l’interpretazione che se ne è data, ma anche il documento stesso, pur autentico, è “falso” nel suo contenuto riguardante Lia Origoni in quanto nel febbraio 1943 – come ci ha chiarito la stessa Origoni – non aveva nessuna relazione con il Teatro della Scala di Milano, che gli organizzatori della mostra hanno voluto coinvolgere, pensando di fare uno scoop e senza minimamente preoccuparsi dell’immagine della massima istituzione musicale del paese. Riteniamo di aver data ampia illustrazione di ciò insieme con lo scandaglio dei pregiudizi e del retroterra ideologico, che stanno dietro a tanto scoop. La questione, comunque, nella sua limitata estensione è di una semplicità tale da poter essere compresa da ogni persona di modesta cultura storica e che abbia una minima esperienza di archivi.
Antonio Caracciolo
* * *
CARLO MATTOGNO
Sulla mostra Auschwitz-Birkenau
in Roma, al Vittoriano,
(27 gennaio-21 marzo 2010)
CARLO MATTOGNO
Sulla mostra Auschwitz-Birkenau
in Roma, al Vittoriano,
(27 gennaio-21 marzo 2010)
Nell’articolo E il soprano della Scala cantò ad Auschwitz, apparso il 27 gennaio 2010 sul Corriere della Sera, p. 33, Edorado Sassi riferisce sulla mostra Auschwitz-Birkenau che è stata inaugurata nella stessa data, in coincidenza con il «Giorno della Memoria», nel Complesso del Vittoriano a Roma:
L’Abteilung VI era la Sezione VI del comando di Auschwitz, che si occupava di Fürsorge, Schulung und Truppenbetreuung, Cura, addestramento e assistenza della truppa, non di “cultura”.
Essa era diretta dall’SS-Oberschaführer Kurt Knittel, le cui iniziali abbreviate (“Kni.”) figurano nel numero di protocollo (Aktenzeichen, abbreviato in “Az”); le iniziali “Be.” sono invece quelle dell’SS-Unterschaführer Leopold Behrends, che era un suo subordinato.
L’organizzazione dello spettacolo era curata dalla Sezione VI in cooperazione coll’istituto ricreativo Kdf , “Kraft durch Freude”, letteralmente “Forza attraverso la gioia” dell’ufficio del Gau di Kattowitz (Katowice).
Non si sa con precisione dove si trovava la sala della “Casa del cameratismo” (Kameradschaftsheim), appunto perché era una sala di un edificio che non viene mai menzionato. Lo Standortbefehl (ordine della guarnigione) n. 15/55 dell’11 maggio 1944 menziona la consuetudine di membri delle SS di lasciare le loro armi o oggetti del loro equipaggiamento nella sala del Kameradschaftsheim durante il pranzo, dal che si desume che essa non poteva trovarsi all’interno delle recinzioni di Auschwitz o Birkenau, ma nelle aree riservate alle SS.
Passo ora alle relative affermazioni di Pezzetti.
La prima osservazione è che considerare seriamente questa pressoché insignificante lettera circolare come un documento «di eccezionale importanza» significa non avere alcuna idea di che cosa sia un documento importante. È ben vero, aggiungo, che esso è stato «ritrovato nell' archivio di Auschwitz», formulazione che lascia intendere un ritrovamento recente ed eccezionale, ma era già stato pubblicato dieci anni fa insieme ad altre decine di documenti simili, senza che i curatori della raccolta abbiano dato il minimo risalto ad esso o ad altri (Standort- und Kommandanturbefehle des Konzentrationslager Auschwitz 1940-1945. A cura di Norbert Frei, Thomas Grotum, Jan Parcer, Sybille Steinbacher und Bernd C. Wagner. Institut für Zeitgeschichte. K.G. Saur, Monaco, 2000, pp. 220-221). Infine è quantomeno azzardato dire che Lia Origoni «partecipò» allo spettacolo summenzionato, in quanto il documento si limitava a preannunciarlo sei giorni prima, sicché è possibile non solo che Lia Origoni, come ella afferma, non vi avesse partecipato, ma che non ne fosse stata neppure informata.
L’articolo del Corriere continua così:
Esaminiamo infine la risposta di Marcello Pezzetti alla smentita di Lia Origoni, pubblicata su Informazione Corretta
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=33591&print=preview
Lia Origoni non deve minimamente «confutare il contenuto del documento», che, per quanto la riguarda, va considerato alla stregua di una locandina, ma è Pezzetti che deve «far ricorso ad altre prove documentarie» per dimostrare che la signora Lia cantò realmente ad Auschwitz.
Quanto infine alla «“normalità” della vita quotidiana all’ombra dei crematori», questi spettacoli, dal mio punto di vista, confermano soltanto che Auschwitz non era un campo di sterminio.
Per concludere, secondo il Calendario di Auschwitz di Danuta Czech, il trasporto di ebrei francesi in questione arrivò il 15 febbraio, non il 16 (D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945. Rowohlt Verlag, Reinbek bei Hamburg, 1989, pp. 414-415), ma Pezzetti aveva bisogna di questa forzatura per il suo colpo di scena finale. Poiché non esiste la più pallida prova di questa presunta gasazione-cremazione, qui, come dice Pezzetti, «è quindi necessario far ricorso ad altre prove documentarie – che però non esistono –, non certo a una testimonianza, soprattutto se di parte». L’unica garante della realtà dell’evento è infatti è una semplice affermazione di Danuta Czech, ella sì «di parte», e quanto!
Se Pezzetti scoprisse un documento su questa gasazione-cremazione, questo sì che sarebbe «di eccezionale importanza»! Ma una tale evenienza è chiaramente al di fuori del suo orizzonte mentale.
«Tra i pezzi importanti esposti, Pezzetti segnala un documento giudicato “di eccezionale importanza” e ritrovato nell’archivio di Auschwitz: il 16 febbraio 1943 il Teatro alla Scala di Milano, rappresentato dalla celebre soprano Lia Origoni – sarda, classe 1919 – partecipò alla serata “Sud solare”, con “stelle internazionali”, per il diletto delle guardie SS di Auschwitz, organizzata dalla Kommandantur di Auschwitz-Birkenau».Il documento esposto alla mostra è questo:
Betrifft: Truppenbetreuungsveranstaltung am 16. Februar 1943.An
alle Abteilungen der Kommandantur den SS – T.[otenkopf] – Sturmbann und die angeschlossenen Dienststellen KL. AuschwitzAm Dienstag, den 16. Februar 1943, 20 Uhr kommt im großen Saal des Kameradschaftsheimes der Waffen- SS ein Großprogramm zur Aufführung“Sonniger Süden”mit internationalen Sternen
(Kunst der Nationen in einer europäischen Revue).
Organisation: Abt. VI in Verbindung mit der Kdf Gaudienstelle Kattowitz.
Es wirken mit: Lia Origoni (sopran) von der Mailänder Scala
Anita Costa, Solotänzerin vom Spanischen Nationaltheater Madrid
Maria Koncz, Ungarische Meistergeigerin
Rudi Stechli, Vortragskünstler
De la Parso, der König der Mundharmonika
Das Attraktionsorchester van den Dungen
Der Besuch der Veranstaltung ist Dienst. Als Ausführungsbestimmungen gelten die Anordnungen des Kommandanten mit Rundschreiben Kl. Au. Abt. VI Az. 13c/10.42/kni. Be vom 24. Oktober 1942.
Der Lagerkommandant
a.B. [auf Befehl] Mulka
SS-Hauptsturmführer u. Adjutant»Nostra traduzione italiana del documento:
«Comando Auschwitz, 10 febbraio 1943Ed ecco la fuorviante traduzione degli organizzatori della mostra:
Campo di concentramento di Auschwitz
Sezione VI Numero di protocollo 13c/2.43/Kni.[ttel]/Be.[hrends]
Oggetto: manifestazione per l’assistenza alla truppa il 16 febbraio 1943
A tutte le sezioni del Comando
All’SS-Totenkopf-Sturmbann
A tutti gli uffici collegati
Campo di concentramento di Auschwitz
Martedì, 16 febbraio 1943, alle ore 20, nella grande sala della casa del cameratismo delle Waffen-SS sarà rappresentato un grande programma
“Allegro Mezzogiorno”
con stelle internazionali
(arte delle nazioni in un varietà europeo)
Partecipano: Lia Origoni (soprano) della Scala di Milano
Anita Costa, ballerina solista del Teatro Nazionale Spagnolo di Madrid
Maria Koncz, maestra di violino
Rudi Stechli, declamatore
De la Parso, il re dell’armonica a bocca
L’orchestra attrazione van den Dungen
Assistere alla manifestazione è [dovere di] servizio
Le disposizioni vigenti per l’esecuzione sono gli ordini del Comandante con lettera circolare campo di concentramento Auschwitz Sezione VI numero di protocollo 13c/10.42/Kni. Be. del 24 ottobre 1942.Il Comandante del campo
per ordine Mulka
SS-Hauptsturmführer e aiutante».
«Il Teatro alla Scala di Milano, rappresentato dal soprano Lia Origoni, partecipa alla serata “Sud Solare” con “stelle internazionali” per le guardie SS di Auschwitz, il 16 febbraio 1943, organizzata dalla Kommandantur di Auschwitz, ufficio VI (cultura)Premetto qualche informazione sul documento.
From the Collections of Auschwitz-Birkenau State Museum in O?wi?cim [Perché in inglese?]».
L’Abteilung VI era la Sezione VI del comando di Auschwitz, che si occupava di Fürsorge, Schulung und Truppenbetreuung, Cura, addestramento e assistenza della truppa, non di “cultura”.
Essa era diretta dall’SS-Oberschaführer Kurt Knittel, le cui iniziali abbreviate (“Kni.”) figurano nel numero di protocollo (Aktenzeichen, abbreviato in “Az”); le iniziali “Be.” sono invece quelle dell’SS-Unterschaführer Leopold Behrends, che era un suo subordinato.
L’organizzazione dello spettacolo era curata dalla Sezione VI in cooperazione coll’istituto ricreativo Kdf , “Kraft durch Freude”, letteralmente “Forza attraverso la gioia” dell’ufficio del Gau di Kattowitz (Katowice).
Non si sa con precisione dove si trovava la sala della “Casa del cameratismo” (Kameradschaftsheim), appunto perché era una sala di un edificio che non viene mai menzionato. Lo Standortbefehl (ordine della guarnigione) n. 15/55 dell’11 maggio 1944 menziona la consuetudine di membri delle SS di lasciare le loro armi o oggetti del loro equipaggiamento nella sala del Kameradschaftsheim durante il pranzo, dal che si desume che essa non poteva trovarsi all’interno delle recinzioni di Auschwitz o Birkenau, ma nelle aree riservate alle SS.
Passo ora alle relative affermazioni di Pezzetti.
La prima osservazione è che considerare seriamente questa pressoché insignificante lettera circolare come un documento «di eccezionale importanza» significa non avere alcuna idea di che cosa sia un documento importante. È ben vero, aggiungo, che esso è stato «ritrovato nell' archivio di Auschwitz», formulazione che lascia intendere un ritrovamento recente ed eccezionale, ma era già stato pubblicato dieci anni fa insieme ad altre decine di documenti simili, senza che i curatori della raccolta abbiano dato il minimo risalto ad esso o ad altri (Standort- und Kommandanturbefehle des Konzentrationslager Auschwitz 1940-1945. A cura di Norbert Frei, Thomas Grotum, Jan Parcer, Sybille Steinbacher und Bernd C. Wagner. Institut für Zeitgeschichte. K.G. Saur, Monaco, 2000, pp. 220-221). Infine è quantomeno azzardato dire che Lia Origoni «partecipò» allo spettacolo summenzionato, in quanto il documento si limitava a preannunciarlo sei giorni prima, sicché è possibile non solo che Lia Origoni, come ella afferma, non vi avesse partecipato, ma che non ne fosse stata neppure informata.
L’articolo del Corriere continua così:
«Questo per dimostrare che da noi si sapeva più di quanto si voglia ogni tanto far credere», il commento [di Pezzetti]».Un commento insulso, perché, ammesso e non concesso che la rappresentazione preannunciata si svolse effettivamente e che vi partecipò anche Lia Origoni, e ammesso e non concesso che Auschwitz fosse un campo di sterminio, che cosa avrebbero potuto “sapere” gli artisti che si esibirono in questa sala del Kameradschaftsheim? Forse che le presunte gasazioni omicide avvenivano lì?
Esaminiamo infine la risposta di Marcello Pezzetti alla smentita di Lia Origoni, pubblicata su Informazione Corretta
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=33591&print=preview
È ovvio che il documento non è un falso; falsa è l’interpretazione che ne fornisce Pezzetti. Egli pretende, sulla base di un semplice annuncio, che dieci giorni dopo Lia Origoni ha effettivamente «allettato [?! Forse voleva dire “allietato”] quei criminali»: da dove risulta, di grazia, che ciò accadde realmente? E se testimonianze e documenti dimostrano «che le SS si “divertivano” proprio in prossimità del campo stesso» – «in prossimità», non «all’interno» –, che cosa dimostra ciò?
«La signora Origoni, informata del fatto dall’organizzazione stessa della mostra, ha sostenuto in un intervento sul «Corriere» (5 febbraio) di non aver cantato ad Auschwitz, ma nella vicina città di Katowice, di non essere stata inviata lì dalla Scala di Milano, ma da quella di Berlino (un locale di varietà, non un teatro lirico), e soprattutto che un documento (in questo caso definito come «falso») ha meno valore di una testimonianza (in questo caso la sua).
Come curatore della mostra, mi limito a osservare che questo documento appartiene alla serie di ordini emessi dalla Kommandantur del campo di Auschwitz-Birkenau, archiviati nel Museo di Auschwitz, già pubblicati in Germania e giudicati da tutti gli storici come fonte privilegiata, di prima mano, quindi difficilmente contestabili. Se Mulka, aiutante del comandante di Auschwitz Rudolf Höss, ha ordinato a tutto il corpo delle SS di partecipare al concerto presso il Kameradschaftsheim («casa dei camerati») di Auschwitz, significa che i cantanti e musicisti spagnoli, ungheresi, italiani, quindi anche la «stella internazionale» Origoni, hanno allettato quei criminali proprio nei pressi del campo di sterminio, non altrove. Del resto alcuni sopravvissuti ci hanno confermato di essere stati obbligati più volte ad assistere a concerti nelle strutture adiacenti al campo e le ultime fotografie ritrovate di Auschwitz, anch’esse esposte in mostra, dimostrano che le SS si «divertivano» proprio in prossimità del campo stesso. Per confutare il contenuto del documento messo sotto accusa dalla Origoni è quindi necessario far ricorso ad altre prove documentarie – che però non esistono –, non certo a una testimonianza, soprattutto se di parte.
Abbiamo esposto questo documento non tanto per sottolineare la «collaborazione» di un’italiana al sistema di oppressione nazista – anche se cantare per i nazisti in Germania e in Polonia nel 1943 non è certo un fatto di cui andare fieri –; volevamo semplicemente far comprendere al pubblico come i carnefici nazisti concepissero la «normalità» della vita quotidiana all’ombra dei crematori: anche ascoltando musica italiana. Lo stesso giorno in cui si tenne il concerto, infatti, le SS bruciarono i corpi di 689 ebrei francesi, uomini, donne e tanti bambini, deportati da Drancy».
Lia Origoni non deve minimamente «confutare il contenuto del documento», che, per quanto la riguarda, va considerato alla stregua di una locandina, ma è Pezzetti che deve «far ricorso ad altre prove documentarie» per dimostrare che la signora Lia cantò realmente ad Auschwitz.
Quanto infine alla «“normalità” della vita quotidiana all’ombra dei crematori», questi spettacoli, dal mio punto di vista, confermano soltanto che Auschwitz non era un campo di sterminio.
Per concludere, secondo il Calendario di Auschwitz di Danuta Czech, il trasporto di ebrei francesi in questione arrivò il 15 febbraio, non il 16 (D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945. Rowohlt Verlag, Reinbek bei Hamburg, 1989, pp. 414-415), ma Pezzetti aveva bisogna di questa forzatura per il suo colpo di scena finale. Poiché non esiste la più pallida prova di questa presunta gasazione-cremazione, qui, come dice Pezzetti, «è quindi necessario far ricorso ad altre prove documentarie – che però non esistono –, non certo a una testimonianza, soprattutto se di parte». L’unica garante della realtà dell’evento è infatti è una semplice affermazione di Danuta Czech, ella sì «di parte», e quanto!
Se Pezzetti scoprisse un documento su questa gasazione-cremazione, questo sì che sarebbe «di eccezionale importanza»! Ma una tale evenienza è chiaramente al di fuori del suo orizzonte mentale.
Carlo Mattogno.
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